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L'eco del passato
L'eco del passato
L'eco del passato
E-book277 pagine4 ore

L'eco del passato

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Info su questo ebook

Le peripezie che la vita ha posto e pone davanti al cammino di Marina sembrano non aver mai fine, è ancora una giovane donna che malgrado le sofferenze negli anni subite, resta di una bellezza delicata come in un dipinto del seicento. L’incontro fortuito con Loredana, ragazza anch’essa non risparmiata dalle difficoltà, fa sì che il passato ritorni come tanti piccoli frammenti di un vecchio film alla quale lei ha preso parte in prima persona. Alcuni sono bellissimi e gioiosi, altri molto dolorosi persino da raccontare alla nuova amica che la sollecita a tirare fuori ciò che si nota chiaramente l’angoscia e la deprime. Loredana pensa a ragione che parlare sia il modo migliore per scaricare la mente e il cuore dagli affanni della ragazza per poter sperare di ricominciare a vivere. Il destino si diverte con la protagonista in un modo subdolo e imprevedibile, mettendola a dura prova. Quel passato che resiste irremovibile in ogni sua parola, ad ogni gesto non sembra porgere altre opportunità a Marina se non vivere di quei stessi ricordi. Riuscirà Marina a ritrovare quella serenità , la sicurezza e un amore che sappia riscaldare un cuore sopito e deluso dall’eco del passato? Le sue scelte le porteranno la sognata felicità?
LinguaItaliano
Data di uscita25 gen 2014
ISBN9788867822485
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    L'eco del passato - Annunziata Scarponi

    Annunziata Scarponi

    L’eco

    del passato

       Romanzo

    GDS

    © Editrice GDS

    Via Matteotti 23

    20069 Vaprio D’Adda-Mi

    www.bookstoregds.com

    Annunziata Scarponi

    L’eco del passato

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    Dedico questo romanzo a tutte le donne, che nella vita hanno sofferto, rinunciato e lottato per amore.

    Nulla al mondo può essere cambiato se non è il destino o fato  a volerlo, ne sono convinta, talmente  convinta che ho scritto questa storia basandomi solo su questo principio. Forse sbaglio, ma è giusto e corretto nella vita assumersi le  responsabilità di ciò che si pensa e si dice.

    Chi non è d’accordo con questa mia convinzione, me lo faccia sapere, posso sempre  scrivere… un’altra storia.

    Annunziata Scarponi

    Capitolo 1

    Marina svegliati, è ora di alzarti… la dolce voce della mamma la risvegliò, ma fu un’infinita delusione tornare al presente; il bel sogno era scomparso come una bolla di sapone al trillar della sveglia. La sensazione di avere accanto ancora la sua adorata madre era tuttora nitida dentro di lei, le succedeva spesso, e seppur le faceva piacere sognarla, la tristezza che  dopo l’assaliva la devastava, dolorosa e pungente come una piaga mai guarita. L’eco del passato la tormentava e nello stesso tempo desiderava ascoltarlo, come una nenia struggente e melodiosa. Le faceva compagnia come una sorella triste, che parla poco ma nello stesso tempo era presente nei momenti importanti fondamentali della sua vita. Marina non poteva neppure immaginare cosa volesse dire avere una sorella, era figlia unica, single e orfana avrebbe dovuto badare a se stessa fino alla fine dei suoi giorni.

    Marina ben comprese che fuori l’attendeva un’altro giorno tetro e piovoso dal rumore tamburellante che giungeva al di là della finestra e le molteplici gocce  che scivolavano velocemente lungo i vetri come  per una propria  volontà, quella di giungere prima possibile alla meta, in quel caso il bordo malridotto della finestra. Era  un giorno che  bene o male aspettava di essere vissuto. L’inverno tardava ad andare via. La primavera sembrava aver perso la strada, non riusciva a tornare a rallegrare le persone che vagavano scoraggiati dal troppo lungo inverno,  la voglia del sole e delle belle giornate era nei cuori di tutti. La speranza però ogni mattina andava delusa, come un bel sogno finito all’alba. Marina desiderava come tutti vivere una giornata normale senza problemi, senza inquietudini e ben sapeva che il cielo azzurro incoraggia le azioni, fa provare emozioni più esaltanti, un cielo grigio rende tutto  appannato, meno vivo, meno desiderabile da vivere. Molte persone sviluppano una simbiosi con il tempo, Marina invece no, per lei tempo brutto o bello  portava solo tristezze, ma ormai c’era abituata ma sperava solo che non fosse peggiore dei precedenti.

    La pioggia ormai scrosciante si abbatteva con forza anche sulle persiane di legno rumoreggiava come mille frustate dolorose. La tipica giornata in cui non si vorrebbe lasciare il letto, ma trattenersi a poltrire al calduccio sotto le coperte, ma fortunatamente quando il lavoro chiama, chiama!

    Marina il lavoro da qualche tempo ce l’aveva anche se non era il massimo da lei  desiderato, per la quale aveva studiato. Cosciente che tante  persone non avevano nemmeno uno straccio di  occupazione per andare avanti, neppure al di sotto delle loro aspirazioni! I lavori in città iniziavano a scarseggiare, la crisi finanziaria stava mietendo vittime reali, ogni giorno si leggeva di casi disperati che non avendo più speranze si lasciavano andare. Sapeva bene che quando la disperazione è al di là di qualsiasi ragionamento logico portava a compiere gesti impensabili, ma al momento gli unici.

    Ormai Marina aveva imparato che  bisognava adattarsi a qualsiasi tipo di lavoro che si trovava, con la speranza di trovarne magari in seguito uno migliore. Speranza troppo spesso vanificata, a volte naufraga in un mare di preoccupazioni, l’esigenza di portare dei soldini a fine mese, era e restava un fatto  fondamentale, non esistevano sogni capaci di superare questo bisogno.

     Anche se tuttavia si resta ancorati a quello che all’inizio sembra non dare soddisfazione, il rischio di trovare di peggio  bloccava qualsiasi ulteriore tentativo. Si subiscono angherie, soprusi in nome di una falsa  acquisita tranquillità, mentre il dio denaro agisce da padrone su speranze e nuove aspettative, e fa tremare come una scossa di terremoto le fondamenta di un desiderio legittimo, quello  di crescere, di migliorare il proprio stato. Non era un sogno impossibile in teoria, ma la pratica lo tritava con mille lame, le lame della pseudo sicurezza. Uno stipendio sicuro anche se non favoloso a fine mese offre tutela e raggela il fuoco dell’audacia, spegne  l’ambizione che fa prosperare il sacro diritto di vivere una vita normale, decente, dignitosa.

    La dignità tanto declamata però  viene pian piano assorbita da volgari necessità, come il mangiare, bere e stare al caldo. Lei stava al caldo, mangiava e beveva, non poteva per il momento desiderare di più, e col tempo aveva ottenuto non congenita una dote preziosa; una pazienza che un frate certosino l’avrebbe invidiata.

    Il suo ragionare razionale strideva con il suo animo sognante, malgrado le sofferenze, le mancanze,  l’eco riecheggiava nelle sue tempie, quello stesso eco che a volte la faceva diventare improvvisamente malinconica e dopo qualche istante combattiva e piena di voglia di lottare. Marina era così; dolce e comprensiva romantica e anche forte e  agguerrita combattente.

    Ognuno si sente  responsabile delle proprie azioni e la strada che sceglie di seguire è l’unica che offre pace. La speranza lascia il posto alla rassegnazione e si procede  senza più attese, tra angustie e rimpianti di non aver avuto l’energia di  forzare il destino.

    Marina a dispetto delle brutte e belle esperienze che la sorte le aveva posto sul cammino i sogni li conservava tutti, nascosti forse sotto un cumulo di macigni, ma vivi e forti in attesa di essere riportati alla luce, ci credeva e solo questo le dava forza per continuare a vivere. In realtà non aspirava a tanto, una vita serena, un tetto sulla testa e dormire con la coscienza a posto. I sogni, quelli celati li considerava l’ancora di salvezza,  non aveva ancora il coraggio di riportarli alla luce, erano là che aspettavano il momento opportuno per rivivere. Lei sognatrice nata, colei che aspirava al principe azzurro col cavallo bianco, che  la prendesse e portasse con sé in un mondo dove esistevano solo felicità e sorrisi luminosi  era divenuta una pacata giovane donna.

    Ogni giorno prima di addormentarsi  si diceva ad alta voce:

    -  Qualcosa succederà, un qualcosa che mi darà di nuovo quello stimolo che ora mi manca, devo aver  fede… aspetterò con calma. Come si dice? Toccato il fondo si ritorna a galla? Ed io tornerò presto in superficie. Lo so, lo sento, e con l’aiuto che viene da lassù.-

    Era una ragazza positiva malgrado la vita le aveva riservato amare sorprese, non perdeva le speranze di vivere ancora belle esperienze, tornare ad essere felice forse era pretendere troppo, aveva avuto la sua parte, ma qualcosa che assomigliasse alla felicità, forse la parola giusta era quiete. Era positiva sì, ma anche consapevole che  i suoi potevano restare solo sogni, lei si accontentava di sognare. I sogni erano il suo pane quotidiano, l’immancabile pasto sogni per ora era bello farli, per farli avverare ci voleva il tempo.

    Un lavoro più  interessante dell’attuale l’avrebbe fatta sentire meglio con se stessa,  indispensabile nella società a cui sentiva di appartenere,  avrebbe lavorato  sicuramente con più soddisfazione. Un buon stipendio inoltre  le avrebbe permesso  di non dover lesinare persino gli spiccioli per comprarsi il minimo di cui abbisognava. Le ristrettezze economiche la facevano soffrire, non perché avesse bisogno di spendere molto, ma non poteva permettersi neppure un cinema o un libro, o un nuovo disco di musica, insomma; il superfluo.

    Quante idee sballate quel mattino giravano per la graziosa testolina di Marina. I suoi sogni sgangherati potevano aspettare ma il suo  antipatico datore di lavoro assolutamente no!

    Solo al pensiero dell’uomo le dava il mal di stomaco. Una persona sgradevole  che emanava un odore stomachevole, dai modi melliflui, che rendevano ancor più ributtante l’insieme, che malgrado tutto doveva ringraziare, le aveva dato seppur con un misero stipendio una stabilità da tanto non assaporata. Settecento euro mensili, era ciò prevedeva il minimo del contratto di assunzione che aveva firmato, prendere o lasciare, questo  era stato il dilemma e non aveva avuto dubbi. Aveva accettato! Il contratto non era però veritiero, figurava essere una lavoratrice  part-time,  al contrario lavorava oltre le otto ore, ma era l’unica possibilità di lavoro che le era stata offerta dopo mesi non poteva buttarla alle ortiche, si persuase che era  meglio poco che niente, ma la situazione la rendeva profondamente scontenta. Ma se non fosse stato per quel titolare, il lavoro non era male, le colleghe erano tutte  giovanissime e forse per questo aveva legato poco con loro, la consideravano troppo grande per le loro confidenze, ma erano tutte brave ragazze.

    Marina sospirando si fece forza e con il coraggio che di certo non le mancava,  mandate indietro le coperte piacevolmente calde del suo stesso tepore si tirò su. Un freddo intenso fuori dal riparo del suo lettuccio  le fece pervenire un lungo brivido, il solito saluto mattutino del suo gelido appartamento, era come il buongiorno del mago ghiaccio, che tutto avvolgeva e raffreddava, ricordando una favola che le raccontava il suo papà. Doveva parlare di nuovo all’amministratore del problema dei riscaldamenti, i suoi termosifoni erano sempre tiepidi e non erano sufficienti per riscaldare l’abitazione. Sapeva che la risposta sarebbe stata sempre la stessa;

     -Signorina, deve rifare tutto l’impianto, è troppo arcaico! Spenda qualche soldino…e vedrà come starà meglio-

    Lo avrebbe strozzato. Ma quali soldi? Si fa presto a parlare, ribadì mentalmente,  quando si ha la fortuna di avere un bel conto in banca e uno stipendio sicuro e  abbondante ogni mese, tutto è possibile.

    A lei toccava accontentarsi di avere una casa dove i pinguini si sarebbero adattati benissimo. Purtroppo per lei non era nata pinguina.

    Distese fuori dal letto le gambe affusolate,  infilò i piedi nelle pantofole di peluche a forma di gatto e così restò, seduta sul bordo del letto con i palmi delle mani sugli occhi a meditare qualche secondo.

    Era una specie di preparazione rituale per affrontare la nuova giornata, un rilassamento generale, mente e corpo unicamente assorbiti dalla pace dei suoi pensieri. Una pace transitoria che però funzionava a intervalli. Quando però  riusciva a concentrarsi l’effetto era meraviglioso, il suo corpo si alleggeriva come fosse una piuma trasportata dal vento. Ma quel mattino fu diverso dal solito, non riuscì a raccogliersi nella maniera giusta, e come in un libero volo, senza intralci o inibizioni  la sua mente  tornò indietro nel tempo. A un tempo dove non esistevano rinunce, sofferenze e privazioni e con tanto affetto e amore a farle da cornice. Non amava percorrere quel sentiero, ma la mente vagava senza controllo, senza divieti libera come l’aria.

    Si rivide in un baleno bambina piccola con  la mamma che la svegliava con la solita frase; -Marina svegliati, è ora di alzarti."-Il bel volto di sua mamma,  il suo bel sorriso, erano lì davanti a lei, la voce chiara e decisa di chi vorrebbe farsi ascoltare, ma con un velo di tenerezza e allegria che stentava a nascondere. Era lì che contava come fosse  giudice di una fantomatica  gara per farla alzare. Impigrita dal sonno rigeneratore, si faceva sempre un po’ pregare per alzarsi dal suo lettino, per svolgere quello che era il suo  dovere di brava bambina; andare a scuola. I primi impegni scolastici, primi problemi che sembrano difficoltosi, poiché per fortuna non si ha nozione di quelli che sopraggiungeranno nel futuro.

    Un dolce gioco che si ripeteva come una regola tutte le mattine;

    -Uno… due… due e un pezzetto… due e mezzo… due e tre quarti e… treeeee!!! - E lei, bimba grata alla vita di  avere tutto l’amore che desiderava, come segnale stabilito si gettava completamente con fiducia  con la tra le braccia della sua mamma che era lì, pronta ad accoglierla e abbracciarla. Quanta sicurezza, quanto calore   coglieva in quelle braccia, poter annusare come fanno i cuccioli  il dolce profumo naturale della donna che l’aveva partorita. Il suo punto di riferimento era esclusivamente la sua piccola famiglia; la sua mamma e il suo papà, un trio perfetto, e nessun’altro.

    L’ultimo riverbero di un ricordo lontano svanì, e Marina si ritrovò crudelmente sola, seduta sul letto, con nessuno a contare  per lei, nessuno che le preparasse il latte tiepido zuccherato al punto giusto e biscotti croccanti, usciti dal forno casalingo da immergere dentro, spruzzando come sempre  di caffelatte la candida tovaglia. La mamma la sgridava bonariamente con quella  infinita dolcezza che faceva parte integrante della loro vita a tre. Una vita tranquilla, dove l’amore era tangibile in ogni loro gesto, in ogni parola. Ricordi dolorosi, che  riaprivano vecchie ferite. Vane recondite armonie di una vita che non esisteva più, almeno non per il piccolo nucleo. Lei, la sola ad essere sopravvissuta alle angosce, al destino che aveva voluto spezzare una dolce catena fatta di anelli di amore e tenerezza.

    Come un  buon comandante cambiò rotta ai suoi pensieri con  la forza di volontà, sterzando furiosamente verso sentieri meno penosi. Quei ricordi la facevano soffrire troppo, la mancanza dei suoi genitori era ancora troppo  forte, s’era ripromessa più volte di non cedere al cammino che la conduceva sempre allo stesso punto, stesso bivio; la solitudine. Cosciente  di essere sola, di dover camminare senza allungare la sua mano verso un'altra mano,  in cerca di sostegno, non avendo un punto di riferimento e in mancanza del  quale si sentiva persa.

    Non desiderava iniziare la giornata con la tristezza che l’aveva accompagnata per anni, si disse che  ricordare la mamma andava bene, era normale, ma doveva evitare  di piangersi addosso, aveva già pianto tanto, troppo nella sua vita. Lacrime e dolore due  parole che  lei aveva cancellato dal suo vocabolario, sorrisi e speranze  a lettere cubitali l’avevano sostituite. Come un poster attaccato alla parete del suo cuore. Doveva essere positiva, altrimenti non ce l’avrebbe fatta.

    Appena in piedi indossò la calda vestaglia in pile a grandi bolle rosse e blu che era stata della sua mamma e quel tenero tepore le ricordò il calore delle sue braccia, e usando ancora lo stesso detersivo anche il profumo aiutava il transfer.

    Si diresse sbadigliando ma senza fretta verso la cucina. Non aveva  una grande voglia di scuotersi, l’inverno la impigriva e la rendeva meno attiva del solito. Un animale estivo, così si definiva. Il sole le dava una carica che le faceva svolgere tutto con allegria e leggerezza. L’inverno con il freddo al contrario, l’appesantiva anche moralmente, le mansioni diventavano difficili da svolgere, in poche parole l’inverno lo viveva solo nell’attesa  della bella stagione dove il calore era una componente di  cui non poteva fare a meno. Un periodo di transito in attesa del rigenerazione fisica e mentale.

    Tolse il latte dal frigo accompagnando il gesto con un altro lungo sospiro, versò un po’ del liquido bianco nel pentolino per intiepidirlo,  nell’attesa apparecchiò un’estremità della tavola con un’allegra tovaglietta gialla a piccoli quadri con fiori stampati a vivaci colori. Anche se viveva da sola ci teneva ad avere la tavola preparata di tutto punto per la colazione; una consueta abitudine mai perduta nel tempo. Il bricco bianco di ceramica con il caffé  preparato la sera prima, quattro cinque biscotti di una marca sconosciuta comprati al discount e il vasetto di marmellata ai frutti di bosco, la sua preferita, completavano il quadro di felice  famiglia che la tv sponsorizzava a più non posso sui vari canali. Una famiglia anomala, poiché solo lei ne faceva parte, unica superstite di un trio perfetto.

    Amava fare una buona colazione, non avrebbe altrimenti avuto la forza di arrivare fino all’una, orario del pranzo, il ritmo nel negozio dove lavorava come commessa era frenetico. Un via vai di gente tutto il giorno, essendo lei un’ipotesa sarebbe crollata in terra svenuta prima della pausa pranzo. Tutti le dicevano che era meglio avere la pressione sanguigna bassa che alta, il fatto di per sé non cambiava la situazione; aveva  poca forza. Si stancava facilmente e se non avesse consumato una  colazione abbondante sarebbero stati guai con il proprietario del negozio, già mal sopportato per la sua arroganza e per l’eccessiva autorità che esercitava come un despota con il personale. Tentò di cacciare quell’immagine, voleva fare colazione senza pensare all’uomo odioso, che poco dopo non avrebbe potuto fare a meno d’incontrare.

    Ma era quasi impossibile, come un incubo le tornava in mente, lui aveva un modo di fare con le commesse che era dir poco inverosimile. Non ammetteva assolutamente malori, come se una persona potesse sentirsi male apposta. Voleva ragazze forti e resistenti, anche se lei non si reputava tale, stringeva i denti per non perdere il lavoro.  Aveva dovuto recarsi in negozio anche con 38 di febbre,  lui non le aveva neppure rivolto  una parola a riguardo, pur avendo ben compreso le sue condizioni; naso gocciolante e guance rese rossastre dalla febbre, a discapito della clientela che vedendola non voleva che lei si avvicinasse per evitare il contagio, malgrado ciò pretese che si recasse al lavoro normalmente. Quell’essere disgustoso era colui che purtroppo le dava la possibilità di pagare regolarmente le bollette, il cibo e lo doveva sopportare, sopportare e ancora sopportare.

    Terminata la colazione una rapida doccia che  malgrado  la non alta temperatura trovò gradevole, sentire l’acqua scorrerle sul viso una sferzata d’energia di primo mattino, ma non più  piacevole quando  uscì fuori dalla cabina e ritrovò l’abbraccio del nemico gelo che l’aspettava al varco.

     Un velo di crema per completare la toilette mattutina,  non si truccava da tempo,  non ne aveva voglia, ma guardandosi allo specchio pensò a voce alta:

      - Com’è strana la vita! Con tutto ciò  che ho vissuto e che è accaduto fino ad ora, dovrei dimostrare almeno una decina d’ anni di più della mia vera età, invece  sembro ancora una ragazzetta!- si disse alquanto orgogliosa del suo aspetto giovanile.

    Marina aveva perfettamente ragione, dimostrava  ventidue, venticinque anni al massimo, invece dei suoi trentaquattro compiuti. Aveva la fortuna di possedere una pelle liscia, levigata e senza la più piccola  ruga, carnagione che aveva ereditato dalla nonna come le diceva sempre sua madre; - Non immagini che fortuna sia questa, beata te, ragazza mia! -

    I lineamenti  regolari e delicati, conferivano alla ragazza un aria di signorilità non comune. Una bellezza classica senza essere appariscente. Occhi nocciola con riflessi tendenti al verde smeraldo, capelli colore del grano maturo, un biondo naturale senza artefici. Né magra né grassa, un’altezza e un portamento che le permetteva di indossare qualsiasi cosa, dal pantalone di jeans, al capo più importante con la stessa disinvoltura ed eleganza di una modella. Da questo lato la vita era stata più che  benevola con lei, non aveva di certo lesinato in doni. E di cuori ne aveva spezzati quando la vita le sorrideva.

    Prima di uscire come di solito lanciava un – ciao famiglia a presto – in direzione di una vecchia foto in bianco e nero con quell’alone di romanticismo che solo foto così potevano regalare, posta sul mobile dell’ingresso. La foto ritraeva sua madre e suo padre nel giorno del loro matrimonio. Erano giovani e bellissimi, la mamma con un abito lungo ma semplice nella foggia, il suo papà con la divisa della banda comunale, ma sembrava una generale per la postura e la bellezza.

    Era pronta, ed erano solo  le otto e un quarto, era riuscita a fare prima del solito nonostante la poca voglia di alzarsi di quel mattino. Coglieva la sensazione che la sua vita era giunta ad una svolta, non sapeva di cosa si trattasse, ma il presentimento quel mattino era più forte degli altri giorni.

    Paga di questo indizio si mosse alla svelta, quel giorno poteva essere quello magico; incontrare qualcuno che sarebbe divenuto importante nella sua vita, oppure vincere alla lotteria e sanare così la sua vita  ma doveva ricordarsi di comperare almeno un biglietto per poter sperare. Si permetteva un biglietto alla settimana da 2 euro, ma fino ad allora non aveva vinto mai nulla. Chi la dura la vince, si disse testarda, un giorno o l’altro, la vita farà un giro di boa, e allora vedremo!

    Il negozio dove lavorava come commessa apriva i battenti ai clienti  alle nove, ma qualche minuto prima il personale doveva essere predisposto, con divisa e atteggiamento da venditrice sicura di sé. C’era tutto il tempo necessario per arrivare con calma, senza dover correre. Di solito non prendeva mezzi pubblici, preferiva camminare anche perché se poteva risparmiare i soldi del biglietto era tutto di guadagnato, un euro in più o in meno non le cambiava la vita, ma stare attenta anche alla più piccola spesa era diventata una sana abitudine. Anche se quel giorno pioveva a dirotto  si avviò con la sua camminata spedita verso il suo dovere.

    Quando il signor Giacomo, il proprietario del negozio, arrivava con la sua Mercedes metallizzata le  piaceva farsi trovare davanti alla serranda chiusa, amava essere puntuale, era una sua  dote naturale.

     Le giovani colleghe arrivavano  sempre in ritardo, considerando

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