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L’ossessione della famiglia Rule: Le regole dei Rule
L’ossessione della famiglia Rule: Le regole dei Rule
L’ossessione della famiglia Rule: Le regole dei Rule
E-book202 pagine2 ore

L’ossessione della famiglia Rule: Le regole dei Rule

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Info su questo ebook

Un maschio alfa come pochi: Damian Rule è un intransigente uomo d'affari che ama la sua vita così com'è. Porta i capelli corti, esige affari ben organizzati e vuole una donna di sani principi e conformista, dentro e fuori. Quando incontra Angie Ross, vede un subbuglio dark di bellezza e sensualità. Con le sue calze a rete e braccialetti chiodati di pelle è a dir poco inappropriata per le sue esigenze a lungo termine. Ma per quelle a breve termine? Fa proprio al caso suo.

 

* * *

 

Le regole dei Rule è una serie di novelle che possono essere lette sia come l'insieme di un'unica storia che da sole. I personaggi e gli eventi si sovrappongono, quindi se vuoi leggerle tutte, l'ordine di lettura consigliato è: L'ossessione della famiglia Rule, La proprietà della famiglia Rule, La passione della famiglia Rule e La seduzione della famiglia Rule.

LinguaItaliano
Data di uscita8 mar 2022
ISBN9781643663906
L’ossessione della famiglia Rule: Le regole dei Rule

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    Anteprima del libro

    L’ossessione della famiglia Rule - Lynda Chance

    1

    Damian Rule si sedette alla reception del negozio di parrucchieri arredato a tema sportivo, chiedendosi per la centesima volta perché continuasse ad andarci. Era scomodo, fuori mano sia da casa sua che dall’ufficio in centro. Inoltre c’era un ambiente fastidioso: luci troppo forti e una continua telecronaca su eventi sportivi, di cui poco gli fregava, generata da televisori a schermo piatto sparsi in tutto il salone.

    Guardandosi intorno con espressione indifferente, si rese conto che i dipendenti e la clientela del negozio non erano il tipo di persone che frequentava di solito. Ma un giorno, trovandosi da quelle parti, era finito lì per caso con il disperato bisogno di tagliarsi i capelli e da allora ci era sempre tornato. Certo, la parrucchiera aveva fatto un lavoro niente male, ma non eccezionale al punto da non potere più fare a meno di lei.

    La donna in questione si diresse verso di lui per cominciare il lavoro, iniziando subito a farfugliare e a rovistare nel primo cassetto del mobile. Damian smise di ascoltarla e fece vagare lo sguardo nella parte di stanza riflessa nello specchio.

    Non trovò subito quello che cercava, ma non si arrese. Il salone era pieno, come sempre del resto. C’erano diversi parrucchieri in azione, chi in piedi a tagliare capelli al proprio posto, chi a fare strada ai clienti verso lavandini e poltrone. Dopo qualche minuto di paziente ricerca, un lieve movimento nel retro del negozio catturò la sua attenzione e la sua diligenza fu premiata. Aaaah… eccola lì.

    Aveva la testa nera china su una ciotola in cui mescolava qualcosa e, alla vista delle sue forme e dei suoi occhi rivolti verso il basso, Damian ebbe la solita stretta all’inguine, come tutte le volte in cui la guardava. Osservandola capì quale fosse il motivo che lo spingeva a tornare ancora e ancora in quel salone: non ci andava per l’ubicazione, né per la parrucchiera che si occupava di tagliargli i capelli, né per gli eventi sportivi trasmessi di continuo. Non era per niente di tutto quello.

    Era per lei. La parrucchiera che lo aveva stregato, quella di nome Angie.

    Damian articolò quelle sillabe in mente, lasciando che la connotazione del nome gli portasse un’immagine in testa. Angie. Angela. Angelo.

    Contrasse il viso in un ghigno. Angelo. Sì, come no.

    Non assomigliava a un angelo in nessun modo, né per l’aspetto né per le forme. A meno che, certo, uno non considerasse il fatto che l’avrebbe senz’altro portato in paradiso con quelle labbra carnose.

    Cazzo.

    Doveva togliersela dalla testa, era l’unica cosa giusta da fare. Ma come avrebbe potuto riuscirci se ogni cazzo di volta che doveva tagliarsi i capelli, lasciava che il suo uccello lo conducesse lì? Erano mesi che tornava e la scrutava. Era oltremodo sorprendente, in maniera assoluta e innegabile, che Damian fosse riuscito a starsene seduto con le mani in mano per tutto quel tempo, limitandosi a osservarla. Gli mandava le palle in ebollizione, al punto che… cazzo. Fece un respiro profondo e riprese il controllo sulle sue parti basse. Non voleva pensare all’effetto che faceva alle sue palle.

    Non le staccò gli occhi di dosso, incapace di frenare quell’impulso, come se i suoi occhi fossero calamite attratte dal metallo. Nel guardarla il membro gli si gonfiò nei jeans. Già, un angelo non lo era di sicuro. Anzi, forse era tutto il contrario. Anche se si muoveva con una grazia inconsapevole non era di certo una santarellina. No, aveva lo sguardo cupo e inebriante della perfidia. Era un piccola diavolessa femminea e attraente che implorava di essere scopata.

    Era un caos snello e sensuale, dark.

    Sembrava alta nella media, o forse era un po’ più bassa, ma non riusciva a capirlo perché indossava sempre tacchi neri con plateau che la slanciavano e conferivano un aspetto superbo alle sue gambe in calze a rete. Non sapeva se portasse sempre minigonne o se fosse lui ad avere continui colpi di fortuna, ma ogni volta che la vedeva aveva sempre indosso una gonna così corta che per un pelo lui non veniva nelle mutande, così solo a guardarla. Era davvero incredibile, davvero scopabile… assolutamente scopabile, tanto da spingerlo a tornare lì solo per darle un’altra occhiata, ancora e ancora, a prescindere da quanto cercasse di contenersi.

    Ogni volta che tornava si aspettava di scoprire che la sua mente e la sua libido gli avessero giocato un brutto tiro. Non era possibile che fosse figa quanto si era immaginato la volta precedente.

    E invece sì.

    Era sempre figa, ma non sempre perfetta. A volte sembrava sfinita, stanchissima. Ma erano le volte in cui aveva un trucco sfatto e sulle labbra solo un sorriso abbozzato quelle in cui avrebbe voluto scoparsela di più, quando sembrava quasi vulnerabile, e lui non desiderava altro che prenderla in braccio, con le sue gambe avvolte attorno alla vita, e arenarsi dentro di lei.

    Vederla esausta non gli sarebbe dovuto piacere, eppure era così, perché solo quando era visibilmente stanca faceva passi falsi, concedendosi di lanciargli un’occhiatina. Invece, la maggior parte delle volte, lo ignorava e basta.

    Vestita com’era si sarebbe detto che si dava delle arie, ma non era così. Sarebbe stato incongruente con il suo aspetto. Eppure non gli lanciava segnali, non cercava di flirtare con lui come facevano quasi tutte le donne.

    Lo ignorava come se non esistesse. Quel suo comportamento faceva drizzare le orecchie al cacciatore dentro di lui, ma riusciva sempre a metterlo a tacere e a mantenere il controllo. Eppure, quando era stanca e la sorprendeva a guardarlo da sotto le sue ciglia lunghissime, le viscere gli andavano a fuoco e nelle vene gli scorreva solo un desiderio ardente. Si abbandonava a fantasie sfrenate, immaginando di dirigersi con passo sicuro dall’altro lato del salone, prenderla di peso, affondando le mani nella carne morbida delle sue natiche, e di portarla nella stanza sul retro. L’avrebbe spogliata fino a farla restare senza niente addosso e poi se la sarebbe scopata in piedi, godendo appieno dentro di lei, mentre lei l’avrebbe inondato con il suo piacere, lambendolo con le fiamme del suo centro rovente e bagnato, in estasi grazie a lui.

    Il pensiero di scoparsela lo fregava ogni volta che entrava lì, e continuava a fregarlo ogni volta che se ne andava. Nella sua mente se l’era già scopata in ogni modo possibile e immaginabile. Se l’era scopata in piedi, da dietro, nel suo ufficio mentre le bloccava le mani sulla scrivania.

    Digrignò i denti e deglutì cercando di scacciare via quell’immagine, ma non ci riuscì. Aveva fatto brutti, brutti pensieri su di lei. Mai, mai gli era successo prima di immaginare le cose che gli scatenava lei in testa.

    In genere quando pensava a scopare si trattava solo di scopare. Si trattava di appagamento. Ma con lei no. Lei, voleva possederla. Voleva il controllo.

    Fece un respiro profondo per calmare i nervi e poi la guardò dall’alto in basso, quasi contro il suo volere. Cercò di concentrarsi su quello che gli accadeva attorno e di allontanare quelle immagini disdicevoli dalla sua mente. Ma la realtà dei fatti non lo lasciava in pace: ogni volta che la vedeva voleva scoparsela ancora di più. E la parte analitica del suo cervello sapeva perché: era sbagliatissima per lui.

    Era tutto l’opposto del tipo di donna con cui usciva di solito. L’esatto opposto del tipo di donna che un giorno avrebbe dovuto sposare. Qualcuno che avrebbe preso posto accanto a lui e che avrebbe dato alla sua casa e alla sua vita il tipo di fondamenta conservatrici necessarie, restando sullo sfondo mentre lui ampliava gli affari di famiglia. Che gli piacesse o meno, era costretto a ricevere ospiti in numerose occasioni, occasioni che sarebbero aumentate di sicuro all’espandersi e al diversificarsi della Rule Corporation.

    Sapeva cosa facesse al caso suo: una donna con una piega perfetta, che si vestiva in modo sobrio, molto istruita e che potesse intrattenere gli ospiti a tempo debito. Ma non la donna che la madre gli suggeriva negli ultimi tempi. Lei mai. Come minimo, la sua futura moglie avrebbe dovuto attrarlo, e Courtney Powell non gli faceva minimamente drizzare l’uccello, a prescindere da quanto fosse bella e dolce. Era abbastanza cortese, addirittura gradevole. Ma la conosceva da quando erano piccoli e lo stretto rapporto che c’era tra le loro madri gli aveva lasciato addosso un sentimento quasi familiare nei suoi confronti.

    Anche se la donna che la madre continuava a spingere tra le sue braccia non avrebbe mai fatto al caso suo, si rendeva conto che gli occorreva una donna del suo mondo, e non una come la strega dark dall’altro lato della stanza, che indossava bracciali borchiati, catene appese alla cintura e una gonna così corta che le si riusciva quasi a vedere il culo. Gli occorreva una donna raffinata, e non una con l’ombretto nero e il rossetto viola. Gli occorreva una donna sofisticata, e non una che sembrasse inneggiare al Signore Oscuro degli Inferi e desiderasse solo bere il suo sangue.

    No, la ragazza da cui non riusciva a staccare gli occhi non aveva nessuna delle cose che gli occorrevano per il futuro, quindi era gli praticamente vietata. La guardò ancora dall’alto in basso, quasi con doloroso rimpianto. Gli occorreva una moglie e lei era del tutto inadeguata.

    Ma era perfetta per la scopata che s’immaginava.

    Dopo aver messo il colore a Rita, Angie stava tornando sul retro quando per un pelo non andò a sbattere contro Janice, che pareva molto allarmata. La donna era pallida e stringeva il cellulare sul petto. «Me ne devo andare. Tipo adesso

    Lo stomaco di Angie si contrasse in un fremito di preoccupazione immediata. «Che succede?»

    «Mi ha chiamato la scuola. Bethany ha febbre alta e vomito.»

    «Oh, povera piccola. Ok, non ti preoccupare: ti copro io.»

    «Corro a prenderla e poi chiamo da casa i miei prossimi due appuntamenti per cancellarli, ma puoi pensare a lui?» Janice strabuzzò ancora di più gli occhi, facendo cenno con la testa in direzione dell’uomo che Angie aveva soprannominato Damian, l’incarnazione del Diavolo.

    Angie si focalizzò su di lui, e per un attimo il suo cuore si fermò. Le vennero le farfalle allo stomaco, ma mostrò un’espressione spavalda, molto lontana da quello che provava davvero, in modo da rassicurare la sua amica. «Certo. Ci penso io a lui. Tu vai, occupati di Bethany.»

    «Grazie. Gli ho già lavato i capelli. Prendo le mie cose e vado via, va bene?»

    «Sì, non ti preoccupare,» le rispose Angie avvicinandosi a lei per darle un rapido abbraccio. Percepì i muscoli tesi della sua amica. «Sicura di stare bene?»

    Janice scosse la testa e Angie si sorprese nel vedere che aveva le lacrime agli occhi. Janice ricambiò lo sguardo dell’amica come per fare una drammatica confessione. «Sono sul lastrico. Le mie carte di credito sono così vuote che fa paura. Quando Danny ci ha lasciate si è preso tutto e ha fatto un casino con i soldi. Solo pensare a come riuscire a pagare il dottore mi sta facendo venire da vomitare per lo stress.»

    «Ce li hai i soldi?» le chiese Angie preoccupata.

    L’amica sospirò. «Dovrebbero bastare.»

    «E per le medicine? Ti serve aiuto per quelle?» le chiese.

    «No, penso di farcela.»

    Angie fremette per la rabbia pensando a quel padre assente. Danny era sempre stato un coglione mastodontico, era risaputo. Ma Janice era stata così brava a nascondere i suoi problemi finanziari che Angie non l’avrebbe mai sospettato. «Non ti preoccupare troppo, ok? Pensa solo alla salute di Bethany e poi ci facciamo venire in mente qualcosa. Ho un po’ di risparmi, posso aiutarti.»

    «Non posso accettare i tuoi soldi, Angie.»

    «Vedremo. So che possiamo farci venire in mente qualcosa. Me la cavo piuttosto bene a lesinare il centesimo, se non è altro.» Le due donne si abbracciarono ancora e poi, dopo essersi separate, Angie si diresse sul retro, dove contò piano fino a dieci e fece qualche bel respiro prima di uscire ad affrontare quello che l’aspettava. Si guardò allo specchio, fece un ultimo profondo respiro e cercò di riprendere il controllo delle mani tremanti prima di girarsi con determinazione verso la porta.

    Damian guardò dietro la sua immagine riflessa e vide, rapito, che la punkettona si dirigeva verso di lui, farfugliando: «Allora, Janice è dovuta andare via perché sua figlia non sta bene. Sono Angie e oggi sarò io a tagliarle i capelli, se lei è d’accordo.»

    Aveva una voce femminile e roca. Il cervello di Damian andò per un momento in corto circuito, perché, al pensiero che lei gli avrebbe toccato i capelli, tutto il sangue che aveva in corpo sembrava essere affluito nella sua zona inguinale. Digrignò i denti e strinse i pugni attorno ai braccioli della sedia, cercando di controllare l’impulso di prenderla e serrarla tra le braccia. Sarebbe riuscito a starsene fermo e immobile mentre lei lo toccava, o avrebbe teso le braccia, afferrandola e portandola fuori di lì? Contrasse gli addominali e fece un unico cenno del capo per rispondere alla domanda di lei, e poi la osservò affascinato mentre gli avvicinava un pettine nero ai capelli.

    Le sue mani erano delicate e morbide, con bellissime dita sottili e unghie affusolate. Unghie smaltate di nero. Gli si contorsero le viscere per l’eccitazione, ma a quella vista inappropriata il cervello riuscì a contrastare la reazione involontaria.

    Tremavano leggermente, quelle dita smaltate di nero, così senza nemmeno pensare alle conseguenze delle sue azioni, Damian tese una mano e le strinse il polso cereo. «Stai bene?» le chiese con tono brusco.

    Angie lo guardò nel riflesso dello specchio, si leccò le labbra e fece un profondo respiro. Lui vide il cuore batterle visibilmente in gola. Non gli rispose. Damian ci avrebbe scommesso il suo ultimo dollaro che non riusciva a rispondergli, e in quel momento capì che esercitava su di lei lo stesso effetto che lei esercitava su di lui.

    Be’, porca puttana.

    Buona fortuna a starle lontano adesso, Rule.

    Il tipo era un figo, nessun dubbio al riguardo. E da vicino era perfino meglio. Ma, Cristo, mica era costretta a tremare in quel modo, no? Gli lanciò uno sguardo nel riflesso dello specchio. Si schiarì la gola e riuscì a far funzionare le corde vocali giusto per rispondergli alla domanda. «Sì, sto bene. Vuole solo una spuntatina, vero?» A quelle parole, lui le strinse il polso ancora più forte. Quel gesto irradiò un calore rovente tra le cosce di Angie, ma poi lui riappoggiò la mano sul bracciolo della sedia.

    «Solo una spuntatina.» Aveva una voce grave e brusca, e la sua bassa frequenza riecheggiò in tutto il corpo di lei in un fiume di sensazioni.

    Angie, incapace di trattenersi, fece scorrere

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