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L'amore, il matrimonio, i chili di troppo (eLit): eLit
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E-book392 pagine5 ore

L'amore, il matrimonio, i chili di troppo (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Quando la felicità (forse) non è una perfetta taglia 40...

Evelyn Mays ha 27 anni, lavora in un'azienda cosmetica e ha appena vomitato nei bagni dell'ufficio, subito dopo avere ricevuto, nel bel mezzo di una riunione, una proposta di matrimonio dal fidanzato Bruce. Tutto quello che Evelyn desidera a questo punto è di essere una sposa perfetta, possibilmente taglia 40. Giudicatela pure una superficiale, ma l'obiettivo è chiaro: trasformarsi da insignificante brunetta sovrappeso a bionda raffinata (e soprattutto MAGRA).

Evelyn ha nove mesi a disposizione per la metamorfosi. Nove mesi di dieta, shopping sfrenato e qualche... sperimentazione un po' azzardata!

LinguaItaliano
Data di uscita30 lug 2014
ISBN9788858927601
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    Anteprima del libro

    L'amore, il matrimonio, i chili di troppo (eLit) - Jackie Rose

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Slim Chance

    Worldwide Library /Red Dress Ink

    © 2003 Jackie Rosenhek

    Traduzione di Maria Pia Smiths Jacob

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5892-760-1

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    1

    Vi è mai capitato di vomitare in ufficio? Se sì, le ragioni possono essere state due: o stavate disperatamente e incontrollabilmente male di stomaco (misteriosi virus intestinali, avvelenamento da cibo e così via), e in questo caso siete state più che felici di aver raggiunto il bagno in tempo e non ve ne è importato nulla che altri vi sentissero dar via anche l’anima, oppure eravate scombussolate per motivi molto personali (shock emotivo di particolare violenza, gravidanza in corso, licenziamento eccetera).

    Questo pomeriggio, mentre fisso la tazza del water del bagno delle signore al terzo piano degli uffici della Kendra White Cosmetics, la seconda azienda produttrice di make-up in America, mi sono resa conto di essere vittima di una tempesta di nervi, quelle durante le quali si vomitano pure gli occhi e si spera ardentemente che gli altri rispettino la tua privacy, lasciandoti il tempo di elaborare la consapevolezza che tutta la tua vita sta cambiando radicalmente.

    Non posso credere di aver detto di sì.

    Mai prima d’oggi, grazie alla mia salutare avversione per la maionese e alla capacità genetica di controllare gli stravolgimenti di stomaco, mi ero esposta alla vergogna di stare male in pubblico. E adesso, invece, eccomi qui, con un pugno di colleghe starnazzanti davanti alla porta della toilette, che mascherano la curiosità dietro una falsa preoccupazione. Mi hanno vista precipitarmi verso il bagno. Ora aspettano la fine della storia.

    Ti prego! Fa’ che non vomiti.

    Inutile. Ho gli occhi pieni di lacrime. Le ginocchia mi cedono e la tazza diventa tutto il mio mondo. Da quando lavoro alla Kendra White ho fatto sforzi sovrumani per non appoggiarmi mai alle toilette. E adesso sto qui, con la faccia letteralmente dentro il gabinetto.

    È passata un’eternità, durante la quale ho tentato di immaginare di trovarmi nel bagno unisex dello studio legale di Ally McBeal, così sterile, così lindo, così divertente... diametralmente opposto a questo, dove sul pavimento umido si trova di tutto e i contenitori per i rifiuti sono sempre pieni fino all’orlo. Mio Dio! Cos’è quel coso sul sedile della tazza? Un pelo pubico?

    «Va tutto bene, Evelyn? Hai bisogno che qualcuno ti tenga i capelli?» ansima Pruscilla Cockburn, la mia capa, dall’altro lato della porta.

    «No. Tutto ok» rispondo a fatica.

    «Cerca di riprenderti, mia cara. Sono soltanto nervi! Sarai una moglie meravigliosa. Che uomo, il tuo Bruce. Ti sta aspettando fuori dai bagni, sai? Mio Dio! Avete mai visto una proposta più romantica della sua? Io no, neppure durante le puntate di Stranamore! E dire che le ho registrate tutte. Che roba! Chiederle di sposarlo sul lavoro! Di fronte a tutti...»

    A questo punto è chiaro che si è completamente dimenticata della sottoscritta, tutta presa com’è a condividere quest’emozione con le altre. Che strega! Ho appena subito l’umiliazione più grande della mia vita, mi è stata strappata la privacy di un avvenimento che si sarebbe dovuto svolgere nell’intimità del mio cuore e che, invece, è stato esposto agli occhi di tutti quelli che odio di più, e tutto ciò a cui Pruscilla riesce a pensare è al racconto che farà durante la pausa caffè di domani mattina. La mia vita è appena stata stravolta e loro pensano a quanto ne sono rimaste colpite. Loro, non io. Mi allontano dalla tazza e vedo quattro paia di piedi, uno più brutto dell’altro. Quelli di Pruscilla sembrano dei salsicciotti strizzati in scarpe rosse e malandate. Le abbina sempre con i vestiti - enormi teli di stoffa dai colori sgargianti che nei negozi per le taglie forti sono venduti con il nome di caftani o cappe. Dovrebbero essere dichiarati illegali, per quanto mi riguarda.

    «Sto bene. Adesso esco» dico, tirando su col naso. Apro la porta.

    Me lo sarei dovuto aspettare. La proposta di matrimonio di Bruce, intendo, non l’attacco di vomito.

    Questa mattina, per qualche misteriosa ragione, ho letto l’oroscopo. Di solito non lo faccio mai. O perché non ho il tempo di dare un’occhiata al giornale o perché non riesco neanche a comprarlo. Inoltre, detesto toccare le pagine stampate di fresco. Mi ritrovo l’inchiostro dappertutto dopo, specialmente sulla faccia. E poi non ci credo. Tranne, forse, a quelli di Cosmo, dato che si tratta di un periodico e non di un quotidiano e perché una volta ho usato i numeri fortunati che suggeriva e sono riuscita a vincere 125 dollari al lotto. Suppongo, comunque, che in questo caso sia più esatto parlare di numerologia.

    A ogni modo, questa mattina il mio oroscopo era esatto, anche se non potevo ancora saperlo. Il primo segno del fatto che i pianeti erano allineati in opposizione alla sottoscritta l’ho avuto appena mi sono svegliata. Presto. Be’, non tanto presto, ma neppure troppo tardi. Bruce - che caro! - aveva preparato la colazione. Omelette con funghi e formaggio - con tanto di tuorlo, non quelle solo con gli albumi che non sanno di niente - e caffè. Di solito non mi lascio andare a stravizi alimentari così di buon’ora (questo avviene solo poco prima di pranzo), ma dato che è venerdì, mi sono detta che avrei potuto riprendere il controllo di me il lunedì successivo. Meglio mettere da parte i buoni propositi durante il fine settimana e godere dei piccoli pranzetti che si ha il tempo di preparare.

    «Evie, ti andrebbe di uscire a cena, questa sera? Tu e io da soli?» mi ha chiesto Bruce, sapendo perfettamente che il venerdì usciamo sempre per le nostre cenette intime. Forse pensava che sarebbe stato carino domandarmelo comunque, anche se, a dire la verità, cominciava a darmi un po’ sui nervi. Sarà stato forse perché era già la terza volta che me lo proponeva? Siamo due persone in carriera e Bruce non trascorre con me tutto il tempo che vorrebbe. Così io cerco di fare in modo che nulla interferisca con le nostre abitudini del fine settimana. Dovesse cascare il mondo. A meno che sua madre, Roberta - chiamata Bertie dai suoi cari, o almeno da coloro che non la disprezzano, e vi assicuro che non sono molti - non decida di invitarci a mangiare una delle sue acquose zuppette e le solite patate bollite. Perché in tal caso lasciamo cadere ogni progetto e ci precipitiamo direttamente a Fulbright Greenwich, nel Connecticut, per una cena al confronto della quale quella offerta dalla Famiglia Reale non è che una festicciola di campagna.

    Mi sono sentita al settimo cielo. Ciò significava che per oggi eravamo stati graziati. Un venerdì al mese con sua madre è più che sufficiente per me, anche se Bertie ci avrebbe invitati ogni settimana, se io non mi fossi impuntata sin dall’inizio. Ho una teoria circa queste seratine familiari. Sono convinta che siano una scusa per cercare di pompare Bruce contro la sottoscritta, dato che sua madre crede che io ostacoli il figlio nello sviluppo delle sue vere potenzialità.

    Chi potrebbe mai biasimarmi, se lo penso? Bertie di solito pone le sue domande come se stesse facendo un’intervista in piena regola: «Bruce, non pensi che insegnare alle superiori sia una sfida per te, intellettualmente parlando?» (risposta: «Come sai, mamma, la mia è una scuola per bambini dotati, dunque sì, posso dire che si tratta di una sfida»). Per non parlare poi delle frecciatine che mi lancia col preciso intento di mettermi in imbarazzo: «Evelyn, essere italo-americana ti dà qualche possibilità in più nell’industria cosmetica per corrispondenza?» (risposta: «Be’, signora Fulbright, a dire la verità sono soltanto mezzo italo-americana e no, non credo che faccia differenza»).

    Poi ci sediamo tutti insieme e ci godiamo lo spettacolo, mentre le care sorelline di Bruce, Brooke, Wendy e, naturalmente, Diana, perfetti prototipi di ragazze whasp, appartenenti alla medio-alta borghesia di razza bianca e di religione protestante - una più graziosa, magra e con un seno da far invidia dell’altra - si accaniscono contro il fratello, stilando contemporaneamente l’inventario mentale di ogni singolo boccone che riesco a mangiare. Alla fine della serata sono pronta all’omicidio o a scuotere il caro vecchio padre di Bruce e gridargli: «Datti una mossa! Non vedi che ti tengono per le palle? Fa’ le valigie e sparisci. Ma fallo ora che ti restano ancora almeno altri vent’anni da vivere!». Purtroppo nessuno sembra vedere nulla eccetto me e così, quando Bruce e io saliamo sul treno per tornare a casa, non smettiamo di litigare un solo istante.

    Adesso è meglio non pensarci. Abbiamo ancora una settimana prima della prossima fatidica cena. Questa sera siamo liberi.

    «Pensavo di andare da Luna» ha continuato Bruce. «Ho prenotato un tavolo per le nove.»

    Sa che adoro quel posto. È lì che si sono incontrati i miei genitori per la prima volta. Un appuntamento al buio con relativo colpo di fulmine. Quando ero piccola e mi sentivo triste, oppure stavo male, pregavo mia mamma di raccontarmi la storia. E lei lo faceva, senza risparmiare un solo dettaglio, descrivendomi quello che indossava, il cibo che avevano mangiato, di come mio papà le avesse detto che assomigliava a Liz Taylor, con la sola differenza dei suoi enormi occhi castani e del sedere un po’ più formoso. Cercavo di immaginarli dentro al locale, seduti accanto a una finestra dai vetri appannati in una fredda notte invernale. La sera in cui fui concepita erano andati a mangiare da Luna. Quella fu l’ultima volta, prima che mio padre morisse, anche se la mamma tralasciava di soffermarsi su questa parte del racconto quand’ero troppo piccola.

    Bruce e io andiamo da Luna solo in occasioni molto speciali, non più di una o due volte all’anno.

    Quando camminiamo per il quartiere di Little Italy ci sentiamo una vera coppia e stiamo benissimo. È bello passeggiare a braccetto, scherzare, felici, sui poveri single di Manhattan che si aggirano tristi per le strade o su quelli che sono visibilmente in ansia perché stanno per andare a un appuntamento al buio. È un po’ come se fossimo i soci di un club con due soli iscritti. In queste occasioni mi rendo conto di quanto sia essenziale essere parte di qualcosa. E non importa quanto complicata o depressa può essere talvolta la nostra situazione. Sempre meglio che non far parte di nulla.

    «Va benissimo, caro» gli ho risposto. Si sta avvicinando il nostro sesto anniversario. Forse voleva offrirmi qualcosa di speciale per l’occasione.

    «Perfetto. Ti chiamo all’ora di pranzo. Pensi di essere in ufficio o hai in programma qualche altra cosa?» mi ha chiesto lui.

    «Uhm. No. Sarò in ufficio per tutta la giornata. Però ho un appuntamento per l’una.» A pensarci adesso, mi rendo conto che di solito non è mai particolarmente interessato al mio andirivieni.

    «Bene. Perfetto» ha detto. «Buona giornata, allora. E chiamami, se cambi programma.»

    Ero perfettamente sveglia, traboccante di omelette e di energia quando sono uscita di casa questo 24 settembre, pronta ad affrontare una gloriosa giornata autunnale. Ed è stato a quel punto che ho deciso di acquistare il giornale per poterlo leggere sul treno, nonostante rischiassi di imbrattare di inchiostro il mio nuovo impermeabile firmato Anne Klein (Marie Claire, numero di settembre: "Come rinnovare il vostro guardaroba di mezza stagione con 10 irrinunciabili must").

    Per arrivare agli uffici di Kendra White, a Manhattan, ci vogliono circa 40 minuti di strada dal nostro appartamento a Park Slope, Brooklyn. Di solito ammazzo il tempo piombando in una sorta di dormiveglia. Ebbene sì, faccio parte della categoria di quelli che sul treno o in autobus fanno penzolare la testa a destra e a sinistra, come dei perfetti idioti, o che di tanto in tanto si abbandonano addormentati con la bocca aperta. Una o due volte a settimana mi capita persino di perdermi la fermata.

    Questa mattina, invece, stavo leggendo il mio giornale come una vera ragazza Cosmo, sfogliandolo con destrezza e versando soltanto una volta un po’ di latte dal bicchiere.

    Prima pagina, le solite notizie dall’Afghanistan... Meglio dare un’occhiata alla sezione spettacoli... Aha! Pare che Madonna stia considerando l’idea di avere un altro bambino. Proprio come immaginavo. Fantastico. È una madre così stilizzata... Bla, bla, bla, Leonardo Di Caprio si è rotto una clavicola inciampando fuori da un locale all’ultima moda di L.A. di cui non si fa il nome... Quel piccolo strabico di Jerry Maguire sta per apparire sul grande schermo con un altro film... Orribile, ne sono certa... Chissà cosa dice il mio oroscopo di oggi...

    Vergine (23 agosto - 22 settembre) Avvenimenti in vista. Concentratevi sul vostro rapporto di coppia, la comunicazione, gli avanzamenti personali. Qualcuno molto vicino vi confiderà di avere bisogno di voi più che mai. Attenti ai dettagli. Sul lavoro possibilità di stress. Non perdete la testa. Il Toro avrà un ruolo chiave oggi. Riflettori puntati sulla situazione domestica, la casa e la cucina. Buone le prospettive finanziarie. Attenzione a Urano, il pianeta dei cambiamenti repentini. State calmi! Anche questa passerà.

    Santo cielo, messo così poteva significare tutto e niente - sono bravi a giocare con le parole. Adesso capisco perché Morgan crede che gli oroscopi siano fatti esclusivamente per gli idioti che si sentono incapaci di gestire la loro stessa vita. Che cretinaggine! Come se davvero i pianeti potessero influenzare quello che accade sulla terra! Magari per la luna è possibile. Forse. Ma questa è tutta un’altra storia. E poi la luna non è un pianeta. Ho sentito dire che governa il flusso delle maree, è in grado di influenzare l’acqua del nostro corpo ed è responsabile di cose come la sindrome pre-mestruale o un misterioso aumento di peso...

    Sono tornata in me una fermata troppo tardi. Quando sono arrivata alla metropolitana, il davanti del mio impermeabile era tutto costellato di macchie nere e di caffè. Il mio buon umore era andato a rotoli. Ridicolo - gli impermeabili bianchi sono ancora più stupidi dei tappeti bianchi. Ma che diavolo sto pensando?

    Entrata in ufficio, mi sono sistemata nel mio confortevole cubicolo con la moquette grigia e ho lavorato sodo a un solitario online per due ore buone, vale a dire fino a quando mi sono resa conto di aver scordato di inoltrare una circolare di Pruscilla nella quale s’indiceva la riunione pomeridiana dello staff. Mio Dio, non lo sa ancora nessuno! La metà della gente sarà già uscita per pranzare.

    In quanto membro di una legione di assistenti al marketing della KW e, più specificatamente, in quanto immediata sottoposta di Pruscilla, le mie responsabilità sono più di carattere amministrativo che intellettuale. Un bel modo di sfruttare la laurea in filosofia (con indirizzo psicologico), anche se, a essere sincera, credo che la mia carriera mi permetta di affinare le mie ansie esistenziali.

    Dopo un’ora trascorsa a riparare al danno e un’ora e mezza dedicata al pranzo, sono riuscita a contattare quasi tutti i componenti del team e a radunarli in sala conferenze. Non che fosse importante, devo dire la verità. Pruscilla, la Regina dell’Universo nonché Direttore Marketing dell’East Coast, ha indetto questa riunione senza un motivo reale, tranne forse quello che le piace, di tanto in tanto, organizzare questi meeting per scuotere alcuni di noi dalla nostra pigrizia e impressionarne altri con la sua straordinaria abilità nello scovare i refusi sul materiale pubblicitario già stampato in decine di migliaia di copie.

    Mentre infuriavano le accuse, seguite dalle difese, e io mi stavo addormentando, qualcuno ha bussato alla porta.

    Poi questo qualcuno è entrato. Un ragazzo alto, con occhiali e lentiggini. Mi ci è voluto qualche secondo prima di capire ce lo conoscevo. Era Bruce. Il mio Bruce. Subito ho pensato a un lutto in famiglia. Mia madre? Mi è salito il cuore in gola. Sua madre? Il cuore è ritornato in posizione normale.

    «Co-cosa ci fai tu qui?» ho farfugliato con un certo imbarazzo.

    A questo punto, le dieci-dodici donne sedute intorno al tavolo hanno capito che non si trattava di un fattorino. Una di loro mi ha addirittura sussurrato in un orecchio: «Ma non è il tuo lui? Guarda. Ha portato delle rose!».

    In effetti. Aveva in mano un enorme bouquet di rose rosso sangue. So che le rose rosse significano amore romantico e compagnia bella, ma personalmente non mi sono mai piaciute molto. Le orchidee, quelle sì che mi piacciono, o forse i lilium...

    Mi sono guardata intorno nervosamente. Tutti gli occhi erano puntati su Bruce. L’aria trasudava stupore, gelosia e confusione. Oh, Evie... Datti una calmata! Le rose rosse sono bellissime e tu lo sai! La maggior parte delle desperados che si trovano in questa stanza cadrebbero in ginocchio per lo shock e la gratitudine se ricevessero per San Valentino anche solo mezza rosa, mentre oggi è un venerdì pomeriggio di settembre e il tuo uomo si è presentato qui con un fascio di almeno due dozzine...

    «Evelyn...» Bruce si è inginocchiato davanti a me. Le mie guance hanno preso immediatamente fuoco. Con la coda dell’occhio sono riuscita a vedere sguardi sgranati e bocche spalancate. Nessuna però era più confusa della sottoscritta, ve lo assicuro.

    «Evelyn, sono venuto per dirti che ti amo, che questi ultimi sei anni della mia vita sono stati i migliori e che non riesco a immaginarmi senza di te...»

    Era davvero a me che stava parlando?

    «... Dal giorno in cui ci siamo incontrati alla caffetteria della NYU, quando stavamo per prendere entrambi lo stesso budino, ho capito che eri speciale...»

    Qualcuno, alle mie spalle, ha ridacchiato forte. Ho avuto un attacco di panico accompagnato da crudeli propositi di vendetta.

    Io riesco appena a respirare e quella ride? Sta rovinando la magia del momento. La ucciderò. Più tardi torchierò tutti i presenti per estorcere loro il nome della colpevole. Scommetto che si tratta di Violet della Skincare. Non mi ha mai potuto soffrire, anche se sono andata a trovarla in ospedale due volte quando è stata operata di polipi. Mi chiedo come sia possibile che esistano persone così egoiste e impiccione, specie quando si tratta di cose che non dovrebbero riguardarle affatto. Quando c’è di mezzo il loro divertimento, le persone gelose farebbero carte false pur di sviare l’attenzione da chi invece se la merita.

    Improvvisamente hanno cominciato a ridere tutti, strappandomi ai miei sogni di vendetta.

    «...ed è per questo che mi hai permesso di portarti a cena fuori, promettendomi di buttare via quel piatto infuocato e di non cucinare mai più nella stanza del college!»

    Mio Dio, stava ancora parlando? Non ricordavo neppure quello che aveva detto prima. Che c’entravo io?

    «Tutto questo per dirti che se non fossero intervenuti i vigili del fuoco di New York, adesso non sarei qui, inginocchiato davanti a te» ha concluso Bruce.

    Altra risata generale.

    A questo punto ha posato i fiori e mi ha preso la mano. «Sei la mia migliore amica, Evie, e io ti adoro. Ti amo oggi più di quanto non ti amassi ieri e ti amerò domani più di quanto ti amo oggi. E sarà così per il resto della mia vita...»

    Gli occhi mi si sono riempiti di pianto. Ho sbattuto le palpebre e le lacrime sono rotolate sul vestito. Erano le parole più dolci mai sentite. Ma Bruce non aveva finito. Il meglio doveva ancora arrivare.

    «... È per questo che desidero sapere, Evie... vuoi farmi l’onore di diventare mia moglie?» Ha tirato fuori da una tasca un astuccio di velluto blu e lo ha aperto, fra lo stupore generale.

    Quanto a me, non l’ho neppure visto, perché la stanza ha cominciato a girare.

    Per alcuni istanti ho avuto l’impressione che il mio corpo fosse stato catapultato in quello di un’altra persona al capo opposto del mondo. Mi sembrava che tutti parlassero una lingua straniera. Non ho capito più niente. Dov’ero? Chi era quest’uomo con gli occhiali? Una cosa era certa: aveva bisogno di un buon taglio di capelli. Il tempo sembrava essersi fermato.

    «Evelyn?» ha detto l’uomo.

    «Evelyn?»

    Poi mi sono sentita investita da un fulmine e ho ricordato tutto. Era Bruce, l’amore della mia vita. E mi stava chiedendo di sposarlo. Credo di avere agito come un automa, o qualcosa del genere, perché sono scattata in piedi e poi qualcuno - credo io - ha gridato «Sì! Sì! Certo che lo voglio!»

    Bruce mi ha presa fra le braccia e in quel momento ho cominciato a piangere davvero e a ridere, a gridare, incapace di fermarmi. Anche gli altri si sono alzati e hanno cominciato ad applaudire e a fare gli auguri. Il trambusto era tale che piano piano sono cominciate ad arrivare anche altre persone, da fuori. Tutti assistevano alla scena, increduli che fosse potuta accadere una cosa tanto romantica alla KW. E la protagonista ero io. Tutti gli occhi erano puntati sulla sottoscritta.

    E poi... ho cominciato a correre per raggiungere il bagno.

    Apro la porta della toilette, mi trovo davanti quattro facce che mi fissano con gli occhi spalancati.

    «Sto bene. Sto bene. Ho solo bisogno di darmi una rinfrescatina» dico, tirando su col naso. Accenno un timido sorriso. «Sono soltanto un po’ agitata. Sì, insomma, sotto shock. Non me lo sarei mai aspettato, non così, almeno. Stento ancora a crederlo.» È la verità.

    «Immagino che sia un po’ come essere gettati in una vasca d’acqua ghiacciata, mia cara» ride Cheryl-Anne, che lavora nel reparto Formazione alle Vendite. «Vedrai, ti riprenderai in un baleno. Quando Dickie mi ha fatto la proposta, ho quasi perso la parrucca.»

    Risata generale. Cheryl-Anne la porta davvero, la parrucca.

    «Era la vigilia di Capodanno e io avevo due ragazzi» aggiunge. «Mi piace molto divertirmi, come ben sapete. Ricordate la festa di Natale del 1998? Mio Dio, che chiappe meravigliose aveva il ragazzo addetto alle fotocopie! Comunque, quando Dickie ha sparato quella proposta, ho avuto l’impressione che la stanza cominciasse a girare e sono caduta giù svenuta. Sono stata male per due mesi. Immagino però che si sia trattato solo perché ero incinta e la mattina, si sa, non è il momento migliore» ridacchia, assestandosi una pacca sulla coscia.

    Tutti sogghignano come se avesse detto la battuta del secolo. Come capita per gli ubriachi, anche una donna incinta che cade a faccia in giù nel bel mezzo di Times Square è fonte di legittimo divertimento. Ma come fanno a ridere?

    «Hai ragione» dico con un filo di voce. «Devono essere i nervi.» Dio, fammi riprendere il controllo, ora!

    «Mi dispiace, cara» interviene Winnie della Cosmetics, prendendomi una mano. «Questo è il tuo grande giorno e noi non facciamo che blaterare. Lasciati pure andare a un bel pianto liberatorio, se lo desideri, e non preoccuparti di niente. Non è necessario che tu esca da qui se non ti senti pronta.»

    L’abbraccio e annuisco. Non la conosco quasi per niente, ma in questo momento non me ne importa un fico. È stata più dolce di mia madre nei suoi momenti di maggior tenerezza.

    Mi riprendo un po’ e mi guardo allo specchio.

    Sono patetica. Sono brutta almeno quanto tutte quelle che mi stanno intorno. Occhi neri gonfi, faccia bianca e gonfia, corpo gonfio, quasi alieno. Ho una macchia del trucco di Winnie sul colletto. La giacca color cammello griffata CK (Glamour, numero di marzo: I quindici capi indispensabili da indossare sul posto di lavoro) è tutta sgualcita e mi tira sul seno tanto che ho l’impressione che persino i bottoni stiamo per soffocare. È una 46 eppure pare una 40. Quando mi è successo?

    A Bruce sembra che non importi. A lui va bene così. In effetti, non fa mai commenti sul mio peso, anche se sono ingrassata di almeno quindici chili da quando ci siamo conosciuti. Lui si limita ad ascoltare pazientemente mentre me ne lamento, esercizio dopo esercizio, dieta dopo dieta, anno dopo anno. Mi tenta sempre con il cibo... Mio Dio, è per questo, vero? Devo piacergli grassa.

    È strano che non me ne sia mai accorta prima. Deve far parte di quella categoria di uomini che amano le cicciotte (Marie Claire, numero di ottobre: Gli uomini preferiscono quelle in carne). E io? Che devo fare? Fregarmene o no? Non so decidermi. Devo essere felice che mi ami nonostante il mio aspetto, oppure, volendomi grassa, sta facendo di tutto per soddisfare un suo feticismo sessuale? Il cuore comincia a battermi all’impazzata.

    Coraggio, Evie. Riprenditi. Non è il momento di lasciarsi andare. Bruce ti ama, tu lo ami e tutto andrà per il meglio.

    Pruscilla mi lancia un’occhiata nello specchio, sospira e guarda in direzione della porta con aria da melodramma. Bruce mi sta aspettando fuori. Cosa devo fare? Cosa devo fare?

    Lo amo. Davvero. Gli ho persino detto di sì. Che motivo avrei avuto di dirgli di sì se poi non desidero sposarlo? A questo mondo sono sicura soltanto di una cosa: credo ciecamente nel mio istinto. Date sempre ascolto alla vostra vocina interiore. Almeno lei si è salvata dopo anni e anni di trasmissioni condotte da Oprah (lei e la convinzione che, alla lunga, le diete solo a base di liquidi non funzionano).

    Bruce è quanto di meglio io possa avere. Lo sanno tutti - Morgan, gli altri amici, mia madre, mia nonna. Bruce è il mio riferimento. Mi accetta. Mi ama. E anche se spesso mi fa impazzire, siamo fatti l’uno per l’altra. Sarei una cretina se lo lasciassi andare.

    Non mi resta che fare una cosa: organizzare un matrimonio favoloso.

    Quello, e perdere una ventina di chili.

    2

    Più tardi, quello stesso pomeriggio, Pruscilla Cockburn viene a dettarmi l’ultima circolare. È accanto a me e sposta il suo considerevole peso da un piede all’altro. A ogni ondeggiamento, una zaffata penetrante del profumo creato dalla KW, Giardino di caprifoglio, mi assale i sensi. Nonostante gli occhi acquosi, fisso imperterrita lo schermo del PC.

    «Cerca di stare attenta, Evie. Te lo ripeto. Metti la data di oggi.» Ovvio. «E spediscila a tutti i manager di divisione.»

    Comincio a scrivere piena di zelo.

    Ai manager della Direzione Marketing, Divisione di produzione.

    Alla c.a. di: Teresa Delallo, Profumi; Alexis Desmond, Cosmetici; Sophie Swartz, Skin Care; Thelma Thorpe, Hair Care; Elsine Scarfield, Salute e Fitness.

    Come previsto dalla politica aziendale, le valutazioni dei dipendenti si terranno le ultime due settimane d’ottobre. Vi preghiamo di fissare gli incontri con ciascun membro senior del team durante questo periodo. Ricordate di definire la data della valutazione con i loro collaboratori. A questo scopo dovranno essere distribuiti, non più tardi della fine della prossima settimana, questionari di auto-valutazione e fogli sui quali annotare eventuali suggerimenti. Il materiale sarà fornito dalla sottoscritta. Siete pregati, inoltre, di organizzare incontri che non superino i 30 minuti...

    «Credi che mezz’ora sia sufficiente?» la interrompo, ricordando la mia valutazione dell’anno precedente. Pruscilla non aveva fatto altro che decantare le virtù di un atteggiamento serio sul posto di lavoro, dicendomi che, se ambivo a essere promossa, dovevo cominciare a impegnarmi sodo, a prendere le cose sul serio. Non aveva neppure sbirciato l’elenco delle mie lamentele (Nessuno meglio di me sa cosa significa sgobbare fra Natale e Capodanno, Perché non possiamo avere il latte scremato alla macchinetta del caffè?) né tanto meno quello dei suggerimenti utili (I bonus aziendali di fine anno dovrebbero essere calcolati in base ai profitti della compagnia e non a quelli delle buste paga dei dipendenti). Alla fine, avevamo esaurito il tempo a nostra disposizione prima ancora che avessi la possibilità di perorare la mia causa per un aumento, che poi, secondo il mio modesto parere, è il punto focale di tutti questi meeting.

    Pruscilla mi guarda e continua.

    «... siete anche pregati di non perdervi in interminabili discussioni riguardanti gli scatti salariali. Vi pregherei, a questo proposito, di segnalarmi ogni collaboratore che, a vostro parere, ha fatto cenno a tale argomento...»

    «È

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