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Cavalcare si può
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E-book90 pagine1 ora

Cavalcare si può

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Info su questo ebook

Su “Cavalcare.. si può” l’autore ripercorre tutte le tappe per riuscire a imparare da solo ad andare a cavallo nei boschi del Parco Nazionale del Circeo, in solitario, godendosi panorami, profumi, natura, sport e favolose galoppate in riva al mare di Sabaudia e propone…

"Quello che mi è sempre piaciuto è il galoppo veloce, a briglia sciolta, sopratutto sulla riva del mare. In quel sottilissimo e ondulato tratto di spiaggia, lambito dalle onde, nel quale la sabbia risulta più dura e compatta ed il cavallo può galopparvi senza troppa fatica.
Ed è un bel correre in pieno sole, fra gli schizzi d’acqua di mare.
Avvertire sotto di te il cavallo che corrisponde al tuo entusiasmo, vi partecipa, ti asseconda e più cerchi magari di frenarlo e più ti impone la corsa. Come se il galoppo rappresenti anche il suo massimo piacere. Sentire il cavallo che si sforza di raggiungere la frequenza del movimento alternato delle tue braccia con il quale, lo stimoli, anticipando il ritmo della sua falcata fino a che entra in sintonia con la cadenza delle tue sollecitazioni.
Il sole. Il rumore della risacca. La corsa. È sempre una emozione.
Sei un tutt’uno con il cavallo."
LinguaItaliano
EditoreAbel Books
Data di uscita3 ott 2014
ISBN9788867521227
Cavalcare si può

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    Anteprima del libro

    Cavalcare si può - Marco Biffani

    Marco Biffani

    CAVALCARE… SI PUÒ

    Abel Books

    Fotografie dell’autore

    Proprietà letteraria riservata

    © 2014 Abel Books

    Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Abel Books

    via Terme di Traiano, 25

    00053 Civitavecchia (Roma)

    ISBN 9788867521227

    Indice

    MONTHY ROBERT

    SABAUDIA

    PERCHÉ’ NON SFRUTTARE TURISTICAMENTE SABAUDIA …. IN CARROZZELLA?

    ELENCO DELLE FOTOGRAFIE (dell’autore)

    DELLO STESSO AUTORE

    ANTEFATTO

    Ho una figlia, Flaminia, che allora aveva otto anni.

    Ero del parere che una fanciulla dovesse avere nel proprio curriculum la conoscenza dell’equitazione e convinsi sua madre a farle prendere lezioni anche per questo sport.

    Nella splendida Sabaudia, una cittadina della pianura Pontina, avevo una seconda casa in una palazzina costruita in società con amici e alla sua conclusione, invece di percepire la mia parte di guadagno, avevo preferito tenermi uno degli appartamenti, dal quale si vedeva il Parco Nazionale e in lontananza il monte Circeo.

    In un bellissimo maneggio a Mezzomonte, quasi ai piedi del monte Circeo, affidai mia figlia a Livia e a Gino, che ne erano i proprietari, perché le insegnassero i rudimenti dell’equitazione.

    Ma quando seppi che durante una lezione la mia unica figlia era caduta da cavallo, decisi che non era il caso, che era uno sport troppo pericoloso. E interruppi momentaneamente le lezioni.

    Non conoscevo i cavalli. Mi piaceva l’eleganza dei loro movimenti, l’armonia delle forme, la potenza della muscolatura, l’idea stessa della loro natura libera e, immaginavo, avventurosa.

    Il mulo e l’asino, asserviti all’uomo da millenni, mostrano ormai anche nel DNA la loro totale rassegnazione, nella quale l’ostinazione è l’unico segno di rivolta che è rimasto loro.

    Il cavallo è diverso. Per averne i favori e la collaborazione, è necessario domarlo.

    Se non lo si fa, e anche in modo opportuno, rimangono viziati e in parte selvatici per tutta la vita.

    Come se la razza fosse, per sua natura, contraria all’asservimento e che si debba, in qualche modo, convincere ognuno di essi a piegarsi ai diktat del padrone, ad accettarne i voleri, ad assecondarne i desideri, indipendentemente se dovrà tirare un calessino, correre alle Capannelle o sopportare il basto, come un mulo. L’alternativa è trasformarsi in bistecche.

    Non mi tranquillizzava l’aver visto in molti film come si oppongono alla doma.

    Nitriscono, saltano, scalciano, mordono, strappano la cavezza dalle mani del domatore. Gli occhi spiritati nei quali non si capisce se riconoscerci più il desiderio di rivolta che li anima o il terrore delle frustate del domatore.

    Come la loro natura sia difficile a piegarsi e quanta energia dimostrino nell’opporvisi.

    Il sudore che sprizza dai loro corpi sottolinea la naturale incompatibilità del cavallo con la schiavitù.

    E che energia possiede un cavallo!

    Ho visto più volte uno stallone vicino a una cavalla in calore. Anche se ben domato è veramente difficile contrastarne le voglie! Riescono a spaccare con gli zoccoli anche il legno della stalla.

    E se mentre monti uno stallone incroci una cavalla in estro? Come si comporterà?

    La mia totale ignoranza sulla loro natura me ne aveva fino ad allora tenuto lontano.

    Si teme soprattutto ciò che non si comprende.

    E devo riconoscere che non sapendo nulla di loro, li temevo.

    Il sapere che solo una buona doma può ridurli a più miti consigli e ad accettare la volontà di chi li monta, non mi tranquillizzava. Sapevo anche confusamente che si possono usare due tipi di doma, una violenta e coercitiva e una che cerca la loro obbedienza, con il convincimento e il premio. Ma come si fa a sapere come sono stati domati e quali comportamenti tenere per averne la collaborazione.

    Ero al corrente che la maggior parte dei cavalli per l’uso nei maneggi sono giumente o castroni, quindi anche moderatamente meno volitivi.

    Gli innumerevoli film western visti nella mia gioventù, che avevano sempre nel cavallo un coprotagonista imprescindibile, mi attiravano.

    E ammiravo l’abilità di Gary Cooper nelle cadute da stunt-man, ma soprattutto in quelle lunghe cavalcate – ventre a terra – per sfuggire agli indiani o per inseguire un fuorilegge. L’indimenticabile John Wayne. Quel galoppare come forsennati, con la sensazione che l’uomo e il cavallo fossero un tutt’uno. Che la vita di entrambi dipendesse dalla loro velocità. Quell’affidarsi totale dell’uomo all’animale. Quell’essere immersi in una natura selvaggia, di poterci convivere, di gustarne la spontaneità e coglierne i frutti. Quell’obbedire immediato del cavallo al semplice spostare delle briglie lasche, della monta western. Quell’istantaneo scattare in avanti al semplice tocco degli speroni e il precipitarsi in una discesa ripidissima tra cespugli, rovi e alberi in un polverone che ne sottolineava l’estrema difficoltà.

    Sapevo confusamente che il cavallo, a differenza di tutti i mammiferi, non ha un sistema biologico in grado di avvisarlo del pericolo che uno sforzo fisico prolungato – se eccessivo – può ucciderlo.

    Nell’uomo il sopraffiato e la tachicardia da sforzo, lo consigliano di limitarsi. Sembra che il cavallo non avverta questo limite, per cui, se lo si costringe, può cavalcare a perdifiato fino a morirne. E in qualche film western lo si vede accadere, e il cavallo spirare con la schiuma alla bocca.

    Conoscenze elementari dell’equino, folcloristiche, ma insufficienti a comprenderlo veramente e a poterlo gestire.

    Mi interrogavo sulla loro natura libera e nevrile.

    Ero consapevole che montare

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