Domus Crudelis
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Anteprima del libro
Domus Crudelis - Maria Laura Ferrera
casuale.
I
Non si era mai sentito così soddisfatto, appagato ed elettrizzato. In una parola, felice. La felicità esiste dopotutto
pensò Leonardo sentendo la porta di casa chiudersi alle sue spalle. Quasi senza rumore, solo un impercettibile morbidissimo fruscio, come se metri di seta preziosa si stessero srotolando alle sue spalle. Ce n’è voluto di tempo per arrivare a questo
continuava a pensare, mentre con lo sguardo accarezzava il salone in penombra. Poi ricordò, sorridendo appena, che sarebbe bastato un passo in avanti per far sì che le luci della sala si accendessero da sole. I piccoli sensori applicati al telaio della porta d’ingresso avevano iniziato a lavorare egregiamente, attivando l’illuminazione degli ambienti a mano a mano che Leonardo si spostava nell’appartamento.
La laboriosa e complessa ristrutturazione del loft era terminata la settimana prima e i tecnici della DomoTechna S.p.A. avevano finito di collaudare il sofisticatissimo impianto di gestione domotica di tutte le utility di casa. Adesso possedeva una delle poche, vere abitazioni ‘intelligenti’ della capitale. Era situata nel quartiere di Ponte Milvio, da qualche anno diventato molto in voga, ‘the place to live’ di ultima tendenza tra i poco più che trentenni a la page della capitale, tipi - tanto per capirci - adeguatamente danarosi e muniti di discreto prestigio sociale.
Il cellulare iniziò a vibrare nella tasca interna della giacca di lino grezzo color ghiaccio, gettata distrattamente sul divano Poliform di pelle bianca. Guardò sorridendo l’immagine che l’iPhone gli rimandava: un tavolino dell’Harry’s Bar di Venezia con la laguna come strepitoso fondale.
– Wanda, più puntuale di una cartella esattoriale!
– Ciao bel toso! Allora? Son qui tutta orecchi…
– Beh, non puoi capire… fan-ta-sti-ca!
– Grazie, eh lo so, sono proprio fantastica.
– Ma dai, lo sai a cosa mi riferisco.
– Lo so, lo so, il tuo splendido, fantasmagorico, fighissimo appartamento.
– Loft, Wanda, loft. C’è una bella differenza!
– Loft, appartamento, bicocca... vabbé descrivi, habla, la curiosità mi sta uccidendo!
– Ok, mettiamola così: lusso puro! Al di là del desiderio più presuntuoso. Vivo in un sogno, mia insostituibile amica.
Sbottonò la camicia blu notte di garza leggera e si sdraiò sul divano, facendo attenzione a non sporcare i cuscini immacolati con i mocassini di camoscio color tabacco. – Oltre alla bellezza dell’edificio, i volumi ampi e la luce che filtra dal grande lucernario, creando riflessi suggestivi, la straordinarietà della mia ‘umile’ dimora sta proprio nel fatto che non devo muovere un dito per soddisfare la minima necessità.
– Ohi, parli come l’architetto di un programma in onda su uno dei miei adorati canali tematici di Sky. Traduci in un idioma semplice per una povera tosa come me.
– Una parola sola Wanda… domotica. Saprai sicuramente di cosa parlo, tu che non ti perdi neanche un fotogramma di Case da sogno
, Due cuori e un superattico
e Vendo e Cerco
.
– Domotica? Beh qualcosa ho sentito su questa roba qua, le cosiddette case intelligenti.
– Bravissima e per dirla tutta, questa non è solo ‘intelligente’, è anche ‘pensante’… proprio così, è stata progettata in maniera tale da non dovermi preoccupare più di, che so, accendere o spegnere la luce, i condizionatori dell’aria, la lavatrice o il forno a microonde.
– Fantascienza pura, che figo! Immagino ci sarà un cervellone che comanda tutto.
– Esattamente, un server con una serie di monitor touchscreen posizionati nei punti strategici di casa. Da lì mi sarà più facile dialogare per ogni necessità o evenienza.
– Ti sarà costata una fortuna, hai svaligiato il Bingo sotto casa o ti è morto il vecchio?
Leonardo rise di cuore alla battuta di Wanda. Adorava il suo cinismo pragmatico, quell’andar dritto al punto senza diplomazia, ma con un candore disarmante che ogni volta lo spiazzava.
– Bonus annuale… – disse in un sospiro studiato ad arte per enfatizzare il momento.
– Elapeppa! Vuol dire che la tua performance è stata superlativa.
– Le mie lo sono sempre, baby.
– Ma piantala, di solito chi ne parla non lo fa.
– Sai bene che per quanto mi riguarda è esattamente il contrario ‘signora mia’. – Leonardo rise di cuore immaginando la faccia di Wanda. La stimava, anche se si punzecchiavano in continuazione. Era la sua confidente, l’unica vera amica di sesso femminile. Con le donne
diceva, Non si può essere amici, si scopano e basta. Quelle ‘ottime’ almeno, poi ci sono le ‘improponibili’, ma per me non esistono proprio
. Wanda però era un capitolo a parte. Si conoscevano da sempre, le loro mamme, entrambe veneziane, erano amiche per la pelle e per un lungo periodo avevano trascorso insieme gran parte delle vacanze estive. Fin da ragazzini erano stati accompagnati alla Mostra del Cinema di Venezia ad assistere a un’infinità di proiezioni. Come risultato di quelle villeggiature Wanda era diventata una vera esperta di cinema, un critico cinematografico di prim’ordine conteso dalle più prestigiose testate giornalistiche. Leonardo, al contrario, aveva sviluppato una forte idiosincrasia per tutto ciò che riguardava il cosiddetto cinema d’autore, ma non solo. Gli unici film che sopportava a malapena erano gli action movie di Tom Cruise (non si era perso neppure un capitolo di Mission Impossible) e i thriller-horror alla Saw. Tutto il resto era pura noia. Wanda viveva in pianta stabile a Venezia e con Leonardo s’incontrava mediamente una volta l’anno, quando lei scendeva a Roma in occasione della Festa dell’Unità, roba che la mandava in brodo di giuggiole. Adorava trascorrere le serate seduta ai tavoli fra arrosticini, patatine e birre, (anche se lei beveva soltanto coca-cola) e chiacchierare con i dirigenti di partito su tutte le problematiche irrisolvibili che attanagliavano l’Italia. Bello era godersi il caldo vento romano d’inizio luglio sotto i pini delle Terme di Caracalla mentre Leonardo, che l’accompagnava sempre, cercava di stanare qualche ‘ottima’ turista capitata lì per caso o, nel migliore dei modi, flirtare con la ‘trucidella’ ovvero con l’aggressiva di turno che accompagnava l’aspirante politico del momento. E mentre Wanda si godeva quei dibattiti romani, tra ritmi di salsa e merengue o di cover band più o meno rockettare, Leonardo dal canto suo organizzava future e promettenti serate con amiche nuove di zecca. Wanda era molto di più di un’amica, era la sua famiglia. Poteva dirgli qualunque cosa, muovergli qualsiasi rimprovero. Lei aveva questo privilegio. Wanda era la sua coscienza, semmai ne avesse avuta una.
– Si può sapere quanto ti hanno dato per la tua… chiamiamola performance aziendale?
– Mi vergogno quasi a dirtelo… non riesco.
– Oddio, così tanto? Roba di centinaia di migliaia?
– Vai più su…
– Come più su? Milioni?
– Uno.
– Un milione di euro? Ma che hai fatto? Traffico di cocaina?
– Ah ah ah, di più: siero antiage NR45, lanciato sul territorio nazionale otto mesi fa. In poco meno di 240 giorni, grazie alla mia strategia di marketing ‘olistico’ e, diciamo pure grazie a una squadra di collaboratori scelti personalmente dal sottoscritto e a una capillare copertura del territorio da parte di una sales force aggressiva come non mai, il tutto coadiuvato da un battage pubblicitario senza precedenti… la multinazionale per la quale mi onoro di lavorare ha quadruplicato, ho detto quadruplicato, il suo fatturato in Italia. Outstanding performance come la definiscono e quindi… outstanding bonus!
– Hai capito il ragazzo? E tutti questi soldi sono andati nella casa, pardon, nel loft?
– Vuoi farmi i conti in tasca eh? Ok, ti dirò che non sono nemmeno bastati per essere pignoli.
– Cioè hai speso più di un milione di euro?
– Un milione e mezzo chiavi in mano.
– Che esagerazione!
– Non dirlo, non per me. Ripeto che questa non è una casa, è un’esperienza extrasensoriale.
– Mah, forse hai ragione ma adesso non ho tempo di approfondire. Ho due articoli da scrivere e la puntata di Front Row su Fox. Scusami...
– Per carità! Rompiamo le righe, ho da fare anch’io. Doccia e un salto al MET per vedere di dare un senso alla serata. Baci baci Wandina.
– A bientot Leo.
Leonardo rimase assorto per un istante, poi iniziò a perlustrare il suo loft, centimetro per centimetro. Era un cubo di dieci metri per dieci, per un’altezza di sette. Si sviluppava in un unico grande ambiente intorno a una scala centrale di acciaio e vetro che conduceva ai due livelli superiori. La luce proveniva esclusivamente da un grandissimo lucernario aperto sulla copertura circondato dal terrazzo. Al piano terra si trovava l’ampio salone con due grandi divani e al centro, a fungere da divisorio con la zona cucina, troneggiava la scala, vero e proprio elemento architettonico. Al livello superiore si trovavano due camere da letto, quella padronale e quella per eventuali ospiti, una grande cabina armadio, il bagno principale, un secondo servizio e uno studio che Leonardo aveva arricchito di un paio di librerie Metamorphosis di Sebastian Errazzuris e di una scrivania di cristallo, il Teso di Renzo Piano, con un iMac da 27 pollici in bella vista.
Infine il lucernario e il terrazzo con vista mozzafiato sul Tevere e Ponte Milvio in lontananza.
Era tempo di farsi una doccia, quel pomeriggio di fine giugno volgeva al termine, malgrado il sole ancora alto. Erano i giorni più lunghi dell’anno, il periodo che Leonardo amava maggiormente, quello che precedeva le sue prime vacanze estive. Per quell’anno poi aveva il suo loft con il terrazzo pronto per ospitare feste da sballo. Fece per incamminarsi verso il bagno padronale, al piano superiore, poi si ricordò di una cosa fondamentale da fare prima di iniziare a vivere lì dentro. Avrebbe dovuto impostare il computer che regolava tutte le attività di casa, o meglio cominciare a conoscerlo per usarne al meglio le enormi potenzialità. Il giorno prima aveva fatto un corso accelerato per imparare a dialogare con la casa, un training tenuto da uno specialista di domotica fornitogli dalla DomoTechna S.p.A.
Credeva di ricordare tutto, o almeno lo sperava. Il tecnico aveva inizializzato il computer e adesso Leonardo doveva impartirgli i suoi ordini o desideri che dir si voglia. Si diresse quindi verso l’area cucina dove era sistemato il monitor principale. Lo trovò in bella vista, su una comoda mensola di vetro poco prima del bancone di acciaio e ardesia, un parallelepipedo perfetto che nascondeva ad arte cassetti e vani per stipare pentole e stoviglie. Prese uno sgabello, si avvicinò allo schermo e lo sfiorò delicatamente. Il monitor, in stand by, s’illuminò e apparve un viso di donna. Il giorno prima Leonardo stesso, aiutato dal tecnico, aveva scelto il sesso dell’avatar e i suoi tratti somatici, da una lista molto ampia di preferenze. Aveva tratti caucasici, pelle chiara, capelli neri e lunghi con un piccolo accenno di frangia, occhi grandi e leggermente allungati di un verde chiarissimo, naso piccolo e leggermente all’insù, bocca con labbra carnose ma non troppo, insomma uno schianto di avatar; come poteva essere altrimenti? Al momento di darle il nome Leonardo ci aveva pensato su un bel po’, per poi scegliere Andrea, un nome maschile in Italia ma femminile in tutte le altre parti del mondo. Gli piaceva quell’ambiguità, una sorta di leggera trasgressione, qualcosa d’indefinito al confine tra certo e incerto. Ovviamente l’avatar disponeva dei suoi dati. Conosceva il nome e la data di nascita, oltre a una lunga serie d’informazioni, anche le più disparate, che lo stesso Leonardo aveva reso disponibili prima di traslocare. Addirittura anche foto sue e di amici, video di lavoro e vacanze, la musica che ascoltava, i film e i programmi TV che preferiva, i cibi e i drink che amava… insomma, nel giro di poche ore Leonardo non aveva più segreti per Andrea, tutta la sua vita era lì dentro, stipata nei piccoli microchip del server.
– Buonasera Leonardo. – Andrea esordì subito dopo essere apparsa sullo schermo. La sua voce era morbida, calda e ricca di toni. Perfetta
pensò con soddisfazione Leonardo.
– Buonasera Andrea… e adesso che devo fare? – improvvisamente Leonardo entrò nel panico. Di colpo dimenticò tutte le istruzioni apprese il giorno prima, non sapeva più da dove cominciare a impartire i comandi. Lo stallo durò un attimo. Ricordò le prime mosse necessarie ad avviare quella sorta di dialogo, sfiorò nuovamente lo schermo in alto a destra e immediatamente apparve l’elenco degli ambienti. Leonardo spuntò la voce ‘bagni’, poi ‘bagno padronale’ e ancora ‘doccia’. Scelse la temperatura dell’acqua e le modalità del getto. Pigiò poi la voce ‘musica’ e selezionò Sally di Vasco Rossi, l’unico artista che ascoltava, il suo profeta, il suo guru. Da diligente proselita dell’artista emiliano Leonardo conosceva tutti i testi delle sue canzoni a memoria e si dilettava a citarle in continuazione, talvolta era solito esprimere concetti, idee ed emozioni attraverso alcuni versi ‘illuminanti’ di Vasco. La sua frase prediletta era ovviamente È tutto un equilibrio sopra la follia!
.
Le note di Sally iniziarono a spargersi per gli ambienti del loft attraverso il sofisticato sistema di diffusione audio. Leonardo raggiunse il piano superiore ed entrò in bagno. L’acqua della doccia era già a temperatura ottimale e lui si lasciò avvolgere dal tepore del liquido, quasi stesse prendendo il sole; in realtà lo stava facendo, tutta l’energia proveniva dall’impianto fotovoltaico installato sul terrazzo.
– Chiamata esterna… – la voce morbida e calda di Andrea s›inserì nell’impianto stereo al posto di Vasco. – Chiamata esterna da Alberto Cacciaguerra… accettare? – Leonardo rispose immediatamente di sì mentre con la mano destra sfiorava i sensori posti sotto l’erogatore per interrompere il flusso.
– Ehi Al, come butta?
– A me bene e a te? Vedo che ti sei insediato nel paradiso in terra, bravo! Senza nemmeno un cenno d’invito eh? Cosa aspetti a chiamarmi?
– Sono sotto la doccia, anzi per la verità ho appena finito e mi sto asciugando, che sballo eh? Ti sto rispondendo senza alzare un mignolo, fa tutto Andrea.
– E