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Liguria Spagna e altre scritture nomadi
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E-book145 pagine2 ore

Liguria Spagna e altre scritture nomadi

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Info su questo ebook

“Marino Magliani e Riccardo Ferrazzi, due scrittori liguri, autori già ben collaudati nel genere romanzo (soprattutto Magliani che ha ambientato la maggior parte dei suoi testi tra Dolcedo e Imperia), sanno benissimo che non basta viaggiare o aver viaggiato per essere dei bravi descrittori di vicende ambientate durante viaggi e fughe in altri mondi o in altre stanze diverse dalle proprie. L’ambiente in cui si muovono è loro familiare e noto, conosciuto da sempre, eppure sempre nuovo, letto e vissuto sempre in maniera diversa ogni volta che lo sguardo dello scrittore si posa sulla sua morfologia apparentemente consueta e cerca di trovarvi nuove e più autentiche forme di visione del mondo”.
Giuseppe Panella Introduzione

Quando abbiamo cominciato a pensare a questo libro, Riccardo Ferrazzi ed io avevamo in mente un collage di reportage e di racconti. I luoghi dovevano essere tra quelli conosciuti durante i nostri viaggi. Per lui una Spagna bianca e polverosa, un giro attraverso Vienna e uno sguardo sul Nilo, per poi chiudere con il colle dal quale rivede il passato: che è in Liguria, e precisamente a mezza costa, di fronte all’isola di Bergeggi. Anche io avrei parlato di ambienti dai quali guardo i torrenti trascorsi. Il posto che mi ospita è l’Olanda e il mio passato è situato in Liguria. La Liguria dunque come una specie di porto dal quale io me ne sono andato, e lui c’è andato a vivere... Per entrambi la Liguria resta il luogo da cui scrutare l’incerto e l’ignoto del mondo.
Marino Magliani
LinguaItaliano
Data di uscita9 set 2015
ISBN9788868223168
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    Anteprima del libro

    Liguria Spagna e altre scritture nomadi - Marino Magliani

    Collana

    Itaca Itaca

    diretta da Mauro F. Minervino

    Marino Magliani

    Riccardo Ferrazzi

    Liguria

    Spagna

    e altre scritture nomadi

    La foto in quarta di copertina di Marino Magliani è di Matteo Galiazzo

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Edizione eBook 2015

    Isbn: 978-88-6822-316-8

    Via Camposano, 41 (ex via De Rada) - 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.com - www.pellegrinilibri.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    Premessa

    Sì, viaggiare...

    Letteratura di viaggio e stile della visione

    «Potrei cominciare l’elogio del mio viaggio col dire che non m’è costato un quattrino: il che costituisce un punto degno di considerazione. Per questo dunque, esso sarà soprattutto decantato e applaudito dalla gente di modesta condizione. Ma c’è un’altra categoria, presso cui esso è ancor più sicuro di ottenere successo per la stessa ragione che non costa un quattrino. Chi sono dunque costoro? Come, me lo chiedete? Sono i ricchi. Inoltre, questo modo di viaggiare offre non pochi vantaggi agli ammalati, i quali non avranno più da temere l’inclemenza del tempo e delle stagioni. Quanto poi ai timorosi, questi saranno al sicuro dai ladri, non incontreranno precipizi e paludi»

    (Xavier de Maistre, Viaggio intorno alla mia camera)

    1.

    Ormai non si scrivono più libri di viaggio – almeno non nel senso classico del termine. Si pubblicano reportages su riviste femminili, diarietti sui quotidiani, annotazioni infeconde per libri destinati a un pubblico eteroclito e un po’ insipiente che vuole da chi ha viaggiato soltanto la facile conferma delle verità che si è costruito a casa senza aver compiuto la fatica di viaggiare e senza conoscere ciò che crede di avere già sperimentato.

    I libri di viaggio del passato nascevano dal candore e soprattutto dal sudore (o dal freddo) patiti da autentici viaggiatori che, tra le visite tra una città e l’altra, tra l’estasi per le bellezze del passato (Goethe nel suo viaggio in Italia) e l’apocalisse sperimentata in diretta del Bello (la sindrome di Stendhal a Firenze), annotavano sui loro diari (che poi riponevano tra il loro bagaglio) esperienze effettivamente fatte e, in un certo senso, subite. Oggi tutto questo non è possibile. Basta accendere lo schermo del proprio computer (o cercare sul proprio telefono portatile) le voci che risultano interessanti ai fini della costruzione di un universo di esperienze che si vorrebbe condividere. Nell’epoca dei viaggi facili e a buon prezzo per tutti, viaggiare diventa (e, in un simile contesto, non paradossalmente!) inutile, forse pleonastico.

    I migliori percorsi all’esterno di casa propria diventano quelli che si fanno, invece, autour de sa propre chambre (come già aveva illustrato Xavier de Maistre in un aureo libretto del 1795) – in essi esperienza del mondo esterno e ricerca personale sono ancora possibili.

    Chi viaggia oggi lo fa a proprio rischio e pericolo – quello di andare incontro a gravi delusioni nel momento in cui raggiunge la propria destinazione oppure di ritrovarsi in un ambiente del tutto simile a quello che hanno lasciato (ed è quello che accade il più delle volte).

    Viaggiare ormai significa soltanto spostarsi e il più velocemente possibile, non fermarsi a pensare che il viaggio che si compie è parte integrante, anzi è la vita che si vive e che si è vissuta.

    2.

    Invece né Marino Magliani né Riccardo Ferrazzi corrono questo rischio. Autori già ben collaudati nel genere romanzo (soprattutto Magliani che ha ambientato la maggior parte dei suoi testi tra Dolcedo e Imperia), i due scrittori liguri sanno benissimo che non basta viaggiare o aver viaggiato per essere dei bravi descrittori di vicende ambientate durante viaggi e fughe in altri mondi o in altre stanze diverse dalle proprie. L’ambiente in cui si muovono è loro familiare e noto, conosciuto da sempre, eppure sempre nuovo, letto e vissuto sempre in maniera diversa ogni volta che lo sguardo dello scrittore si posa sulla sua morfologia apparentemente consueta e cerca di trovarvi nuove e più autentiche forme di visione del mondo.

    Tutto comincia con una valigia, non molto diversa da quelle usuali dei normali viaggiatori, ma con una peculiarità importante: questa valigia, di cui poi si saprà che è andata distrutta in una notte di ambascia e di fretta forsennata, aveva a che fare con Italo Calvino o meglio era passata per le mani dello scrittore ligure (anche se nato a Cuba per via del padre botanico).

    Con questa valigia di cui due scrittori (uno già famoso, l’altro che ambisce a esserlo) si scrivono perché non se la sentono più di riprendere dei rapporti interrotti da troppo tempo e che sono cessati come terminano tutte le relazioni tra giovani prima di diventare uomini, inizia il libro – comincia con una storia di speranze perdute e di un passato di cui non è rimasta traccia se non nella scelta della letteratura come unica possibilità del ricordo di sopravvivere alle fiamme dell’angoscia.

    Il suo autore accomuna quella valigia alla sorte simile di un altro bagaglio leggero disperso dalle vicissitudini della guerra: quello di Walter Benjamin in fuga verso la salvezza in Spagna ma morto suicida a Port Bou perché la fiducia in quella possibilità era svanita (e, per fortuna, un’altra valigia, più pesante e contenente l’Angelus Novus di Paul Klee, era rimasta a Parigi nelle fidate mani dell’amico Georges Bataille).

    Il libro poi continua con un’altra valigia che appartiene a Mary Suzanne, un’archeologa tedesca, traduttrice e scrittrice, che ritorna periodicamente in Liguria e va a trovare un vecchio amico, Leo, che coltiva gli ulivi e non si intende né di letteratura né di Patagonia o di archeologia.

    Anche la donna cerca una valigia perduta (la stessa che Calvino aveva cercato invano, la stessa perduta da Benjamin) ma non è una valigia reale – è fatta per essere riempita di sogni e di ricordi, soprattutto di quello di Gregorio, studente di ingegneria e morto anni prima in un incidente nella notte, un uomo di cui lei era probabilmente innamorata anche se non ha avuto il coraggio di ammetterlo neppure con se stessa.

    Eppure lo stratagemma del racconto da scrivere sulla valigia di Calvino ha avuto buon esito e il viaggio non è stato inutile (come la spedizione di Bruce Chatwin in Patagonia alla ricerca del bradipo gigante o milodonte un cui frammento di pelle lo scrittore aveva rintracciato nell’esplorazione di un armadietto a vetri ben chiuso in casa di sua nonna):

    «Non c’è fretta. La valigia in fondo ha funzionato, non è stata la scusa per tornare, e cercarla non è un pretesto per scrivere una cosa su Calvino, sulla verticalità che sta in certe sue descrizioni, sul girare per i caruggi dov’era passato Calvino e fare in modo che c’entri anche la Storia e possibilmente Benjamin, che ha davvero vissuto a Sanremo. No, la valigia si va riempendo di tempo da anni e ora semplicemente è satura. Bisognava svuotarla nella stalla del bradipo gigante di Chatwin».

    Gli altri viaggi si svolgono nel tempo e riguardano pur sempre la Liguria: sono storie di padri e figli che si svolgono in un tempo immemoriale, eppure presente. Una si svolge nel 1943 all’epoca della Resistenza, l’altra nel 1973. Una è una questione di salvezza dalla guerra, l’altra di incomprensioni e idiosincrasie personali. Ma entrambi sono storie di un rapporto conflittuale che la Storia non sembra voler toccare, due vicende che si toccano e che restano a significare un’incomprensione profonda tra le generazioni. Il resto del libro (o, meglio, la parte relativa alla scrittura di Magliani) sono una ricostruzione del paesaggio ligure sia nella sua compiutezza e indecifrabilità geografica che come paesaggio dell’anima. Sono luoghi precisi e orografie materiali che si rovesciano nel complesso di un catalogo spirituale: scrittori liguri che si manifestano nella loro compiuta bellezza proprio a contatto con la terra in cui sono vissuti e su cui hanno camminato. Guido Seborga, Elio Lanteri, Lorenzo Muratore sono nomi che forse non dicono molto al grande pubblico ma che hanno contato molto per la formazione culturale e umana di Magliani:

    «Ben più di un Far West, le acque dove nuoto con Seborga, e la passeggiata accanto a Gigi Betocchi, e la conoscenza delle terrazze di Francesco Biamonti, dove mi ha portato Giancarlo, la pace della piazza di Isolabona dove mi siedo con Paolo Veziano a raccontargli di come Gregorio Sanderi ha pescato anguille con lui, e le passeggiate portorine con Giuseppe Conte, è un Far West che per me comprende ogni luogo della mia letteratura, l’estremo occidente ligure sono il mio Bastieto, la mia Sorba, i miei Avrigue e le mie Combray, i miei Macondo e anche questo mio sabbioso Nord».

    In poche frasi, Magliani racconta le sue erranze letterarie e personali, il suo nomadismo intellettuale e umano, le sue frequentazioni che vanno dalla Liguria al mondo ancora inesplorato di un’America Latina che non cessa ancora di stupirlo (così come riempie ancora di meraviglia chi ne legge le insuperabili narrazioni). Magliani attraversa così la sua terra di nascita e di elezione usando come guide privilegiate gli scrittori liguri a lui più cari, a partire da Biamonti e continuando con Conte e Lanteri, poi attraversando Seborga e Franco Carli, attore-autore molto legato alla Riviera Ligure, Boris Biancheri, l’autore del Quinto esilio, a sua volta un libro di viaggio e di memorie (quella della famiglia Grabhau). A Biancheri, Magliani concede molto spazio nelle sue ricostruzioni del percorso degli scrittori liguri a lui cari, perché, nonostante le loro storie molto diverse e spesso agli antipodi culturali e di provenienza sociale (l’autore di Elogio del silenzio era un diplomatico), trova in lui un’affinità nativa per il gusto della meditazione durante il viaggio che li accomuna e salva il loro continuo spostarsi dal rischio del puro e semplice nomadismo senza un perché.

    Perché la logica sottesa al continuo viaggiare senza fermarsi mai e senza (voler) trovare un punto sicuro di riferimento è soprattutto questo: trascorrere tra uomini e fatti alla ricerca di una verità che non si trova ancora (o mai più) e che forse è nascosta (chissà) anch’essa in una valigia abbandonata.

    3.

    Per Riccardo Ferrazzi, l’uomo è nomade per definizione, fin dalle sue origini primordiali e preistoriche. E’ diventato stanziali – sempre secondo questa sua breve ricostruzione che molto deve alle ipotesi presenti nello Engels dell’ Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato – per pura necessità prima agricola, poi industriale. Il viaggio ormai è diventato, invece, una prospettiva di libertà, una sorta di rivendicazione della mancanza di radici (e l’esempio da lui individuato di Huckleberry Finn calza a pennello). I luoghi privilegiati dallo scrittore ligure sono la Spagna (in

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