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Forse non tutti sanno che il grande Napoli...
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E-book378 pagine4 ore

Forse non tutti sanno che il grande Napoli...

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Info su questo ebook

Curiosità, storie inedite, aneddoti storici e fatti sconosciuti della squadra partenopea

Una storia scritta domenica dopo domenica

Forse non tutti sanno che il grande Napoli… è una collezione di racconti curiosi e divertenti relativi a più di novant’anni di storia azzurra. Dalle chicche statistiche ai record impensabili, agli aneddoti che riguardano calciatori, allenatori, dirigenti, lo stadio San Paolo. I fuoriclasse, i fedelissimi, i gol decisivi, le vittorie e anche le sconfi tte più importanti in campionato e nelle coppe europee vengono raccontati da una prospettiva inedita. Si comincia nel lontano 1926 e si arriva ai giorni nostri, percorrendo una strada sulla quale sono passati di volta in volta personaggi del calibro di Sallustro, Maradona, Vinicio, Careca, Castellini, Reina, Cavani, Sivori, Insigne. Un libro indispensabile per chiunque voglia saperne di più sulla sua squadra del cuore, il grande Napoli. 

Forse non tutti sanno che il grande Napoli…

…Diego Armando Maradona è napoletano da sempre, ma formalmente solo dal 2017
…La prima rete della storia azzurra la segnò Innocenti
…Il “ciuccio” diventò un simbolo quasi per caso
…La prima tripletta di Hamšík coincide con due record
…al San Paolo, per Pino Daniele, anche il cielo ha pianto
…è gemellato con il Genoa ma anche con il Lokomotiv Plovdiv
Giampaolo Materazzo
è nato a Napoli nel 1972. Vive e lavora nei Campi Flegrei. Ha scritto per la Newton Compton 101 gol che hanno fatto grande il Napoli.
Dario Sarnataro
è nato a Napoli nel 1975. Voce dei programmi sportivi di Radio Marte, collabora con «Il Mattino» e segue professionalmente le vicende del Napoli calcio dal 1996. Insieme a Giampaolo Materazzo ha firmato 1001 storie e curiosità sul grande Napoli che dovresti conoscere, Il romanzo del grande Napoli, I campioni che hanno fatto grande il Napoli, Il Napoli dalla A alla Z e Forse non tutti sanno che il grande Napoli...
LinguaItaliano
Data di uscita9 nov 2017
ISBN9788822715364
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    Anteprima del libro

    Forse non tutti sanno che il grande Napoli... - Giampaolo Materazzo

    1

    LE CASE DEL NAPOLI

    immagine

    I primi campi da gioco non erano veri e propri stadi

    Sono cinque gli stadi nei quali il Napoli ha giocato le partite casalinghe nella sua storia, dal 1926 a oggi: l’Arenaccia, l’Ilva di Bagnoli, l’Ascarelli, il Vomero e il San Paolo. In realtà, prima che nascesse l’associazione calcio Napoli nel 1926, nei venti anni precedenti, da quando cioè si cominciò a giocare a calcio sulle rive del golfo, di campi da gioco ce n’erano stati altri. Magari non esattamente regolamentari, come il Mandracchio che si trovava tra piazza Municipio e via Marina, nella zona del porto, dove si videro, per la prima volta nella storia di Napoli, ventidue ragazzotti in pantaloncini correre dietro a un pallone, senza nemmeno troppo conoscere le regole e senza alcuno schema di gioco. Molti di essi erano marinai inglesi che riuscirono a incuriosire i giovani partenopei e quindi giù con le sfide su un campo sconnesso che nel secolo precedente apparteneva al mare (mandracchio infatti è un recinto d’acqua riservato all’ormeggio presente in molti porti italiani, compreso quello di Napoli fino a circa il 1830, quando poi venne colmato durante dei lavori di ristrutturazione diretti dall’architetto Stefano Gasse). Quando venne fondata la società Naples Foot-Ball & Cricket Club nel 1904 (da William Poths e dai fratelli Bruschini) si cominciò a giocare su campi più regolari che si trovavano fuori il centro cittadino, prima a via Campegna (attualmente tra Fuorigrotta e Cavalleggeri d’Aosta) poi al campo di calcio ad Agnano e infine al campo militare dell’Arenaccia che fu anche il primo terreno di gioco del Napoli dal 1926 al 1929. Questo impianto sportivo che era stato inaugurato nel 1923, si trova tuttora accanto alla caserma militare, tra corso Malta e via Arenaccia. Interamente ristrutturato negli anni Cinquanta del secolo scorso, è stato denominato velodromo Albricci, in memoria del generale Alberico Albricci.

    Prima che venisse costruito lo stadio Vesuvio, un altro impianto utilizzato in qualche occasione dal Napoli degli albori (sempre tra il 1926 e il 1929) fu il campo dell’Ilva di Bagnoli. Il terreno di gioco sorgeva sotto la collina di Posillipo ed era lo stadio ufficiale della Bagnolese, antica e prestigiosa società nata nel 1909. Il Napoli vi giocò, tra le altre, la partita contro la Juventus di Combi e Caligaris, il 19 maggio 1929, che terminò con la vittoria azzurra: 1-0 con gol di Buscaglia sugli sviluppi di una spettacolare azione di Sallustro.

    L’Ascarelli è stato l’unico stadio di proprietà del Napoli

    L’unico stadio di proprietà nella storia del club azzurro fu costruito alla fine degli anni Venti per volere di Giorgio Ascarelli, il primo presidente dell’associazione Calcio Napoli. Interamente finanziato dal facoltoso imprenditore di origine ebraiche, lo stadio fu realizzato nei pressi della stazione centrale, nel rione Luzzatti. Su progetto di Amedeo D’Albora, ingegnere e dirigente sportivo napoletano, lo stadio venne costruito in soli sette mesi: dall’agosto del 1929 fino al febbraio del 1930. Le tribune erano fatte in legno, l’impianto poteva accogliere fino a quasi ventimila spettatori. Denominato stadio Vesuvio, la prima gara di campionato lì giocata fu Napoli-Triestina, finita 4-1 e disputata il 16 febbraio 1930. L’inaugurazione ufficiale, però, avvenne la settimana successiva, il 23 febbraio. Quel giorno si affrontavano Napoli e Juventus e la partita finì 2-2. Mimetizzato tra la folla sugli spalti c’era anche Ascarelli che, lontano dai riflettori, poté godersi le sue creature, squadra e stadio. Purtroppo, di lì a tre settimane, il giovane presidente morì, fulminato da una peritonite acuta e così lo stadio gli fu intitolato immediatamente, a furor di popolo.

    In seguito, per lo svolgimento dei mondiali di calcio del 1934, lo stadio venne ammodernato, ricostruito principalmente in cemento e la sua capienza fu portata a quarantamila posti. Il regime fascista impose il nome di Stadio partenopeo al nuovo impianto, ma per i giornali del tempo e soprattutto per i tifosi napoletani rimase lo stadio Ascarelli fino al 1942, quando per gentile concessione delle forze alleate fu gravemente danneggiato, come circa il 40% degli edifici di Napoli, dai continui e vili bombardamenti aerei.

    Il vecchio Collana ha una storia da raccontare

    Lo stadio Arturo Collana che è stato costruito negli anni Venti del secolo scorso ha cambiato diverse denominazioni nel corso degli anni: dal 1925 al 1929 fu lo stadio del Vomero; dal 1929 al 1936 stadio xxviii ottobre, dal 1936 al 1943 stadio del Littorio, dal 1943 al 1945 tornò a essere stadio del Vomero, dal 1945 al 1963 stadio della Liberazione e infine dal 1963 ai giorni nostri è stato intitolato ad Arturo Collana, giornalista sportivo che aveva seguito le sorti del Napoli per decenni sulla carta stampata. Fu lo stadio in cui gli azzurri giocarono le partite casalinghe nella stagione 1933-34 a causa dei lavori di ristrutturazione dello stadio Ascarelli che avrebbe ospitato alcune gare del mondiale italiano del 1934 e poi, quando l’Ascarelli diventò inagibile a causa dei bombardamenti aerei, nel dicembre del 1942, ospitò qualche altra partita del Napoli fino all’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio di Cassibile. Quando l’Italia si arrese alle forze alleate, i tedeschi presenti sul territorio diventarono all’improvviso i nemici da combattere e così le forze armate della Wehrmacht requisirono lo stadio del Vomero per farlo diventare un campo di concentramento dove imprigionare i giovani napoletani che sarebbero stati tradotti in Germania. La città insorse contro i tedeschi e tra il 27 e il 30 settembre riuscì a liberarsene durante le famose quattro giornate di Napoli. A questo episodio storico si deve la denominazione della piazza antistante l’impianto sportivo che è appunto piazza Quattro giornate.

    Dopo la fine della seconda guerra mondiale e fino alla fine del 1959 (quando poi fu inaugurato il San Paolo), lo stadio del Vomero ha visto tutte le partite casalinghe della squadra azzurra. Vi sono alcuni episodi riguardanti questo stadio che andrebbero ricordati. Il 27 gennaio del 1946 si giocò la partita tra Napoli e Bari, che rappresentava il meglio della domenica calcistica nel torneo centromeridionale del campionato italiano (diviso in due durante la difficile stagione postbellica). Gli spalti apparivano affollatissimi e festosi. Quando al 3 del primo tempo Lushta, il nuovo centravanti azzurro, segnò il gol del vantaggio, l’entusiasmo sugli spalti causò un incidente che avrebbe potuto avere conseguenze molto più tragiche: la balaustra della tribuna che ospitava migliaia di tifosi crollò per la lunghezza di una quindicina di metri. Centinaia di persone precipitarono sul campo, ferendosi. Miracolosamente non vi furono vittime, ma si contarono centoquattordici tra feriti e contusi, dodici dei quali furono trasferiti negli ospedali della città. La partita fu sospesa, ma solo per un quarto d’ora. Poi, in un clima irreale, si riprese a giocare e il Napoli riuscì a vincere per 2-1. Ci fu chi giurò che le esultanze degli altri due gol dell’incontro furono molto più moderate.

    Al Collana si entrava anche in quarantamila

    Un altro ricordo importante che riguarda lo stadio del Vomero è relativo all’esordio di Luís Vinício con la maglia del Napoli. Era il 18 settembre del 1955. C’erano quasi quarantamila spettatori assiepati sulle tribune per vedere all’opera il campione venuto dal Brasile e Luís, prima del fischio di inizio della gara con il Torino, riempì l’attesa e gli occhi già innamorati del popolo azzurro sfoggiando una serie di palleggi di tacco. Trascorsero soltanto quaranta secondi per illuminare definitivamente il cielo del Vomero; Vinício aveva già segnato e così descrisse lui stesso l’azione del gol, qualche anno più tardi: «La tocco per Amadei, che la dà a Vitali, che allunga la palla in un corridoio libero, io scatto, resisto a Grosso e a Bearzot, e dal limite scaglio con vigore nel 7. Splendida rete». Ovviamente ci fu un’esplosione di gioia sugli spalti che rimbombò nel raggio di chilometri. Vinício segnò anche un altro gol in quella partita che finì con il risultato di 2-2. Qualcuno mugugnò per il pareggio maturato grazie a due errori della difesa azzurra, ma Vinício era già entrato nel cuore dei tifosi e infatti disse pure: «Fu una gara unica, con un calore straordinario».

    Un altro giorno memorabile per lo stadio Collana fu il 20 aprile 1958: si giocava Napoli-Juventus e arrivarono così tanti appassionati partenopei allo stadio che non si riuscì, letteralmente, a contenerli. Due ore prima della partita già gli spalti apparivano gremitissimi, eccezion fatta per i posti riservati agli abbonati. Chi tra questi raggiunse lo stadio con calma, trovò una ressa incredibile fuori ai botteghini che naturalmente avevano già esaurito i biglietti. I funzionari di pubblica sicurezza, che intanto avevano chiuso i cancelli di accesso, dovettero permettere l’ingresso agli abbonati direttamente dal varco che dava al campo e così, oltre a questi, qualche altro migliaio di portoghesi riuscì a infilarsi e a entrare. Quando l’arbitro Concetto Lo Bello di Siracusa, l’imperturbabile re del fischietto vide almeno un migliaio di tifosi seduti a bordo campo, non batté ciglio e provò a responsabilizzarli, pronto a interrompere la gara in caso di incidenti. Poi avvicinò i capitani Boniperti e Pesaola e disse: «A me la folla non fa paura, a voi?». Ottenne l’ok. In campo si disputò una partita leggendaria: al 4 vantaggio di Vinício; tre minuti dopo pari di Stacchini; 2-1 di Brugola al 24 con un tocco d’esterno; 2-2 di Stacchini, con deviazione di Greco; 3-2 al 76, gol di Vinício su assist di Pesaola: all’84 3-3 di Montico; all’87, Bertucco indovinò il 4-3 di sinistro da fuori area. Agostino Panico, per il «Corriere dello Sport» scrisse: «Quello che si è visto al Vomero in questa occasione supera ogni immaginazione, supera ogni coloritura descrittiva, supera ogni precedente. Per chi l’ha vissuta questa edizione di Napoli-Juventus resterà memorabile, resterà scolpita nella memoria come una cosa ineguagliabile».

    Il San Paolo tra un po’ fa sessant’anni

    Lo stadio San Paolo è stato costruito negli anni Cinquanta nel quartiere di Fuorigrotta, durante il boom economico ed edilizio che ha contraddistinto quel periodo della recente storia italiana. Realizzato interamente in cemento armato su progetto dell’architetto Carlo Cocchia e dell’ingegnere Luigi Corradi, sarebbe diventato il luogo di culto delle domeniche pomeriggio dei tifosi azzurri per svariati decenni. La posa della prima pietra avvenne il 27 aprile 1952 in presenza dell’allora presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, e i lavori furono ultimati nel 1959. Quando l’impianto fu consegnato al comune di Napoli, poteva ospitare 87.500 spettatori, risultando essere lo stadio più capiente d’Italia fino ai mondiali del 1990, quando per lavori di ristrutturazione, ammodernamento e copertura, è stata ridotta la sua capacità. In un primo momento è stato chiamato stadio del Sole, ma il vescovo di Pozzuoli chiese e ottenne di ribattezzarlo stadio San Paolo in omaggio al santo venuto da Tarso e che, giunto dal mare, avrebbe toccato terra proprio nella zona flegrea. Inaugurato ufficialmente per una gara della nazionale italiana il 6 gennaio 1960 (Italia-Svizzera 3-0) in realtà aveva ospitato come prima partita, esattamente un mese prima, Napoli-Juventus del 6 dicembre 1959, finita 2-1 in favore degli azzurri.

    I lavori realizzati per il mondiale italiano del 1990 hanno invece appesantito la struttura originale con una copertura in lega metallica e l’aggiunta di un terzo anello ben presto chiuso agli spettatori per motivi di stabilità. In realtà uno dei motivi principali per cui è stato chiuso il terzo anello è quello delle onde sismiche: la struttura metallica che lo sostiene è poggiata sul suolo e così ogni qualvolta le migliaia di persone che lo occupano esultano, saltano o si muovono all’unisono, si propagano sul terreno vere e proprie onde sismiche che danneggiano i palazzi nei dintorni dello stadio. Negli ultimi anni la capienza del San Paolo è stata di fatto ridimensionata a circa sessantamila spettatori, rendendolo l’attuale terzo impianto in Italia, dopo il Meazza di Milano e l’Olimpico di Roma.

    Qualche piccola operazione di restyling degli ultimi anni è stata relativa al miglioramento del terreno di gioco, al drenaggio del prato, ad alcuni lavori nella tribuna stampa, all’inserimento di un piccolo tabellone luminoso con risultato della partita in corso e cronometro. Per il resto rimane sempre lo stesso colosso che domina il piazzale Tecchio di Fuorigrotta e che affronta il trascorrere del tempo con la malinconia dei vecchi che ne hanno viste di cose passare, che collezionano ricordi e che comunque rimangono lì ad aprirti la porta di casa per offrirti il meglio che possono dare.

    Il San Paolo si inaugurò contro la Juventus

    La prima volta che il gigante si è vestito d’azzurro è stata il 6 dicembre 1959. Come ebbe modo di appuntare su «Il Mattino» l’eccezionale penna di Gino Palumbo, i tifosi napoletani si recarono al San Paolo quasi per rendergli omaggio: «Che lo stadio fosse bello, superbo, grandioso, si sapeva: lo si era ammirato nelle fotografie, nelle visite, nelle descrizioni. La folla andò a Fuorigrotta non per conoscerlo: per salutarlo». Nonostante il Napoli dopo nove partite di campionato avesse conquistato soltanto sette punti, furono ben settantamila gli spettatori accorsi sulle gradinate per assistere a Napoli-Juventus. I bianconeri invece, dall’alto dei loro quindici punti, dominavano la classifica, ma si arresero alla straordinaria motivazione degli uomini di Amadei che misero in campo tutte le proprie forze per onorare il nuovissimo palcoscenico. Il primo gol segnato al San Paolo fu dunque quello realizzato da Sandro Vitali al 6: cross di Pesaola e preciso colpo di testa del centrocampista nato a Monza (era stato lo stesso Vitali a segnare l’ultima rete azzurra nello stadio del Vomero il 15 novembre 1959 nella vittoria contro il Lanerossi Vicenza, per 3-1). Il secondo gol del Napoli lo mise a segno Vinício che in mezza girata sorprese il portiere bianconero. Per la Juventus, a un minuto dalla fine, segnò Cervato su rigore il definitivo 2-1.

    Per Sívori e Altafini nacquero centomila cuori

    Un biennio da record per quanto riguarda le presenze al San Paolo e gli abbonamenti venduti fu quello tra il 1965 e il 1967. Per il campionato 1965-66 furono venduti 52.308 abbonamenti, in quello successivo le tessere diventarono addirittura 69.344. Centoventimila abbonati in due anni. Una quantità di affezionati che non aveva precedenti nella storia del calcio in Italia. L’allora presidente del Napoli, Roberto Fiore, fu un autentico mago della comunicazione e delle strategie economiche: propose la vendita dell’abbonamento a rate e in quel periodo ci si riferiva allo sterminato popolo del San Paolo come ai centomila cuori azzurri. Ovviamente anche i risultati sportivi della squadra aiutavano i numeri del cassiere: secondo posto nel 1965 e terzo posto nel 1966 e poi l’acquisto di Sívori e Altafini nell’estate del 1965 che determinò un’euforia contagiosa. Per tradurre in numeri e in monete quanto finora detto, basta ricordare i record che centrò il Napoli in quel biennio: circa un milione e duecentomila presenze al San Paolo nelle diciassette gare casalinghe (nel campionato 1965-66) per una media di settantamila spettatori a partita; oltre un miliardo e mezzo di lire incassate fecero sì che il Napoli fosse la prima società sportiva italiana a superare il miliardo in un anno; le quasi settantamila tessere vendute nell’estate del 1966 portarono, a proposito di miliardi, 1.169.000.000 di lire nelle casse della società azzurra! Per fare qualche esempio lampante della passione che avvolgeva la squadra in quel periodo, basta ricordare due episodi: per una gara amichevole che si giocò a Fuorigrotta il 21 agosto 1965 tra Napoli e Milan (3-3), si registrò il tutto esaurito sugli spalti; e invece il 2 ottobre 1966 a Roma, quarantamila (!) tifosi napoletani si recarono in trasferta all’Olimpico. Il Napoli rispose a tanto affetto con una prova d’orchestra straordinaria e con la netta vittoria. Le due reti azzurre furono bellissime. Al 5 il gol di Paolo Braca (per la sua unica rete in campionato): lancio di Juliano, stop e tiro al volo di destro della mezz’ala marchigiana con il pallone che si insaccò sotto la traversa. Il raddoppio di Sívori al 33 della ripresa: nonostante la marcatura stretta di due difensori giallorossi, il fuoriclasse argentino li dribblò con eleganza e lasciò partire un sinistro fulmineo che trovò destinazione naturale all’incrocio dei pali. Al 90 scoppiò l’entusiasmo dei tifosi, con mortaretti, fumogeni, cori e striscioni che sconfinò dagli spalti dell’Olimpico alle strade della capitale: un’onda azzurra travolse in maniera pacifica tutta Roma, dal Lungotevere alle piazze del centro, fino alla strada del ritorno, la via Appia. Una carovana festosa con un unico slogan: «Simme ’e Napule!».

    Il record di abbonamenti è del Napoli di Vinício

    Il record di abbonamenti al San Paolo risale alla stagione 1975-76. Le tessere vendute furono ben 70.402 a fronte della capienza dell’impianto di Fuorigrotta che all’epoca poteva ospitare 87.500 persone. Tanta passione era giustificata da quella meravigliosa macchina di spettacolo che era il Napoli di Vinício. Nella stagione appena conclusa la squadra azzurra non solo aveva accarezzato il sogno di un possibile tricolore, ma aveva strabiliato il pubblico partenopeo per la bellezza del gioco espresso, per quello che all’epoca era quanto di più vicino possibile al calcio totale della nazionale olandese. In più, durante la sessione di calcio-mercato, la società aveva acquistato Beppe Savoldi, fortissimo centravanti del Bologna, per la cifra record di 1.400.000.000 di lire più la cessione di Clerici e la metà del cartellino di Rampanti. Era stata praticamente un’operazione da due miliardi di lire. Le aspettative della tifoseria azzurra vennero disattese dal campionato non eccellente della squadra che si piazzò poi al quinto posto in classifica. Il San Paolo di quei tempi rimaneva un luogo leggendario, sempre strapieno all’inverosimile, che accompagnava in tumulto le sorti dei propri colori.

    Novantamila tifosi pagarono il biglietto per fischiare Paolo Rossi

    La partita che ha visto più spettatori paganti al San Paolo nella storia è Napoli-Perugia, giocata il 20 ottobre 1979. Furono ben 89.992 i tifosi azzurri che si assicurarono un biglietto per assistere a un match che di per sé non avrebbe giustificato l’affluenza record, se non fosse stato che tra gli ospiti c’era Paolo Rossi. Il buon Pablito durante l’estate precedente era stato vicinissimo al Napoli in sede di mercato. Considerato il miglior attaccante italiano in circolazione e messo in vendita dal Lanerossi Vicenza, Rossi preferì giocare a Perugia piuttosto che a Napoli. Il gran rifiuto della casacca azzurra fu preso come un affronto e così il giorno della partita all’appuntamento si presentarono in tantissimi. Qualcuno ipotizzava che Paolo Rossi avesse detto no alla causa partenopea perché non sopportava troppo la pressione della grande piazza, ma quando si trattò di dover tirare un calcio di rigore a venti minuti dalla fine, sul risultato di 0-0, affrontò con nonchalance i novantamila fischi e si presentò sul dischetto. In una baraonda assordante di fischi stridenti e di insulti straordinariamente creativi, Pablito sorprese Castellini e portò in vantaggio la squadra umbra. Un altro rigore assegnato dall’arbitro agli azzurri fu messo a segno all’82 da Damiani per il definitivo pareggio. Rossi che all’epoca aveva ventitré anni, qualche tempo dopo, con la nazionale italiana, non solo avrebbe vinto i mondiali di calcio spagnoli, ma con la sua tripletta alla nazionale verde-oro si sarebbe guadagnato l’appellativo di carrasco do Brasil, il carnefice del Brasile. Niente male per chi non sopportava le pressioni.

    Il record assoluto di incasso al San Paolo è per una partita dell’Italia

    L’incasso più alto mai registrato al San Paolo non è stato per una partita del Napoli, ma per una partita della nazionale italiana. Era il 3 luglio 1990, sul terreno di gioco di Fuorigrotta si affrontavano, per le semifinali dei campionati del mondo, Italia e Argentina. Ben 6.966.680.000 lire furono contati al botteghino, quasi sette miliardi! Quella che sarebbe dovuta essere una delle notti magiche per la nazionale italiana divenne una disfatta. Dopo che Schillaci aveva portato in vantaggio l’Italia nel primo tempo, grazie a un rimpallo fortunoso sotto porta, l’Argentina pareggiò nella ripresa con Caniggia che di testa anticipò l’uscita avventata di Zenga. L’incontrò si prolungò ai tempi supplementari e fu deciso ai rigori. Per gli azzurri dal dischetto sbagliarono Donadoni e Serena. Per la nazionale albiceleste nessuno. Vinse insomma la squadra di Maradona che quella volta al San Paolo aveva giocato da avversario. A sentire però questo racconto a distanza di oltre un quarto di secolo, i contorni della narrazione perdono nitidezza e qualcuno finisce col dire che la colpa dell’eliminazione dell’Italia fu dei tifosi napoletani. Dei tifosi che avrebbero parteggiato apertamente per il loro idolo. Ma non fu così: per fortuna ancora è possibile andarsi a rivedere le immagini di quella partita e ascoltare il boato del San Paolo quando Totò Schillaci fece gol. È possibile andare a guardare di nuovo le gradinate colme di bandiere tricolore e addirittura ascoltare i fischi che inondarono i calciatori argentini quando si presentarono dal dischetto nella lotteria dei rigori. Fischi che forse si affievolirono un po’ solo per Maradona che naturalmente trasformò in gol il suo penalty. Un minimo omaggio al proprio numero 10.

    Per la sfida al Real Madrid si batte un record

    Il record assoluto di incassi del San Paolo, per una partita del Napoli, si è registrato il 7 marzo 2017 per l’impegno contro il Real Madrid, valevole per gli ottavi di Champions League. A fronte di 56.695 spettatori paganti, il botteghino ha incamerato ben 4.484.000 euro. La cifra è notevole soprattutto se rapportata agli incassi stratosferici a cui il Napoli di Maradona aveva abituato il cassiere di Fuorigrotta. Tra il 1987 e il 1989 in almeno tre occasioni si superarono i quattro miliardi di lire: 4.250.000.000 contro il Real Madrid il 30 settembre 1987 (la prima volta del Napoli in Coppa dei Campioni), quattro miliardi contro il Bayern di Monaco il 5 aprile 1989 (semifinale di Coppa Uefa) e il record di quattro miliardi e mezzo con lo Stoccarda il 3 maggio 1989 (per l’andata della finale di Coppa Uefa). Se quel denaro si attualizzasse (cioè calcolando la rivalutazione monetaria secondo coefficienti Istat) si giungerebbe più o meno alla medesima cifra di quattro milioni e mezzo di euro che sono stati sfiorati nell’ultimo incontro con il Real.

    Al San Paolo nel ’99 pagarono solo in ottantanove

    Il 13 giugno 1999, per l’ultima giornata di campionato di serie b, al San Paolo vi furono soltanto ottantanove spettatori paganti. È il record negativo di biglietti venduti e anche questa è storia. Alla quantità minima di tagliandi distribuiti vanno sommate le poche migliaia di abbonati presenti, ma il colpo d’occhio degli spalti praticamente vuoti rimane nella memoria alla pari delle folle oceaniche. Si giocava Napoli-Cremonese e gli azzurri veleggiavano in un mesto centro-classifica senza alcuna velleità di promozione già da una decina di giornate. In campo, però, giocavano Coppola, Di Napoli, Schwoch, Turrini, che in qualche modo pure hanno scritto pagine importanti della storia del club, ma era un periodo nel quale si guardava con nostalgia al glorioso passato mentre il sogno di un futuro altrettanto radioso sembrava impigliato nella rete della malinconia. Sulla panchina azzurra durante la stagione c’era stato Renzo Ulivieri che a poche giornate dal termine aveva abdicato in favore di Vincenzo Montefusco. L’ultima volta che il Napoli aveva vinto in campionato era accaduto più di due mesi prima (Napoli-Brescia 2-0 giocata il 10 aprile 1999). Era insomma un avvilimento. Nonostante tutto i due gol con i quali la squadra ebbe ragione della Cremonese furono bellissime conclusioni a rete di Francesco Turrini. Quella domenica di giugno di fine millennio il cassiere dei botteghini del San Paolo contò soltanto un milione e ottocentomila lire che non furono sufficienti a pagare nemmeno le spese per i controllori degli accessi all’impianto.

    Il Napoli è gemellato con il Genoa ma anche con il Lokomotiv Plovdiv

    Una storia lunga novantuno anni, forse più. Il Napoli e i suoi tifosi, amore viscerale, inspiegabile se non lo si vive dal di dentro, passionale, unico, magico. Sarà per l’anima latina e sentimentale della sua gente, sarà perché Napoli è l’unica grande città europea ad avere una sola squadra di calcio. In ogni caso la fede azzurra è totale, assoluta, ricca di storia e di aneddoti. E, per la verità, con pochi gemellaggi. Pochi ma buoni, si potrebbe dire, di certo non molti e con tante storie poco conosciute (se non inedite) che rendono affascinanti e inscalfibili le unioni. Quella, storica, con il Genoa è celebre ma val sempre la pena ricordarla, anche perché si tratta del gemellaggio più lungo d’Italia. L’affetto reciproco tra napoletani e genoani nasce il 16 maggio 1982. Ultima di campionato, Napoli già qualificato per la Coppa Uefa e Genoa in bilico in zona retrocessione. Basterebbe un punto a salvare i grifoni e spedire in b il Milan. Il Napoli fa la sua partita e vince, come anche il Milan a Cesena, ma il San Paolo rumoreggia: vuole il pareggio del Genoa. È l’85, il Napoli vince per 2-1 e contemporaneamente il Milan aveva ribaltato il risultato in Romagna dallo 0-2 al 3-2,

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