Nei suoi pantaloni
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Anteprima del libro
Nei suoi pantaloni - Marusca Cuccagna
103
NEI SUOI PANTALONI
Ispirato a una storia vera
Un libro di
Marusca Cuccagna
Dedico questo libro a Luca e ai miei tre figli
uniche e vere ragioni di vita.
Ringrazio infinitamente
Marco Menga
Alda Prandini Bravi
Davide Ederle
per avermi aiutato e per aver creduto nel mio lavoro.
Ringrazio Aldo per avermi dato un tema sul quale scrivere.
Capitolo 1
Lodi , 11 novembre 2009
Mercoledì, ore 16 e 24. Mirco l'aveva lasciata da due anni. Gli occhi abbassati sul centrotavola di cristallo, dove il sole del pomeriggio disegnava diademi a coda di pavone. Nina, stesa sul divano della dottoressa, galleggiava come su una piccola barca, picchiettando a intervalli regolari il pavimento di marmo chiaro con la punta delle dita. Mirco non era uno dei tanti.
Com'è che ci si è messa?
Non lo so, disse Nina. All'epoca mi sembrava la sola cosa da fare, ci conoscevamo da quando eravamo ragazzi, e l'ho sposato.
Emanuela, alla voce psicoterapeuti, era la prima donna sull'elenco. Al telefono era scattato subito qualcosa. Era stata dolce e Nina, accennando alla sua storia, pensava di aver fatto colpo su di lei. Così non poteva più esimersi dal passare dal suo studio e conoscerla.
Uno di questi giorni passo, le disse, abbassando la cornetta.
Ora che ce l'aveva davanti, però, la sua voce non le somigliava per niente. Trentacinque anni come Nina, una donna provocante, dai lunghi capelli rossi, naso pronunciato, denti bianchi e dritti, una persona energica. Vedeva come la guardava, con lo sguardo un po' obliquo, pensoso e remoto come di chi ne ha passate veramente tante. Nina decise di fidarsi di lei e si rilassò.
Ora sono felice, ho superato nove anni tristi e gli ultimi due addirittura disastrosi. Ma, mi domando: quanto dura la felicità? Crede che avrei potuto far qualcosa prima per migliorare lo stato delle cose?
Nina si accovacciò ancora di più sulla poltrona.
Penso, dottoressa, che siamo tutti uguali, pronti a valutare la vita, soprattutto quella degli altri, solo col senno di poi. Lei ha figli?
Sì, Nina. Ho un figlio di pochi mesi. Ora è dalla nonna. Se decide di tornare, glielo presento.
Mi dica dottoressa, ho fatto tutto giusto? Doveva andare proprio così la mia vita? Ho sentito dire che con l’ipnosi si può arrivare a capire la fonte del dolore e delle proprie paure.
Proprio come Nina, Emanuela fermò lo sguardo sul centrotavola, e sorrise alla vista del caleidoscopio di luci e colori che tremava come intrappolato nel cristallo. Pochi minuti ancora e il sole sarebbe sceso di quel tanto e avrebbe fatto esplodere quell'energia cromatica sulle quattro pareti del piccolo studio. La dottoressa lo sapeva bene.
….................................................
MAMMAAAA! LE APIIII!
Nina spalancò gli occhi nel cuore della notte. Si girò nel letto.
Hai sentito anche tu?
Nina allungò il braccio verso la persona coricata accanto a lei. Poi si fermò di colpo e produsse un verso a metà tra una risata e un lungo sospiro. Nell'altra metà del lettone Simone, il secondogenito, pareva non essersi accorto di nulla, e il suo sonno non era stato scalfito da nulla.
Tesoro, appena puoi ti infili sempre qui, vero? Vado un secondo da tuo fratello, non svegliarti proprio adesso altrimenti mi scoppi anche tu in lacrime...
Niente fantasmi quella notte. Disarmata, Nina scosse il capo e a fari spenti si precipitò in direzione delle presunte api, caracollando nelle ciabatte. Da quando era diventata mamma aveva imparato a dormire con un occhio aperto e uno chiuso, a cogliere respiri che nessun altro può sentire. Nella cameretta c'era anche Mirco, suo marito. Spiaggiato come una balena nel piano di sotto del letto a castello, non aveva fatto una piega al grido che il figlio aveva cacciato solo poche spanne sopra di lui. Faceva sempre così quando tornava tardi dopo una serata con gli amici e trovava Simone al suo posto nel lettone. Nina studiò il volto del marito con distacco e un'aria di divertita indulgenza. Può darsi che in quel momento il suo cranio fosse pieno di acqua di mare, perché, non morto, non aveva sentito nulla.
Deve aver bevuto parecchio anche questa sera. Guarda come dorme beato, mentre io sono senza pace, nell'inferno della terra... Giacomo, tesoro, non ci sono le api, stai sognando. Tranquillo….shhh…sono qui vicino a te.
Nella stanza, tra le tapparelle abbassate a metà, a farsi strada era solo la luce di un lampione. Mancavano ancora un paio di ore all'alba e Mirco, aggrappato al santo protettore dei metalmeccanici, si sarebbe dovuto svegliare presto, scaldare il diesel del Doblò aziendale e farsi trovare pronto in fabbrica per il turno delle sei, giù al San Martino.
Da anni ormai Nina aveva perso interesse per quel genere di serate, al pub o in discoteca con gli amici, mentre covava in lei la sensazione che la sua vita sarebbe profondamente cambiata. Insieme a Mirco erano arrivati la casa, il matrimonio, il lavoro, i figli, tutto con semplicità e naturalezza. Per Mirco, invece, sembrava fosse accaduto il contrario, pronto a caricarsi una famiglia sulle spalle a vent'anni, quando tutte le sere gli amici facevano la corte a una cameriera diversa e lui preferiva starsene a casa, ora, che ne aveva trentacinque, si vergognava di andare a letto a un'ora poco virile, quasi temendo che una qualche passione, che non fosse l'effetto dei fumi dell'alcol, lo avrebbe reso insonne. Nina di tutto questo era la spettatrice che tutte le sere, da sola, faceva il giro della casa per spegnere le luci. Attraversava lo stretto corridoio, e, prima di andare a letto, dava un'occhiata nella cameretta dei bambini; li ascoltava dormire profondamente con la bocca aperta, finché i suoi occhi di mamma si abituavano all'oscurità e riuscivano a scorgere i loro profili torniti, avvolti nelle coperte come lumache.
Chissà cosa stanno sognando.
Era la spettatrice i cui occhi di moglie si riempivano tutte le notti di lacrime, perché ancora pochi passi e si sarebbe svestita, infilata da sola sotto le coperte e atteso tremante che il letto si scaldasse.
L'urlo di Giacomo aveva risvegliato solo lei e una luce piccola e bassa sul tappeto. Era il cellulare di Mirco abbandonato a terra.
Chi chiama alle tre di notte? Sarà un amico in panne con la macchina. Mirco c'è sempre per gli amici.
Lo raccolse da terra e lo aprì. Sullo schermo la scritta Un messaggio ricevuto
. Senza riflettere lo lesse e una pugnalata le arrivò dritta allo stomaco. Il sonno che prima le pesava sulle palpebre si era trasformato in adrenalina. Non può essere. Rilesse il nome del mittente e il contenuto. Presa da un raptus di follia impulsiva scagliò il cellulare sulla testa di Mirco, ma nel suo cuore sapeva perfettamente che non poteva essere vero. Doveva trattarsi di un errore, qualcuno aveva composto il numero sbagliato, quel messaggio non era per Mirco, suo marito non poteva farle questo.
….................................................
Al mio tre si sveglierà…lentamente… e avrà coscienza di ciò che ha vissuto. Uno, due, tre. Stia sdraiata, ha tutto il tempo che vuole, è stata dura a quanto pare.
Nina riusciva a fatica a ritrovarsi nella realtà del 2009, era stato così vero che le affiorò in volto tutta la rabbia provata allora. Aprì gli occhi e si ritrovò nello studio assolato della psicologa, un po’ troppo soleggiato, quasi fastidioso.
Come ho fatto a non vedere? Eppure ero li, ce l’avevo davanti, e non vedevo.
Signora De Marchi, probabilmente era lei stessa a non voler vedere.
Perché avrei dovuto?
Siamo pur sempre animali e in alcuni casi, invece della ragione, facciamo prevalere l’istinto. Voleva a tutti i costi salvaguardare la sua famiglia, non c’è niente di sbagliato in questo, non se ne deve dare la colpa.
La dottoressa sorrise a Nina e le afferrò delicatamente la mano.
Starà bene, mi creda.
Emanuela si alzò, facendole capire che il suo tempo era scaduto. Dietro di sé una scia di profumo speziato.
Capitolo 2
Quella sera in viale Rimembranze Nina dormì, come tutti gli altri abitanti della città, esclusi gli insonni, i nottambuli e chi aveva il turno di notte. Dormì come Mirco, ma anche come i piccoli Giacomo e Simone e la rossa Emanuela. Lodi, con così tanta gente addormentata, odorava dei campi arati che la circondano e di pigiami di flanella. La quiete della città sembrava imporsi per editto.
In via Pavia, sotto il ventaglio di luce di un lampione, torto come un lumacone addormentato, una lacera locandina invitava a una serata anni '80 nella discoteca Prima, graditi anfibi, cinture borchiate e occhi bistrati. Il giorno e l'anno erano lasciati alla sola memoria di chi c'era stato.
Ciao Nani...
E con la bocca la baciò tre volte sul viso. Forse sull'angolo della bocca, dove capitava capitava. Era stupenda. Nina rispose con un sorriso, non riusciva neppure ad aprire gli occhi. Cercò di reagire.
Mmm-hmmmm. Buon lavoro Lu.
Luca restò ancora qualche istante seduto sul letto accanto a lei. Guardò quella massa disfatta di capelli e lenzuola. Nina emise un gemito di spossatezza e si riassopì.
Ci vollero due ore perché Nina fosse di nuovo svegliata, questa volta da Simone. Erano le otto quando si precipitò nel lettone della mamma.
Sai di sonno buono
Sì mamma, non ho fatto la pipì a letto.
Certo amore, lo so.
Giacomo?
Non lo so, se ha fatto la pipì, e se l’ha fatta non devi prenderlo in giro! Ok?
Ok, ma io non l’ho fatta!
Lo so tesoro.
Due passi indietro comparve la sagoma, dondolante e instabile, di Giacomo.
Mamma… sono tutto bagnato.
Nina, dopo un istante di silenzio, allargò le braccia verso Giacomo e prese il bimbo in braccio. Con voce sommessa e pacata, con quel tono di voce a cui i bambini prestano attenzione, gli sussurrò qualche parola all'orecchio e gli diede un bacio sulla guancina. Guardò Giacomo e vide i suoi occhi velati di lacrime e gli sorrise dolcemente.
Dai Gigio, oggi tutti e due siete più bravi di me, la vostra mamma è ancora a letto e voi siete già in piedi come due ometti. Chissà che fame...
Latte, cioccolato e tanti biscotti per fare la zuppa per i ragazzi, solo una tazza di caffè d’orzo per Nina. C'era anche un vasetto di miele al ginseng per darsi una carica maggiore, ma quella mattina proprio non voleva fare effetto.
Forza ragazzi, porto giù Billo, e poi partiamo.
Mamma, posso dirti una cosa?
Spara.
Gigio non mi dà il telecomando e io non voglio vedere Scooby Doo!
Simone, non cominciare a piangere di prima mattina! Giacomo ti prego dagli il telecomando, altrimenti non usciamo più...
E va bene! Ma Simo vuole sempre tutto quello che ho io!, e scagliò il telecomando sul divano.
Tu la sai una cosa mamma?
Cosa?
Che l’altro giorno Simone mi ha detto stupido!
Non è vero!!!, ribatte l’altro piagnucolando.
Ok, adesso ne ho abbastanza, è tardi, e come tutte le mattine che manda il Signore voi litigate. Adesso porto questo povero cane a fare pipì e quando torno vi voglio pronti, con i denti lavati e il gel nei capelli! Non fatemi arrabbiare, vieni Billo, andiamo….GIGIO, SPEGNI LA TELE!
Nina finalmente uscì. Non vedeva l'ora di essere sul lavoro e potersi riposare un po'.
Capitolo 3
Quanti traslochi hai fatto nella vita?
Ho cambiato cinque case.
Non intendo spostamenti di mobili e cianfrusaglie, ma di sentimenti.
Faresti meglio a farti un goccio, Alessandra. Non riesco a seguirti.
Nina risaliva corso Vittorio Emanuele fino all'Incoronata in compagnia di Alessandra, quella che chiamava Lamiaamica
. Insieme costeggiavano le vetrine, spiando le proprie immagini nei vetri e con un occhio ai commessi. Il traffico del tardo pomeriggio scorreva pigro, rimaneva solo il tempo per un aperitivo tra amiche, prima di rientrare nei rispettivi ruoli di madri e amanti.
Quello che voglio sapere è quanti uomini hai amato.
Certo Ale che le metafore sono proprio il tuo forte!
Con Alessandra o si rideva o si piangeva, non c'erano vie di mezzo e quel giorno si rideva.
Mio padre, i miei figli, Mirco e adesso amo Luca, e tu invece ti sei schiodata dal venezuelano?
Non ancora.
Ma scusa, non era partito? Sono già passati sei mesi! Lamiaamica raccontami!
Rosario Della Puente, detto Roger, era un giovane giocatore di basket. Tre anni prima aveva sedotto Lamiaamica
e da allora ogni settembre faceva ritorno in Venezuela per l'inizio del campionato sudamericano, lasciando Alessandra ad aspettarlo col naso in su, senza darle uno sputo di speranza per un futuro insieme. Dalla sua aveva che era bello da morire, ma spesso questo non le bastava per affrontare da sola sei mesi invernali, stretta in un maglione di lana.
Torna prima, anzi, fra una settimana è qui, e io non so cosa fare. Questa volta avevo detto basta, davvero, ero quasi felice di non sentirlo da più di venti giorni. Ieri mi ha chiamata e tutto in un sorso mi ha detto che sarebbe tornato e, indovina indovina, dove va a giocare?
A Lodi?
Milano!
Nina a stento trattenne una risata che all'ultimo rigirò in una smorfia di disapprovazione.
No, non è possibile! O è sfiga o un segno del destino. Tu cosa pensi?
Non penso niente, ma mi sono trasferita apposta per non vederlo e ….sono stanca di rincorrere un sogno, e stanca di farmi rincorrere da una falsa speranza! Ho una settimana di tempo per trovare un ragazzo che mi faccia dimenticare Roger.
Vuoi traslocare quindi.
Sì… voglio traslocare.
Capitolo 4
Ci volle tutto il repertorio di Baglioni, ma alla fine Nina riuscì a far addormentare i bambini. Iniziava così la parte più interessante della sua giornata, la fascia oraria 21-23. In punta di piedi entrava in sala, richiudeva la porta alle sue spalle. Lui era lì ad aspettarla sulla poltrona. Gli si sedeva accanto, e, adagiando la schiena al bracciolo, allungava le gambe sulle sue. Il rito si ripeteva ormai da due settimane.
Di solito la aspettava sveglio con la sigaretta accesa guardando i Simpson alla TV, ma quella sera stava già dormendo. Nina lasciò trascorrere più di mezz’ora, finché decise che era tempo di svegliarlo. Gli si avvicinò piano e lo baciò sugli occhi.
Luca, andiamo a letto?
Sono