Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Pioggia
Pioggia
Pioggia
E-book175 pagine2 ore

Pioggia

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Sara è single, ha trentacinque anni e un gatto. Si fa le canne, fuma come un turco e fa un lavoro che non le piace in un ufficio in cui odia tutti. Sara cerca l’uomo della sua vita. Ma incontra Claudia. Una sera. Ad una festa dov’è andata con Flavio, l’uomo del momento. Claudia è un avvocato. Vive con Massimo in una casa di vetro. Circondata solo dalle luci dei palazzi e dai riverberi delle candele. Ci sono cose che accadono senza una ragione. Senza un perché. Le condizioni, il caso…sono tutte cazzate. Accadono e basta. E a Sara non resta altro che viverle. Tutte. Fino in fondo.
LinguaItaliano
Data di uscita26 ago 2013
ISBN9788868552053
Pioggia

Correlato a Pioggia

Ebook correlati

Relazioni per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Pioggia

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Pioggia - Sybil A. Rave

    12

    CAPITOLO 1

    Giugno. Nove di sera. Me ne sto seduta sul balcone di casa mia a fumarmi una sigaretta e a guardare il cielo. Rosso, giallo, blu. Plumbeo e placidamente incazzato. Ha proprio l’aria di uno di quelli che sta per fartela pagare. E anche a caro prezzo.

    L’aria è umida, la maglietta mi si appiccica addosso. Mi soffoca. Come il fumo, come l’aria pesante di questa serata che sarà carica di pioggia, di sospiri. Di noia.

    Un lampo e poi un tuono, che fa vibrare i vetri sporchi del mio appartamento, acceca e scuote le viscere delle altre povere anime che come me, si ritagliano un momento di patetica poesia sui rispettivi davanzali delle loro squallide vite.

    Un boato, un brivido.

    Uno scroscio d’acqua, che inizia poco più in là rispetto alla mia finestra, comincia lieve a bagnare la facciata della palazzina di fronte.

    Io ho ancora uno squarcio di luce in volto. Sottile. Come l’ultimo fumo che mi esce dalle labbra. Interrotto da uno sbuffo gelido. Grigio.

    Eccola. Eccola anche su di me.

    La lacrima divina!

    La pioggia col suo rumore e il suo fragore assordante. Pioggia. Che viene giù come se Dio la mandasse, a lavare lo schifo, l’anima. Pioggia. Che vorrei mi lavasse dentro. Nel profondo. Dove non vi accede nemmeno il lato buio che abbiamo in dotazione alla nascita e che se ci va bene, rimane amorfo. Incompleto. Iniquo.

    Ma non basta mai.

    Neppure sommando tutti gli uragani e i nubifragi si potrebbe lavarne una sola da tutti i dispiaceri, turbamenti e infelicità che un’esserina così piccola e fragile, porta in sé.

    La solitudine dell’anima.

    Della mia anima.

    Dei miei occhi, che accarezzano il pigro gatto accovacciato sulle mie gambe, e neanche un amico col quale dividere i miei pensieri, stasera. Una serata da sala d’attesa.

    Ci vorrebbe un amico, penso canticchiando sulle note di una vecchia canzone, mentre una colorata oscurità dipinge le pareti della mia stanza.

    Un amico.

    Mi soffermo, e mi perdo nel vitreo del mio sguardo. E la mente vaga, confabula tra sé e sé e mi ricorda quanti ne ho avuti durante questi anni. Amici d’infanzia, di giochi, di scuola.

    Amici delle prime sbronze, delle prime canne, delle prime macchinate per andare alle feste. E poi, crescendo, amici coetanei ancora puri. Con i quali ti trovavi la sera tra una sigaretta e l’altra a parlare di grandi progetti, di perduti valori, di amore. E poi voltarti e vedere che tutti quegli amici, sono spariti. Puff! Com’è successo, quando?! Poco importa. Ora ci sono i social network. Se sei fortunato a ricordarti cognomi, basta un clic ed eccoli lì. Cambiati, addirittura irriconoscibili! Ma saranno loro?

    Gli amici che hai perso di vista.

    Ma com’è accaduto?

    Alcuni per selezione naturale, tant’è che quando li ritrovi ti ricordi del perché, appositamente, li hai persi per strada; e altri, semplicemente un giorno, hai smesso di chiamarli. Perché d’un tratto hai conosciuto Michele che è andato a sostituire Luca, e poi Camilla. Con le sue amiche così affini a te, il suo giro così cool, quel loro mondo così brillante, che ha sostituito Anna e le solite facce con le solite menate e i soliti posti con gli stessi colori. Succede che cresci, lavori, vai in palestra se riesci e le tue esigenze si modellano sul tempo che hai a disposizione e che vuoi condividere, e la parola d’ordine di questo gioco di faccine sul display dei tuoi giorni è: Divorare.

    Divorare appuntamenti, aperitivi, gente, gente e ancora gente. Perché se ti fermi sei Out. Se ti fermi è un attimo che sei fuori dal giro.

    Se ti fermi sei solo.

    Divorare eventi, mostre, gente, gente e ancora gente. Sembra non se ne conosca mai abbastanza. Racconti e ti fai raccontare la vita. Di chi poi… e perché. Perché arricchisce conoscere gente. Perché più ne conosci, da più ti fai conoscere, e più aumenta la stima in te stessa. Ti fa sentire importante, una che piace, una da presentare agli amici. E via, altra gente e gente. In una bulimica farsa di girone dantesco.

    Palle.

    Conosci e divori solo per trovare l’amore, perché gli amici senza l’amore, da soli, non bastano a farti stare bene. Perché tu in realtà cerchi l’anima gemella. Quello o quella che non ti faranno più sentire sfigata e triste come quegli amici che vedi accoppiati, e ti chiedi come mai loro, che sono fisicamente, culturalmente e socialmente inferiori a te, siano fidanzati e tu no!

    Ma vedi anche che loro hanno bisogno di te. Perché gli amici sono il collante dell’amore. Permettono di vivere i propri spazi, i conflitti della coppia, i pareri delle crisi. Gli amici sono coloro che cerchiamo di essere per qualcuno. Solo ed esclusivamente per sentirci amati. Riconosciuti. Questa è la verità. Il disperato e assoluto bisogno che abbiamo di sentirci amati. Di colmare un atavico vuoto. E io, è tutta la vita che ho dentro di me questo vuoto.

    Ha smesso.

    La pioggia si è interrotta. Ha preso una pausa fino a data da destinarsi. Il mio gatto ha sbadigliato, drizzato le orecchie, rigirate un po’ qua e là e si è spostato dall’altro lato del divano, lasciandomi libera di sgranchirmi le gambe e togliermi la matassa di pelo che vi ha depositato. Mi alzo e torno sul balcone.

    Respiro.

    Sospiro.

    Ora l’aria è fresca e satura del profumo della terra bagnata e del verde degli alberi. Qualche uccello temerario si sposta da una cima all’altra. C’è una bella atmosfera. C’è il sorriso della quiete dopo la tempesta, si dice. C’è lo scrosciare delle pozze al passaggio delle auto. C’è il suono greve dell’acqua che scorre nella grondaia accanto alla mia finestra, che come un fiume in piena, percorre velocissimo tutta la lunghezza del mio palazzo fino a giù. Fino a riversarsi in quello che per un insetto potrebbe essere un enorme lago di fogliame e vita.

    Respiro.

    Assorta ancora nei miei pensieri, sbuffo appoggiata allo stipite della porta finestra. Sbuffo e mi scazzo pensando che domani è lunedì. Pensando che inizierà una nuova settimana in ufficio. In mezzo a tutta quella simpatica pletore di colleghi, che nella fantasia senza censura della mia mente, mi vedo abbattere con un fucile a pallettoni. Come in uno di quei giochi al tiro a segno del luna park. Buongiorno! PUM! ..fuori uno…ricarico. PUM! In faccia a quella petulante prolissa tuttoculo palla al cazzo dell’amministrazione! PUM! A quell’ altra sfigata segretaria di direzione che è lì solo perché lo succhia al suo capo. PUM! PUM! PUM!!! E vinco il peluche a forma di giraffa!

    Gran bel posto gli uffici amministrativi, penso sardonica nel mio retro cranio divertito dalla scena.

    Mi risiedo sul divano che nel frattempo ho girato verso la finestra per guardare fuori. Per respirare la pausa della pioggia. E mi accendo un’altra sigaretta. Devo pensare a cosa mettermi domani, che vestiti indossare. Che palle. Non so mai cosa mettermi. Non ho gusto e non ho nemmeno tutta questa ampia scelta di vestiti e scarpe che hanno le mie colleghe che guardano le vetrine, che fanno shopping online. Che si scambiano foto via mail delle nuove collezioni di borse e di tutto ciò che a me non interessa. Io penso ad altro. Penso ad andarmene da tutte loro, misere piccole parassite del sistema. E sbuffo fumo con aria riluttante, sul mio divano IKEA della modica cifra di 475.00 euro. Tutto bello rovinato dal gatto che si fa le unghie e dalle caccole di fumo che ho scenerato il più delle volte, senza cognizione di causa.

    Guardo fuori mentre penso incessantemente a mille cose intervallate dal nulla. La pioggia ha ripreso a cadere, ritmica, incazzata. Come me. Lo sguardo è perso nel vuoto di riflessioni che viaggiano a velocità della luce, ma che non riesco ad afferrare nel momento in cui necessito farlo, per mettere a fuoco quel qualcosa che mi pareva interessante.

    «Troppe canne.»

    Mi dico, stridendo in un sorriso.

    Le zanzare non mi danno tregua. Cerco il fornelletto che dovrebbe seccarle, ma chissà dove diavolo l’ho messo. Con lo sguardo non lo trovo e alzarsi ora dal divano comporta già troppo sbattimento il solo immaginarlo, figurati farlo!

    Sono una larva.

    Non ho voglia di fare nulla.

    Meno male che vivo da sola, penso ridendo. Che non ho nessuno a cui dover badare.

    E pensare che come dice mia madre, a quest’ora potrei già avere un figlio adolescente.

    Un figlio.

    Famiglia.

    Con chi.

    Con chi?!?

    Mi basta vedere quello che ho intorno per ringraziare il Signore, l’Onnipotente, il Budda e tutti gli Dei onorevolissimi e santissimi allo stesso modo e nel diverso credo, perché non sia stata dotata di istinto materno e di smania di avere un erede. Un bimbo. Un figlio. Con quello che vedo in giro, che sento, che percepisco dai discorsi degli amici. Con quello che costa in termini economici, di tempo, di spazi e sacrifici. Per cosa, penso. La vita è già abbastanza difficile così com’è. Avere un figlio. Vedere il tuo fisico che si trasforma e si sforma in un qualcosa che non riconosci più. Gli ormoni impazziti, l’umore bipolare. Il delirio allo sbando come una pallina impazzita tra quattro mura. No grazie! Non fa per me. Il parto, le notti insonni. La rinuncia alla propria carriera in una società dove la donna è ancora nulla o è poco più di niente. Il compagno che non ti scopa più perché sei diventata una rompicoglioni tutta pappe, pannolini e amiche come te. Ti si restringe il mondo e ti si allarga il culo! Tu e il figlio. Il figlio e tu. E lui? Che si guarda intorno, che non ti vede più come l’oggetto del suo desiderio ma che ti vede madre dei suoi figli.

    Tragedia!

    Che poi quanti ne vedo di figli cresciuti anche in contesi idilliaci che diventano stronzi con la propria madre. Che menano il proprio padre. Che fanno dell’amoralità la propria morale. Quanti ne vedo nella quotidianità di rapporti amicali. Quanti ne respiro nei visi, per i quali sorrisi o lacrime sono subordinati agli umori della coppia. Dove ad essere felice non sei tu individuo ma tu moglie o marito, fidanzata o amante. Quanti. E tu dove sei?

    Tu, chi sei?

    Dove sei finita?

    Inutile sentirmi dire da occhi velati di fresco innamoramento: «Non è sempre così, Sara. Ci sono tantissime coppie che funzionano. Se così non fosse non ci sarebbe più gente che fa figli, che si sposa! Crollerebbe l’istituzione della famiglia, del matrimonio!»

    Ma non mi dire!! In trentacinque anni di vita ho conosciuto solo pochissime coppie che funzionavano. Poche famiglie sane, unite.

    Genitori di amici che stavano insieme perché appartenenti ad una generazione dove si doveva stare insieme. Perché si era fatto un giuramento. Perché il matrimonio era considerato un sacramento, una legittimazione dei figli eredi

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1