L'altra metà del cielo
Di Lea Paradiso
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Anteprima del libro
L'altra metà del cielo - Lea Paradiso
quell’angoscia.
Gennaio
Mi piace pensare che esista un giorno speciale per ognuno di noi, da qualche parte. Quel giorno che può cambiare la nostra vita. Per sempre.
Primo gennaio. Un nuovo anno incomincia. Un nuovo inizio. Può sembrare quasi infantile, ma la sensazione che provai fu quella di poter cancellare tutto ciò che avevo fatto in precedenza così, con un colpo di spugna, e avere perciò la possibilità di reinventarmi un nuovo percorso di vita partendo da zero.
Ho sempre immaginato la vita come un diario personale. Le pagine rappresentano i giorni che passano: tante pagine, tanti mesi, tante righe scritte che raccontano di noi, chi siamo, cosa facciamo, dove andiamo, cosa proviamo.
A volte si ha la necessità di tornare a sfogliare le pagine indietro per poter ritrovare noi stessi, il nostro passato, per capire che cosa volevamo quando la nostra anima era ancora acerba ed innocente. Altre volte, invece, vorremmo saltare delle pagine, andare avanti, per superare magari periodi brutti, orrendi, che ci fanno soffrire enormemente.
E questo era ciò che avrei voluto fare anch’io, partendo dai miei buoni propositi dell’anno appena incominciato.
Ma non è del tutto possibile.
Devi ricordare per tenere a mente chi sei davvero e che cosa vuoi.
Puoi desiderare ed immaginare il tuo futuro, ma ciò che conta, ciò che conta veramente, è quello che stai scrivendo in questo momento, il tuo presente.
Costruisci giorno per giorno quello che sarà il tuo avvenire attraverso l’oggi, sapendo che è il frutto di ogni giorno passato. Perché nella vita sono importanti i momenti di felicità e gioia, ma lo sono altrettanto quelli difficili e dolorosi, perché sono quelli che ci aiutano a crescere.
Non potevo cancellare il passato, ciò che era accaduto restava e, nel bene e nel male, faceva parte di me che ero il risultato di tutte le esperienze, positive e negative, vissute sino ad allora.
Dietro ai vetri della finestra della cucina potevo scorgere piccoli fiocchi di neve che incominciavano, copiosi, a scendere dal cielo. Era insolito che nevicasse a Genova, ma negli ultimi anni, pareva quasi essere divenuta una piacevole abitudine, anche in una città di mare come la mia.
Sorseggiai la mia tisana. Servì a riscaldarmi un po’ di più.
L’inverno mi metteva sempre un po’ di malinconia.
Posai la tazza nel lavello, spensi la luce e andai a dormire.
Mi misi sotto le coperte, faceva un gran freddo.
Filippo, il mio compagno, dormiva già da un pezzo. Cercai di fare piano per non svegliarlo. Sapevo che se si fosse accorto della mia presenza, avrebbe cercato di vivere l’intimità con me.
Ed io non volevo.
Era da tempo, ormai, che la nostra relazione era giunta ad un vicolo cieco, ma nessuno dei due aveva il coraggio di affrontare la situazione e prendere una decisione.
Di sicuro lui non l’avrebbe mai fatto.
Si era chiuso nei suoi silenzi, si rivolgeva a me solo per cose materiali che riguardavano la gestione della casa e, molto spesso, in modo sgarbato ed arrogante.
Non ne potevo più.
Già dai primi tempi della nostra relazione, avevo notato questo suo modo di fare da spaccone e questo suo sentirsi sempre superiore agli altri in ogni cosa, ma lì per lì non vi avevo dato troppo peso, anzi, un po’ mi piaceva, perché lui, al contrario di me, era una persona decisa e sicura di sé, mentre io, introversa ed insicura, ero timorosa ogni volta che mi trovavo a dover prendere una posizione di qualunque tipo.
Con gli anni però, mi ero resa conto che tutto questo mi si stava rivoltando contro, perché ciò a cui in un primo tempo non avevo dato molta importanza, ora era diventato un problema enorme.
Fondamentalmente il mio carattere mi portava ad essere una persona fragile, sempre in cerca di conferme, ed avere al mio fianco un uomo che non faceva altro che sminuirmi e farmi sentire inadeguata in ogni situazione mi stava uccidendo lentamente, minando la mia già scarsa autostima.
Dovevo fare qualcosa, dovevo in qualche modo uscire da quella situazione divenuta, per me, insostenibile.
Forse, nel mio inconscio sapevo che era questo il cambiamento che desideravo per l’anno nuovo: riuscire finalmente ad alleggerirmi da quel peso che mi impediva di respirare, di vivere serenamente.
In teoria era già tutto piuttosto chiaro, ma in pratica era difficile da applicare. Non sarei mai riuscita a mantenermi da sola e, anzi, il solo pensiero mi spaventava a morte.
Era Filippo che si occupava della gestione della casa, non permetteva che me ne interessassi anch’io, negandomi la possibilità di crescere e di sviluppare una certa autonomia.
Mi girai su un fianco e sbuffai silenziosamente.
Immersa nei miei intricati pensieri, alla fine, esausta, mi addormentai.
Svegliati!
mi ordinò urlando e dandomi uno scrollone.
Filippo…
risposi con un filo di voce e ancora assonnata, non capendo se ero realmente già sveglia o se stavo ancora sognando.
Non mi diede il tempo di finire la frase.
Se vuoi che ti dia un passaggio fino in ufficio, bisogna che tu ti muova, altrimenti arriverò in ritardo!
e, borbottando a voce più bassa, si diresse verso la cucina.
Buongiorno anche a te
sussurrai ironica.
Un crampo mi strinse lo stomaco. Non lo sopportavo più.
Mi alzai barcollando, andai in bagno e poi mi avviai in cucina per fare colazione.
Sorseggiai lentamente la mia tazza di caffè bollente e socchiusi gli occhi per qualche istante. Ne avevo bisogno. Era come ricevere una dolce coccola.
Terminata la colazione, sciacquai le tazze e andai a prepararmi.
Scelsi un paio di pantaloni neri, una camicetta chiara e vi abbinai un cardigan: il risultato fu piuttosto elegante e sobrio. Tenevo molto al mio aspetto fisico e ad essere presentabile ed in ordine, anche e soprattutto in ragione del tipo di lavoro che svolgevo, sempre a contatto con il pubblico e con persone di un certo livello.
Io ti aspetto in macchina. Cinque minuti, poi me ne vado!
disse sbuffando e con tono arrogante e uscì di casa sbattendo la porta, incurante del fatto che abitassimo in un condominio e che fossero le sette e trenta del mattino.
Vai al diavolo!
pensai a voce alta.
Ero ben conscia che la vita di coppia non fosse tutta rose e fiori. Vivere sotto lo stesso tetto può avere aspetti positivi e negativi.
Io stessa ricordavo che anche i miei genitori, nonostante fossero sposati da quasi quarant’anni, spesso litigavano e non si rivolgevano la parola, a volte addirittura per settimane.
Però l’amore ed il rispetto reciproco erano dei capisaldi nella loro unione. Non avevo mai sentito mio padre rivolgersi a mia madre con gli stessi termini sgarbati con cui spesso Filippo si rivolgeva a me. E la cosa peggiore era che, col passare del tempo, anche io ero diventata simile a lui. Non ero più me stessa e stavo vivendo una vita che non sentivo mia. Ero come intrappolata in un diabolico meccanismo senza via di scampo.
Uscii di corsa dal nostro appartamento e scesi giù dal portone.
Lui mi guardava in cagnesco, come sempre del resto.
Abbassai lo sguardo e salii in macchina.
Durante tutto il tragitto non ci rivolgemmo praticamente mai la parola. Restai in silenzio, immobile, attenta persino a non fare un respiro un po’ più profondo degli altri per non destare la sua attenzione.
Quando era così nervoso -ed accadeva di frequente, ormai- cercava il minimo pretesto per litigare e dare sfogo in questo modo alla sua frustrazione.
Ora, che lo avevo capito fin troppo bene, sapevo come prenderlo.
Quando scesi dalla macchina e lo vidi ripartire, allontanandosi finalmente da me, ripresi a respirare normalmente e quella morsa che mi stringeva lo stomaco parve allentarsi.
Tirai un sospiro di sollievo. Fino a sera non l’avrei più rivisto.
Erano quasi dieci anni che lavoravo come segretaria in uno studio legale e sapevo benissimo che ogni giorno di ferie era seguito da un accumulo di lavoro mastodontico. Per smaltirlo tutto avrei dovuto lavorare sette giorni su sette, senza riposare mai.
Alla fine, però, ero felice di avere un lavoro che mi impegnasse così tanto, per me era un modo per non pensare, per non avere il tempo di pensare ad altro, soprattutto alla mia così disastrosa vita privata.
Ogni volta sempre la solita storia!
esclamò il mio capo piuttosto adirato.
Un suo collaboratore aveva dimenticato di annotare una scadenza in agenda legale ed ora occorreva fare tutto di corsa per poter depositare in tempo gli atti in tribunale.
Accidenti! Vi ho pregato di mettere attenzione in queste cose, rischiamo di perdere la causa se non depositiamo quegli stramaledetti atti entro breve! Sono stufo di ripetere le stesse cose e di sentirmi sempre ad un passo dall’infarto! Il prossimo che commetterà un errore simile verrà licenziato in tronco!
e, urlando come un forsennato, rientrò nel suo ufficio, sbattendo tanto violentemente la porta da far tremare i muri.
Ero appena entrata in studio e già mi veniva voglia di andar via.
Direi che incominciamo bene l’anno!
esordii ironicamente, richiudendo dietro di me il portoncino d’ingresso.
Presto Lilia!
mi disse Matteo con voce isterica Abbiamo degli atti urgenti da depositare entro domattina e dobbiamo ancora redigerli!
Era paonazzo in viso.
Cosaaa!?!
Quella sera, inutile dirlo, finii di lavorare ad un orario impietoso.
Erano passate da poco le otto e trenta della sera quando, finalmente, varcai il portone dell’ufficio.
Sentii arrivare qualcuno alle mie spalle e mi voltai di scatto.
Era Matteo.
Grazie Lilia
disse senza il tuo aiuto non so come avrei fatto!
Non preoccuparti Matteo, solo ‘sta più attento, hai sentito cosa ha detto l’avvocato De Santis… al prossimo sbaglio ti licenzierà!
Vidi Matteo abbassare lo sguardo.
Sapeva perfettamente che negli ultimi tempi aveva commesso moltissimi errori e dimenticanze e che l’avvocato De Santis aveva sempre cercato di passarci sopra, in considerazione dei molti anni di collaborazione con lui ed essendo conscio della sua indiscussa bravura come legale. Ma ultimamente sembrava proprio avere la testa da un’altra parte e anche il nostro capo incominciava a perdere la pazienza.
Gli posai una mano sulla spalla, come per consolarlo.
Lui alzò lo sguardo verso di me e mi sorrise.
Posso offrirti un aperitivo?
mi domandò e poi aggiunse Per farmi perdonare del lavoro extra che ti ho costretta a fare...
Ti ringrazio Matteo, sei davvero molto gentile, ma preferisco andare a casa. E’ tardi ed io sono stanca, non sarei di compagnia.
Lo vidi rabbuiarsi in volto.
Però possiamo fare un’altra volta!
proposi allegramente, accorgendomi del dispiacere per il mio rifiuto al suo invito.
Sì, certo. E’ quello che dici sempre, ma che non fai mai!
si lamentò.
Questa volta te lo prometto, mano sul cuore!
Ci conto!
e poi, con un filo di voce, aggiunse Vuoi che ti accompagni a casa?
Grazie, ma è meglio evitare… sai quanto sia geloso il mio compagno.
Ok. Senti, scusa se te lo dico, ma non capisco perché tu stia ancora con lui. Sei giovane Lilia, lascialo perdere e vivi la tua vita. Ci conosciamo da tantissimo tempo e so com’eri prima che ti mettessi con lui. Eri solare, sempre sorridente. Ora il tuo sguardo è vuoto e triste. Si vede lontano un miglio quanto tu stia soffrendo a causa sua e quanto tu sia terrorizzata e succube di lui. Per quanto tempo pensi ancora di resistere?
Aveva perfettamente ragione.
Lo so, Matteo. Credimi se ti dico che ci sto riflettendo già da un po’.
Io ci sarò sempre per te, ok?
e si avvicinò, dandomi un bacio sulla guancia.
Grazie, ti voglio bene
gli risposi e, congedandomi da lui con un malinconico sorriso, mi incamminai pigramente verso la fermata dell’autobus, stringendomi nel cappotto per proteggermi dal vento gelido che si era alzato, lo stesso gelo che si stava impossessando del mio cuore al solo pensiero che, da lì a poco, sarei dovuta rientrare in quella gabbia dorata che era l’appartamento che dividevo con Filippo.
Io e Matteo avevamo pressappoco la stessa età ed eravamo entrati a far parte dello studio dell’avvocato De Santis praticamente insieme.
Quando avevo iniziato a lavorare, non stavo ancora con Filippo.
Ero giovane e spensierata e la mia unica preoccupazione era quella di divertirmi e godermi la vita, com’era giusto che fosse a poco più di vent’anni.
Con Matteo avevo legato da subito, ci aiutavamo e ci sostenevamo l’uno con l’altra.
Il fatto di trascorrere così tante ore insieme, aveva fatto sì che tra di noi nascesse una certa attrazione.
Lui era piuttosto carino, i capelli castani e gli occhi scuri, sempre abbronzato e curato. Era molto gentile ed educato, anche se a volte risultava essere un po’ goffo ed impacciato per via della sua enorme timidezza.
Mi piaceva molto.
Un giorno accadde l’impensabile.
Stavamo lavorando ad un atto piuttosto importante ed era tardissimo, ben oltre l’orario di lavoro.
Eravamo gli unici