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Il ponte del diavolo
Il ponte del diavolo
Il ponte del diavolo
E-book447 pagine6 ore

Il ponte del diavolo

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Info su questo ebook

Spietate lotte di potere, seduzione, manipolazione psicologica e riflessione introspettiva in un incalzante intreccio di situazioni a tratti torbide, crude, estreme ma pur sempre verosimili. Pericolosi incroci tra la provocante e bulimica provincia italiana e il fascino di alcune località da sogno incastonate in Croazia e Montenegro sembrano dire che la vita, in ogni caso, valga la pena di essere vissuta alla massima intensità possibile.
LinguaItaliano
Data di uscita15 ott 2014
ISBN9788891160232
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    Anteprima del libro

    Il ponte del diavolo - Alberth Mayhem

     Titolo | Il ponte del diavolo

    Autore | Alberth Mayhem

    ISBN | 9788891160232

    Prima edizione digitale: 2014 

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    Alberth Mayhem

    Il Ponte del Diavolo

    Romanzo

    Il Ponte del Diavolo

    AVVERTENZA: CONTENUTI RIVOLTI AD UN PUBBLICO ADULTO E RESPONSABILE.

    Tuttavia se, pur essendo adulto e responsabile, ritieni che contenuti espliciti di religione, sesso, violenza, possano urtare la tua sensibilità, abbandona ora questa lettura!

    L'Autore declina qualsiasi responsabilità per fruizione/utilizzo improprio dei contenuti. L'Autore declina espressamente qualsiasi responsabilità per fruizione/utilizzo improprio dei contenuti da parte di minori.

    Copyright, Notizie Legali ed Esonero di Responsabilità

    Titolo | Il Ponte del Diavolo

    Autore | Alberth Mayhem

    Prima edizione digitale dicembre 2013 vers.1.0

    Seconda edizione digitale settembre 2014 vers.1.1

    eBook realizzato da Alberth Mayhem

    © 2014 by Alberth Mayhem

    Proprietà letteraria e artistica riservata in tutto il Mondo

    Foto di copertina, retrocopertina e progetto grafico © 2014 by Alberth Mayhem

    Alberth Mayhem è lo pseudonimo dell’Autore Alberto Msiano

    Tutti i diritti riservati

    Questa pubblicazione è tutelata da tutte le Leggi applicabili inerenti il Diritto d'Autore, siano esse locali, nazionali, internazionali e federali. Qualunque utilizzo e/o riutilizzo improprio dei contenuti di quest'opera senza il consenso scritto dell'Autore è perseguibile a termini di Legge. E' espressamente vietata la rivendita e/o cessione/distribuzione dell'opera anche a titolo gratuito. Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’Autore.

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    Le immagini raffiguranti l'Annunciazione sono © dei rispettivi autori. Vista la materiale impossibilità nell’identificarli e/o rintracciarli, qualunque problema inerente eventuali diritti d’autore non riconosciuti può essere segnalato all’Autore che si rende disponibile per eventuali rettifiche e cancellazioni.

    Tutti i marchi e prodotti citati sono ©, ® e/o ™ dei rispettivi proprietari. Il loro utilizzo è a puro titolo indicativo di riferimento senza impliciti o espliciti endorsment nè accezioni negative nè giudizi negativi da parte dell'Autore.

    Le citazioni letterarie sono ©, ® e/o ™ dei rispettivi autori che sono già chiaramente citati nel corpo della presente opera per cui si omette la Nota Bibliografica.

    Durante la stesura del libro non sono stati maltrattati animali.

    Il romanzo Il Ponte del Diavolo è un’opera di pura fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il frutto della fervida immaginazione dell’Autore o, se reali, sono utilizzati in modo del tutto fittizio. Ogni riferimento a cose, luoghi, fatti realmente accaduti o persone viventi o scomparse è da ritenersi del tutto casuale e comunque non riferibile alla volontà dell’Autore.

    AVVERTENZA: I contenuti sono rivolti ad un pubblico adulto e responsabile. L'Autore declina qualsiasi responsabilità per fruizione/utilizzo improprio dei contenuti. Il fruitore/utilizzatore dell'opera ritiene manlevato ed indenne l'Autore da qualsivoglia utilizzo improprio dei contenuti e relative conseguenze. L'Autore declina espressamente qualsiasi responsabilità per fruizione/utilizzo improprio dei contenuti da parte di minori ritenendosi sin d'ora manlevato ed indenne.

    Infine usa la testa! Nessun contenuto di quest'opera intende sostituire il comune buon senso nè rappresentare incitazioni  e/o consigli commerciali, comportamentali, religiosi, legali, medici e/o professionali nè istigazione a commettere reati e/o incitazioni contro la Legge, contro l'ordine pubblico nè contro le autorità preposte all'ordine pubblico, il fine è solamente quello di intrattenere il lettore. Buona lettura e buon divertimento.

    www.ilpontedeldiavolo.net

    Il Ponte del Diavolo

    A Michela, mio Eau de Parfum,

    dolce di testa, intensa di cuore

    e speziata di fondo.

    1

    Il ritmo incalzante dei bassi, proveniente da un vecchio impianto audio, riempie la taverna adibita da tempo a palestra. Pare quasi che la pressione sonora di quel cupo bum–bum-bum, caratteristico della musica techno, voglia cacciar fuori l’odore umido e stantìo della fatica.

    Frrrr, frrrr, frrrr. Rebecca sta completando il suo programma di allenamento al vogatore. Lo possiede da un paio d’anni, da quando cioè è riuscita a comprarsene uno usato insieme ad un piccolo corredo di attrezzatura ginnica. La gente adora acquistare armamentari all’ultimo grido per tenersi in forma tra le mura domestiche, salvo poi svenderli impolverati quando le cantine diventano troppo sature. Non potendo permettersi l’abbonamento costante ad una palestra tradizionale, Rebecca ha approfittato delle svendite nelle cantine. E’ orgogliosa della sua sala torture, come la definisce scherzosamente sua madre, perché l’ha attrezzata completamente da sè con i risparmi frutto di qualche lavoretto svolto durante gli studi universitari.

    «REBECCA! HAI FINITO DI ALLENARTI? Vieni su che è quasi pronta la cena!»

    Veramente avrei ancora le ultime due serie da cento metri e un po’ di defaticamento, pensa tra sé Rebecca prima di rispondere «HO QUASI FINITO MAMMA!»

    Dal piano superiore Luisa, la mamma di Rebecca, prosegue urlando il copione che va in scena quasi ogni sera. «CHIAMA A CENA ANCHE TUO PADRE!»

    «Diamine, ma vai fuori tu a cercare tuo marito!»

    «COS’HAI DETTO? NON CAPISCO CON QUEL BACCANO DI MUSICA! »

    «HO DETTO CHE VADO SUBITO, cavolo!»

    Dieci minuti dopo, Rebecca si aggira nell’ampio cortile fra le serre edificate accanto alla casa, con la speranza di trovare il padre in quelle più vicine.

    «Beccata!» La voce di Giordano, il padre di Rebecca, pare essersi materializzata alle sue spalle senza farsi annunciare da nessuno scalpiccío premonitore.

    «Papà! Mi hai spaventata, non ti avevo sentito.»

    «Sfido io, con tutti i ventilatori accesi come potevi sentirmi?» Dopo una sbuffata di pipa aggiunge «tu piuttosto, con quel fare guardingo, cosa credevi di rubacchiare qui? Guarda che ti ho vista prendere una manciata di ribes.»

    «Si dà il caso che abbia appena finito l’allenamento e debba integrarmi con le vitamine.»

    «Integrati bene, mi raccomando, che domani mattina mi devi dare una mano a caricare il camion.»

    Rebecca lascia cadere nel vuoto l’allusione al compito che l’aspetterà l’indomani e prosegue, «beh io vado a cena papà, tu se vuoi rimani pure qui a tenere a bada i ladri di frutti di bosco.»

    «Finisco il tabacco e arrivo.»

    Un invitante profumo di pollo al curry e olive pervade la cucina di casa Carinci, arrossata dal sole che garbatamente accarezza le pareti e i mobili bianchi prima di coricarsi per la notte.

    Rebecca, ingollando l’ultimo boccone della sua cena, afferra il telecomando e aziona il mute del televisore.

    «Papà, io domani mattina sarei un po’ stretta coi tempi. Non posso aiutarti a caricare il camion.» Continuando a fissare il piatto ormai vuoto prosegue, tradendo un impercettibile tono di delusione, «domani avrei il colloquio con la banca. Te lo ricordavi, vero?»

    «Ah…certo! Sì, è vero…vedrai che andrà benone.»

    «Papà! Te lo eri scordato, non tentare di ingannarmi, dài.»

    «Hai ragione, scusami, me ne ero dimenticato. Comunque è alle dieci, no? Avresti tutto il tempo per darmi una mano.»

    Scorrono troppi secondi di silenzio premonitore, Luisa li riconosce ed emerge dalla schiuma delle pentole nel lavello fissando i due, in attesa della tempesta verbale che prevede scatenarsi da Rebecca verso suo padre.

    «Ma dove vivi papà? Scendi dalla luna! Siamo col culo a terra grazie alle tue splendide intuizioni commerciali! Domani ho una possibilità di avere un lavoro e, sebbene sia quasi impossibile che me lo diano, voglio evitare di arrivare trafelata, spettinata e magari con gli aloni sotto le ascelle! E detto tra noi, un lavoro vorrebbe dire uno stipendio! Dinero! Biglietti pregiati! Lo capisci vero che ci darebbe un po’ di ossigeno?!»

    Giordano accusa il colpo, fissa Rebecca, non replica. Con espressione colpevole chiede alla sua unica figlia di non infierire ulteriormente.

    Luisa ritorna nella schiuma con sollievo pensando che sarebbe potuta andare peggio.

    Rebecca, con tono più accomodante, sèguita, «piuttosto papà, dài una parvenza di pulizia al Fiorino che, se non ti dispiace, dovrei usare per andare al colloquio visto che è l’unico mezzo di cui disponiamo.»

    2

    Ore nove e quarantacinque del giorno successivo. Un furgoncino bianco con una leziosa insegna Carinci Frutti di Bosco – Coltivazioni Bioecologiche viene fatto passare nel parcheggio riservato della Walser Privatbank AG. Nonostante i diversi posti liberi vicino all’ingresso dell’imponente edificio in stile littorio, il veicolo si infila in uno stallo esageratamente distante dall’entrata. Appena il motore si arresta, ne esce una ragazza minuta che si avvia con piglio deciso verso la guardiola, avvolgendo sottobraccio una cartellina nera.

    Due operai, alle prese con la sistemazione di un tombino, non fanno nulla per mascherare un istintivo sguardo famelico verso quell’invitante paio di gambe slanciate dai tacchi alti e fasciate fino al ginocchio da un tubino in viscosa color antracite.

    La ragazza si annuncia alla reception, «buongiorno, mi chiamo Rebecca Carinci e ho un appuntamento per le ore dieci con il dottor Mario Perozzi.»

    «Si accomodi pure su quelle poltrone, ora lo avviso,» risponde cordiale l’addetto.

    Cazzo! Cazzo! Cazzo! Sono troppo agitata, le gocce non stanno facendo effetto. Dovevo prenderne il doppio. Respira profondamente, respira profondamente, diamine! Tanto sei in anticipo e ti faranno aspettare chissà quanto. E poi sei perfetta no? Taglio e tinta fatti l’altro ieri, trucco leggero effetto acqua e sapone, tubino professionale, niente pendagli vistosi, unica concessione alla femminilità le decolletè Brian Atwood. Speriamo non si accorgano che sono imitazioni. Dài che sei la migliore! Devo solo decidere se recitare la parte della santarellina, della simpaticona o…

    «La dottoressa Carinci?»

    La ragazza tutta compunta, accovacciata su una poltrona che potrebbe ospitare almeno due persone della sua taglia, trasale visibilmente. Gli occhi, fino a quel momento chini sulla cartellina nera, scattano in direzione della voce inquisitoria ma tutto sommato gradevole che l’ha chiamata, mentre una mano sinuosa decolla velocemente a pettinare la frangia del caschetto nero, finita un po’ troppo sugli occhi.

    «Sì?»

    «Molto lieto, sono Mario Perozzi, responsabile Mercati Emergenti.» La grande e molle mano del dottor Perozzi stringe morbidamente quella esile ma fortemente innervata di Rebecca che è scattata all’impiedi.

    «Piacere mio, Rebecca Carinci.»

    «Si sente bene?»

    «Chi io? Sì si, mi scusi ma ero sovrappensiero e mi ha colta di sorpresa.»

    «Stia tranquilla che di norma qui non mangiamo nessuno. Almeno finchè ci portano soldi. Ah ah ah!» ride accomodante il dottor Perozzi.

    Rebecca cerca di riscattare la falsa partenza rispondendo con fermezza all’ironia, «attenzione allora ad eventuali bocconi avvelenati.»

    «Però, che schiettezza, dottoressa Carinci! Lo sa vero che sono già in modalità selezione ON ?» risponde serio il dottor Perozzi.

    Dannazione! Questo è uno quadrato. La simpaticona non va bene, ripieghiamo sulla santarellina. L’espressione smarrita della ragazza manifesta chiaramente che avrebbe voluto essersi morsa la lingua un attimo prima.

    «Scherzo eh, signorina. Diciamo che finchè non saremo arrivati nel mio ufficio, manterrò disattivata la modalità selezione, ok?»

    Un accenno di sorriso disegnato da due labbra carnose e impreziosite da un leggerissimo velo di lucidalabbra si delinea sul volto di Rebecca, mentre i suoi occhi scuri scrutano in profondità il volto apparentemente bonario del selezionatore, quasi a volerne carpire in pochi secondi l’essenza più intima. Mi sbagliavo, non è proprio quadrato quadrato, facciamo una via di mezzo tra santarellina e simpaticona, speriamo di imbroccarla ’stavolta.

    «Mi segua, prendiamo l’ascensore e saliamo. Mi fa piacere vederla finalmente sorridere dopo che l’ho fatta trasalire. Anzi, mi scusi se l’ho colta di sorpresa quando era in sala d’attesa.»

    L’ascensore è ampio almeno il doppio di quello degli ospedali, tutto foderato in legno, forse radica. Decisamente radica, sembra la pipa di papà.

    «A cosa pensava in particolare, prima?»

    «Ad essere sincera niente di speciale, immaginavo di dover aspettare un bel po’ visto che ero in anticipo, tutto qua.»

    La mano sinistra di Rebecca si appoggia delicatamente sulla superficie lucida e fredda della radica. «Sarà pur lussuoso questo rivestimento ma secondo me è più adatto ad un casinò di Las Vegas degli anni Cinquanta che ad una banca.» Ma dove guarda questo dottor Perozzi? Omioddio! Proprio non lo capisco, attiro l’attenzione sulla mia mano da futura bancaria ultraprofessionale, unghie né corte né lunghe con smalto neutro e anellino discreto, e lui ne ha approfittato invece per sbirciare nella camicetta? Ok, niente santarellina-simpaticona, viriamo su simpaticona-svenevole.

    «Mi permetta, dottoressa, ma si era candidata ai Mercati Emergenti o al Marketing, data questa propensione all’interior-design

    Con due occhi da cerbiatta, Rebecca fissa il suo possibile stipendio fisso mensile e suadente replica «sto seguendo lei no?! Il gran capo dei Mercati Emergenti.»

    Dlin.

    Le porte scorrevoli si aprono. La targhetta, appesa sulla porta in fondo all’ampio atrio, rivela che da là in poi il gioco si farà serio. Gli undici decimi le permettono di leggere distintamente infatti dott. Perozzi Mario – Area Mercati Emergenti, nonostante la porta dell’ufficio stia ad una decina di metri.

    Introdotta nell’ufficio, Rebecca guadagna l’unica sedia imbottita posta di fronte all’ampia scrivania direzionale, ingombra di carte e fascicoli che sommergono un laptop e un telefono.

    Il dottor Perozzi è in piedi, gambe larghe, mani intrecciate dietro la schiena, sguardo rivolto oltre l’ampia finestratura che dà sul cortile interno.

    «E così suo padre produce frutti di bosco?»

    «…?» Silenzio interrogativo da parte di Rebecca.

    «E come sono, buoni?» prosegue continuando a darle la schiena.

    Quello era più o meno il ventesimo colloquio di lavoro che Rebecca affrontava e ormai era avvezza e preparata a tutte le domande e idioti giochini psicologici cui veniva di volta in volta sottoposta. Aveva anche seguito un corso di programmazione neurolinguistica per metterla in quel posto proprio a quei selezionatori che si illudono di vivisezionarti in base alla postura, al tono di voce, allo sguardo e a tutto quel mucchio di cazzate. Però quella domanda, apparentemente buttata lì a casaccio da un tizio che parla dandoti la schiena, la spiazza.

    «I migliori. Sono indubbiamente i migliori di tutto il nord-est,» spara con fierezza. Un tiè! le rimane invece soffocato in gola, producendo fortunatamente un suono gutturale incomprensibile.

    «Come vede dottoressa, la mia postazione dà sul cortiletto interno. L’aver fermato il furgoncino volutamente lontano dall’ingresso, nonostante i molti posti liberi vicino alla guardiola, rivela che lei, consciamente o inconsciamente, tenta di nascondere qualcosa.»

    Ma pensa te, ora lo strozzo. «Con tutto il rispetto, dottor Perozzi…»

    «Mario, mi chiami pure Mario.»

    «…dicevo…con tutto il rispetto…Mario…no, non mi riesce di chiamarla per nome, mi scusi. Ci siamo incontrati per la prima volta cinque minuti fa. Tolgo il dottore e la chiamo Perozzi, ok?» Il dottor Perozzi rimane impassibile mentre Rebecca prosegue con una leggera concitazione, «sono stata convocata dalla banca per un reciproco colloquio conoscitivo, e sottolineo re-ci-pro-co. Se mi ha convocata ne deduco che abbia giudicato valido il mio curriculum. Pertanto credo che dovremmo parlare del lavoro, piuttosto che di mirtilli, furgoni e di dove io abbia parcheggiato.»

    Rebecca attende un cenno dal selezionatore mentre questi invece se ne sta là, eretto come un gigante stoccafisso appeso, così lei riprende la parola, «eppoi, insomma, chissà quante persone sta valutando in questo momento, per un unico posto. Diciamo che mi imbarazzava parcheggiare un vecchio Fiorino sgangherato accanto a tutte quelle Mercedes e Bmw ultimo modello. Va bene come risposta per i suoi giochetti da strizzacervelli, Perozzi?»

    «Bene? Direi benissimo. In pochi secondi il tono di voce di una bella ragazza di provincia ha sollevato la sua maschera di apparente sfrontatezza mostrando un’indole molto sensibile e forse anche un po’ schiva, rivelando che se serve sa comunque tirar fuori le unghie. Ciò rivela un conflitto irrisolto in lei.» Perozzi piroetta la sua mole sulla poltroncina dirigenziale oltre la scrivania snocciolando il risultato della sua analisi, «con una cura maniacale della persona e dell’abbigliamento, uniti a una gestualità volutamente ammiccante, vuole accaparrarsi a tutti i costi questo benedetto posto di lavoro…»

    «Ma come si permette!» lo argina Rebecca indispettita.

    «…e con quest’ultima mia provocazione, che io chiamo di livello uno, quindi molto bassa, esplode il suo senso di inferiorità represso. Lo fa con una discreta aggressività che, se liberata più spesso, a mio avviso le sarebbe di gran giovamento.»

    «Senta, non volevo aggredire nessuno. Indubbiamente lei sa il fatto suo, se è convinto delle sue impressioni non sarò certo io a cambiargliele. Comunque non è che voglia questo lavoro a tutti i costi. Come le ho già rammentato, la lettera di convocazione parlava di favorire una reciproca conoscenza. Per cui io mi sono recata qui certamente per farmi conoscere, ma soprattutto per conoscere voi.»

    Il sorriso compiaciuto di chi la sa lunga si disegna sulla mimica di Perozzi, «mai giocato a poker, dottoressa?»

    «…?»

    «Non risponde?»

    «Non capisco cosa c’entri il poker…comunque è capitato.»

    «Com’è l’azienda? La migliore di tutto il nord-est anche quella?»

    «Come scusi? Ma di quale azienda parla, della banca?»

    «Nossignora. Mi riferisco alla Carinci Frutti di Bosco di Carinci Giordano e Ci Esse Enne Ci. Come va?»

    Questo gioca sempre più sporco, sta cercando deliberatamente di disorientarmi attaccandomi su più fronti, ma dove diavolo vuole arrivare?

    «Cara dottoressa, è molto abile a bluffare, lo riconosco, ma prima di fregare Mario, o il Perozzi come vuole chiamarmi lei, ce ne vuole. Crede che basti venire qui tirata a lucido, lanciare languidi sguardi e accavallare un bel paio di gambe, tra l’altro da copertina, per avere il posto? Dimenticavo, e ostentare anche un paio di eleganti scarpe firmate, in modo da far percepire un certo status? Eh no!»

    Il dottor Perozzi, abbandonandosi allo schienale, alza le mani al cielo ed esclama al soffitto «benedetta gioventù!» seguitando all’istante «le mie informazioni rivelano che le acque in cui naviga l’azienda di papà sono, come dire, agitate.» Poi, ergendosi in piedi in tutti i suoi centotrenta chili di vita sedentaria e deliziosa cucina, si porta lentamente davanti alla scrivania, appoggia le natiche sul piano in nobilitato di quella che fino a un istante prima pareva essere la sua trincea e, con fare quasi paterno, esclama «ragazza mia, la tua preparazione è ineccepibile. Ventiquattro anni, maturità e laurea col massimo dei voti, senza fuori corso. Stage estivi di lingua inglese, tedesca e russa all’estero. Buone doti di quell’arte chiamata sapersi arrangiare coltivata con lavoretti vari. Buon eloquio, ottima presenza. Sei la migliore candidata finora.» La grande e calda mano di Perozzi si appoggia sulla spalla di Rebecca, risale strusciando le dita fino al collo, per poi sfiorarle maliziosamente il lobo dell’orecchio, «e non sei affatto nella posizione di poter fare la schizzinosa con me. Di questi tempi farebbe molto comodo a casa il tuo stipendio. Dico bene, chéri?» le sussurra all’orecchio, cingendole sfacciatamente la nuca con ormai entrambe le mani sudaticce e sfidando l’espressione fattasi tèrrea della ragazza.

    Perozzi va in bagno, eccitato come un adolescente foruncoloso alla prima festina di Capodanno fuori casa, quella festina che si ricorda per tutta la vita in quanto non ci sono genitori e verranno finalmente anche le ragazze. Pensa a quelle gambe da copertina, alle labbra turgide, a quel corpo fresco, minuto ma sinuoso, innervato e ben proporzionato, al profumo inebriante, dolce di testa e speziato di fondo, al portamento fiero e per certi aspetti provocante per nascondere sbrecciati avamposti di timidezza…Uuuh! Da saltarle addosso!

    Tutto quel turbinìo di sensazioni, con sullo sfondo la consapevolezza di tenere il coltello dalla parte giusta, lo portano a socchiudere gli occhi per alcuni piacevolissimi istanti e dare briglia sciolta alla mano insieme a lascive fantasticherie, liberarando così le pulsioni sapientemente celate fino a quel momento. «Ahhhh, ahhhh, siii.» Un rantolo quasi impercettibile disperde un lussurioso orgasmo onanistico in quel metro quadrato di estrema privacy che può diventare la turca di un cesso di servizio.

    Il dottor Perozzi esce dalla toilette con le gote un po’ arrossate e un sorriso tra l’ebete e il soddisfatto stampato in faccia nel pregustare i sublimi piaceri che nei prossimi mesi quel succoso bocconcino sui tacchi alti verrà obbligato a dispensargli. Fa capolino in ufficio con la fronte imperlata e lucida, Rebecca è rimasta inchiodata nella stessa posizione di cinque minuti prima, pallida, in trance.

    «Dottoressa! Il posto è suo. Caffè?»

    3

    L’ultimo podcast del deejay olandese Armin Van Buuren martella nel cervello di Rebecca mentre corre sulle colline sopra Manzano. Ha bisogno di non pensare, di stordirsi, di sentirsi forte. Sta tenendo un’andatura elevata. Sui sei chilometri ha già migliorato di venti secondi rispetto a due giorni prima.

    Concentrati sul ritmo, sulla respirazione, sulla falcata. E’ questo quello che ci vuole ora!

    Arrivata sulla sommità di una collina, nel punto più panoramico del percorso, l’iPod smette di vivere.

    Dannato Steve Jobs! Con tutti i miliardi che hai, potevi fare un mp3 con più batteria, no?

    Rebecca si ferma, strappa dalle orecchie le cuffiete ormai mute e umide di sudore. Abbraccia con lo sguardo la distesa della pianura friulana sotto di sé. Respira ansimando. Dopo alcuni secondi urla con tutto il fiato che ha nei polmoni: «MONDO DI MERDA!» Poi scoppia in una risata isterica e riprende a correre con un ritmo forse ancora superiore.

    Mi sto spaccando i polmoni! Ma tanto questa sera salto l’allenamento con i pesi.

    L’aria immobile di fine agosto sembra quasi fresca a quell’andatura. Lungo l’ultima discesa, la strada lambisce la lussureggiante magione dei De Dietrich, ricchi imprenditori nel settore delle costruzioni. Ostinatamente la ragazza non accenna a rallentare, nemmeno giù per il forte pendio. Ogni volta che il piede rimbalza a terra, Rebecca avverte una scossa, quasi una fitta ai tendini delle caviglie. Segno che oggi ha forzato troppo, ha corso di rabbia con i muscoli contratti.

    Dai piedi della collina sta saledo un grosso SUV che sterza nel vialetto privato dei De Dietrich tagliando maldestramente la strada a Rebecca. La ragazza, colta di sorpresa, tenta di evitare il mezzo. Ci riesce ma per una combinazione data dall’affaticamento, dalla velocità e dal brecciolino sul ciglio della strada, scivola nel poco profondo fossato che costeggia la banchina.

    Dal fuoristrada, fermatosi immediatamente, scende con stizza la conducente, elegante e altèra dietro un paio di Gucci da sole brillantinati.

    «Signorina! Si è fatta male?»

    «Beh…fortunatamente non molto direi…qui nel fosso c’era un po’ d’erba che ha attutito la caduta.»

    «Sia chiara, si è fatta male o no? Se sta bene io proseguo oltre, che ho altro a cui pensare.»

    Rebecca, ranicchiata nel fossato, le urla «ma vuole che la prenda a sberle? Mi ha quasi investita e mi tratta a questo modo?»

    «Lei, come pedone, avrebbe dovuto tenersi sul suo lato sinistro. Comunque ammetto di aver valutato male i tempi, mi sembrava lontana…Su, afferri la mia mano che l’aiuto a risollevarsi.»

    Questa sarebbe l’irragiungibile signora De Dietrich, perenne puzza sotto il naso, milioni che le grondano dalle orecchie…Ora come ora preferirei avere dei genitori come questi: pezzi di merda ma ricchi da fare schifo. Almeno oggi avrei potuto mandare a quel paese quel Pirlozzi Perozzi senza alcuna remora per la perdita di un misero stipendietto.

    «Sto abbastanza bene, credo di avere solo una botta sul fianco ma passerà.»

    E’ la prima volta, in tanti anni, che Rebecca viene a contatto con un membro di quella facoltosa famiglia. Merito, o colpa, della differenza di ceto che ovviamente ha impedito a entrambe di frequentare ambienti comuni.

    La innaturale vicinanza delle due donne, data da quella breve presa tra due mani così diverse, costringe di fatto la signora De Dietrich a guardare in viso Rebecca, abbassandosi al suo livello.

    «E’ di qui? Del paese?»

    «E brava la nostra indovina! Un dono di natura da tenere in gran conto!»

    A quella risposta sardonica la signora rimane interdetta. Rebecca prosegue «le sembro ironica? Beh, lo sono. Stavo correndo, quindi ero a piedi, quindi è difficile che fossi arrivata da Milano o da Bòston, le pare? Ops scusi, ora mi sono ricordata che lei non mi aveva vista bene. Mi guardi con attenzione, vede che non ho il macchinone sotto di me? Né le ali dietro la schiena? Secondo lei di dove potrei essere, se non di qui?»

    «La sto osservando, infatti, e il suo viso non mi è nuovo, i suoi occhi hanno un che di familiare, per questo le ho chiesto di dove fosse.» Il tono di voce della signora ha perso le spigolosità iniziali, acquisendo curiosità mista a sorpresa.

    Ma guarda questa, pochi istanti fa mi avrebbe lasciata nel fosso e ora sembra quasi che io le interessi.

    «Sono di qui, ci vivo dalla nascita, però è impossibile che ci fossimo già incontrate prima d’oggi. Penso dipenda dal rango, dagli ambienti che frequentiamo che per forza di cose non sono gli stessi.»

    «Sì, cioè no, non era a questo che volevo arrivare. La sensazione è quasi di averla già conosciuta, oltre che di averla già vista. Non so, sarà lo sguardo, gli occhi, fa niente, scusi. Anzi mi scusi per tutto, ero un po’ distratta. Sto vivendo una fase molto delicata della mia vita…ma questo a lei non può minimamente interessare, quindi non mi voglio autoassolvere.»

    «Tutti abbiamo le nostre preoccupazioni, piccole o grandi, sono l’antidoto contro la noia di vivere. Mettiamola così: vede a terra le nostre ombre lunghissime che scendono a valle? Ecco, di conseguenza dedùco che abbia avuto il sole negli occhi e questo le abbia impedito di notarmi per tempo. Quindi accetto le sue scuse. Ora vado.»

    «No, aspetti! La riaccompagno a casa, almeno.»

    Rebecca ormai nel vento si limita solo a un «sto beneee» che si disperde giù per la collina.

    La signora De Dietrich rimane per alcuni istanti a fissare la ragazza che sta correndo con la velocità e l’eleganza di una gazzella giù dalla discesa. «Eppure quegli occhi li conosco.»

    4

    «REBECCA! VIENI SU! LA CENA E’ PRONTA.»

    «Arrivo mamma, qualche minuto che mi faccio una doccia veloce.»

    Rebecca entra in cucina con i capelli ancora umidi, portando con sé l’aroma dello shampo al fiore di tiarè.

    «Va bene che oggi sei la festeggiata, ma farsi desiderare per quasi mezz’ora…»

    «Scusa mamma, ma ho avuto un contrattempo e ho dovuto rallentare un po’. Ma cosa si festeggia?»

    «Il tuo contratto di lavoro, che altro?» precisa Giordano.

    «Papà, mi hanno presa per due mesi di prova. Solo alla fine, se tutto sarà di loro gradimento, mi confermeranno con l’assunzione. Comunque avete ragione, possiamo festeggiare visto che il periodo è retribuito.»

    Mentre serve l’antipasto a base di burgul, Luisa esclama «vorrà dire che, se ti confermeranno, festeggeremo di nuovo tra due mesi.»

    Finita la cena, a metà fetta di Saint Honorè, Giordano se ne esce con «ma praticamente cosa farai in banca? Da quello che ho capito non sei una cassiera, giusto?»

    Rebecca temeva quella domanda, anticamera di ulteriori interrogativi sull’ambiente di lavoro, sui colleghi e sul capo. Il preludio che avrebbe potuto portarla su un terreno molto scivoloso su cui avrebbe preferito non avventurarsi, visto che aveva già deciso di tenere per sé il fatto che il dottor Perozzi pareva avere tutte le intenzioni di sfruttare le difficoltà economiche della famiglia per approfittare di lei. Non aveva ancora deciso come comportarsi al riguardo ma preferiva vedersela da sola senza caricare i genitori di ulteriori preoccupazioni. Cerca pertanto di mantenere un certo contegno rispondendo con relativa tranquillità, «papà, è molto semplice, sto in un ufficio in cui investiamo i soldi dei clienti. Di quei clienti che vogliono rendimenti alti, accettando anche possibili perdite alte.»

    «Praticamente gente che ha tanti soldi da poterne buttare un po’?»

    «Grosso modo è così.»

    «Beh, se ne conoscerai qualcuno direttamente, proponigli di investire nella mia azienda. Investimento rischioso, però in prospettiva il biologico sarà un settore di sicuro sviluppo. Se lo trovi, ti becchi anche la provvigione.»

    «Papà, per favore! Quelli investono in mercati emergenti che si chiamano Cina, Russia, Brasile e via discorrendo. Paesi con ritmi di crescita elevati. Il tuo ritmo di crescita è così elevato che le banche ti stanno chiudendo i rubinetti.»

    Interviene Luisa. «Rebecca! Non rivolgerti così a tuo padre, non ne hai il diritto! Piuttosto, per cambiare discorso, parlaci dei tuoi colleghi. Mi auguro che il clima non sia da classico ufficio con segretarie pettegole, che non fanno altro che pugnalarti alle spalle per metterti in cattiva luce coi superiori per poter fare carriera.»

    Rebecca d’istinto sta per rispondere magari!, ma riesce a trattenersi e uscirne indenne, «no mamma, niente arrivismi esasperati. L’area, il reparto, in parole povere, è formato da una decina di persone. Io sostituisco l’assistente del capo.»

    «E’ in maternità?»

    «No, almeno non credo. In quel caso mi avrebbero fatto affiancare da lei per un periodo.»

    Giordano, per scacciare quel velo di tristezza che gli ha suscitato l’infelice provocazione di Rebecca, alza il bicchiere ed esclama «al tuo nuovo lavoro!»

    Tlin, tlin, tlin. Gli sguardi si intrecciano mentre i bicchieri si scontrano con garbo.

    «Scusami papà per quello che ho detto prima, comunque un finanziatore, seppur piccolo, lo hai di fronte a te. Almeno per i prossimi due mesi avrò un’entrata e, per poco che sia, potrò darti una mano.»

    Gli occhi di Giordano si inumidiscono, si alza e va a stringere a sé la sua bimba che ricambia l’abbraccio con almeno pari intensità. Anche Luisa si unisce cingendo il marito e la figlia. Con una lacrima che le riga la guancia sussurra «ce la faremo ad uscirne, se teniamo unite le nostre forze, ce la faremo.»

    Per qualche istante, Rebecca sente che il boccone che ha ingoiato in mattinata è stato temporaneamente ricompensato da questo momento di fragile ottimismo esternato dai suoi. In mezzo a queste considerazioni si chiede però se riuscirà a reggere i prossimi giorni, viste le non rosee premesse al lavoro.

    5

    «Buongiorno Mario, questo è il dossier che hai chiesto ieri. Se qualcosa non ti è chiaro, sono di là.»

    «Grazie Evi. Ah senti, hai conosciuto la mia nuova assitente? Ti presento la dottoressa Rebecca Carinci.»

    «Rebecca, questa è la dottoressa Evelina Brondani, è il capo dell’area promotori, nonché vicedirettrice della banca e praticamente…lo posso dire Evi?»

    «Dì pure quello che ti pare, tanto poi ne rispondi.»

    «Ecco, dicevo, praticamente il suo compito è di frustare i promotori finchè non portano in banca il budget mensile.»

    «Che carino! Questa mi mancava, Mario.»

    «Molto piacere dottoressa Brondani,» esclama Rebecca trattenendo a stento una risatina e contemporaneamente alzandosi educatamente per stringere la mano a quella dirigente che cerca di cammuffare i suoi cinquant’anni suonati con capelli troppo corti e troppo platinati.

    Le mani delle due donne sono ancora a contatto e Rebecca fatica a sostenere lo sguardo insistentemente indagatore della vicedirettrice. Le mani non si staccano come ci si aspetterebbe, anzi sembrano aggrapparsi sempre di più una all’altra finchè un angolo della bocca della dottoressa Brondani si piega repentinamente verso il basso, trascinando con sé la guancia e costringendola a socchiudere istintivamente gli occhi grigio ghiaccio.

    «AHI! Ma porca miseria, mi ha quasi stritolato la mano!»

    «Mi scusi, mi scusi tanto dottoressa Brondani, non era mia intenzione.»

    «No, beh, lo credo. Solo che la sua stretta è stata eccessiva.»

    «Mi perdoni, mi creda, io non volevo…» Inventati qualcosa diamine! «…è che qui, Perozzi, finora mi ha fatto stringere solo mani di uomini energici. Si vede che la mia mano, inconsciamente, si è presa delle contromisure.»

    «Sarà. Anche se non mi immagino energica una stretta di mano del burroso Perozzi.»

    «Sempre carina con i complimenti, eh?»

    «Ti avevo avvisato, Mario, che ne rispondevi delle tue battutine. E benvenuta a bordo, Rebecca.»

    La fustigatrice di promotori esce di scena con un passo da generale.

    «Rebecca, hai appena conosciuto Herr Führer

    «Uh, la chiamate così? E’ tanto cattiva?»

    «Lavorativamente parlando, è un drago. Non si discute. A livello personale è, beh...anzi pensandoci bene non è corretto che ti influenzi andando a crearti pregiudizi. Comunque, cara Rebecca, la tua non è stata una bella partenza con la Evi. Ma le hai stritolato la mano di proposito?»

    «Stiamo ancora discutendo di quella stretta di mano? Le chiederei di metterci una pietra sopra!»

    «Ti sei sentita perforata da quello sguardo, vero? Lo fa con tutti i nuovi. Vuole segnare il territorio e fare in modo che anche chi non è direttamente sotto di lei sia comunque deferente nei suoi confronti. E la stretta di mano, uh se adora far

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