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La villa di famiglia
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E-book263 pagine3 ore

La villa di famiglia

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In un villaggio francese la vita di Mia e Ben sarà stravolta in un vortice di emozioni

Autrice del bestseller Il profumo segreto dei fiori

Mia e Ben, due giovani australiani, hanno deciso di realizzare il loro sogno: hanno venduto la villetta di Sydney per acquistare un’antica casa con un’incantevole facciata gialla nel pittoresco paese di Cordes-sur-Ciel, nel sudovest della Francia. Dopo poco tempo dal loro arrivo fanno amicizia con i vicini, Dominic e Susannah, due sessantenni inglesi che li accolgono con calore. I loro modi raffinati affascinano da subito Ben e Mia, che non immaginano che i nuovi amici, nonostante la generosa ospitalità, nascondano qualcosa. Gradualmente, però, alcuni segreti della coppia cominciano ad affiorare, rivelando dettagli di uno scandalo che Dominic e Susannah speravano di essersi lasciati alle spalle, a Londra. Mia e Ben sono confusi: hanno forse sbagliato a fidarsi del proprio istinto? Riusciranno a trovare l’atmosfera idilliaca che avevano sognato per la loro avventura francese e a vivere finalmente la vita che desiderano?

Pensavano che la Francia fosse il posto giusto per ricominciare...

«Uno straordinario romanzo e in alcuni passaggi davvero emozionante. Tiene incollati i lettori dalla prima all’ultima pagina.» 

«Questo romanzo avvince per la delicatezza, la grazia e una scrittura prodigiosa.»

«La stupenda caratterizzazione dei personaggi della Hampson è la vera perla di questo romanzo.»
Amanda Hampson
è cresciuta in Nuova Zelanda e ha sempre desiderato diventare una scrittrice. A vent’anni si è trasferita a Londra, dove si è innamorata della letteratura e della cultura inglese. Attualmente vive in Australia. Prima di La villa di famiglia, la Newton Compton ha pubblicato Il profumo segreto dei fiori.
LinguaItaliano
Data di uscita23 ott 2018
ISBN9788822727039
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    Anteprima del libro

    La villa di famiglia - Amanda Hampson

    Capitolo 1

    Mi sveglio ogni sera prima di mezzanotte e vago per la casa. Ancora adesso, dopo una settimana di permanenza in Francia, il mio orologio biologico resta legato all’ora dell’altro emisfero, tanto che ormai mi oriento meglio nella casa al buio che alla luce del giorno. Ogni notte i miei piedi seguono lo stesso tragitto, ma i pensieri prendono una via meno diretta, ripercorrendo i passi che mi hanno condotto qui, e non so dire se la mia sia stata una scelta consapevole o se mi sia lasciata trascinare dal puro senso di libertà. Dovrei essere felice. La Francia è sempre stata il mio sogno. Quel che non mi è chiaro è come vivere questo sogno nella realtà. L’attrattiva dei sogni risiede nel fatto che sono sfuggenti, qualcosa che resta sospeso al di sopra della quotidianità.

    Quando Ben e io siamo arrivati, una settimana fa, per i primi due giorni abbiamo alloggiato in un bed and breakfast qui vicino, Le Bleu de Pastel, mentre rendevamo abitabile la nostra maison. I voli a lungo raggio sono incubatrici per i virus e ben presto ho avvertito un bruciore alla gola, un fastidio al petto, un dolore diffuso alle ossa. Ben non sa quasi una parola di francese, quindi dovevo accompagnarlo in giro per i negozi a comprare il necessario per la casa, resistendo alla tentazione di un morbido letto in una stanza buia e silenziosa.

    Da quando ci siamo trasferiti qui ho passato le giornate a dormicchiare ogni volta che ho potuto, provando alternativamente caldo, freddo e sete. Ben va e viene come un servitore devoto e mi assiste con incredibile dolcezza. Quando mi sveglio sento il ronzio rassicurante del suo tipico russare o il tenue canto degli uccellini in giardino, e so che ha tirato le tende pesanti per impedire al sole forte di settembre di raggiungermi dall’esterno.

    Dalle eleganti, alte finestre della nostra camera da letto al piano di sopra si vede il paese di Cordes-sur-Ciel. Di giorno è un agglomerato color seppia di case medievali in cima a una collina, di notte un cerchietto di luci bianco e oro, come una collana lasciata cadere dal cielo. In queste ultime notti in alto sopra di esso c’è stata una luna calante. Sul fare del giorno la collina è ammantata da una nebbia che a volte raggiunge anche la casa, tenendoci sospesi in un mare di bianco.

    Mentre cammino per i corridoi, con le assi del pavimento che scricchiolano sotto i miei piedi, sfioro con le dita il muro per tenermi in equilibrio, tastando la trama della carta da parati che comincio a conoscere bene. Questa casa è troppo grande per noi, è quattro volte la villetta a schiera che avevamo nel centro storico di Sydney. Vedendola online dall’altra parte del mondo ci è sembrata la tipica villa delle favole, con i cancelli in ferro battuto, l’ampio viale d’accesso di ghiaia e le proporzioni eleganti. I muri in pietra sono dipinti di un giallo chiaro con le serrande di una tonalità più scura; primula e narciso, o forse girasole e calendula. La posizione, una stradina di campagna ai piedi della collina con un enorme giardino circondato da muri in pietra, sembrava idilliaca. Il tutto alla metà del prezzo della nostra casetta. Non avevamo in programma di trasferirci. Non avevamo nessun programma. È stato Ben a far sì che accadesse. L’ha fatto per me. Era il mio sogno, non il suo. L’ha fatto per salvarci.

    Le mie peregrinazioni notturne mi hanno portata a scoprire la casa nella consistenza e nei dettagli: la levigatezza delle scale di pietra, il corrimano liscio, la testa di leone fredda sulla colonnina, i puntini di luce diffusa che filtra dal vetro smerigliato della doppia porta d’ingresso.

    Ogni notte mi fermo sulle soglie e guardo dentro le stanze buie, scorgendo solo i contorni dei mobili alla luce concessa dalla luna, chiedendomi come siano state le vite di chi ha vissuto qui in passato. C’è una stanza in particolare che mi attrae notte dopo notte. È lì che mi trattengo più a lungo. So che dovrei concentrarmi su questioni più pratiche, ma i miei pensieri sono troppo sparsi anche solo per tentare.

    Nelle prime ore si alza il vento. Scivola sotto le porte davanti, fa cigolare le strutture di tutte le finestre e fischia in soffitta. Solo allora torno a letto.

    Questa tenuta era la propriété du defunt, patrimonio di un defunto. Penso all’anziana donna che abitava qui, Madame Levant, che nel testamento ha chiesto che fosse venduta a una giovane coppia. Solo quando ne abbiamo preso possesso il notaire ci ha svelato tale clausola. Abbiamo poco più di trent’anni, non siamo vecchi ma nemmeno tanto giovani. A quanto pare abbiamo colto al volo un’occasione. Sono convinta che Madame Levant desiderasse una coppia giovane perché in queste stanze risuonassero le voci dei bambini. Ma non sarà così per noi. Non sarà mai così.

    Dopo qualche giorno la casa esplorata nelle ore notturne mi è diventata più familiare. Provo un affetto sempre più forte per gli strani cigolii, i sospiri e le ombre in movimento. La brezza all’alba sembra rallentare e passare per le stanze come a volerci avvolgere, senza più lottare contro di noi.

    Oggi mi sono svegliata alla piena luce del sole, con le tende aperte. Ho dormito la notte e al risveglio ho potuto vedere il disegno creato dal sole del mattino sul tappeto turco accanto al letto. Dopo tanti giorni di buio e ombre, i colori sembrano luminosi come gemme – zaffiri, rubini, smeraldi e topazi – e il cielo, fuori, è una distesa di un azzurro chiarissimo. È giunto il momento di raggiungere il mondo dei vivi. O almeno mio marito.

    Capitolo 2

    Susannah Harrington è di fronte al suo specchio a figura intera e si controlla da tutte le angolature. Ha scelto un prendisole blu scuro che si intona ai suoi occhi e mette in risalto le ultime tracce di biondo dei suoi capelli, nascondendo la ricrescita grigia che cerca di prendere il sopravvento. Sono lunghi e folti e restano tuttora il suo punto di forza, una gradita distrazione dai numerosi segni del passare degli anni che le solcano il viso, una volta considerato bellissimo da molti. Anche se un po’ irrigidito dall’età e privo dell’impudenza di un tempo (sembra che debba puntellarsi addosso ogni cosa, ultimamente), l’abito le dona moltissimo.

    Si mette un cardigan color crema. Lo toglie. Se lo appoggia sulle spalle. Inclina il capo a destra e a sinistra, sorride ed è soddisfatta di constatare che le conferisce proprio l’élan disinvolto che desiderava. Lou-Lou e Chou-Chou sono seduti ai suoi piedi e osservano adoranti il suo riflesso nello specchio. «Che ne dite, è carina la mamma?», chiede loro, inginocchiandosi per dare un bacio sulle testoline morbide di entrambi i carlini. «Mai quanto voi, cucciolini miei»,

    Susannah ha deciso di far visita ai nuovi arrivati, come richiedono le regole di buon vicinato. È passata poco più di una settimana, un tempo che le sembra giusto. Questo pomeriggio lei e Dominic si affideranno a quel poco carisma che ancora possiedono (un tempo lei ne aveva in abbondanza) e andranno a presentarsi. Certo, Dominic non è al corrente dei suoi progetti e delle sue strategie, ma tanto non ci si può mai fidare della sua collaborazione.

    Nel frattempo, lei ha scoperto che i nuovi vicini sono una coppia australiana dal cognome simpatico, Tinker. Mia e Ben Tinker. Abbastanza giovani da poter essere figli degli Harrington, ma Susannah non si è soffermata nemmeno per un attimo a preoccuparsi se possano avere qualcosa in comune con una coppia tanto più giovane di loro: in qualche modo farà funzionare tutto. Basta avere un interesse sincero per le persone, cosa che ormai non ha più nessuno.

    Non si può dire che abbia spiato i Tinker, ma passando di lì quando va al paese, ha notato che in casa fervono le attività. Le due capre dagli occhi malvagi che custodivano la proprietà sono sparite. Le loro deiezioni, che incrostavano i gradini sul davanti da molto tempo, sono state ripulite. All’inizio della settimana un furgone del negozio di mobili di Albi è stato visto consegnare elettrodomestici e materassi. Un tecnico del telefono della Orange è stato lì quasi ogni giorno, il che è già di per sé una vera impresa, considerando che ottenere loro prodotti o servizi si può definire complicatissimo se non addirittura impossibile.

    Susannah inforca gli occhiali e si avvicina allo specchio per mettersi il rossetto. Purtroppo anche la sua bocca, un tempo piena e carnosa, comincia decadere: gli angoli tendono a cedere, dandole un’aria imbronciata. È come se qualcosa dentro di lei si stesse attenuando, svilendosi. La solitudine ha un modo tutto suo di insinuarsi nelle persone, come una malattia sgradita. Porta con sé una leggera aura di repulsione. Qualcosa che lei non vuole far notare ai Tinker. Per questo oggi reciterà la parte della donna anziana interessante e sofisticata. L’unico ruolo che le sia rimasto.

    Quando lei e Dominic sono arrivati a Cordes, un anno fa, avevano visto veleggiare verso di loro una vera flottiglia di amicizie. Erano i tipici nuovi arrivati interessanti che gli espatriati già sistemati accoglievano volentieri. Molti di loro partecipavano alle attività del teatro cittadino, e lei aveva scorto la vaga possibilità di veder rinascere la sua carriera di attrice. Poi, però, uno dopo l’altro, quegli amici sono spariti. Adesso sono di nuovo lei e Dominic, insieme eppure soli.

    In salotto, lui è tutto preso dall’ultimo numero di «Decanter» e non ha alcuna voglia di alzarsi dalla poltrona. «Chi sarebbe questa gente?», chiede senza sollevare lo sguardo.

    «Tesoro, la casa gialla su rue Albert Bouquillon, te l’ho già detto…».

    «Quella con davanti metà dei negozianti del Tarn in fila. Saranno della mafia russa».

    «Hai sempre detto che desideravi vedere quella casa dall’interno».

    «Sì, ma perché proprio oggi?». Alza gli occhi dalla rivista solo per un attimo, come se avesse una scadenza da rispettare. «E poi, perché mai ti sei messa in ghingheri?»

    «Per favore, fammi contenta. È un pomeriggio splendido. Possiamo portare con noi i cani e approfittare per fare una passeggiata».

    Con un sospiro esasperato, Dominic posa la rivista, tracanna ciò che resta nel bicchiere e si alza dalla poltrona. «Immagino ci si aspetti anche che io indossi qualcosa di elegante per questa gioiosa occasione, vero? Chi interpretiamo? Bogart e Bacall?»

    «Ti ho preparato un paio di proposte sul letto. Vieni, dobbiamo andare».

    «Proposte? Alternative, vorrai dire. Non ho proprio nessun bisogno di uscire, io. Sei tu che imponi a me i tuoi bisogni».

    Susannah sorride. Oggi la gentilezza dà i suoi frutti. Con una quantità di sbuffi e vaghi brontolii, lui si cambia d’abito ed esce dalla porta di casa, lasciando dietro di sé una scia di costosa colonia che lei e i cani seguono.

    Rue Albert Bouquillon, nonostante il nome altisonante, è uno stretto viottolo di campagna. Corre parallelo alla loro via, e la casa degli Harrington è proprio alle spalle della proprietà dei Tinker, lungo un vialetto ghiaioso che si addentra nella campagna. Vi si può accedere passando dai campi coltivati e un piccolo bosco, ma la strada è più sicura, oltre a dare la possibilità di fare una piacevole passeggiata.

    Per fortuna l’umore di Dominic migliora via via che avanzano. È il giorno perfetto per una visita: un pomeriggio assolato, tipico del mese di settembre nella Francia sudoccidentale, con il sole che ha appena cominciato a scendere dietro la collina, l’aria mite e le ombre che si allungano. Magari fosse possibile aggiungere una colonna sonora ai momenti cruciali della vita. I cani sono felici di essere fuori e senza guinzaglio. Corrono avanti, fermandosi di tanto in tanto a guardarsi indietro, assicurandosi di non essere rimasti soli. Il classico momento familiare. Hanno tutti i motivi per essere ottimisti.

    Quando si avvicinano alla casa, Susannah ammira ancora una volta la grazia di quella bella addormentata appena riscossa. Le alte cancellate in ferro battuto che culminano in un elegante nodo di curve, fiori e foglie; i larghi gradini di fronte che dividono la simmetria perfetta dell’edificio e il magnifico balconcino incassato sopra le porte d’ingresso, con una finestra a due persiane su ciascun lato. È rimasta vuota per tanto tempo da avere ancora l’aria trascurata di una proprietà abbandonata, come molte altre in Francia al giorno d’oggi.

    Mia Tinker apre la porta. Indossa una tuta da lavoro, ha i capelli tagliati corti, è minuta e adorabile con quel suo modo di fare naturale e spontaneo tipico delle giovani donne.

    Ha l’aria un po’ pallida e disorientata, ma ci spiega che è stata poco bene e che questo è il primo giorno in cui si alza dal letto. A ogni modo è molto cordiale e felicissima di conoscere persone che parlano inglese, inoltre accarezza Lou e Chou come una vera amante dei cani. Susannah propone di ripassare un altro giorno, ma Mia insiste affinché entrino a conoscere Ben.

    La prima impressione che Susannah ha dell’interno della casa è di una bellezza dimessa. Essendo rivolta a ovest, la luce dorata del pomeriggio invade l’ingresso, illuminando il motivo complesso delle mattonelle del pavimento, l’elegante scalinata curva in pietra e i meravigliosi soffitti alti. Non c’è ostentazione, solo un’ossatura perfetta.

    «Sono sempre stato curioso di vedere l’interno di questa casa», ammette Dominic guardandosi intorno. «E così siete entrambi australiani?»

    «Sì, esatto». Mia sorride. «Fuggitivi dalle colonie».

    «Noi adoriamo gli australiani!», dichiara Susannah, esagerando per compensare. «Così pratici e tanto amichevoli. Persone super!».

    Ben scende le scale: è un uomo massiccio ma in forma; sembra molto forte, il tipico maschio australiano, agli occhi di Susannah. Il genere d’uomo in cui si riesce ancora a scorgere il ragazzo di un tempo. Dopo essersi pulito una mano sudicia sui pantaloncini, stringe la loro con entusiasmo. «Benvenuti! Parlate inglese, fantastico».

    «Vi abbiamo portato un regalo di benvenuto», dice Dominic, porgendogli una bottiglia di vino. Anche se viene apprezzata, Susannah capisce che il giovane non ha idea di quanto valga. In effetti non lo sa nemmeno lei, ma conoscendo Dominic è pronta a scommettere che costi oltre cento euro.

    «Siamo felicissimi di sapere che ci sono nuovi proprietari anglaise. Non che siamo cacciatori di espatriati, certo. Non siamo quel genere di espatriati», dice Susannah, già infastidita con se stessa per aver parlato troppo.

    «Forse sapete che lo stile di questa casa la definisce come une maison de maître: una casa padronale, o forse oggi è più diffusa la parola villa, per indicare un’abitazione più opulenta di quelle del paese», spiega Dominic. «Ospitano otto, dieci camere da letto o anche più, hanno terreni ampi, frutteti e stalle».

    «Per noi cinque bastano e avanzano», dice Mia con una risata nervosa.

    «Deve essere stata costruita per qualcuno di importante alla fine dell’Ottocento; credo sia appartenuta alla famiglia di Madame Levant per diverse generazioni». Dominic si guarda intorno, annuendo con approvazione. «Belle rifiniture. Davvero splendide».

    «Stavamo proprio per smettere di lavorare per oggi, vi va di fermarvi a bere un bicchiere di vino?», chiede Ben.

    «Non vogliamo darvi disturbo, davvero», risponde Susannah.

    Come sempre, Dominic è di tutt’altro avviso. «A dire il vero, ora che siamo entrati non mi dispiacerebbe fare un giro della casa».

    Dato che i Tinker sembrano disponibili, Susannah cede. «Oh, be’, magari berremo solo qualcosina. In realtà volevamo soltanto fare una rapida scappata».

    Non appena cominciano il giro, Susannah nota quanto sia gradevole l’interno. Le pareti del primo piano sono dipinte di un color giallo chiaro che dà calore alle ampie stanze. Non è stato fatto alcun intervento negli ultimi anni, da quando l’anziana padrona è morta, ma è tutto ancora in uno stato di conservazione accettabile, privo di ostentazione ma non del tutto austero. Le stanze nella parte davanti sono una sala da pranzo formale e un ampio salone, entrambi con grandi camini che devono essere molto difficili da pulire. Sono rimasti solo alcuni mobili; Madame Levant deve aver venduto i pezzi migliori. C’è una poltrona di velluto rosso malandata, diverse sedie in stile Luigi XV, uno strano armadio e un tavolinetto sparsi in giro più una sala da pranzo austera che potrebbe ospitare una tavolata di dodici persone. Hanno tutti visto tempi migliori e nessuno di quei pezzi ha un grande valore in Francia. Potrebbe anche essere rimasto qualcosa di prezioso, nascosto in un angolo, ma è molto più probabile che la signora abbia fatto passare in rassegna la casa da un venditore anni addietro.

    Il parquet del salone principale ha bisogno di una lucida, le tende blu di jacquard che chiudono le alte finestre sono scolorite, le nappe dorate che dovrebbero chiuderle ricadono giù flosce come seta di mais. Quel che manca in grandiosità, però, è compensato dalla perfezione delle proporzioni.

    Susannah osserva ogni dettaglio e di tanto in tanto fa qualche commento sul panorama o sulla splendida luce di cui godono le stanze. Dominic fa domande tecniche su riscaldamento e impianto idraulico. Ben ammette che, dal momento che fa ancora piuttosto caldo, non hanno provato i termosifoni. Sembra che la loro maggior preoccupazione sia stata installare Internet, ma è turbato dalle frequenti interruzioni dell’elettricità.

    La parte posteriore del pianterreno ha una grande sala con un una parete su cui si apre una serie di porte finestre che danno sul giardino. Gli unici mobili sono un tavolo da refettorio e una quantità di sedie spaiate. Subito oltre questa stanza c’è un breve corridoio con un paio di sgabuzzini, uno che funge da dispensa e l’altro un magazzino da cui si accede a una cucina spaziosa, nell’angolo nord-est. La cucina ha ancora i ripiani in marmo originali, armadi in legno lucido, un tavolo più piccolo, sedie e un piccolo caminetto che in inverno offrirà un angolo accogliente.

    «Siete molto fortunati ad aver trovato integra la cucina», dice Susannah. «In Francia la gente imballa tutti i mobili e se li porta via. È una tale seccatura».

    Mia si guarda intorno. «Adoriamo tutti questi mobili antichi, il loro stile. Noi ci avremmo messo mesi ad arredare tutta la casa».

    «Immagino che ne butterete via molti», dice Dominic. «Gli scarti degli altri…».

    «Non si può mai sapere cosa si può trovare in una casa antica come questa», interviene Susannah.

    «Gli scarti centenari restano comunque, per definizione, scarti», le fa notare Dominic.

    «Be’, tanto noi non abbiamo alcuna fretta», dice Mia. «La stiamo esplorando, una stanza alla volta».

    Dopo aver girato per le stanze al piano di sotto, tornano all’ingresso e salgono la scala principale, salendo al piano superiore. Susannah prende in braccio Lou ed è colpita vedendo che Mia solleva Chou e la porta su per le scale.

    «Allora… quando avete messo gli occhi sulla proprietà?», chiede Susannah. «È in vendita da quando siamo arrivati a Cordes, un anno fa».

    «A dire il vero l’abbiamo notata quattro anni fa. Siamo venuti a Cordes-sur-Ciel in luna di miele», spiega Ben. «Abbiamo alloggiato qualche giorno al bed and breakfast Le Bleu de Pastel. Era estate, e una sera siamo venuti a fare una passeggiata per rue Albert Bouquillon».

    «Era già in vendita all’epoca. Ci è piaciuta tantissimo: sembrava così triste e abbandonata. Siamo tornati di giorno per vederla meglio, ma non abbiamo avuto il tempo di organizzare una visita», dice Mia.

    «E nemmeno di prendere in seria considerazione l’acquisto», aggiunge Ben.

    «Poi, all’inizio dell’anno, Ben ha dato un’occhiata online e ha visto che era ancora disponibile… Abbiamo fatto un’offerta e…». Mia scrolla le spalle, come se non riuscisse a capire cosa sia successo. «È stato come se fosse rimasta qui ad aspettarci».

    «Si può comprare una casa via Internet?». Susannah resta

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