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L'Impostore: la Ragione e la Follia
L'Impostore: la Ragione e la Follia
L'Impostore: la Ragione e la Follia
E-book471 pagine6 ore

L'Impostore: la Ragione e la Follia

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Info su questo ebook

Utopia. Ucronia. Anonimia.
Queste tre mancanze sembrano essere solo l'inizio di una narrazione in grado di portare il lettore all'interno di un Nuovo Mondo, di un nuovo pianeta lontano in cui l'unico modo per farsi strada tra l'élite della società è mentire, dissimulare ed imbrogliare.
Ma fino a dove può spingersi l'essere umano? Fino a dove agisce il nostro passato? Qual è il Fato dell'individuo senza nome?
Vieni a scoprire tutto ciò e molto di più all'interno di questo romanzo psicologico in grado di catapultarti tra nuovi amori, antiche guerre ed indicibili intrighi che non potranno che lasciare un lampo di genio nella tua mente e un caldo ricordo nel tuo cuore.
Il Barone, la Repubblica ed Antenorea non fanno altro che attenderti: vienili a conoscere ora!

LinguaItaliano
Data di uscita30 nov 2022
ISBN9781005893200
L'Impostore: la Ragione e la Follia

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    Anteprima del libro

    L'Impostore - Marco Bortolami

    Indice

    Indice

    Introduzione e premesse

    Capitolo I: Mancanze

    Capitolo II: Come gocce d’acqua

    Capitolo III: Nella tana dei serpenti

    Capitolo IV: Genesi

    Capitolo V: La Terra promessa

    Capitolo VI: Le porte della città

    Capitolo VII: Due piani ben riusciti

    Capitolo VIII: Ieri, Oggi, Domani

    Capitolo IX: L’incontro

    Capitolo X: Cena di gala

    Capitolo XI: L’epurazione

    Capitolo XII: La Ragion di Stato

    Capitolo XIII: Notte di sangue

    Capitolo XIV: Dubbi

    Capitolo XV: L’occhio del ciclone

    Capitolo XVI: Pensieri sommersi

    Capitolo XVII: Uno spiraglio di luce

    Capitolo XVIII: Una fredda accoglienza

    Capitolo XIX: Tris di coppie

    Capitolo XX: Investigatori in erba

    Capitolo XXI: Il casino di caccia

    Capitolo XXII: Pensieri e confronti

    Capitolo XXIII: Organo ed incenso

    Capitolo XXIV: Sehnsucht und Streben

    Capitolo XXV: La stella alpina

    Capitolo XXVI: Cibo per maiali

    Capitolo XXVII: La candela solitaria

    Capitolo XXVIII: Carte in tavola

    Capitolo XXIX: Una questione di tempo

    Capitolo XXX: Dalle mie fredde, inerti mani

    Conclusioni

    Contatti

    Congedo

    Alla Storia, eterna ed onnipresente come i ricordi del vero amore

    Introduzione e premesse

    Grazie per aver scelto di scaricare e leggere questo libro.

    Prima di iniziare con la narrazione vera e propria vi chiedo un altro paio di minuti della vostra preziosa attenzione così da poter chiarire, una volta per tutte, determinati punti chiave del romanzo al fine di migliorare al massimo la vostra esperienza all’interno di queste pagine digitali.

    Lo scopo del libro

    Premetto da subito che, a differenza di molti altri libri graditi al grande pubblico, questo mio piccolo scritto non è incentrato sull’azione o su una grande dinamicità, ma bensì sui pensieri, sulle emozioni e sull’introspezione: come capirete sin da subito, questi tre grandi blocchi si potrebbero definire i veri e propri protagonisti dell’opera, lasciando così ai Fatti una funzione di inusuale ma necessario filo conduttore in grado di legare tra di loro una serie di avvenimenti ben più importanti di quelli facilmente percepibili da occhi e orecchie.

    Ho scelto di reggere il libro su questi tre cardini per diverse ragioni, molte delle quali le incontrerete autonomamente nel corso del romanzo senza doverosi o vistosi preamboli, ma innanzitutto perché sono fermamente convinto che un qualsiasi libro, per poter essere definito come tale, debba lasciare un qualcosa nel lettore: dai dubbi alle preoccupazioni e dai sentimenti ai ragionamenti, il lettore non solo deve sentirsi immedesimato nell’opera ma bensì parte integrante, ed attiva, di quest’ultima.

    Pertanto perdonatemi se talvolta mi soffermerò maniacalmente sugli stati d’animo, sui pensieri e sui ragionamenti dei vari personaggi che si susseguiranno nel corso delle pagine, ma il mio preciso obiettivo è quello di descrivere un universo parallelo, una realtà fittizia e allo stesso tempo credibile, una sorta di mondo in cui tutti voi sarete in grado di abbandonare ciò che vi circonda e, contemporaneamente, di immergervi in nuovi amori, in nuove preoccupazioni e in nuovi dolori che vi lasceranno sempre con un’ombra di dubbio e, talvolta, anche con il fondato sospetto che ci sia qualcosa di molto importante oltre a quello semplicemente stampato nero su bianco.

    Il narratore, il protagonista e il ruolo del lettore

    Premetto subito che lo straniamento non vi abbandonerà mai nel corso della lettura, in particolare nella prima parte di questo romanzo: molte tematiche non saranno chiare nemmeno ai lettori più accorti, attenti e pignoli e persino nel resto del racconto ci saranno diversi nodi che sta solamente al vostro intelletto decidere come sciogliere.

    Poco conta, infatti, chi sia a narrare il libro o quale sia il vero nome del protagonista: ognuno di voi, alla fine di ogni capitolo, avrà sviluppato delle interpretazioni uniche e personali tanto soggettive quanto corrette.

    E credo che questo non possa che farvi apprezzare ulteriormente la lettura.

    Proprio per tale ragione ho ideato alcuni artifici -dalle semplici tecniche narrative a qualcosa di un po’ più strutturato che verrà spiegato meglio tra poco- al fine di rendervi tutti dei piccoli investigatori, dei segugi in erba che avranno, se lo vorranno, la possibilità di sviscerare la reale sostanza presente dietro questo mio umile scritto: non fermatevi a quello che il narratore riporta -talvolta non dovrete nemmeno credergli- ma leggete sempre in mezzo alle righe e andate sempre e in ogni caso oltre le apparenze. 

    Siate curiosi e abbiate la volontà di sapere tutto!

    Certamente se non avete voglia di sprecare il vostro acume con questo gioco cervellotico non vi è nessun problema in quanto, alla fine di tutto, quasi ogni dubbio verrà svelato; lasciando però in ogni caso molto spazio libero alle vostre opinioni e alle ancora più importanti interpretazioni personali.

    Insomma, questo è un libro che funziona sia per il lettore pigro, quello che a fine giornata vuole solo godersi un po’ di tranquillità leggendo, sia per quello più curioso ed avventuroso che vuole analizzare l’opera riga dopo riga e parola per parola: con la stessa probabilità ogni pagina può essere un enigma intricatissimo come essere solo il frutto di un banale gioco di parole.

    Tutto dipende solamente da voi!

    Le marche

    Più che per reale volontà da parte mia, sono costretto a seguire le politiche dei siti di pubblicazione e informarvi sin da subito che nel corso del romanzo ci saranno nomi di marche famose.

    Ho optato per l’inserimento di molti nomi ben conosciuti a tutti voi in quanto ciò è fondamentale per aumentare il realismo del libro: spesso non ce ne accorgiamo neanche ma, moltissime volte, i nostri stili di vita, da quello che consumiamo a dove decidiamo di andare, sono immersi in quel tanto famoso mondo della società dei consumi in cui noi tutti viviamo al giorno d’oggi.

    Pertanto, prima di criticare il mio operato, vi chiedo di leggere approfonditamente il romanzo. Infatti, come forse avrete già capito, alla caratterizzazione di ogni personaggio del libro saranno legati certi nomi e determinati brand famosi in grado di fornire maggiori informazioni sul proprietario o sul relativo consumatore: proprio come ognuno di noi ogni personaggio dell’ebook, oltre ad avere un carattere particolare e dei pensieri unici al mondo, ha anche una serie di preferenze per i consumi, per le usanze e persino per le proprie debolezze. 

    Quindi, e termino qui questa breve ma doverosa parentesi, la mia è una scelta consapevolmente effettuata per aumentare in maniera non indifferente la vostra immedesimazione nel romanzo e accrescere così il realismo di quest’ultimo.

    Il nome dei capitoli e il confronto

    Come ho già accennato in precedenza, ritengo fondamentale il vostro pensiero e la vostra interpretazione. Anche per una cosa banale come il nome di un capitolo, infatti, possono esserci tante valide alternative quante sono i lettori: proprio per questa ragione trovo corretto informarvi già qui che i titoli da me scelti sono solamente ciò che io ho ritenuto di voler sottolineare con maggior interesse tra i vari paragrafi che si susseguiranno pagina dopo pagina.

    Chiarito ciò, e io vi invito caldamente a seguire entrambe le strade, siete liberissimi sia di ignorare la mia scelta, e quindi di trovare una vostra personale chiave di lettura, sia di capire e di approfondire il perché io abbia messo l’accento su quel particolare nome o evento all’inizio di ogni capitolo. 

    Inoltre, una volta che avrete terminato la lettura, ritengo fattibile ed utile una sorta di confronto con tutti voi, individuo per individuo e testa per testa: mi farebbe molto piacere, insomma, conoscere le vostre interpretazioni, i vostri commenti e anche le vostre critiche su questo mio romanzo digitale. 

    Insomma, un rapporto diretto tra me e voi non può che essere d’aiuto ad entrambi: io posso sempre migliorare grazie ai vostri preziosissimi suggerimenti e voi potete chiarire eventuali dubbi con il diretto interessato.

    Tutti gli strumenti per comunicare sono riportati nelle pagine finali del libro: fatene ampio uso e non siate timidi, io sono sempre entusiasta di sapere l’opinione di ognuno di voi!

    La musica

    Ancor prima di iniziare a stendere le prime pagine dell’opera, sentivo la mancanza di un qualcosa al libro perché questo potesse veramente funzionare.

    Proprio per questa ragione, e dopo diversi e tortuosi tentativi, ho optato per accompagnare ogni singolo capitolo ad un ben specifico pezzo di musica, creando così una sorta di colonna sonora del romanzo e una traccia musicale molto libera ma che, comunque, è in grado di svolgere perfettamente il proprio ruolo di guida e d’accompagnatrice del lettore.

    Infatti, subito dopo al numero di ogni capitolo, troverete il nome del brano con i relativi creatori: purtroppo, per motivi pratici e legali, non ho potuto creare link ipertestuali per arrivare con un singolo click alla sorgente musicale ma, tuttavia, vi assicuro che ogni pezzo presente nelle pagine a venire sarà semplicissimo da trovare, persino con i più accessibili, comuni e gratuiti strumenti a disposizione di tutti.

    Nella mia personale esperienza mi sono trovato più che bene usando la piattaforma YouTube, che non necessita né qui né altrove di una particolare presentazione: proprio da questo sito ho preso il nome dei singoli componimenti, pertanto, per una migliore esperienza, consiglio in prima battuta di seguire la via scandita da YouTube e dai relativi risultati trovati con questo semplice e gratuito mezzo.

    La mia scelta di accompagnare le parole alla musica è stata dettata anche dal fatto che, per quanto bravo possa essere lo scrittore, molte sfumature del reale non possono essere assolutamente descritte dalle sole lettere; quindi, per farla breve, mi era indispensabile un ulteriore strumento in grado di esaltare e acutizzare nello stesso tempo l’esperienza umana del romanzo.

    In fin dei conti si potrebbe definire questo libro come un quadro: ognuno di noi è interessato in particolare ad un qualcosa di specifico -come ad un dettaglio più o meno nitido o ad una figura dalla strana sagoma- e scorge quello che più gli piace tra le forme e i colori delle pennellate, ovvero nel testo scritto; mentre la musica è come la cornice, elemento che non solo delimita il quadro ma che, se saggiamente utilizzato, ne amplifica le tonalità e chiarifica i sentimenti, i pensieri e le idee dell’artista. 

    Insomma, fate uso della musica, non siate pigri né datela per scontata: riga dopo riga ognuno di voi leggerà nelle parole toni e colorazioni diversi anche grazie al tanto prezioso quanto semplice strumento che ho indicato all’apertura di ogni singolo capitolo.

    Questo è tutto: buona lettura!

    Capitolo I: Mancanze

    C.Saint-Saens:

    The Cuckoo in the Depths of the Woods

    Angoscia, ecco cosa sentiva. Pura angoscia

    Si alzò quasi fulmineamente da quello che definire letto sarebbe stato a dir poco un complimento. 

    Nonostante all’esterno fosse ancora apparentemente notte la cabina, semplice e confortevole, non era del tutto buia.

    In preda allo sconforto più totale le gambe gli cedettero: fu così che Lui si trovò ancora una volta con le natiche appoggiate al troppo soffice materasso.

    Ma era veramente notte? 

    Lui non lo sapeva. 

    Quest’ultima domanda era solo un’ulteriore incertezza, una sorta di nuovo dubbio che si aggiungeva alla già infinita lista di eventi che ormai, da quasi cinque anni, aveva segnato in maniera del tutto inconcludente l’esistenza di quell’omino ora rannicchiato nella schiacciante penombra. 

    Lui, pensava dentro di sé, non era affatto una persona insicura ma era il mondo, quel mostro radicalmente mutato negli ultimi tempi, che non garantiva a nessuno né stabilità né certezze.

    In fondo cos’era Lui in più degli altri? Cosa meritava? Ma soprattutto chi stava diventando?

    Ho sempre odiato viaggiare per lunghi periodi. La bassa e scura figura avvolta nella vacuità parlò in maniera lineare, completamente ovvia e sillogica. È naturale che ora non sappia se sia giorno o notte né dove ci troviamo.

    La verità, tuttavia, era un’altra: si sentiva scoraggiato, perso, solo. 

    Otto lunghi, lunghissimi giorni di viaggio non erano ancora riusciti a distogliere le sue attenzioni dai fatti che proprio Lui, smarrito e turbato, si era dovuto forzatamente lasciare alle spalle nel corso della sua evasione.

    Otto lunghi, eterni giorni di totale staticità non erano stati sufficienti a fargli dimenticare la rocambolesca fuga che aveva dovuto compiere contro la sua stessa volontà per salvarsi la vita. O almeno portare in salvo ciò che di essa ne restava.

    Fu proprio allora, smarrito in quell’oceano di pensieri in cui era alla deriva, che qualcosa dentro di Lui finalmente si mosse dopo tanto tempo di immobile e costante inedia: si sarebbe potuto definire come un istinto, una sorta di flebile vocina che guida ogni essere, e che fa commettere anche le più terribili azioni contro la stessa volontà umana in quanto il suo unico scopo è quello di far sopravvivere il corpo e prevenire la degenerazione della mente in follia.

    Guidata da questa forza prorompente, la traballante sagoma scura si alzò, sbuffò e con rabbia rassegnata si incamminò verso il lavandino tutto bianco e ruggine. Giunta a destinazione aprì il rubinetto e, aggressiva come sempre, si guardò furiosa allo specchio.

    Aveva ormai ventisette anni ma quell’uomo riflesso sul vetro lucido ne dimostrava almeno cinque in più.

    Gli tremarono i polsi.

    Non era stata tanto la guerra in sé, quella che i boriosi esperti avevano battezzato come rivoluzione neo-rinascimentale -termine che Lui rifiutava in maniera del tutto categorica- ma le complicazioni, le preoccupazioni e i pensieri che questa continua tortura bellica aveva portato nelle vite di tutti loro in maniera completamente improvvisa ed inaspettata.

    Fu solo in mezzo a questo breve resoconto sugli ultimi anni della sua vita che il giovane uomo, quasi sussultando, notò infine il riflesso della propria barba impresso sullo sporco specchio opaco: ormai Lui aveva perso il conto anche di quanti giorni erano passati dall'ultima volta che la lametta del suo rasoio, lasciata quasi criminosamente sepolta nella valigia, aveva toccato il suo viso austero e spigoloso.

    In quelle condizioni chiunque si sarebbe messo al lavoro, rimboccandosi le maniche e tagliando tutto il superfluo per tornare ad una parvenza di normalità: Lui no. 

    Lui pensava e basta.

    Infatti, ragionò quell'uomo riflesso nello specchio, era a dir poco esilarante come in nessuna situazione, né a casa né in guerra, un’inezia così sciocca come della peluria facciale avesse smesso di prosperare sul suo volto pallido. 

    Noi umani pensiamo ad ammazzarci e la Natura non ci degna di un briciolo di attenzione. Questo fu il suo primo ed unico pensiero. Non ci degna nemmeno di un istante di benevolenza, di quiete, di pace. 

    Accantonati con estrema difficoltà quegli inquieti ragionamenti, l’uomo con la barba si lanciò in doccia completamente vestito: Lui non seppe neanche quanto a lungo restò lì immobile, fermo sotto l’acqua calda che gli penetrava in ogni singolo poro fino alle stanche ossa, né men che meno quando si tolse i vestiti e cominciò ad usare spugna e sapone. Forse non li usò neanche. 

    Forse anche questa volta il tutto era semplicemente frutto della sua immaginazione.

    Sta di fatto che la stanza da bagno si trasformò ben presto in una umida e fertile sauna.

    Ben presto i polpastrelli si raggrinzirono e le labbra divennero viola e gonfie.

    Ben presto l’acqua portò via tutto quel tormento.

    Il Barbuto tornò lentamente in sé sotto quella vaporosa cascata. 

      Una volta uscito dalla doccia, il Barbuto si vestì con i primi abiti su cui le sue mani si poggiarono. Poi, con i piedi scalzi e i capelli ancora bagnati, quella misteriosa sagoma immersa nella penombra afferrò la boccetta di profumo, si spruzzò un paio di volte quella fragranza floreale sui polsi e, successivamente, chiuse gli occhi per immergersi anima e corpo in quella nuvola di piacere per le narici. Alla fine l’uomo con la barba posò il flacone della Lancaster sulla piccola mensola dello specchio, si pettinò i capelli e chiuse la pesante porta della cabina alle proprie spalle.

    Senza sapere che ore fossero, del tutto incurante di ciò che gli avveniva intorno e ancora stordito per la nottata passata quasi completamente insonne, Lui decise di recarsi al ristorante di prua, lo stesso che, secondo il parere della critica, aveva in assoluto la migliore vista panoramica dell’intera nave e di cui ormai era diventato un affezionato cliente abituale. 

    Intorno a Lui il silenzio era totale.

    Completamente totale.

    Solo dopo qualche passo, ma quasi senza farci troppo caso, il Barbuto notò che in effetti doveva essere ancora molto presto, in quanto tutti i ponti della nave su cui camminava erano quasi completamente deserti: persino quello di terza classe, di solito colmo di ogni singola varietà di individui che la razza umana può offrire, era puntellato solamente da qualche testa che si muoveva confusamente, senza uno scopo né una meta. In realtà quelle facce anonime che si comportavano come ombre, come fantasmi dei corpi a cui appartenevano, altro non erano che ubriachi della sera precedente, che in circolo avevano ancora più alcol che sangue, e giocatori d’azzardo che avevano perso tutto al casinò di bordo: c’era chi non poteva andare a casa o chi proprio non voleva tornarci.

    Lui si sentì fortunato: dopotutto aveva ancora il senno.

    In mezzo a queste osservazioni, l’uomo con la barba era ormai giunto all’interno del ricco e fastoso locale, indiscusso orgoglio della lussuosa nave.

    Tuttavia, a differenza di quella che era la consuetudine, sotto alle luci spente tutto il fasto e lo sfarzo del salone principale sembravano essere completamente assenti, come assopiti in un sonno di cui solo Lui non poteva far parte.

    Non vi era neanche un sibilo di vento ad accompagnare i lenti passi di quell’uomo solo.

    Ma forse così non era.

    Ancora prima che l’anonimo cliente potesse appoggiarsi alla gommapiuma della seduta di uno dei tanti sgabelli girevoli posti di fronte al bancone, un barista decisamente giovane, forse neanche maggiorenne, piombò fuori dalla cucina con una faccia tanto gentile quanto assonnata: i capelli biondo cenere, completamente impomatati e coperti goffamente dal cappello della livrea color vinaccia, conferivano al curioso cameriere un'aria distinta e rispettabile; tuttavia, agli occhi del barbuto Pensatore, questa curiosa divisa si trovava a dir poco in netta contrapposizione ai lineamenti emaciati e pallidi del ragazzo che ne rivelavano la umile, se non addirittura misera, estrazione sociale.

    Cosa ordinate, signore? Il barman, aprendo bocca con tono cordiale, concluse la propria frase con uno sbadiglio che il giovane tentò invano di nascondere con le lunghe mani bianche.

    Il solito, grazie: tè della Twinings e biscotti. Sono sette mattine che faccio colazione seduto qui e non ho alcuna intenzione di perdere altro tempo leggendo il menù. Il misterioso cliente rispose divertito e pacato, quasi con goliardia, osservando nel frattempo i gesti dell’apprendista che organizzava il bancone per quella giornata non ancora cominciata. 

    Ecco a voi. Non era passato nemmeno un minuto e l’ordine del Pensatore era già pronto. Desiderate altro?

    E fu in risposta a questa domanda che il Barbuto tirò fuori da una tasca il proprio portafoglio in pelle nera, stringendo poi con il pollice e l’indice una banconota da cinque ducati e facendo infine sfregare per un paio di secondi tra entrambe le magre dita tozze quel prezioso pezzo di carta filigranata.

    Tieni pure il resto, ragazzo. Mi dispiace pagarti così ma non ho lire con me. L’anonimo cliente concluse il proprio spettacolo appoggiando la carta moneta al ripiano e staccando poco dopo il piatto dal bancone di marmo verde edera. Alla fine si alzò dal morbido e soffice sgabello girevole con un sorriso sommerso da quella barba piratesca.

    Contemporaneamente, dall’altro lato della barra, il giovane barista, forse per l'emozione o forse per il sonno non ancora del tutto scomparso, rispose a quel benefattore alzando il tono della voce di qualche ottava di troppo, gracchiando così in faccia a quell’uomo tanto gentile quanto trasandato. Grazie signore, di questi tempi un gesto di generosità è raro. Voi siete l’unico ad aver lasciato la mancia in più di una settimana di viaggio. Io non so nemmeno chi siete e voi fate questo per me. Voi…voi come vi chiamate?

    Il mio nome non ha importanza. Il cliente irruppe con fare da spaccone nel monologo dell’assonnato. Anzi, forse è meglio che tu non lo sappia proprio, ragazzo. 

    Fu così che l’uomo con la barba concluse definitivamente la conversazione strizzando l’occhio al barman e scomparendo lentamente dall’assonnata vista di quest’ultimo: in men che non si dica, il cliente era svanito nel nulla con lo stesso alone di mistero con cui era comparso poco prima davanti a quell’adolescente che ora aveva la bocca spalancata ed il viso incredulo.

    Il tavolo ottagonale del Barbuto, leggermente distante dal centro della sala, era posto esattamente sotto la fine dell’elegantissimo lucernario di vetri di Murano, elemento più unico che raro e che nei momenti di massima luminosità creava nel salone un grandioso gioco di luci, colori ed ombre che faceva sfavillare l’intero locale. Fu proprio qui, sotto allo spettacolo cromatico non ancora cominciato, che il Pensatore consumò il primo pasto della giornata, solitario e taciturno come sempre. 

    E nel silenzio più assoluto l’uomo con la barba non poté che precipitare nuovamente nei propri pensieri, questa volta interrogandosi sul luogo d’arrivo di quella lunga spedizione.

    Tra un boccone e l’altro, infatti, la sua mente continuava a chiedersi se la tanto agognata meta fosse ancora molto distante e se il Nuovo Mondo fosse davvero così meraviglioso come Lui ne aveva sentito parlare tanto a lungo e in largo, specialmente in tutti i salotti in cui aveva bazzicato nei brevi momenti di pausa dalle attività belliche. Si chiedeva se il Nuovo Mondo fosse ricco, selvaggio ed incontaminato; si chiedeva se quella fosse la nuova terra in cui tutto poteva essere possibile. Ma soprattutto si chiedeva se quella poteva veramente essere l’occasione per ricominciare da capo oppure se, anche questa volta, il suo turbinoso passato sarebbe stato più forte del suo senso del dovere.

    Per qualche breve istante quel cervello stanco ma inarrestabile tornò addirittura a rimuginare sugli eventi antecedenti alla guerra, a quegli stessi momenti che nei ricordi di tutti sembravano appartenere all’età dell’oro, ovvero a quando tutti erano felici, a quando le ricchezze coloniali giungevano abbondanti in Patria e a quando i pionieri discutevano animatamente sulla terra promessa prima della loro tanto attesa partenza per il misterioso Nuovo Mondo.

    Lui non era un sognatore, non lo era mai stato, ma era curioso, così curioso di sapere a cosa sarebbe andato incontro che per un momento, per un solo brevissimo momento, si distaccò completamente dal mondo e dalla concretezza: questo, tuttavia, non fu un istante di serenità o di spensieratezza né un attimo di nostalgia, ma solamente un fulmineo baleno in cui tutti i suoi numerosi pensieri si fecero così pressanti nel suo cervello che Lui non sarebbe mai riuscito ad elaborare nuovamente la triste realtà se prima non avesse trovato delle valide risposte a tutti quei suoi dubbi. 

    Era in una sorta di stallo, fermo immobile in balia degli eventi.

    Ma questo era solo il primo di una lunga serie di ostacoli. 

    In quella sorta di reminiscenza, tuttavia, tra i vari quesiti se ne impose in particolare uno, uno solo, da cui il Barbuto si era solo momentaneamente liberato dalla precedente notte insonne: Lui aveva veramente abbandonato la causa per cui molti suoi conoscenti, amici e familiari avevano dato la vita? Per quella tanto agognata causa per la quale si era combattuto per anni sulla sua terra nativa a costi altissimi? O invece Lui era sempre lo stesso, e sempre gli stessi erano i suoi ideali, e era invece la realtà ad essere un’altra? 

    Non sapeva a cosa credere.

    Non riusciva a mettersi l’anima in pace. 

    Continuava ad essere in un limbo tra l’angoscia e il senso di colpa.

    Come aveva potuto Lui, Comandante del più brillante battaglione dell’intelligence della Repubblica, essere stato riconosciuto così facilmente dai nemici? E, soprattutto, come era possibile che proprio Lui fosse stato sopraffatto dai suoi stessi uomini che, contro i suoi precisi e diretti ordini, lo avevano fatto fuggire dall’esecuzione della pena capitale a cui sarebbe inevitabilmente andato incontro rimanendo ancora per pochi minuti nelle mani dei monarchici? 

    Senz’alcun dubbio Lui avrebbe preferito morire legato a quel palo del Re piuttosto che sentirsi l’orgoglio e la reputazione personale e professionale macchiate. 

    In mezzo a quelle preoccupazioni l’unica certezza su cui quell’uomo solo poteva contare era quella di dover rimediare: ma solamente una volta sbarcato, pensava ingenuamente il Barbuto, avrebbe saputo rispondere ai pressanti interrogatori condotti dalla sua stessa coscienza.

    Lui ancora non poteva sapere quello a cui sarebbe andato incontro in mezzo a quelle lande inesplorate, le stesse che presto, volente o nolente, avrebbe dovuto chiamare casa.

    Il Barbuto sussultò: era finalmente tornato al mondo reale precipitando giù dal pianeta delle idee. 

    Aveva ancora molti dubbi ma, nonostante i dolori della caduta, qualcosa di nuovo c’era nella sua mente rispetto a quando si era seduto a fare colazione: una paura insolita, forse del tutto nuova pure per Lui, una sensazione che sembrava essere uscita dalla terrificante descrizione di un soldato disperso e ferito dietro le linee nemiche. 

    Ora, infatti, il Comandante era pienamente consapevole che se fosse stato scoperto ed identificato su quella nave per Lui sarebbe sicuramente stata la fine e, ancora peggio, non avrebbe potuto avere occasione di riscattarsi.

    Ed era proprio il lasciare sulla memoria del proprio nome un’orribile macchia, forse la più grande di tutta la storia della Repubblica, che lo spaventava, che lo terrorizzava, che lo atterriva a morte.

    E fu con questa inquietudine che gli gelava il sangue nelle vene che il Barbuto finì rapidamente la colazione, si alzò e salutò il giovane seduto dietro al bancone. 

    Nel mentre i suoi pensieri, ancora non totalmente tornati alla normalità, correvano in maniera fluida, cercando una soluzione, una risposta ad ogni sua singola domanda. 

    I suoi passi verso la cabina erano veloci e decisi quanto la miriade di ricordi che gli passava per la testa: senza accorgersene, proprio come se fosse stato guidato nuovamente da quell’assillante vocina, l’uomo con la barba era di nuovo davanti al proprio semplice e polveroso alloggio.

    Il Comandante, questo ormai era diventato il suo unico nome, il suo unico ricordo, chiuse rassegnato la porta alle proprie spalle, che sbatté ma non produsse alcun rumore.

    Ora Lui era pienamente consapevole del fatto di non avere molte possibilità di uscire vivo da quella intricata situazione. E con questo pensiero che gli martellava i timpani, il Comandante si portò i palmi delle mani sudate a quel suo volto triste e stanco.

    Preso nuovamente dallo sconforto, l’ex militare si accasciò al muro, appoggiando nel frattempo la schiena alla sporca carta da parati giallognola: Lui strisciò tutto il proprio corpo alla parete fino a quando il suo sedere toccò nuovamente la sottile moquette impolverata del pavimento.

    Con gli occhi chiusi e la testa china tra le ginocchia, l'angosciato era ormai al tappeto: voleva gettare la spugna, finirla una volta per tutte, ma fu proprio allora che la sua vocina gli ordinò di combattere, di reagire, di fare qualcosa. 

    Ma ancora non sapeva cosa. 

    Lui sapeva che ormai era solo una questione di tempo.

      Passarono così diverse ore, troppe perché una sola testa riuscisse a contarle tutte. 

    Forse il Comandante era ricaduto in un pesante sonno o forse era solamente immerso nei propri pensieri, ma sta di fatto che all’improvviso, proprio come se fosse stato colto da un lampo di genio, Lui spalancò gli occhi.

    Aveva un piano.

    Aveva finalmente un piano.

    In mancanza di migliori alternative, quella mente contorta aveva inconsapevolmente optato per un travestimento: fu così che quella bassa figura immersa nell’oscurità si levò, corse in bagno e, tornato davanti al proprio riflesso, decise sul momento di radersi e di lasciarsi crescere solamente i baffi. 

    Girando il volto da ogni lato dello specchio per decidere cosa risparmiare e cosa estirpare, l’uomo con la barba fu a dir poco entusiasta di non essersi rasato in precedenza, appena sveglio, o addirittura nei giorni passati.

    Per la prima volta dopo tanto tempo Lui si sentì fortunato, proprio come se la Dea Bendata avesse improvvisamente deciso di scommettere il suo numero alla roulette del Destino.

    Fu in quest’apparente momento di genio e d’euforia che il Comandante afferrò dalla robusta borsa militare verde scura le forbici e la lametta e, dopo essersi attentamente sfoltito ogni angolo del viso, tagliò tutto ciò che riteneva essere superfluo sul proprio volto, tutto ciò che lo avrebbe potuto tradire, tutto ciò che non avrebbe fatto più parte della sua nuova identità. 

    Lasciarsi crescere la barba come escamotage, pensò il Barbuto mentre maneggiava minuziosamente il rasoio, non era un’idea neanche da prendere in considerazione per un individuo come Lui: uomo d’ordine era e uomo d’ordine sarebbe rimasto, anche a costo di pagare il conto con la propria vita.

    Terminata quella che a Lui sembrò essere una vera e propria metamorfosi, il Comandante si tuffò per l’ennesima volta in doccia, questa volta, però, completamente svestito e con la netta consapevolezza di aver imboccato la via giusta, di aver scelto il sentiero corretto e di aver segnato su questo i primi passi verso la salvezza, verso il successo, verso la redenzione.

    Indietro non si poteva tornare.

    La sua mente, annaffiata dall’acqua bollente, continuava a giocargli brutti scherzi ma la sua volontà era ora decisamente ben più forte di quegli schizzi perversi che la psiche gli presentava istante dopo istante davanti ai suoi stessi occhi.

    Dopo una breve ma intensa lavata, per quasi un minuto l’uomo con i baffi osservò il proprio riflesso -la sua nuova opera- allo specchio, tirando la bocca da ogni lato della cornice per testare il suo nuovo aspetto: l’uomo nuovo era a dir poco galvanizzato ed entusiasta dalla sua eccezionale creazione. 

    Il suo volto stoico, infatti, era ora coronato da un ordinato quanto folto baffo Chevron di un castano scurissimo che, di lì in poi, lo avrebbe accompagnato per molto, moltissimo tempo e che in tante occasioni, troppe per essere contate, sarebbe diventato uno dei suoi innumerevoli marchi distintivi.

    Uscito trionfante dal bagno, il Comandante si sentì sollevato, soddisfatto, rinato; ma, tuttavia, nel profondo della mente, l’uomo con i baffi provava ancora la vivida sensazione che mancasse qualcos'altro di non ben definibile a quella sua radicale trasformazione. 

    Fu allora che, guidato da quel forte senso di curiosità, Lui si vestì con una polo bianca a maniche corte accompagnata da un paio di eleganti pantaloni lunghi color nocciola. Il tutto venne completato poco dopo da un pullover blu lasciato a riposo sulle spalle, indossato in modo che l’uomo con i baffi avesse la schiena coperta dal corpo del maglione mentre le maniche del golfino gli scendessero lungo il petto per arrivare dritte ed impeccabili fino ai fianchi di quell’elegante e bassa figura umana.

    Pettinatosi per l’ultima volta davanti allo specchio, il Comandante afferrò con perizia il suo portasigari, l’accendino Zippo, il portafoglio e quei pochi effetti personali che gli era stato possibile portare con sé in quell’interminabile viaggio. Successivamente l’uomo con i baffi distribuì ordinatamente il tutto nelle proprie tasche profonde con tale perizia e cura che solo un militare sa avere.

    Ormai non c’era più nulla da fare all’interno di quelle quattro e sporche mura ma in ogni caso il Comandante sentì che dentro di sé mancava nuovamente qualcosa: con una premura amorosa, infatti, quel basso uomo afferrò come dal nulla un oggetto metallico, l’unico ninnolo scintillante presente all’interno della penombra della cabina. Successivamente, senza far aspettare un solo secondo in più, Lui strinse nella sua gelida mano quel piccolo medaglione argenteo, lo aprì e vi ammirò la foto presente all’interno.

    Un sorriso di malinconica dolcezza comparve su quel viso aspro e freddo. 

    Il Comandante sapeva bene che, nei momenti più difficili e in ogni parte dell’Universo, contemplare quel suo piccolo idolo gli avrebbe sempre fatto tornare la voglia di vivere: era successo negli scontri più cruenti, nelle battaglie più disperate, negli assalti più sanguinosi e funzionò anche allora.

    Fu proprio in quell’istante, come se quel ciondolo contenesse ogni verità, che l’uomo con i baffi comprese appieno che l’intera situazione dipendeva solamente da Lui, solamente da sé stesso: con quel pensiero per la testa, il Comandante uscì fiducioso dal polveroso alloggio e si mise immediatamente a passeggiare per il lungo ponte panoramico, lo stesso su cui i primi bambini cominciavano a fremere e a strillare pressando i genitori con ingenue ed innocenti richieste sulla prima colazione e sulla giornata appena cominciata.

    Un nuovo giorno era finalmente sorto.

      Quegli scuri baffi camminarono per ore e ore avanti e indietro sul ponte superiore della nave, osservando nel frattempo la vita degli altri passeggeri animarsi sempre di più man mano che ci si avvicinava all’ora di pranzo. Le persone in cui l’uomo con i baffi si imbatteva sembravano essere normali, tranquille, anonime: era come se solo Lui, tra tutti, avesse una serie interminabile di segreti da portarsi nella tomba. Tutti gli altri, invece, sembravano solo dover correre da qualche parte, senza mai fermarsi a pensare, sottolineando così agli occhi del militare la vacuità dei loro gesti, delle loro azioni, dei loro pensieri. 

    Ma su quell’imbarcazione, pensò più volte il Comandante, si facevano anche strani e bizzarri incontri: c’era chi scriveva, chi disegnava, chi componeva musica o chi semplicemente camminava, chi correva, chi giocava a scacchi, a carte o ad altri giochi da tavolo, chi parlava animatamente di spettacoli teatrali e cinematografici dell’ultimo momento o chi, più riservatamente, bisbigliava di pettegolezzi coniugali o presunte tresche amorose. Nessuno, però, parlava di politica, di economia o della guerra. Nessuno lo faceva nonostante tutti, dal primo all'ultimo dei passeggeri, ne fossero pienamente a conoscenza. Tutti ne erano immersi, tutti ne erano coinvolti, ma tutti facevano finta di niente.

    Sembrava fosse tornata la normalità. 

    Sembrava fosse tornata la spensieratezza.

    Sembrava che le persone si fossero lasciate tutto alle spalle per un nuovo mondo in cui la sola speranza rappresentava l’unico fattore necessario per essere felici e in cui le proprie capacità i soli ferri del mestiere per plasmare il domani.

    Ma presto si sarebbe scoperto che così non era.

      Il Comandante passò diversi giri di lancetta a consumare le proprie scarpe sul chiaro ponte superiore della nave fino a quando, poco dopo aver consumato un profumato Nostrano del Brenta, si rese conto che tutti i passeggeri che lo circondavano si stavano lentamente incamminando verso i ristoranti più alla moda e sciccosi della nave: fu esattamente in quel frangente che anche Lui, guidato più dalla volontà di rimanere anonimo che da un autentico senso di fame, decise di avviarsi verso il proprio tavolo da pranzo.

    Tutto ciò, pensava tra sé e sé l’uomo con i baffi, gli ricordava i viaggi che faceva da piccolo con la famiglia, moltissimo tempo prima, in soleggiatissime località estive e talvolta anche tropicali, ma con l’unica e non indifferente eccezione che ora Lui era solo, molto più lontano di casa di quanto non lo fosse

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