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Sette contro Tebe
Sette contro Tebe
Sette contro Tebe
E-book118 pagine52 minuti

Sette contro Tebe

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Info su questo ebook

Il testo in italiano tradotto da Ettore Romagnoli e la versione originale in greco della tragedia di Eschilo che rappresenta lo scontro tra i due fratelli Polinice ed Eteocle, quest'ultimo reo di non aver tenuto fede all'accordo e non aver ceduto il proprio posto sul trono della città di Tebe. La vicenda si concluderà nel peggiore dei modi in uno scontro diretto sul campo tra i due.
LinguaItaliano
EditoreKitabu
Data di uscita17 ott 2013
ISBN9788867442041
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    Sette contro Tebe - Eschilo

    SETTE CONTRO TEBE

    Αἰσχύλος, Επτά Επί Θήβασ

    Originally published in Greek

    ISBN 978-88-674-4204-1

    Collana: AD ALTIORA

    © 2014 KITABU S.r.l.s.

    Via Cesare Cesariano 7 - 20154 Milano

    Ti ringraziamo per aver scelto di leggere un libro Kitabu.

    Ti auguriamo una buona lettura.

    Progetto e realizzazione grafica: Rino Ruscio

    SETTE CONTRO TEBE

    PERSONAGGI:

    ETÈOCLE (re di Tebe)

    ARALDO*

    CORO DI FANCIULLE TEBANE

    ANTÌGONE* (sorella di Eteocle) 

    ISMÈNE* (sorella di Eteocle) 

    MESSAGGERO 

    ESPLORATORE

    POPOLO

    * Personaggio quasi sicuramente non presente nell’originale eschileo ed introdotto successivamente con un’interpolazione al testo. 

    AMBIENTAZIONE:

    La scena rappresenta una piazza sopra la rocca di Tebe. In fondo il palazzo del re, sul davanti l'altare comune dei Numi che proteggono la città: Giove, Giunone, Posidóne, Pàllade, Apollo, Artèmide, Marte, Afrodite. Al principio dell'azione si vede il popolo affollato dinanzi alla reggia e implorante il re. Questi esce, ed arringa.

    ETÈOCLE:

    Cittadini cadmèi, chi su la poppa

    de la città volge la barra, e regge

    lo stato, senza mai sopire il ciglio,

    parole acconce deve dir: ché quando

    ridon gli eventi ella è mercè dei Numi;

    ma se poi, deh!, non sia, male ne incolga,

    per la città solo sarebbe Etèocle

    con preludî d'obbrobrio altosonanti

    e con querele decantato - Giove

    che detto è salutar, salute arrechi

    alla città di Cadmo. - Or tutti voi,

    e quei che al fiore dell'età non giunge,

    e quei che lo mirò vizzo negli anni,

    riscotendo nei membri ogni vigore,

    volgendo alla piú acconcia opra la cura,

    date soccorso a Tebe, ed agli altari

    dei patrî Numi, che non mai d'onore

    sien privi, e ai figli, e a questa terra madre,

    carissima nutrice. Essa, reggendo

    dell'educarvi il peso tutto, pargoli

    repenti ancora, sul benigno suolo

    v'accolse e vi nutrí, ché cittadini

    fidi e fidi guerrieri, a tai frangenti

    un giorno foste. E insino ad oggi, il Nume

    a favor nostro s'inchinò: la guerra,

    mercè dei Numi, insino a qui, propizia

    volse, gran parte, a noi stretti d'assedio.

    Ed ora il vate educator d'augelli,

    che, senza fiamma, con l'orecchio, intende

    i fatidici alati, e col pensiero,

    e con la non mendace arte: costui,

    signor di tali vaticinî, annunzia

    che notturno concilio gli Achei tennero,

    e un grande assalto alla città si trama.

    Delle torri alle porte ed agli spalti

    dunque tutti affrettatevi, lanciatevi

    chiusi nell'arme, empiete i propugnacoli,

    piantate il pie' sui palchi de le torri,

    a cuor sicuro delle porte i valichi

    sbarrate: troppo una straniera turba

    non vi sgomenti: un Dio darà buon esito.

    Esploratori io già mandai, che spiino

    l'oste nemica: e spero bene ch'essi

    non indugin per via. Poscia che uditi

    li avrò, veruna insidia potrà cogliermi.

    (Il popolo si allontana. Dalla via che conduce fuor della rocca, entra un messaggero)

    MESSAGGERO:

    O dei Cadmèi signore ottimo, Etèocle,

    dal campo io giungo, e a te reco sicure

    notizie di laggiú: ché vidi io stesso.

    Sette guerrieri, impetuosi duci,

    sgozzato un toro dentro un negro ferreo

    scudo, e le man tuffando entro nel sangue,

    per la Strage, per Marte, pel sanguineo

    Terror, la rocca dei Cadmèi giurarono

    che diroccata avrebbero, spogliata

    la città con la forza; o che, trafitti,

    questa terra di sangue intriderebbero.

    E ciascuno appendea, versando lagrime,

    d'Adrasto al cocchio, per i suoi parenti,

    per la magione sua, pegni d'affetto.

    Né lagno uscia dai labbri. Pensier' ferrei

    spiravan l'alme, di valore ardevano,

    come leoni che negli occhi han guerra.

    Né tempo andrà che avrai di ciò contezza:

    io li lasciai che gittavan le sorti,

    a quale porta la sua schiera ognuno

    dovesse addurre. E tu, subito eleggi

    i migliori di Tebe, e delle porte

    ponili ai varchi: ché le schiere Argive,

    chiuse ne l'armi, avanzan già, di polvere

    si sollevano nembi; e di sue gocciole

    candida spuma la pianura spruzza

    dal pulmon dei cavalli. Or, come saggio

    nocchiero, tu provvedi

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