Racconti davanti al camino
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Racconti davanti al camino - mariagrazia perricone
stranezze
VENDETTA
La prima volta fu per…gioco. Sì, proprio così. Ricordo che era una bellissima giornata. Sandra, mia moglie, era andata da sua madre ed io, per ingannare il tempo, feci una passeggiata.
L’aria era tiepida, il primo sole di primavera dava un piacevole effetto, ombre e luci color pastello coloravano i prati dove le prime margherite cominciavano a spuntare. Girovagando senza meta arrivai nei pressi dell’ippodromo. C’era il galoppo.
I cavalli mi sono sempre piaciuti, decisamente sono gli animali che preferisco. Così belli, possenti, eleganti e forti allo stesso tempo. Decisi di entrare per assistere alle corse.
Appena varcato il cancello sentii il caratteristico odore del cavallo. Inebriante, forte. Cercai una posizione che mi permettesse di vedere nel miglior modo possibile. La corsa fu entusiasmante. Non sapevo nulla di favoriti, piazzati, vincenti. A quel tempo non sapevo ancora nulla, non conoscevo né la terminologia, né le regole del gioco. Non sapevo neppure cosa fosse una scommessa. Allora.
Oggi invece, le scommesse sono il mio pane quotidiano.
Ma procediamo con ordine.
Come ho detto, la corsa fu entusiasmante. Risvegliò in me istinti atavici di partecipazione, di competitività. Mi sentivo tutt’uno con i cavalli, non sapevo neppure se parteggiavo per qualcuno, fin quando, un cavallo che era in ultima posizione, cominciò gradatamente a guadagnare terreno, fino a superare via via tutti gli avversari portandosi così allo stesso livello del primo.
Mancava pochissimo al traguardo.
La rimonta di quel cavallo, ai miei occhi aveva qualcosa di miracoloso.
Ora, fianco a fianco, i due animali gareggiavano con tutte le loro forze per guadagnare la prima posizione, spronati dai fantini.
La folla era balzata in piedi ed incitava freneticamente urlando i nomi dei cavalli preferiti. In quel momento per me il mondo cessò di esistere. Tutto attorno era sfocato, le urla attutite, lontane. Io ero quel cavallo.
Quel cavallo che, dall’ultima posizione si era portato davanti a tutti gli altri ed ora, sudato e schiumante, lottava per il primo posto.
I due animali erano ormai in dirittura d’arrivo, i loro sforzi erano chiaramente visibili.
Io ero indietro di un’incollatura, ma guadagnavo rapidamente vantaggio, centimetro per centimetro. Ecco, ora il mio muso era all’altezza del suo, ma non bastava, dovevo superarlo, superarlo, a tutti i costi, in quei pochi ultimi metri. Un ultimo slancio mi fece tagliare il traguardo. Avevo vinto. Tutto ciò che mi circondava cominciò a girare vorticosamente, per un lungo attimo. Poi mi ripresi.
Quasi barcollando raggiunsi l’uscita. Negli occhi avevo ancora l’immagine di quel meraviglioso cavallo e della sua corsa eroica. Prima di uscire guardai i tabelloni per sapere il suo nome. Si chiamava Vendetta. Bellissimo nome. Bellissima corsa. In me era ancora forte l’emozione. Svogliatamente mi avviai verso casa.
Mia moglie non era ancora tornata. Mi preparai un sandwich ed attesi il suo ritorno. Quando rientrò scambiammo qualche parola, ma non le dissi come avevo passato la giornata.
Il giorno dopo decisi di tornare all’ippodromo. Se non l’avessi fatto, avrei ancora potuto salvarmi, salvare il ricordo di quella bella giornata, di quell’emozione intensa e tutto sarebbe rimasto come prima. Ma lo feci e fu l’inizio della mia rovina. E sì, perché quella volta volli provare a scommettere. Non per vincere, così, per tentare, per dare più gusto allo spettacolo.
Se avessi vinto, tanto meglio, se avessi perso, non avrei più giocato. Naturalmente puntai su Vendetta. Non poteva deludermi, così giocai quasi tutto ciò che avevo in tasca. Non voglio neanche ricordare ciò che successe. Vendetta a metà gara cadde a terra. Non capii il perché. Vidi soltanto la sua caduta e il fantino rotolare sul prato. Poi, con uno scatto delle zampe, Vendetta si risollevò e riprese la corsa. Le sue briglie volavano libere nel vento. Vendetta continuava la sua corsa da solo, distaccato dagli altri. La corsa era finita, ma lui continuava a correre, finché fu ripreso e riaccompagnato nelle scuderie. Fu un vero colpo. Mi precipitai verso i tabelloni, dovevo trovare un altro cavallo su cui puntare, un cavallo vincente.
Puntai tutto quello che mi rimaneva sul favorito, ma anche questa volta la sfortuna si accanì contro di me e persi di nuovo. Di umore nero tornai a casa.
Mia moglie salutandomi, si accorse subito che qualcosa non andava. Le donne! Sanno sempre tutto. Ma in quel momento non m’importava nulla. Cercai qualche scusa, mangiai velocemente qualche boccone ed andai a letto. La notte stentai a prendere sonno.
Il mattino seguente avevo gli occhi pesti e un sapore amaro in bocca. Dovevo tornare all’ippodromo. Dovevo saperne di più, su tutto. Dovevo informarmi sulle potenzialità dei cavalli. Dovevo sapere quali erano i migliori, quelli su cui si poteva scommettere. Dovevo capire come funzionavano le cose in quell’ambiente. Inoltre dovevo sapere cos’era successo a Vendetta. Qualcuno mi disse che quel giorno non correva, ma stava bene. La caduta non aveva causato danni.
Da quel giorno, non persi una corsa. Così pian piano, divenni un frequentatore assiduo del galoppatoio. Conobbi i nomi di tutti i cavalli, le loro avventure, i loro successi e le loro disfatte. Cominciai a capire cos’era il gioco, le scommesse. In breve divenni un esperto. Cominciai a conoscere gli allibratori ed entrai in un mondo dal quale non sarei più uscito. Giocavo sempre. A volte vincevo, e quando succedeva, mi dicevo che la fortuna era dalla