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La città delle anime: Il libro delle anime 2
La città delle anime: Il libro delle anime 2
La città delle anime: Il libro delle anime 2
E-book315 pagine4 ore

La città delle anime: Il libro delle anime 2

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Info su questo ebook

Fantasy - romanzo (248 pagine) - A chilometri e chilometri di distanza, attraverso terre inospitali e venti che sussurravano inquietanti verità, c'erano quei luoghi spaventosi. Là regnavano le ombre, e là tutto doveva essere iniziato.


Volando a dorso di una grande poiana, da una Valframés mutata dalle sue azioni, Michele è arrivato alla Città delle Anime, proseguendo il suo percorso di crescita. Ma prima di affrontare le nuove e terribili prove che lo aspettano, deve orientarsi, comprendere il mondo che gli sta intorno e gli equilibri di potere tra i suoi abitanti: le anime Sognanti, le anime Brillanti e quelle Reiette. Tante cose da apprendere e da capire in poco tempo, per radunare un gruppo di coraggiosi e proseguire il suo viaggio verso il settimo anello e la Coda dello Scorpione, luoghi tenebrosi che custodiscono la risposta a molti misteri.


Maurizio Cometto è nato a Cuneo nel 1971. Tra i suoi libri pubblicati, il romanzo Il costruttore di biciclette (Il Foglio 2006), la raccolta L’incrinarsi di una persistenza e altri racconti fantastici (Il Foglio 2008), e il romanzo per istantanee Cambio di stagione (Il Foglio 2011). Nel febbraio 2016 è uscito il racconto lungo La macchia, per Acheron Books. Ha pubblicato numerosi racconti in antologie, siti internet e riviste. Laureato in Ingegneria Meccanica, vive a Collegno.

LinguaItaliano
Data di uscita13 apr 2021
ISBN9788825415773
La città delle anime: Il libro delle anime 2

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    Anteprima del libro

    La città delle anime - Maurizio Cometto

    9788825415438

    LA CITTÀ DELLE ANIME

    Dopo varie avventure Michele Valloni arriva a Valframés, una sorta di Vallascosa (il paese dove vive) al contrario. Insieme agli amici Mnis riesce a sconfiggere la Madama Gracchiante e a disinnescare il terribile rito di passaggio della muta. Ma le sue avventure non sono finite: a bordo di una maestosa poiana, e accompagnato dalla Mnis Lucetta, varca la soglia della stansia veuida, al di là della quale si trova la mitica Città delle Anime. Intanto a Vallascosa i suoi genitori si chiedono con sgomento quando potranno finalmente riabbracciarlo, e a Valframés i Mnis e i Giassà devono fare i conti con una realtà completamente cambiata…

    Prologo

    Al Sognatorio#9

    La notizia era arrivata pochi istanti prima che Lena si svegliasse per la seconda volta. Vicino al letto c'era Rosanna, che pulsava come una lucciola color rosa confetto. Subito ci furono i pianti, gli abbracci, le raccomandazioni. Che non si azzardasse più a sparire come aveva fatto tanto tempo prima. Che spavento aveva fatto prendere a tutti… Avevano pensato che fosse diventata addirittura una Reietta.

    Ma quella cosa era troppo eccitante, così Rosanna gliela riferì.

    – Hanno trovato Riccardo – disse con voce tremula. –

    Lena si tirò su. Anche lei stava pulsando. La luce, azzurrina nel suo caso, si diffondeva a onde tutt'intorno a lei.

    – Cosa vuol dire che l'hanno trovato? – Si sentiva ancora confusa.

    – Ai confini della città vecchia. Lo stanno portando qui.

    – È una grande notizia… C'è qualcuno dei nostri con lui?

    La luce di Rosanna sembrò tremolare.

    – Tua sorella Duttilia. È stata lei ad avvertirmi.

    Lena si alzò in piedi. Nella stanza c'era solo sua nuora. Non aveva più bisogno di assistenza.

    Avvertiva una specie di gonfiore all'altezza del ventre.

    Gli sovvennero dettagli del suo sogno appena abbandonato. Michele era ancora a Valframés! Doveva assolutamente comunicare con lui.

    – Come ti senti? – le chiese la donna.

    – Bene. E tu sei contenta di cosa è successo a Riccardo?

    La luce di Rosanna si fece ancora più fievole.

    – Voglio solo rivederlo. Duttilia mi ha detto… – Esitò.

    – Cosa?

    – Gli è successo qualcosa di strano. Spero solo che stia bene. Dopo tutto questo tempo…

    * * *

    Scesero al piano terra, nella hall del Sognatorio#9. Lena dovette firmare alcuni documenti. Le dissero che la mattina dopo si sarebbe dovuta presentare al Palazzo delle Lucciole, perché il Consiglio delle Anime voleva approfondire il suo caso.

    – Io non conto nulla – mormorò a Rosanna. – Sono altri i casi che dovrebbero studiare.

    Le grandi porte a vetri dell'ingresso erano attraversate da un viavai di anime Brillanti. Ciascuna aveva il suo colore, la sua frequenza di vibrazione, la sua intensità. Lena e Rosanna si diressero al reparto accettazioni.

    All'interno dell'ufficio regnava una grande agitazione. I colori delle anime si mischiavano tutti, in un caleidoscopio che pareva senza senso. Le voci si sovrapponevano.

    – Un'anima Reietta che d'un tratto si addormenta… inaudito!

    – Cosa ci dobbiamo aspettare, adesso?

    – Ma dicono che pulsa. Di un colore verde smeraldo, meraviglioso. Pulsa!

    – Per favore, non scherziamo. O pulsa o sogna, non è mica come…

    – Attenzione, per favore, sta per arrivare!

    Il colore di Rosanna si era fatto più scuro. Lena le cinse le spalle e la strinse a sé. Aveva l'impressione che la propria luce emanasse un calore speciale, diverso da quello delle sue simili.

    La porta si spalancò. Entrò di gran carriera una lettiga sospinta da due anime Brillanti che lampeggiavano come sirene. La lettiga era avvolta da un alone verde intenso, che pulsava debolmente.

    Lena e Rosanna si sporsero a guardare.

    Il viso di Riccardo, ancora stremato da anni di dura e oscura vita da anima Reietta, sembrava adesso placidamente addormentato.

    – Figlio mio… – mormorò Rosanna.

    – Cardìn… – sussurrò Lena.

    – Chi siete? – chiese un inserviente dalla forte luce color ambra.

    – La mamma e la nonna – rispose Lena.

    – Lei si è appena svegliata, vedo. Va bene, seguiteci. Avete qualche idea di cosa sia successo?

    Rosanna scosse il capo, mentre Lena rimase in silenzio.

    All'improvviso comparve Duttilia. La luce grigio chiaro si avvolgeva intorno a lei come una treccia. Vide Lena e sorrise.

    Le due sorelle si abbracciarono.

    – Questa volta spero che tu ti sia svegliata definitivamente.

    – Credo proprio di sì. Ma cos’è successo a Riccardo?

    Gli occhi di Duttilia divennero lucidi, e la sua luce virò sull'argento.

    – Un miracolo, ecco quello che è successo – mormorò, commossa. – Un vero e proprio miracolo.

    * * *

    Mentre seguivano la lettiga ai piani superiori, Duttilia raccontò loro tutto ciò che sapeva.

    Stava rincasando da una commissione. Davanti all'uscio di casa, che come sapevano sorgeva nei pressi del Parco della Rimembranza, si era voltata verso il fondo del viale, attirata da un bagliore. Erano le luci lampeggianti di alcuni inservienti di un Sognatorio.

    Una strana premonizione le aveva rattrappito la treccia di luce, e l'aveva costretta ad avvicinarsi. Sapeva che le anime Reiette vagavano per il parco, anche se fortunatamente di rado le capitava di vederne qualcuna. Un capannello di Brillanti curiose circondava i due inservienti, chini su qualcuno steso a terra.

    Una luce verde smeraldo, tenue, pulsava debolmente illuminando i muri dei palazzi.

    Pensava di essersi dimenticata del viso di Riccardo, il figlio di sua sorella. Era rimasto così poco al Sognatorio, e poi era scappato, come avevano fatto tanti altri, diventando una di quelle striscianti. Quanti anni erano trascorsi? Venti? Trenta?

    Eppure lo riconobbe subito. Era privo di coscienza e giaceva steso a terra, il viso segnato da anni di oscuri vagabondaggi. L'espressione era scavata ma tranquilla, come avesse ritrovato la pace.

    Dietro quei lineamenti di adulto le era parso di intravedere la faccia impaurita del bambino che era stato.

    Solo mentre dichiarava agli inservienti di conoscerlo, si rese conto dell'anomalia. Nonostante i tentativi, sempre più timidi, gli inservienti non riuscivano a svegliarlo. Un'anima Reietta pareva essersi davvero riaddormentata. Non era mai successo.

    Era ritornata a essere un'anima Sognante. E come non bastasse, cosa ancora più inaudita, la sua luce pulsava. Pulsava come quella di tutte loro, le Brillanti, vere colonne della Città delle Anime.

    Le tre donne adesso sostavano in piedi nella stanza. Riccardo era stato sistemato nel letto, e giaceva sul fianco sinistro. Il viso era segnato da mille rughe ferme. Solo gli occhi si muovevano; le palpebre vibravano come mosse dai fantasmi di un sogno. Sia pur debolmente, la luce verde pulsava. Le pareti bianche s'illuminavano a scatti intermittenti, di un colore che era un misto tra il verde tenue di Riccardo, l'azzurrino di Lena (il colore dominante), il confetto di Rosanna e il grigio acciaio di Duttilia.

    – Lena, tu invece cos'hai da dirci? Cos'hai sognato? Perché ti sei svegliata due volte? – l’interrogò Duttilia, fissandola con espressione severa.

    Lei gettò lo sguardo attraverso la finestra. Il parco e il Palazzo delle Lucciole erano più avanti, verso nord. Ma oltre a essi, a chilometri e chilometri di distanza, attraverso terre inospitali e venti che sussurravano inquietanti verità, c'erano quei luoghi spaventosi. Là regnavano le ombre, e là tutto doveva essere iniziato.

    – Lena, mi hai sentita?

    – Non capisco…

    – Sei l'unica in tutta la Città che si è svegliata due volte. E nel momento in cui lo fai definitivamente, ecco che Riccardo torna a essere una Sognante. Non può essere casuale.

    – Come puoi sostenerlo?

    – Quello che gli è successo ha a che fare con la tua anomalia, ne sono sicura.

    La grigia e lucente treccia di Duttilia sembrava un fascio di cavi d'acciaio.

    Lena sospirò. – L'unica cosa che mi sento di dirvi, e che ho visto nel mio sogno, è anche la più semplice… Forse… Forse lui sta per tornare.

    – Lui chi?

    Proprio in quel momento la porta della stanza si spalancò. Un miscuglio di luci rosse e arancione invase l'ambiente, soffocando le altre. Le guidava una specie di colonna di luce color porpora, tanto intensa da parere solida, e dalla pulsazione calma ma possente.

    – Signora Lena… dovevamo vederci domani mattina, ma a questo punto è necessario anticipare.

    – Ministro… – sussurrò Lena. Lo vedeva per la prima volta, ma non aveva faticato a riconoscerlo.

    – Dobbiamo parlare.

    Duttilia e Rosanna, un poco intimorite, furono costrette a uscire dalla stanza. Lena osservò meglio i tre nuovi entrati. Le arancioni erano semplici guardie. Il terzo, quello color porpora… Il Ministro… La sua luce era così forte che pareva scuotere a ogni pulsazione le pareti.

    – Davvero sta tornando? – le chiese.

    Lena capì che doveva aver origliato i loro discorsi.

    – Non è ancora sicuro. Dipende… dipende da lui – indicò il letto, Riccardo.

    – Ma soprattutto… – continuò. Era incerta. Non sapeva se lasciarsi andare, se fidarsi. Eppure era necessario, da sola non avrebbe mai potuto fare nulla.

    – Soprattutto? – l'incalzò il Ministro.

    – Suo figlio. Dovete portarmi nella sua camera. Devo parlare con lui.

    Il Ministro concentrò la luce su di lei.

    – Come può parlare con il figlio di Riccardo Valloni? È ancora un'anima Sognante.

    – Posso. Parlerò con la sua controparte fisica. Si trova a Valframés.

    – A Valframés? Mi sta prendendo in giro? Il suo sogno è a Vallascosa, come tutti gli altri.

    – Io l'ho visto. Portatemi da lui. Solo così ci può essere speranza.

    Ci fu un istante di silenzio.

    – Parliamoci chiaro, Lena. È in gioco la nostra sopravvivenza, e l'equilibrio stesso della Città. Un equilibrio conquistato così faticosamente nel corso degli anni. Lo capisce, questo, vero? E non parlo solo di noi Brillanti, o delle Sognanti. Intendo anche le Reiette, nonostante il loro infausto destino. La prego di essere chiara, e di dirmi tutto ciò che sa.

    – Sono a disposizione.

    – Cosa sta succedendo?

    – È difficile spiegarlo in poche parole… io sono ancora così confusa.

    – Ma davvero la profezia si sta avverando? Davvero lui sta tornando?

    Un movimento li fece voltare. La luce verde smeraldo pulsava più rapida. La sua intensità sembrò per un momento rivaleggiare con quella del Ministro.

    Riccardo si agitava nel sonno. Si girò da una parte, poi dall'altra. Le palpebre serrate tremavano come attraversate da una scossa elettrica.

    Anche le labbra, screpolate dagli anni di vagabondaggio, d'un tratto si mossero.

    – Michele, dove sei…? – filtrò attraverso esse, in un rauco sussurro.

    – Michele…Chi è Michele? – domandò il Ministro, irritato da quella situazione per lui incontrollabile.

    – Suo figlio… mio nipote – rispose Lena.

    * * *

    Salirono ai piani superiori. Più l'anima Sognante era giovane, più doveva stare in alto, e viceversa, quelle vecchie sognavano ai piani inferiori. Era una questione di comodità, perché era più frequente che si svegliassero le anime avanti con gli anni.

    Si fermarono al penultimo piano. Lena e il Ministro erano soli. Duttilia e Rosanna erano rimaste da Riccardo, tra le vibrate proteste della prima e i timidi commenti della seconda.

    Nella stanza la serranda era quasi del tutto abbassata. Eppure c'era luce. Il bagliore bianco di Michele illuminava le pareti come un grande abat–jour.

    Lena vide subito che il piccolo era preda di un incubo. Si agitava nel letto, gocce di sudore ne imperlavano la fronte. Fiochi lamenti gli uscivano di bocca.

    – Signora Lena… signora Lena!… – sussurrava.

    – La sta chiamando? Perché? – fece l'uomo, perplesso. Era strano come il suo fiero raggio color porpora, lì dentro, sembrasse indebolito. Ma Lena in fondo non ne era stupita.

    – Ci lasci soli.

    – Non è possibile.

    – Invece è necessario.

    Il Ministro sembrava una roccia di rubino piantata nel pavimento. Lena non abbassò gli occhi di fronte al suo sguardo diretto, che scaturiva da quei due puntini neri sepolti nel suo viso. Qualcosa nella forza della sua luce parve cedere.

    – Cosa vuole fare?

    Lena si appoggiò il palmo della mano sul ventre.

    – Devo parlargli. È troppo importante. E devo farlo subito, altrimenti…

    – Ma come può parlargli? Sta sognando!

    – È a Valframés. Devo fargli capire che lei è ancora… che io sono ancora viva. Devo infondergli coraggio.

    – Non è possibile che sia a Valframés.

    – La sua controparte fisica è là. Se tutto va bene, lui verrà qui, lo capisce? Io ero con Michele, e lo sono ancora adesso.

    – E va bene, ma io devo essere presente al vostro colloquio.

    La luce azzurrina di Lena, che l'avvolgeva in una nuvola calda e accogliente, sembrò imporsi per un attimo su quella rosso porpora.

    Il Ministro fece un passo indietro, poi sospirò. – Ho capito, devo fidarmi di lei. Non posso fare altrimenti. Aspetterò qua fuori, ma dopo dovrà raccontarmi tutto…

    Lena annuì lentamente, come se quel gesto le costasse una fatica immane. L’altro finalmente uscì dalla camera. Della sua luce così forte rimase soltanto una striscia rosso fuoco, che filtrava da sotto il battente della porta.

    Lena prese una sedia e si sistemò accanto al letto. Guardò Michele per qualche secondo. Il ragazzino si voltò verso di lei; la faccia era immobile, ma le palpebre vibravano incessantemente, secondo un ritmo impossibile da stabilire.

    – No… non può essere… non è vero… – si lamentava il ragazzino, di fronte a chissà quale visione.

    Lena chiuse gli occhi e si appoggiò entrambe le mani sul ventre. Era lì che sopravviveva ancora un frammento di lei, della sua controparte fisica, frammento che avrebbe permesso la loro comunicazione. Riuscì a concentrare la luce azzurrina in un globo incandescente, che sembrò levitare a pochi centimetri dalle sue mani.

    Il globo si mosse. Lentamente si portò verso il viso di Michele, fino a inglobarlo del tutto dentro di sé. La luce immacolata sulle pareti divenne meno chiara, macchiandosi d'azzurro.

    Lena bisbigliò qualche parola. Anche le labbra del ragazzo si mossero. Iniziò un dialogo fatto di bisbigli, durante il quale l'anima Sognante parve decisamente calmarsi.

    – Fidati di te stesso, Michelìn. Solo così potrai riuscire. Buona fortuna… – furono queste le ultime parole che Lena pronunciò.

    Riaprì gli occhi. La sua luce e quella di Michele si sciolsero. Il ragazzo sembrava ora dormire un sonno tranquillo.

    La donna staccò le mani dal ventre e si rialzò in piedi. Il senso di nausea era passato. Al suo posto avvertiva un vuoto profondo, e credette di capire a cosa era dovuto.

    Quel segno sul suo ventre… quel segno che avevano tutte.

    Aprì la porta. Il Ministro la fissò, incerto. La luce rossa era come un pilastro di pietra levigata che lo conteneva tutto, tanto era solida.

    – Allora? – domandò semplicemente.

    – Non è successo ancora niente. Ma le cose si stanno muovendo come devono muoversi. E questo significa…

    – Cosa significa? – il tono di voce si alzò.

    – Il Sorvegliante sta per tornare.

    Lì nella stanza la luce azzurrina di Lena, giù dabbasso la treccia grigia di Duttilia e il fiore rosa di Rosanna. Nelle stanze delle migliaia di anime Sognanti che giacevano in quel Sognatorio, nelle strade dove le Brillanti reggevano le sorti della Città. Nei vicoli oscuri e nei sotterranei inesplorati dove le Reiette penavano e baravano.

    Al suono lontano delle parole di Lena, tutte queste luci ebbero un fremito.

    Si espansero. Si sfiorarono e si mischiarono. Sembrarono fondersi insieme, in un caleidoscopio infinito.

    Ma tutto questo durò solo un istante, e nessuno se ne accorse.

    – Mi segua al Palazzo delle Lucciole. Riunirò il Consiglio in seduta straordinaria. È ora che vengano prese delle decisioni.

    Lena, ancora stordita dal senso di vuoto che sentiva all'altezza del ventre, seguì la scia rosso porpora senza fare commenti.

    1

    La processione colorata

    – È una meraviglia! – esclamò Michele.

    Era stato in aereo una sola volta, qualche anno prima. Ma questo era diverso. Quanto era diverso.

    – Sì, è bellissimo! – esclamò Lucetta alle sue spalle.

    Volavano alto nel cielo, in groppa a Poiana. E sotto di loro, centinaia di metri più in basso, si stendeva il panorama più incredibile che Michele avesse mai visto. Quella città non somigliava a nessun'altra. C'erano case, palazzi, torri, strade, ponti, piazze, certo, ma soprattutto…

    Soprattutto, c’erano le luci.

    Eppure all'inizio non era stato così. Subito dopo che si era accorto della presenza di Lucetta dietro di sé, Michele aveva guardato in basso, e aveva scorto un panorama ben differente da quello. Una grande conca in mezzo a picchi rocciosi, circondata da impenetrabili nebbie, si stendeva a non più di venti o trenta metri al di sotto. Su un lato della conca un capanno, fuori dal capanno un uomo con dei vistosi baffi li osservava. All'improvviso si erano sentiti presi da una forza irresistibile, che li aveva fatti precipitare. Non avevano potuto fare altro che chiudere gli occhi, e urlare. Stranamente non si erano schiantati: avevano continuato a cadere nel nulla. I secondi passavano, e loro continuavano a cadere. Michele aveva pensato che Poiana fosse morto. Ma dopo un tempo indefinito, che avrebbe potuto essere di minuti come di anni, la caduta era cessata. Michele aveva riaperto gli occhi. Erano sempre in groppa a Poiana, un Poiana più vivo che mai, e sotto di loro si stendeva il panorama di quella sfavillante città.

    Non c'era tempo di chiedersi cosa fosse successo; troppa era la meraviglia che li stava abbracciando. Solo molto tempo dopo gli avrebbero spiegato che era stato uno dei cosiddetti colpi della coda dello Scorpione a far cambiare loro la rotta.

    Poiana virò di qualche grado. Michele si aggrappò meglio al corpo del rapace. Sentì le braccia della sua compagna serrare la stretta intorno alla sua vita.

    Su quel mondo stava calando la sera. Il cielo pareva una cupola affrescata di blu scuro, sfumante nel viola a nord est verso quei picchi così lontani. Dalla parte opposta, strisce di tutte le sfumature del rosso seguivano il profilo di una catena di colline, dietro cui faceva capolino un bagliore azzurro. La città sprofondava nelle ombre della notte, eppure…

    Tutte quelle luci. Luci di ogni immaginabile colore, che correvano, si mischiavano, apparivano e sparivano. Sembravano vive, come piccoli insetti lampeggianti, o lucciole che zampettino invece di volare.

    – Cosa sono quelle luci? – gridò.

    – Cosa? Quali luci? – rispose Lucetta.

    – Là sotto!

    Un'improvvisa folata di vento lo fece quasi sbalzare di groppa.

    Piii–eeeh!

    – Tutto bene? – gridò ancora.

    – Sì, Michelìn, stai tranquillo.

    Poiana inclinò verso il basso la traiettoria. Michele si stese aderente al piumaggio, per non essere investito dal vento fortissimo. Ora che si stavano avvicinando a terra, cominciò a sentire odore di erba tagliata.

    Sbirciò di lato. Si stavano dirigendo verso la distesa di boschi e radure che bordeggiava la catena di colline a sud ovest della città. Dall'altra parte si scorgevano le prime propaggini dell'abitato, con basse case, qualche palazzo, e quelle luci dappertutto.

    – Qui non è inverno come a Valframés – esclamò.

    – Hai ragione. Sembra primavera.

    – Meno male, altrimenti saremmo morti assiderati.

    Ormai il suolo era pochi metri sotto di loro. Una radura di erba alta, confinante con un bosco di faggi, stava per accoglierli. A Michele fece venire in mente la spianata del Contrario.

    Poiana sbatté le grandi ali, facendoli sobbalzare. Rallentò la discesa, finché le sue zampe non toccarono terra. In pochi secondi arrestò la corsa e si fermò.

    I due ragazzini scivolarono sulle piume leggermente umide e caddero, finendo in mezzo all'erba.

    Michele si mise seduto e si guardò intorno. L'oscurità era scesa quasi del tutto. Il cielo si stava riempiendo di stelle. Attraverso gli steli verdi, dalla parte opposta rispetto alle colline, si scorgevano in lontananza le luci della città. Luci in movimento, di tutti i colori possibili.

    Spirava una brezza tiepida e piacevole.

    – Lucetta… tutto bene?

    Si volse a guardarla. I folti capelli ricci erano arruffati e impolverati. Il sorriso pareva un po' forzato.

    – Certo che sto bene… e tu?

    – Non sono mai stato meglio in vita mia.

    Guardò Poiana. Il grande rapace li fissava, fermo sulle zampe, e trasmetteva un'impressione di forza e fierezza. Dal terreno alla punta della testa doveva misurare almeno due metri.

    – Incredibile quant'è diventato grande – disse.

    – In questo posto è un re, l'hai dimenticato?

    – È vero… il Re delle Poiane.

    Gli occhi del rapace si mossero, come sull'onda di un pensiero. Aprì il becco uncinato e liberò il suo grido. I due dovettero tapparsi le orecchie, tanto era forte.

    Piii–eeeh!

    Spalancò le ali, che in apertura misuravano più di sette metri, e cominciò a sbatterle per spiccare il volo.

    Ci fu uno spostamento d'aria che quasi li coricò sull'erba.

    Michele seguì fin dove possibile la traiettoria dell’uccello nel cielo bluastro.

    – Chissà dove sta andando…

    – Ma ci lascia qui, da soli? – si chiese Lucetta

    – Tornerà.

    – Pensavo che ci avrebbe fatto atterrare in mezzo alla città.

    – Forse se fossimo atterrati in mezzo della città avremmo creato troppo scompiglio.

    – Hai ragione.

    Michele aveva una domanda da fare alla sua compagna. Ma in mezzo al cielo, nel punto esatto in cui aveva perso di vista Poiana, successe qualcosa. In quel blu notte che stava trascolorando ormai nel nero comparve una forma fatta di nebbia.

    – Guarda! Ma cos'è?

    – Dove?

    – Lassù – indicò con la mano.

    Lucetta stranamente non alzò la testa. Michele la ignorò. La forma di nebbia si spostava nel cielo notturno, seguendo un percorso circolare che aveva come centro la loro posizione. Poi si alzò, rimpicciolendo, e scomparve nel buio.

    – Siamo finiti in un posto pieno di misteri – disse Michele, tornando a considerare la compagna.

    – Sì… meno male che non fa freddo – rispose lei, tenendo gli occhi bassi.

    Michele indossava ancora l'abbigliamento invernale che gli aveva dato la signora Lena a Valframés. Sfilò i doposcì, tirò fuori dallo zainetto i mocassini che aveva conservato da Vallascosa e li calzò. Smise il piumino e i due maglioni e indossò la maglietta che aveva conservato nello zaino. Fece un mucchio dell’abbigliamento invernale e lo nascose dietro un albero. Ora si sentiva più a suo agio, e anche più leggero.

    Lucetta ne seguì le mosse accucciata vicina al suo zainetto, senza dire nulla. Il suo abbigliamento era meno pesante – un paio di jeans strappati, una camicia con sopra una giacchetta di pelle, e ai piedi scarponcini. Si adattava bene anche

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