Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Quel che non è stato
Quel che non è stato
Quel che non è stato
E-book225 pagine2 ore

Quel che non è stato

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Micol ha preso la direzione sbagliata. Ha perso l'amore della sua vita, la passione che travolge una volta sola. Ora un libro riaccende la sua memoria. L'ha appena acquistato e nel risvolto di copertina - non ha dubbi - si fa cenno a un episodio che la riguarda. Legge il romanzo e ogni dettaglio coincide. Come mai il nome dell'autore non le dice nulla? In verità non lo conosce nessuno. Forse si tratta di uno pseudonimo. Che fare? Una cosa è chiara: deve scoprire chi è. In quel racconto c'è la sua storia d'amore con Manlio, tenero e affascinante, c'è la sua decisione di abbandonare la famiglia, c'è infine l'appuntamento al quale Manlio non si è mai presentato. Seguendo gli indizi disseminati nel romanzo Micol riesce a trovare una strada.
LinguaItaliano
Data di uscita23 dic 2013
ISBN9788898475438
Quel che non è stato
Autore

Piero Degli Antoni

Piero Degli Antoni è nato a Bergamo nel 1960 e vive a Milano, con la moglie e i tre figli. Giornalista dal 1979, ha lavorato in numerosi quotidiani. Ha scritto, tra gli altri, i thriller La verità è un’altra, L’udienza è tolta, Ghiaccio sottile, La notte di Peter Pan, Quel che non è stato, Blocco 11 e Il segreto dei porporati. In realtà, da quando gli sono nati Leonardo (1995), Cecilia (1998), Elisa Allegra (2004) sono loro a essere diventati la sua principale occupazione, equamente divisa con la moglie Rossella. Nessuno riesce a batterlo a puzzle, traforo e memory. I suoi romanzi sono stati tradotti in Francia, Spagna, Germania, Olanda, Serbia, Russia, Corea e Stati Uniti.

Leggi altro di Piero Degli Antoni

Correlato a Quel che non è stato

Ebook correlati

Narrativa romantica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Quel che non è stato

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Quel che non è stato - Piero Degli Antoni

    PARTE PRIMA

    2007. Il romanzo

    1.

    Era affacciata sul lungolago di Bellagio, accanto all’imbarcadero. La brezza leggera le scompigliava i capelli biondi. Un refolo più intenso la costrinse a trattenerli dietro le orecchie, con lo stesso gesto di chi è infastidito da un rumore. Troppo lunghi?, si chiese Micol. Il parrucchiere insisteva per tagliarglieli: Le darebbero un’aria più giovanile, aggiungeva con un tono che lei non capiva se inavvertitamente o intenzionalmente offensivo.

    Micol abbassò le mani e lasciò che il vento la spettinasse definitivamente. Ma sì, che importa, si disse. Era una di quelle giornate di fine aprile che solo il lago sapeva regalare. L’aria era tersa come una sottile lastra di ghiaccio, e la superficie dell’acqua a tratti increspata. Dalla balaustra a cui era affacciata, Micol poteva distinguere la curva del lago fino a Gravedona. A destra, la punta di Bellano.

    Vuoi che ti porti a casa? le chiese Angelo.

    Preferisco fare due passi. Ma tu vai, ti ho già fatto perdere fin troppo tempo.

    Con te il tempo non è mai perso, rispose lui sfiorandole un braccio. Aspetta.

    Angelo raggiunse l’auto posteggiata davanti all’imbarcadero. Era sciolto nei movimenti, nonostante non fosse alto né slanciato.

    Eccolo. Ti piace?

    Le porse un libro. Micol sapeva che la copertina l’aveva disegnata lui: un grosso volume antico era appoggiato sul tavolo di una cucina di campagna. Lesse il titolo: Manoscritto trovato a Saragozza.

    Molto bello. Ti trasmette una sensazione di... serenità.

    Fece per restituirglielo, ma Angelo si ritrasse.

    Tienilo. Anche se l’hai già letto. Mi fa piacere.

    Poi salì a bordo della sua vecchia Alfa e mise in moto. Arrivato alla curva, si girò a mezzo per un ultimo saluto. Micol rispose con un gesto della mano, come dovesse pulire uno specchio invisibile.

    Lontane eppure imponenti, torreggiavano le maestose montagne della Svizzera, ancora imbiancate oltre i tremila metri. Dal ghiacciaio le arrivava un riflesso di luce. Micol inspirò l’aria calda. Da nessuna parte come sul lago il passaggio dall’inverno alla primavera era così rapido e sorprendente. La neve si ritirava verso l’alto mentre i prati che sembravano morti, soffocati da mesi di ghiaccio, riprendevano vigore con una vitalità sconcertante. Ancora un paio di settimane e...

    Tra una settimana, le aveva detto il professore quella mattina, accompagnandola, gentilissimo come sempre, all’uscita del reparto di Medicina nucleare dell’ospedale di Niguarda. Micol era partita prestissimo da Bellagio per sottoporsi alla PET , un sofisticato esame di cui aveva presto imparato l’esatta definizione: tomografia con emissione di positroni.

    Tutto era cominciato due anni prima quando, accarezzandosi la gola, aveva scoperto un rigonfiamento. Poi era comparsa una tumefazione, accompagnata da una febbricola. Dopo una visita e gli esami di routine, l’esito del controllo era stato inequivocabile: linfoma. Una forma tumorale che, se presa in tempo, lasciava una buona speranza di guarigione. Anche se quella parola – guarigione – il professore preferiva non pronunciarla mai. La guarigione non esisteva, da un punto di vista scientifico: niente poteva escludere che, una volta scomparso, il male prima o poi tornasse a farsi vivo. Il professore preferiva usare il termine remissione. L’ultima PET , comunque, aveva dato esito negativo. Perciò il risultato dell’esame che aveva appena fatto era così importante: due analisi negative consecutive autorizzavano grandi speranze.

    Anche quella mattina Micol si era sottoposta al rituale: lasciarsi iniettare in vena la speciale soluzione zuccherina marcata con un elemento radioattivo, aspettare un’ora, quindi distendersi nel gantry, una specie di tubo molto simile a quello della Tac. Il gantry rilevava il tracciante radioattivo per scoprire le eventuali concentrazioni sospette di glucosio.

    Tra una settimana, aveva ripetuto il professore congedandola, ci vediamo tra una settimana.

    Una settimana? Di solito bastano tre giorni.

    C’è di mezzo uno sciopero, e i tecnici in servizio lavorano solo per le emergenze. Stai tranquilla e rilassati. Sono sicuro che andrà tutto bene. Ci vediamo tra una settimana, alle nove come al solito.

    All’uscita aveva trovato Angelo. Era stato inflessibile: nonostante le sue proteste, l’aveva convinta a lasciarsi accompagnare fino a Bellagio. Per fortuna: stanca e disorientata com’era, non avrebbe trovato la forza di prendere il treno.

    Angelo. Erano stati insieme venticinque anni prima e da quando anche il suo matrimonio era andato a rotoli era diventato il confidente, il complice, la spalla su cui ridere – di piangere non aveva più voglia.

    Micol infilò nella borsa il libro che le aveva regalato Angelo e si allontanò dal molo. Attraversò la strada senza fare troppa attenzione, svoltò a sinistra e poco prima del sottopassaggio che portava in piazza Mazzini imboccò salita Serbelloni. Affrontò la bella scalinata con calma, per non affannarsi. Arrivata in alto, prese via Garibaldi e sbucò nella piazza della chiesa.

    Il sole splendeva brillante e Micol scelse un percorso da cui sapeva di poter intravedere, improvviso come un battito d’ali nel bosco, un ritaglio di lago. Tra due muri di case seicentesche, le apparve una striscia verticale di azzurro, ancora più luminosa a contrasto con l’ombra del vicolo. Un piccolo regalo che volle farsi, una minuscola ricompensa per ciò che aveva passato quella mattina e per quello che l’attendeva tra una settimana.

    Fu allora che la polverosa vetrina di una libreria attirò la sua attenzione. Era un negozio stretto e lungo, soffocante, dall’aria desolata. Un Remainder’s. Ogni tanto anche lei veniva a curiosare. Le piaceva inoltrarsi tra gli scaffali fitti di volumi ormai usciti dal ciclo vitale della produzione. Libri destinati al macero che avevano un’ultima opportunità di salvezza: come lei. Spinse la porta a vetri ed entrò.

    Prese un libro che aveva in copertina la foto di una malga diroccata. Era una delle tante raccolte di tradizioni locali. L’immagine le piaceva, ma l’argomento non le interessava. Lei era nata a Milano e ci era vissuta a lungo: aveva scelto il lago, e Bellagio, soltanto in base a un impulso. In quella massa d’acqua su cui lo sguardo poteva allargarsi, ma non in modo così infinito da risultare sconvolgente come accadeva al mare, aveva colto un’immediata affinità elettiva.

    Micol rimise a posto il libro con la foto della baita e avanzò di qualche passo. La colpì una copertina azzurro pallido. Al centro, la riproduzione di un quadro dei primi anni trenta, o almeno così le parve. Una donna in crinolina e cappellino guarnito di fiori era ferma davanti a un portone. Nella sua espressione si mescolavano attesa, ansia, speranza e paura. Micol passò il palmo della mano sulla copertina, come se levasse un invisibile velo di polvere. Girò e lesse la frase sul retro, stampata tra virgolette in un elegante corsivo.

    Selvaggia stava passando oltre quando notò qualcosa sulla bancarella dell’ambulante. Un pupazzo dall’aria simpatica. Un orsacchiotto con un cappello di paglia, un paio di occhiali neri e tondi e il cravattino rosso a pois.

    Micol sbiancò. Un orsacchiotto con gli occhiali tondi e la paglietta. Poteva trattarsi soltanto di quell’orsacchiotto, di quegli occhiali, di quella paglietta. La testa le girava. Il negozio intorno a lei sembrò sbiadire. Anche i suoni arrivavano ovattati, e quando il libraio le rivolse la parola – Si sente bene? – lei sentì la sua voce lontana, come l’eco di una frase proveniente dalla stanza accanto.

    Come dice? rispose Micol cercando di focalizzare il volto davanti al suo.

    Si sente bene? ripeté il libraio, un ometto piccolo e calvo, con gli occhiali dorati. Micol alzò una mano, o almeno ci provò, in un gesto che voleva essere di disinvolta noncuranza.

    Sì... grazie... non è niente.

    Vuole un bicchiere d’acqua? insistette il libraio, visibilmente preoccupato.

    Sto benissimo, grazie... solo un capogiro.

    Poco convinto, il libraio si allontanò, ma Micol si accorse che continuava a tenerla d’occhio.

    Con un misto di ansia e premura, Micol rilesse la frase e capì che non si era sbagliata. L’ambulante, l’orsacchiotto, gli occhiali neri... Tutto corrispondeva.

    Aspettami era il titolo del romanzo. Non le diceva niente. Non ne aveva mai sentito parlare. Sfogliò qualche pagina, poi passò alle note biografiche dell’autore.

    Domenico Quercioli è nato a Lagos, Nigeria. Dopo aver conseguito la laurea in lettere ed essersi occupato di media, ha deciso di dedicarsi al volontariato. Oggi si interessa soprattutto dei problemi dei tetraplegici. Vive tra New York e l’Italia. Questo è il suo primo romanzo.

    Domenico Quercioli. Non conosceva quel nome. Non rammentava alcuna recensione, o articolo di giornale.

    Prendo questo.

    Il libraio la guardò e non disse nulla. L’aria visibilmente infastidita, Micol batté un piede.

    Questo, ripeté.

    Il libraio prese il libro, cercò il prezzo.

    Sei euro e trenta, biascicò continuando a scrutarla. Micol cercò di controllarsi. Invano. Aprì la borsa e cominciò a frugare disperatamente tra fazzoletti, agende, scontrini dimenticati, volantini accartocciati. Finalmente trovò il portafogli ma nella foga rovesciò tutte le monete. Gli spiccioli rotolarono intorno con un tintinnio metallico che attirò l’attenzione degli altri clienti.

    Il libraio le rivolse un’occhiata ancor più preoccupata e si chinò per raccogliere le monete.

    Non importa, bisbigliò Micol. Non importa, ripeté, questa volta a voce più alta.

    Lui si raddrizzò. Le restituì tutto quello che era riuscito a recuperare, un pezzo da due euro, uno da cinquanta centesimi e un altro da venti. Ma Micol aveva già infilato due dita nel portafogli agitandole in modo frenetico. Gli porse una banconota spiegazzata da dieci euro.

    Ecco.

    Vuole un sacchetto?

    Micol stava già spingendo la porta a vetri. Puntava a terra le scarpe scamosciate dal tacco basso ma senza riuscire a smuoverla di un centimetro.

    "Tirare... deve tirare..." le suggerì il libraio.

    Micol invertì la direzione della propria energia e la porta si spalancò di colpo. Una folata di vento caldo invase la libreria. Scappò fuori, nell’aria tiepida di primavera, sotto il sole. Finalmente le sembrava di poter tornare a ragionare. Stringeva ancora il libro. Voleva leggerlo subito. No. Non qui, non ora, si disse. Occorreva calma, e lucidità. Troppe emozioni in un giorno. Troppe. Non doveva farsi prendere dall’angoscia. Doveva esserci una spiegazione. Una spiegazione razionale, logica, forse persino semplice.

    Aprì la borsa e riuscì a infilare il libro in mezzo a tutto il resto.

    A casa, si disse, ci penserò a casa. Con una tisana in mano, e il panorama tranquillizzante del lago davanti a me.

    2.

    Tornata in piazza Mazzini, Micol risalì due curve della strada principale. Alla sua destra lasciò il cuore di Bellagio, con i vicoli e le boutique di lusso, e imboccò la traversa che portava a Capo Spartivento. La sua casa – una villetta a un piano – sorgeva proprio in cima al Capo, sull’ultima propaggine di terra che divide il ramo del Lago di Lecco da quello di Como. Intorno, solo qualche abitazione più imponente occultata con discrezione da cancellate, siepi giganti e foreste di palme. Quella casa, Micol l’aveva acquistata otto anni prima. Un affare, visti i prezzi da quando il lago era tornato di moda, con quegli attori americani. Era successo per caso, e per un caso davvero incredibile: a condurre le trattative era stato Saverio, il suo ex marito. Sapeva che le sarebbe piaciuto trasferirsi da quelle parti, e quando gli era capitata fra le mani quella villetta le aveva subito telefonato. Aveva tenuto alla larga altri compratori e alla fine aveva convinto il venditore a scendere di prezzo. Micol sorrise: non era stato molto corretto, però le aveva fatto risparmiare un sacco di soldi. Dopo tutti quegli anni, finalmente lei e Saverio avevano trovato un pacifico modus vivendi, quasi un’amicizia complice tanto che, alle volte, lui tornava a corteggiarla. A quindici anni dalla loro separazione, ora poteva pensare a lui con il condiscendente affetto che si riserva ai ragazzini immaturi.

    La casa di Micol non era appariscente, ma possedeva una delle più belle terrazze di Bellagio, aggettante sul lago, illuminata dal sole dalla mattina alla sera. Una volta lei aveva provato a trascorrerci un’intera giornata: le impercettibili variazioni nelle sfumature di luce trasformavano il lago in un dipinto di Monet. Il silenzio era assoluto, i turisti preferivano le vetrine del centro, e appena qualche audace si spingeva fin lì.

    Quando rincasò, Micol avrebbe voluto rinfrescarsi con una doccia, ma riusciva a pensare soltanto al libro. Lasciò cadere la borsa su una sedia, all’entrata, e ne sfilò Aspettami. Passò in terrazza. Si sdraiò su una chaise longue di tek e tela bianca un po’ ruvida. Ritrovato il conforto di un’atmosfera familiare, tutta la faccenda aveva perso i tratti angosciosi e ora sembrava soltanto bizzarra. Quasi ridicola.

    Distesa, Micol accarezzava un pupazzo identico a quello descritto nel romanzo: un orsetto con gli occhiali tondi e la paglietta. Il pelo era consumato, i colori sbiaditi dal tempo.

    Il libro era appoggiato a terra, accanto alla chaise longue.

    Domenico Quercioli.

    Aspettami.

    Con un sospiro, come se si trattasse di un insetto ripugnante, Micol lo sollevò cautamente e lo aprì, esercitando una leggera pressione alla base della rilegatura in modo da imprimergli una piega definitiva.

    Una pagina bianca. Poi il nome dell’autore e, più grosso, il titolo. Sulla pagina di sinistra, in piccolo, l’indicazione del copyright. L’anno: il 2002. Erano passati cinque anni dalla pubblicazione. Cinque anni durante i quali il libro era stato distribuito, ritirato, ammassato in qualche magazzino per poi venire avviato lungo la strada senza ritorno del Remainder’s.

    Un’altra pagina, bianca, e poi la dedica. A mio padre. Questo libro è per lui. Finalmente l’inizio vero e proprio. Capitolo uno. Micol inspirò lentamente.

    Un trillo. Il cellulare. Micol alzò gli occhi. Dove l’aveva lasciato? Lo squillo attutito la guidò a colpo sicuro: la borsa, all’ingresso.

    Pronto? Ah, sei tu. Ma no, figurati.

    Suo figlio viveva a Roma e non mancava di chiamarla due o anche tre volte al giorno. Voleva sapere della visita. Micol accentuò le valutazioni ottimistiche del medico – Sono sicuro che andrà tutto bene – e minimizzò i rischi. Si limitò a un confortante buone probabilità anche se era certa che, subito dopo aver parlato con lei, Leonardo si sarebbe precipitato su Internet per documentarsi.

    Sei stanca, mamma?

    No, non molto. Ho comprato un libro. Mi aiuterà a passare la serata.

    Viene qualcuno a trovarti?

    No, oggi no. Ho voglia di starmene un po’ per conto mio.

    Bene, allora riposati. Spero di riuscire a venire la settimana prossima...

    Sai che non ce n’è bisogno. Me la cavo...

    Mi fa piacere, mamma. Se posso vengo.

    Leonardo frequentava il Centro sperimentale di Cinematografia di Roma. Voleva diventare regista. Fin da piccolo aveva dimostrato eccellenti doti visive: trascorreva

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1