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Calcio e martello: Storie e uomini del calcio socialista
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E-book85 pagine1 ora

Calcio e martello: Storie e uomini del calcio socialista

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«Il Socialismo, immaginato, immaginario, reale e il gioco del calcio. Con i suoi perdenti di successo e i campioni, magari annegati nelle loro debolezze o nell'ineluttabilità della dittatura del proletariato. La povertà dei mezzi e l'innegabile splendore dei fini. Il Patto di Varsavia e le sue propaggini legate al Comecon hanno regalato alla generazione della guerra fredda emozioni violente e storie da tramandare, tra ingenuità di regime e talento infinito. L'Ungheria di Puskas, la Polonia di Lato, l'Urss di Lev Yashin, ma anche Sparwasser, Sollier e la Democracia Corinthiana, perché l'internazionalismo regnava sovrano dove meno te lo aspettavi. Fabio Belli e Marco Piccinelli in queste pagine ci raccontano emancipazioni proletarie solo sfiorate, ma che per decenni hanno fatto sognare milioni di persone, sia a est che a ovest della cortina di ferro.» (dalla prefazione di Max Collini)
LinguaItaliano
EditoreRogas
Data di uscita28 mar 2020
ISBN9788835395706
Calcio e martello: Storie e uomini del calcio socialista

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    Anteprima del libro

    Calcio e martello - Marco Piccinelli

    Note

    Prefazione

    di Max Collini – Offlaga Discopax/Spartiti

    Il Socialismo, immaginato, immaginario, reale e il gioco del calcio.

    Con i suoi perdenti di successo e i campioni, magari annegati nelle loro debolezze o nell’ineluttabilità della dittatura del proletariato.

    La povertà dei mezzi e l’innegabile splendore dei fini.

    Il Patto di Varsavia e le sue propaggini legate al Comecon hanno regalato alla generazione della guerra fredda emozioni violente e storie da tramandare, tra ingenuità di regime e talento infinito. L’Ungheria di Puskas,

    la Polonia di Lato, l’Urss di Lev Yashin, ma anche Sparwasser, Sollier e la Democracia Corinthiana, perché l’internazionalismo regnava sovrano dove meno te lo aspettavi. Fabio Belli e Marco Piccinelli in queste pagine ci raccontano emancipazioni proletarie solo sfiorate, ma che per decenni hanno fatto sognare milioni di persone, sia a est che a ovest della cortina di ferro. Certo, da questa parte della barricata solo una minoranza ideologica e culturale guardava alla Crvena Zvezda, allo Spartak Mosca o al Magdeburgo come i ragazzi di oggi guardano il Real Madrid, ma non importa. La guerra fredda, il rosso e il nero, l’immaginario rubato dall’indistinto del presente sono rimasti dentro di noi, anche se nell’era del pensiero unico ogni cosa sopravvive in silenzio. Quello che avete tra le mani è un compendio che rimette al loro posto molte cose. Leggerete storie bellissime, a volte dimenticate e a volte universalmente conosciute, ma tutte collocate precisamente al confine tra quello che avrebbe potuto essere e quello che non sarebbe stato mai. Non vi resta che correre, Compagni!

    Max Collini (Reggio Emilia, 1967 - Ariete) è uno scrittore di racconti giunto tardi all’esperienza artistica. E’ stato per undici anni la voce e l’autore dei testi negli Offlaga Disco Pax, un gruppo musicale elettronarrativo che ha pubblicato tre album, tra cui il notissimo Socialismo Tascabile , e con all’attivo centinaia di concerti e che vanta un solido seguito nel circuito indipendente. Di recente ha dato vita assieme a Jukka Reverberi dei Giardini di Mirò a un nuovo progetto (Spartiti) di cui dicono un gran bene e con cui ha pubblicato l’album Austerità nel 2016 su etichetta Woodworm. A causa della ormai lontana militanza nella Federazione Giovanile Comunista Italiana di Reggio Emilia è vittima da sempre di un generoso torcicollo esistenziale, malattia per cui non ha ancora trovato una cura adeguata e che condivide col prossimo suo, quando possibile.

    I – Gli eroi del socialismo

    Appena dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, le frontiere del football diventano complicate da capire. Il modello italiano è più forte che mai, ma proprio nel momento in cui sembra pronto a diventare dominatore assoluto della scena, la tragedia di Superga impedirà agli interpreti del Grande Torino di conquistare la massima gloria ai Mondiali del 1950. Una sciagura immane dalla quale l’Italia calcistica si riprenderà di fatto solo 20 anni dopo, tra gli Europei del 1968 e i Mondiali del 1970.

    Ancora autoreferenziali e incapaci di comprendere il mondo che li circonda gli inglesi, i sudamericani si mostreranno belli e inaffidabili proprio a Rio nel 1950, dove l’Uruguay all’Europea rifilerà una delle più clamorose beffe della storia del calcio al Brasile.

    In questo quadro la novità assoluta è rappresentata da un calcio dell’Est che inizia a interpretare in maniera unica i dettami del Blocco Sovietico. Ed è proprio l’URSS a tracciare la strada, con campioni come Jascin e Streltsov che rappresenteranno i primi, veri eroi del socialismo. Anche se la prima squadra a diventare un mito sarà l’Ungheria: la squadra d’oro, l’Aranycsapat, primo modello che bilanciava calcio atletico e tecnica sopraffina: un laboratorio la cui eredità sarà raccolta negli anni settanta dalla Germania Est e negli anni ottanta col nuovo calcio totale dell’URSS di Lobanovski.

    Spartak Mosca: la squadra della classe operaia nata dal patto dei quattro fratelli Starostin

    di Valerio Fabbri

    La storia dei fratelli Starostin – Aleksandr, Andrej, Pëtr e Nikolaj, nati fra il 1902 e il 1909 – è anche quella dello Spartak Mosca, squadra di calcio russa nata nelle strade del quartiere Krasnaja Presnja della capitale e celebrata anche dal poeta Vladimir Majakovskij. Perché l’epopea di questi fratelli riassume, per certi versi, la vicenda di un’ideologia, quella sovietica, e della sua dissoluzione.

    È Nikolaj Starostin che decide di creare una polisportiva in grado di competere con il CSKA (dell’Armata Rossa) o la Dinamo (del commissariato degli interni/KGB). Nel 1935 nasce il club professionistico di calcio Spartak Mosca (prendendo il posto del Krasnaja Presnja, fondato ne 1922), dal nome del celebre Spartaco che guidò un’epica rivolta degli schiavi contro Roma. A suo modo, anche lo Spartak è espressione di una rivolta, essendo l’unica squadra sovietica nata per iniziativa di un gruppo di amici e non come emanazione delle potenti polisportive militari.

    La classe operaia si identifica a tal punto nella squadra di calcio che, nel 1936, la Piazza Rossa diventa teatro di una partita dimostrativa fra la prima e la seconda squadra dei biancorossi davanti a Stalin in persona. Nemmeno la Dinamo aveva mai ottenuto tanto. Il passo è breve affinché lo Spartak Mosca finisca per rappresentare la squadra proletaria per eccellenza, nella quale si identificano i russi e non solo. Un perfetto modello sovietico, in teoria. Un pericoloso precedente borghese, in pratica. È l’inizio della fine.

    Lavrentij Berija, capo dei servizi di sicurezza dal

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