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Tutti i doni del buio
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E-book297 pagine4 ore

Tutti i doni del buio

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Info su questo ebook

E’ il secondo racconto della serie Post-atomica che ha avuto inizio con “Blado 457 Oltre la Barriera del Tempo”, ma si legge benissimo come un racconto a é stante. Si racconta di un ipotetico futuro, in cui la Terra è stata sconvolta da un conflitto atomico. La razza umana è stata decimata e si sono create razze mutanti semiumane, ognuna con caratteristiche differenti. I protagonisti di questo romanzo sono gli Shakars, i semiumani Signori del Buio: spaventose creature carnivore, feroci e crudeli, che popolano boschi e foreste, contendendo il territorio agli umani.
LinguaItaliano
Data di uscita4 feb 2013
ISBN9788891104014
Tutti i doni del buio

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    Anteprima del libro

    Tutti i doni del buio - Erika Corvo

    SCELTA

    Capitolo Primo

    IL MISTERO

    Mitria. Me ne innamorai nell'istante stesso in cui la vidi passare sul carro leggero lungo la via principale del paese, insieme ai suoi genitori.

    Ricordo che stavo aiutando Hostas, il mio principale, a trasportare un pesante armadio che avevamo appena terminato di costruire.

    Al vederla passare, la mia attenzione si distolse talmente da ciò che stavamo facendo che quasi l'armadio mi cadde, scivolandomi dalle mani, come se anch'esso, al pari di me, avesse voluto fermarsi a guardarla.

    Incantevole: zigomi alti e due occhi magnetici su un viso dalla carnagione scura, incorniciato da folti capelli color mogano, lisci come la seta. E quel sorriso, Sacro Plutonio, quel sorriso! Fulgido come il sole!

    Tra il sorriso abbagliante, la pelle brunita e gli occhi nerissimi, il suo viso sembrava un alternarsi di luci e di ombre, di sprazzi di sole e di silenzi oscuri e misteriosi: un sottobosco interrotto qua e là da sottili raggi di luce che riuscissero talvolta a penetrare il folto della vegetazione, giungendo a scaldare il suolo umido.

    «Che fai, ragazzo? Hai le visioni?»

    «Perdoni, Hostas; mi ero distratto!»

    «A guardare le ragazze, eh?»

    «Chi è quella ragazza, Hostas?» domandai, arrossendo leggermente. «Non mi sembra di averla mai vista, prima d'ora, in paese, e sono qui ormai da più di tre mesi.»

    «Bella, eh?» rispose il mio capo, ridacchiando «Lasciala perdere, Akenion, ce ne sono tante, di ragazze. Lasciala stare, quella: è meglio!»

    «Perché? Chi è? La conosce?»

    «Uh, quante domande! Sì, che la conosco: si chiama Mitria e abita con i suoi in una fattoria completamente isolata, sulle colline, al limitare del bosco. Ma non sono mica tanto giusti, quelli là. Forza con quelle braccia, ragazzo! Mettilo un po' più in qua... sì, così... ecco!»

    «In che senso non sono mica tanto giusti, Hostas?»

    «Nel senso che è gente strana, misteriosa. Sono chiusi e scontrosi peggio degli eremiti. Circa vent'anni fa, suo padre arrivò in paese chiedendo di poter comprare un pezzo di terreno per stabilirsi e metter su casa; e quel vecchio furbo di Arante gli vendette per quattro soldi un pezzo di terra immenso e fertilissimo, con una catapecchia cadente nel mezzo. Guardandosi bene dal dirgli, però, che per sei volte la casa era passata di mano in mano, perché chiunque era stato così scemo o così pazzo da arrischiarsi a portarci la famiglia, aveva fatto una brutta fine nel giro di poco. Era più di quarant'anni che quel terreno era rimasto invenduto e lasciato in stato di abbandono. Nessuno voleva più saperne di andarci ad abitare, neanche se gli avessero dato un premio. Quella zona è peggio che maledetta: se questa regione è piena di Shakars, quelle colline addirittura ne pullulano. Più Shakars che alberi, da quelle parti, ragazzo, parola mia!»

    «Shakars? Vuol dire i predatori notturni semiumani?»

    «Proprio quelli, Akenion. Bestiacce alte più i due metri con la forza di dieci uomini, artigli, zanne... vedono nel buio come i gufi e le civette, e temono solo la luce del sole. Escono a caccia dal tramonto all'alba, e se uno di loro ti incontra all'aperto e decide che ti mangerà per cena, allora non farai ritorno a casa. Nessuno è mai riuscito a sfuggirgli. Sono feroci, astuti, intelligenti... questo paese è così povero perché non c'è verso di allevare una sola mucca in tutta la regione se non facendola dormire in cassaforte. Quelli sono terribili: spaccano le serrature migliori, sfondano le porte a calci, non temono il fuoco, sbranano i cani. Questa terra è loro, molto più che nostra. E gli Shakars non hanno mai tollerato intrusi nel loro territorio. Nessuno ha mai capito come abbia fatto, Arideth, a tenerli alla larga dalla sua casa e a sopravvivere vent'anni senza guai. C'è chi dice che abbia fatto un patto col diavolo, ma chi lo sa? Non parla mai di se stesso, della sua famiglia o della sua casa, e se gli fanno delle domande, cambia subito discorso. C'è qualcosa che non va, in quella gente, lo si capisce subito.»

    «Chi è Arideth? Il padre della ragazza?»

    «Esatto, Akenion. Vieni, torniamo dentro, adesso. Dobbiamo ancora finire di montare l'altro armadio. Dov'ero rimasto? Ah, sì; Arideth. Nessuno sa chi fosse, da dove sia venuto, o cosa facesse prima di venire a stabilirsi qui. Non ha mai parlato del suo passato, come del resto non parla nemmeno del suo presente. Quell'uomo è un mistero. Non dev'essere stato molto felice, scoprendo che gli unici vicini di casa che avesse fossero quelle bestiacce notturne. Forse per quello è andato fuori di testa. Probabilmente vivranno barricati in casa, potendo uscire solo alla piena luce del giorno, o avranno inventato qualche sistema particolare per tenerli alla larga, chi lo sa? Fatto sta che in paese ci vengono molto, ma molto raramente, e quasi sempre nella buona stagione. Di solito vanno all'emporio a fare acquisti, e un paio di volte l'anno vanno al tempio. So che avevano un'altra figlia, oltre a Mitria, ed era anche molto più bella, ma sono anni che non si vede più e non ho idea di dove sia finita. Forse si sarà sposata con qualcuno di fuori. Questo è tutto quello che so di loro, e come vedi, non è molto.»

    «È pur sempre qualcosa. Serve ancora una manciata di chiodi, per poter finire da questo lato.»

    «Posso finire io, Akenion. Ormai sono le cinque: puoi andare.»

    «Grazie, Hostas. Ci vediamo domani, allora.»

    Naturalmente ne approfittai per correre subito all'emporio facendo finta di niente, cercando di rivedere quella misteriosa e bellissima ragazza.

    Era, infatti, ancora nel negozio, e sbirciando tra le vetrine, la vidi curiosare qua e là tra i banconi, sollevando ogni tanto qualche oggetto senza troppo interesse, e poi rimetterlo quasi subito al suo posto.

    Entrai anch'io con la scusa di comprare qualcosa da mangiare per la sera, e vidi i suoi discutere col negoziante di alcune cose che avrebbe dovuto far arrivare dalla città. Mentre io prendevo ciò che mi serviva dagli scaffali, la oltrepassai volgendomi a guardarla. Da vicino mi sembrò ancora più bella, con quegli occhi color del buio e quella pelle ambrata che pareva di velluto. Poteva avere al massimo sedici o diciassette anni, anche se non potevo esserne sicuro.

    Lei mi vide e mi passò da capo a piedi con uno sguardo indifferente, colpita forse soltanto del mio sguardo perso nella contemplazione di lei.

    Probabilmente non le sarò sembrato molto intelligente.

    Vergognandomi della brutta figura, mi scossi e mi imposi di allontanarmi per non rendermi ancor più ridicolo ai suoi occhi; ma non potei impedirmi di continuare a voltarmi per vedere se, almeno una volta, si volgesse anche lei a guardarmi.

    Sì! Miracolo! Mi sembrò di sentire le campane suonare a festa quando, già all'uscita, attardandomi nel richiudere l'uscio, la vidi girarsi cercandomi col suo sguardo e rivolgermi uno di quei suoi meravigliosi sorrisi.

    Mi allontanai, felice e giulivo come non mi succedeva da molto tempo.

    Per mia fortuna la bottega di mastro Hostas, dove lavoravo, era situata proprio sulla via maestra, cosicché se lei fosse tornata in paese avrei potuto vederla passare soltanto alzando gli occhi dal mio lavoro, ogni volta che avessi sentito l'avvicinarsi di un carro leggero.

    E un paio di volte la vidi passare, al di là dei vetri, sullo stradone, ma in un orario in cui io ero troppo occupato col lavoro, e quando mancava ancora più di un'ora al termine del mio impegno.

    Le mie speranze tornarono a concretizzarsi quando la vidi arrivare da sola, sul carro leggero che di solito era il padre a guidare, proprio mentre, terminato il mio orario di lavoro e salutato mastro Hostas, mi accingevo a fare ritorno alla stanza dove alloggiavo.

    Naturalmente mi avviai di buon passo verso l'emporio, deciso, questa volta, a rivolgerle la parola.

    La vidi parlare con il negoziante, e questi disse che era arrivato dalla città il materiale che aspettavano, e che ci avrebbe pensato lui a sistemarlo sul carro. Mentre l'uomo sparì nel magazzino sul retro, lei si mise a curiosare tra alcuni cappellini bene in ordine sullo scaffale. Depose lo strano cappello nero a falda larga che le avevo visto indossare praticamente sempre, e si mise davanti allo specchio provandosi qualche modello più grazioso e alla moda, abbozzando smorfie civettuole.

    «Chissà se questo mi starebbe bene?» sussurrò, parlando più che altro a sé stessa, posizionandosi in capo un ennesimo modello.

    «Io credo staresti benissimo anche se avessi in testa il secchio dell'immondizia!»

    La vidi trasalire sentendo dietro di sé una inaspettata voce maschile, e si girò di scatto sfilandosi subito il cappellino, che continuò a tenere tra le mani.

    «Oh!» esclamò, riconoscendo in me il giovane che aveva già notato in precedenza «Mi scusi, non stavo parlando con lei.»

    «È proprio questo che mi dispiace: il fatto che non stessi parlando con me. Non potresti continuare a farlo, visto che hai cominciato, per tua grazia?»

    «Beh, sì.» rispose con uno sguardo malizioso, arrossendo leggermente «Ci siamo già visti, se non sbaglio?»

    Non so che impressione potessi averle fatto, così com'ero, con gli abiti da lavoro ancora spruzzati qua e là dalla fine polvere del legname appena tagliato, sudato e spettinato. Non uso certo presentarmi così alle ragazze a cui faccio la corte, ma per mia buona sorte, lei non sembrò far molto caso al mio aspetto. Io, invece, notai come i suoi occhi rimasero fissi nei miei, mentre mi parlava continuando a sorridermi.

    A soli vent'anni, il mio cuore si sbriciolò ai suoi piedi.

    «Sì, ci siamo già visti proprio qui, qualche settimana fa. Come ti chiami?» le chiesi, anche se conoscevo già il suo nome.

    «Mitria. E tu?»

    «Akenion, e lavoro nella bottega del falegname, qui vicino. Perdonami per i miei abiti, ma sono appena uscito da lavoro e stavo giusto andando a casa a cambiarmi...»

    «Se pensi di non metterci molto tempo, posso aspettarti. Potresti offrirmi una bibita fresca, se ti va.»

    Incoraggiato dalle sue parole, non ci pensai due volte ad accettare con entusiasmo. Volai nella mia stanza e cercai di rendermi presentabile il più in fretta possibile.

    Mi lavai, mi rifeci la barba e mi cambiai d'abito, indossando un paio di calzoni scuri e una camicia pulita. Mi pettinai a dovere e tornai all'emporio in meno di venti minuti, già temendo che avesse voluto prendermi in giro e svignarsela durante la mia assenza. Invece era ancora là, mentre il negoziante terminava di caricare gli ultimi pacchi sul carro.

    «Sei già qui?! Sarò da te tra un minuto.» concluse tornando all'interno della bottega, probabilmente a saldare il conto, dopo avermi dato un'occhiata compiaciuta.

    So di non esser brutto, anzi, in tutti i paesi dove mi sono fermato più di qualche settimana ho avuto avventure galanti senza dover troppo faticare.

    Sono alto, ben messo, due spalle così, capelli scuri né lunghi né corti, un viso regolare dall'aria schietta e un bel sorriso: un tipo piacevole, insomma, senza esagerare.

    «Bene, eccomi qua.» disse l'incantevole creatura venendo a fermarsi davanti a me, aggiustandosi il cappello sulla testa e sbirciandomi da sotto la tesa nera, inclinando il capo all'indietro.

    «Laggiù c'è il chiosco delle bibite, è un posto rispettabile e ci vanno molte ragazze.» proposi, indicandole un luogo estremamente innocente, adatto ad un primo incontro «Ti andrebbe?»

    «Certo, andiamo. Se anche arrivassi a casa con mezz'ora di ritardo, non se ne accorgerebbero nemmeno.»

    Ci incamminammo tenendoci per mano, e già non mi sembrava vero. Mitria era, e non saprei nemmeno spiegare come, molto, molto più bella e più attraente di tutte le ragazze con cui fossi uscito finora.

    «Aranciata va bene?» chiesi.

    «No. Limonata.» rispose con decisione.

    Ordinai quindi un'aranciata per me e una limonata per lei, e dopo aver preso qualcosa da sgranocchiare ci sedemmo ad un tavolino.

    «Non qui, per tua grazia: ti dispiacerebbe se ci sedessimo invece là in fondo?» disse indicandomi un tavolino nella saletta chiusa, quasi completamente in ombra.

    «Come vuoi.» risposi, notando che nemmeno là si toglieva il cappello.

    «Abiti qui in paese ma non sei di qui, non è vero?»

    «No, infatti. Sono qui da poco e non so quanto tempo mi fermerò. Mi piace girare il mondo, fare esperienze, conoscere gente, vivere... sono un vagabondo, insomma.»

    «Davvero?» fece lei, spalancando gli occhi «Chissà quante avventure straordinarie avrai avuto, allora!»

    «Beh, qualcuna... ma niente di eccezionale.»

    « Raccontami qualcosa, allora; ti prego!»

    Tanto per non deluderla, mi lanciai in un racconto drammatico in cui mi gettavo tra le rapide di un fiume per salvare un amico. Era un racconto che faceva colpo, ma non mi era mai piaciuto impressionare le ragazze in questo modo, nonostante non fosse una spacconata ma una storia vera. Va da sé che se uno trascorre la giovinezza vagabondando per il mondo, prima o poi capita per forza di cose qualche avventura eclatante, degna di essere raccontata. Ma non per questo ho mai amato farne sfoggio per intrattenere un pubblico femminile.

    Mitria mi ascoltò con il massimo interesse, evidentemente impressionata dal mio coraggio.

    «Fantastico!» concluse al termine del racconto «Akenion, si è fatto tardi, ed ora dovrei proprio andare. Ti ringrazio moltissimo per la bibita e per la compagnia.»

    «Aspetta, Mitria! Posso rivederti ancora?»

    «In questi giorni verrò ancora in paese: stiamo rimettendo a nuovo una parte della casa e ci servirà ancora parecchio materiale, quindi puoi star tranquillo, mi rivedrai sicuramente.»

    La rividi, infatti, tre giorni più tardi; questa volta accompagnata dai genitori.

    Anche loro indossavano, come al solito, ampi cappelli neri.

    Dato che l'orario me lo permetteva, mi avviai verso l'emporio dove sapevo di trovarla, e con mia grande gioia mi corse incontro appena mi vide.

    «Akenion!» esclamò felice «Speravo proprio di incontrarti nuovamente! Vieni! Chiedo ai miei se possiamo andare al chiosco insieme; ma questa volta tocca a me offrire. Papà! Papà, posso andare con questo mio amico a bere qualcosa nel locale là in fondo?»

    L'uomo mi squadrò attentamente e mi sembrò non trovasse niente di sbagliato nella mia persona.

    Era un uomo sui quarantacinque, quarantasette anni, molto alto e ben messo, della stessa carnagione scura di Mitria.

    «È un tuo amico?» chiese come se temesse potessi strangolargli la figlia appena avessimo girato l'angolo. Normalissimo atteggiamento, pensai, dato che era suo padre «Dove l'hai conosciuto?»

    «Proprio qui, l'ultima volta che sono venuta in paese. Si chiama Akenion e lavora come falegname in questa stessa strada. Allora? Posso?»

    «Lasciali andare, Arideth.» intervenne la madre «Sono giovani, è giusto che si svaghino un po'.»

    «Va bene, ma non più di mezz'ora; intesi?»

    «Gliela riporterò sana e salva, signore, parola mia!» promisi, mentre Mitria mi trascinava fuori dall'emporio tirandomi per un braccio.

    «Parlami di te, questa volta. Abitate molto lontano dal paese?»

    «Casa nostra è a Vallescura, oltre la seconda collina, in quella direzione, vedi?» precisò indicando col dito un punto imprecisato all'orizzonte. «Col carro ci vuole più di un'ora, ad arrivare. A cavallo, un po' meno, credo. Tu hai un cavallo?»

    «No, non sono così ricco, ed è ben difficile che un vagabondo come me lo sia.»

    «Allora non potresti venirmi a trovare?» domandò, leggermente delusa.

    «Potrei sempre affittarne uno alle stalle pubbliche. È difficile trovare casa tua, una volta arrivati in valle?»

    «Per niente, anche perché è l'unica in tutte le colline, e non ho mai capito perché nessun altro si sia mai stabilito da quelle parti: la terra è così buona!»

    «Io ho sentito dire che quella zona è piena di Shakars.»

    «Oh, sì; è vero. Come, del resto, il paese è pieno di gente. È per questo che i miei non si fidano molto a venire qui. Non trovi anche tu che stando a contatto con un mucchio di gente si possano correre dei bei rischi?»

    Lì per lì non compresi il senso di quella risposta, e lei cambiò subito argomento. «E i tuoi sono ancora in vita? Torni a casa, ogni tanto? Cosa ne pensano del tuo modo di vivere?»

    «Non mi hanno approvato molto, quando me ne sono andato; non credo che l'idea di fare il vagabondo andasse loro a genio, però me ne sono andato lo stesso. Non li ho più rivisti da allora.»

    «Non ne senti mai la mancanza?»

    «A volte, sì; ma se tornassi a trovarli, credo che farebbero di tutto per farmi rimanere, e quello non andrebbe a genio a me

    «Capisco. Ma non ti senti mai in colpa per averli lasciati soli?»

    «Non sono soli. Ci sono i miei tre fratelli, con loro. Tu sei figlia unica?»

    «No. Ho una sorella più grande, ma si è sposata quattro anni fa, ed è andata a vivere... beh, lontano.» concluse dopo un attimo di indecisione, come se dirmi dove vivesse la sorella fosse causa di imbarazzo.

    «E non la vedi più?»

    «Oh, sì che la vedo: viene spesso a trovarci!»

    «Allora non è poi così lontano.»

    «Al contrario: è talmente lontano che quando viene si ferma almeno un paio di mesi, se non di più.»

    «E viene da sola?»

    «No, naturalmente. Vengono anche il marito e il figlio. Ma questi sono discorsi noiosi, Akenion. Raccontami qualcosa d te, piuttosto. Avrai fatto un mucchio di lavori diversi, suppongo.»

    «Sì, un po' di tutto. Dal domatore di cavalli all'uomo di fatica. Ogni lavoro è buono, purché ti dia da mangiare.»

    Se Hostas non mi avesse messo in guardia contro quella gente, forse non avrei notato con quale grazia e abilità Mitria cambiasse argomento ogni volta che il discorso cadeva sulla famiglia e sulle loro abitudini, rispondendo cose senza senso o sviandomi in altre direzioni. Il mistero di quella faccenda mi stuzzicava, cosicché provai, un po' per curiosità e un po' per gioco, a portare altre volte il discorso su argomenti personali, o che riguardassero il loro modo di vivere.

    Hostas aveva perfettamente ragione: impossibile ottenere qualunque genere di informazioni.

    Perfino quando le rivolsi una banale domanda su cosa mangiasse al mattino a colazione, rispose rimanendo sul vago.

    «Oh, quello che capita!»

    «D'accordo,» incalzai io «ma avrai pure una preferenza: latte e cereali, pane e marmellata, salsicce e aringhe affumicate, che ne so? Qualunque cosa ci sia, per te è lo stesso?»

    «Un giorno una cosa, un giorno un'altra... non è una cosa importante, vero?»

    Eppure, da come aveva ordinato la limonata e da come aveva scelto il tavolo dove sedersi, mi sembrava, casomai, una ragazza dai gusti molto decisi. Dovetti convenire anch'io che quella gente avesse qualcosa di strano, o forse qualcosa da nascondere.

    Quella mezz'ora a nostra disposizione trascorse molto in fretta, e ci salutammo con la promessa di rivederci ancora.

    La rividi, infatti, quella stessa settimana, e trascorremmo del tempo passeggiando per il paese tenendoci sotto braccio. Forse sarebbe stato più saggio lasciar perdere quella strana ragazza, e molta gente mi avrebbe giudicato un idiota, o uno che i guai se li andava a cercare. Ma i suoi modi mi affascinavano, e quell'alone di mistero attorno a lei, non faceva che stimolare a dismisura la mia curiosità nei suoi confronti.

    Fosse stata un tipo semplice, una ragazza comune, forse me ne sarei stancato in fretta; invece quella sua strana ritrosia, quella sottile sensazione di qualcosa di enigmatico da scoprire, mi incatenava a lei come un sortilegio.

    «Non frequenti mai nessuno, Mitria?»

    «Qualche volta veniamo in paese, certo.»

    «Sì, ma solo per fare compere, poi ve ne andate via subito dopo. Non vedi mai gente della tua età? Gente giovane, voglio dire, con cui svagarti un po'?»

    «Vedo mia sorella Kaleides, suo marito e il bambino. Vedo anche altra gente giovane e simpatica, ma non sono di questo paese.»

    «No? Credevo che qui intorno non ci fossero altri paesi nel raggio di parecchi chilometri. Da quale paese arrivano? Dove vi incontrate?»

    «Oh, a dire il vero, non so di che paese siano, non mi è mai venuto in mente di chiederglielo. Li si incontra un po' dappertutto, un po' qua, un po' là... il mondo è piccolo, sai? E tu, invece? Frequenti molte ragazze? Chissà quante ne avrai conosciute, nei tuoi viaggi! Com'è il tuo tipo ideale?»

    Ancora una volta, Mitria cercava di eludere le mie domande rispondendo in maniera vaga e approssimativa. Parlai qualche minuto di varie ragazze che conoscevo, poi cercai di tornare alla carica.

    «Di che si occupa, tuo padre? È agricoltore?»

    «Coltiviamo solo poca roba, oltre il nostro fabbisogno. Abbiamo invece un mucchio di pecore da lana, e papà dice che quelle sono un vero affare.»

    Per poco non mi caddero le orecchie dalla sorpresa, ma cercai di non darlo troppo a vedere.

    «Altroché se sono un affare! Quante ne avete? Un centinaio?»

    «Molte di più: adesso saranno sei o settecento. Dobbiamo chiamare un mucchio di gente ad aiutarci, quando viene il periodo della tosatura.»

    A questo punto decisi che i casi erano due: o in paese erano tutti dei gran bugiardi, oppure la grandissima bugiarda era lei. Da ciò che sapevo di quel paese, nessuno riusciva ad allevare più di un paio di mucche, poche galline e qualche animale da cortile: la zona era talmente infestata dagli Shakars, che durante la notte nessun animale poteva essere lasciato all'aperto o in piccoli ricoveri separati dalle abitazioni, come si usa in tutto il resto del mondo. Stalle, ovili e pollai venivano sistematicamente saccheggiati e distrutti da quei terribili predatori senza che nessun umano potesse osare metter fuori anche solo il naso oltre la porta di casa.

    Tutte le abitazioni della regione avevano, qualora si volessero allevare animali domestici, la stalla costruita all'interno della struttura stessa della casa, e la prima regola della sopravvivenza imponeva porte e finestre robuste. Grossi pannelli di legno massiccio, rinforzi in ferro battuto, chiavistelli e serrature.

    Protezioni talmente robuste che le abitazioni diventavano simili a casseforti blindate.

    La cosa più assurda nelle affermazioni d Mitria, era che nessuno, in paese sembrava essere a conoscenza di questo allevamento di ovini, né, tantomeno, avevo notizia di richiesta di manodopera per la tosatura: mi sarei subito offerto, per un lavoro che avevo già fatto altre volte, e che solitamente era ben retribuito, se eri bravo e svelto.

    «Mitria, non per essere scettico, ma come fa tuo padre a convincere gli Shakars a starsene alla larga dalle pecore? Li invita all'osteria a bere un bicchiere, li ha convinti a diventare vegetariani, oppure le settecento pecore dormono in casa con voi, e le contate per addormentarvi?»

    Mitria accusò il colpo rendendosi conto di aver detto qualcosa di molto sbagliato, ma si limitò ad arrossire, e guardando la posizione del sole in cielo, disse precipitosamente: «Santa Vergine Radioattiva, si è fatto tardi e non me ne sono accorta! Papà si arrabbierà moltissimo se non torno subito!»

    Fuggì via come un fulmine dopo avermi salutato

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