Eracle
Di Euripide e Ettore Romagnoli
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trova minacciata: l'usurpatore Lico in sua assenza si è fatto re a Tebe e si appresta a sterminare i suoi parenti. Eracle si
prepara allo scontro, ma anziché salvare la famiglia, sarà lui stesso a trucidare la moglie e i figli, in preda a un
inspiegabile furore. Cosa lo ha spinto a tanto? In questo sfaccettato dramma della follia, Euripide rivisita e sovverte il
mito classico, interrogandosi sulla precarietà della condizione umana, tanto fragile e vulnerabile: la forza dell'uomo più
forte è debolezza di fronte, se non agli dèi, cui Euripide non crede, al capriccio insondabile del destino.
Traduzione di Ettore Romagnoli.
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Anteprima del libro
Eracle - Euripide
ERACLE
Euripide
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli
Prima edizione 2018
© Sinapsi Editore
PERSONAGGI:
Anfitrióne
Mègara
Lico
Eracle
Iride
Furia
Araldo
Tesèo
Coro
Il palazzo d'Eracle a Tebe. Dinanzi al palazzo, un altare di Giove,
intorno al quale sono aggruppati supplici Anfitrióne, Mègara
e tre figli d'Eracle giovinetti.
Anfitrióne:
Chi non conosce Anfitrïóne d'Argo,
ch'ebbe al talamo suo Giove partecipe,
cui die' la vita Alcèo, figlio di Pèrseo,
e che d'Eracle fu padre? Io son quello.
E in Tebe venni a soggiornare, dove
la terrigena spiga degli Sparti
un giorno crebbe, della cui progenie
Marte ben pochi lasciò salvi; e questi
per i figli dei figli popolarono
di Cadmo la città. Da questi il figlio
nacque di Menecèo, Creonte, re
di questa terra; e fu Creonte padre
di Mègara, che qui vedete. Un giorno
tutti i Cadmèi per essa, al suon dei flauti
levaron l'imenèo, quando alla mia
casa l'addusse sposa Eracle illustre.
Ma poi mio figlio Tebe abbandonò,
il mio soggiorno, e i suoceri e Mègara,
e fra le mura d'Argo, e nella rocca
dei Ciclopi abitar volle, donde io
bandito fui, ch'Elettrïone uccisi.
E per lenir la pena mia, per brama
d'abitar la sua patria, in gran compenso,
offerse ad Euristèo, di sterminare
le belve della sua terra, o sia ch'Era
lo spingesse coi suoi pungoli, o sia
l'impulso del destino. Or, poiché tutte
l'altre fatiche ebbe compiute, in ultimo
dalle Tenarie foci all'Ade scese,
per condurre alla luce il can dai tre
corpi; e di là non è tornato ancora.
Un'antica leggenda è fra i Cadmèi,
che a tempi andati, un certo Lico, sposo
di Dirce, fu signor di Tebe e delle
sue sette torri, pria che vi regnassero
Anfíone e Zeto, i due figli di Giove
dai candidi puledri. Un suo figliuolo,
ch'à lo stesso suo nome, e non tebano,
ma venuto d'Eubèa, piombò su Tebe,
mentre a mal di fazioni essa era in preda,
Creonte uccise, ed or la terra impera.
Onde ora, sembra, è mal grande per noi
il parentado con Creonte stretto;
perché, mentre mio figlio è nelle viscere
della terra, il signor nuovo di questa
contrada, Lico, i figli vuole uccidere
d'Eracle, e, per lavar sangue con sangue,
uccidere la sposa, e me, se pure
tuttora annoverar convien fra gli uomini
me, disutile vecchio, affin che i pargoli,
un giorno, divenuti uomini, il sangue
non vendichin dei loro avi materni.
Ed io - poiché mio figlio, allor che scese
giú nella negra sotterranea notte,
qui mi lasciava educator dei figli,
della casa custode - affinché scampo
trovassero da morte i figli d'Eracle,
con la lor madre, a quest'altare venni
di Giove salvatore: il figliuol mio
nobile lo fondò, segno del suo
trionfo, allor che vinti egli ebbe i Minî.
E a questo asilo ci stringiam, di tutto
bisognosi, di cibo, di bevanda,
di vesti: il fianco distendiamo sopra
la nuda terra: sigillate sono
per noi le case, e piú non c'è speranza.
E degli amici, alcuni vedo ch'erano
amici falsi, e i veri non ci possono
prestare aiuto; è tal della sciagura
per gli uomini l'effetto. Oh, niun patirla
possa, per poco che mi sia benevolo.
Troppo verace prova è per gli amici.
Mègara:
O vegliardo che un dí, con tanta gloria,
le schiere dei Cadmèi capitanando,
ponesti a sacco la città dei Tafi,
nulla di chiaro mai veggono gli uomini
nei consigli dei Numi. Io sventurata
non fui da parte di mio padre; ch'esso
magnificato per la sua fortuna,
era, ché della terra aveva il regno,
il regno, onde le lancie a pugna balzano
contro chi se ne bea, piene di brama.
E figli