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Deragliamenti della storia: I fatti come non andarono
Deragliamenti della storia: I fatti come non andarono
Deragliamenti della storia: I fatti come non andarono
E-book153 pagine2 ore

Deragliamenti della storia: I fatti come non andarono

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Info su questo ebook

Nulla come un treno corre su binari predefiniti, niente è più rassicurante di una storia già scritta. Ma le cose avrebbero potuto andare anche diversamente, in fondo basta un dado allentato per fare deragliare un convoglio e scrivere tutto un altro destino. L'autore di diverte a giocare con i treni della storia, e in questi racconti o deragliamenti frenetici, Newton, Cartesio, Dante e tanti altri approdano a destinazioni alternative. Storie raccontate con humor e lieve cinismo, bizzarre situazioni che potrebbero servire a farci riflettere, magari sorridendo a denti stretti, su quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Perché, in fondo, sorridere, anche a denti stretti, è l'unica terapia che possa farci dimenticare la nostra condizione di assoluta precarietà.
LinguaItaliano
Data di uscita28 lug 2021
ISBN9791220346641
Deragliamenti della storia: I fatti come non andarono

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    Anteprima del libro

    Deragliamenti della storia - Lino Paini

    1 – Grugniti

    Come gli capitava ormai da troppo tempo, Adamo non riusciva a dormire.

    Continuava a rivoltarsi sulla paglia umida del giaciglio, guardando con gli occhi sempre più aperti la rozza intelaiatura delle travi del soffitto e la fioca luce della luna che filtrava da qualche fessura del tetto.

    Sentiva accanto a sé la presenza di Eva che, invece, dormiva con un respiro leggero e tranquillo.

    Il pensiero di quella che avrebbe dovuto essere la sua compagna risvegliò in lui il sottile dolore al costato che lo accompagnava da quando era arrivata nella sua vita.

    Non era passato molto tempo, anche se gli sembrava un’eternità. E’ vero, c’erano stati alcuni momenti felici con lei, prima di quella brutta storia col serpente e la mela. Da quel giorno era cambiato tutto.

    Da parecchi mesi, purtroppo, la loro vita era perennemente in affanno, alla ricerca di cibo, di riparo, di caldo. Dopo che erano stati buttati fuori da quel giardino, erano costretti a sudarsi ogni piccola cosa per sopravvivere. Ma non era questo che lo inquietava. In fondo, non avevano bisogno di molto per tirare avanti.

    La sua vita era divenuta insopportabile per una continua, smodata e ossessiva paura del futuro che Eva era riuscita a trasmettergli. Mai un attimo di tregua, mai un momento di serena visione del mondo: sempre in affanno, di corsa verso un futuro sempre più complesso e pieno di bisogni.

    Per fortuna, nella sua vita era apparso Grau.

    Lo aveva incontrato un giorno alla cascata del ruscello: alto, imponente, gli occhi pieni di gioia di vivere. Il pelo nero del dorso si schiariva sul ventre, sbiadendo verso un tenue color carne.

    I canini bianchi, scoperti in un largo sorriso, non gli avevano fatto paura. Si erano piaciuti da subito, al primo sguardo carico di un misterioso incanto.

    Grau avrebbe potuto essere il maschio dominante del suo clan: era il più alto e il più muscoloso e le femmine lo divoravano con gli occhi.

    Lui, però, non aveva avuto la voglia di sfidare gli altri maschi, né aveva accettato le loro provocazioni quando coglievano gli sguardi di desiderio delle femmine. Grau li aveva semplicemente ignorati, scegliendo per sé una vita solitaria, quasi ai margini del gruppo. Finché era arrivato Adamo.

    La sua vita era cambiata da quel giorno.

    Furono corse nella boscaglia, mano nella mano, tuffi rumorosi nel laghetto blu sotto la collina, ore serene a guardare il cielo azzurro, sdraiati sull’erba profumata.

    Anche la vita di Adamo era cambiata. Usciva dalla capanna, la mattina, pieno di gioia di vivere e di serenità. Sapeva dove l’avrebbe incontrato, per vivere un’altra giornata felice, in sintonia con l’universo e con la loro natura. Le ore passavano quiete, senza doveri e incombenze.

    La sera, lo sguardo cattivo di Eva lo riportava alle assurde responsabilità di una vita senza sorriso. Lei, forse, aveva capito cosa stava accadendo fra lui e Grau ma non ne sembrava sorpresa o preoccupata. Il suo unico pensiero parevano essere le provviste e il desiderio di protezione dagli animali o dalle forze della natura.

    Da Adamo non chiedeva affetto ma solo fatica e protezione. Cose che lui non era in grado di offrirle. O che non voleva offrirle.

    La sua vita con lei scorreva tra mugugni e sguardi cattivi, senza un approccio, una carezza. La sua estraneità da lei non era solo fisica. Era qualcosa di più articolato e complesso.

    Quindi aveva deciso: all’alba le avrebbe parlato e sarebbe andato a vivere con Grau. Avevano programmato tutto, con gli occhi.

    Grau aveva aperto la bocca in un largo sorriso, poi gli aveva preso la mano, dichiarando silenziosamente la sua disponibilità a prendersi cura di lui.

    Adamo aveva capito che il suo clan lo avrebbe accettato. Sarebbe stato un altro membro felice di una comunità fortunata. Non avrebbe costituito una minaccia per la rozza ma ordinata struttura del gruppo. Lui si sarebbe accontentato di vivere accanto al suo Grau, senza scatenare né invidie né tensioni.

    Lo avrebbero accolto come un naufrago, evaso da una vita senza gioia, e lo avrebbero fatto partecipe di un mondo equilibrato e puro, affidato solo alle leggi della natura, giuste o sbagliate che fossero.

    Adamo volse il capo verso il viso addormentato di Eva. Sembrava dormire tranquilla, consapevolmente fiera dei brandelli di carne secca nel fondo della capanna e del cumulo di sterpi e legna appoggiato alla parete. Tutto quello che sarebbe servito per passare i mesi più freddi dell’inverno in arrivo. L’avrebbe lasciata così, senza dirle nulla. L’avrebbe abbandonata alla sua sterile e inutile pianificazione di una vita che non gli interessava più. Lui aveva scelto qualcosa di diverso.

    Il pensiero di questa nuova prospettiva lo rasserenò del tutto. Da domani, la sua sarebbe stata una vita felice. Una vita lenta e leggera, fra paesaggi verdi e cieli trasparenti.

    Avrebbe vissuto in un mondo meraviglioso, un mondo arcobaleno, senza grida di guerra o di sfida.

    Chiuse gli occhi su questo pensiero e si addormentò felice.

    Grunf attraversò, quasi correndo, la radura, una verde macchia di colore nella tenue oscurità del bosco. Rallentò, sorridendo quando si accorse che i piccoli stentavano a reggere il suo passo veloce. Li vide arrancare affaticati nell’erba alta. Affrontò, con passo più leggero, la salita nel sottobosco di castagni. Il profumo pungente del muschio arrivava alle sue narici mescolato alle fragranze delle erbe aromatiche che erano spuntate, a chiazze, tra resti di foglie secche e umidi cardi spinosi.

    Proseguì, con un occhio vigile dietro di sé, nel bosco di faggi. Tra le foglie meno compatte degli alberi irruppe il sole, salutato con strepiti felici dai piccoli.

    Salì ancora e, finalmente, sbucò nel sole pieno dei prati alti. Il cielo di un blu intenso accompagnò i suoi ultimi passi verso la cima del crinale. Finalmente raggiunse la vetta e rimase in attesa dei piccoli. Erano rimasti come abbagliati dalla calda luce del sole del pomeriggio. Non lo avevano mai visto così, abituati all’ombra protettrice del bosco o, al massimo, a qualche squarcio di luce nelle radure.

    Lo avevano accolto come uno sconosciuto e caldo amico che li invitava a correre felici e a giocare, rincorrendosi sull’erba fragrante della pastura. Li lasciò fare, per qualche tempo, invidiando la loro giovane spensieratezza. Quando li vide accaldati e stanchi, li chiamò e li fece accucciare davanti a sé, rivolti verso la valle.

    Stettero in silenzio per lunghi minuti. Videro la valle distesa davanti a loro, quasi addormentata nella calura del giorno.

    Da una parte l’orizzonte si allargava verso la pianura, dall’altra si stringeva verso le montagne più alte. Le ripide pareti si incuneavano in una strettoia vertiginosa che conduceva al crinale dove qualche traccia di neve sopravviveva nei canaloni più profondi.

    In mezzo, la linea blu del fiume attraversava quel mondo sereno invaso dal sole.

    Grunf fece un sospiro e ottenne l’attenzione dei piccoli. Si voltarono verso di lui ma lui li invitò a rivolgere di nuovo lo sguardo verso la valle.

    Furono poche parole, che loro capirono benissimo:

    Grunf, groung snork oink.

    Rimasero immobili a guardare il mondo, mentre il messaggio del padre continuava a risuonare nelle loro orecchie come un impegnativo comando.

    Non si fermarono a lungo. Solo qualche altro minuto a osservare quell’universo limpido e soleggiato poi ripresero la strada verso il fondovalle. Il cammino dei piccoli sembrava più riflessivo e consapevole.

    Si muovevano con passi più adulti, non correvano e non giocavano. Nei loro giovani corpi coperti di pelo giallastro sembrava quasi di intravedere quello che sarebbe accaduto.

    Le strisce brune sulla schiena sarebbero scomparse, i musi affilati si sarebbero aperti ai lati, con zanne ricurve, i muscoli delle spalle sarebbero divenuti forti e possenti, le setole sulla schiena sarebbero diventate rigide e tenaci come una corazza.

    Pareva che i cuccioli si sentissero già adulti. Erano pronti ad accettare il compito che Grunf aveva assegnato: governare il mondo.

    Un giorno, tutto sarebbe stato loro.

    2 – Carne

    Erg si accostò meglio al cespuglio spinoso ai margini della radura. La polvere del sentiero che portava al villaggio diffondeva riflessi giallastri al caldo chiarore della luna piena. Il suo nascondiglio era perfetto per quello che avrebbe voluto fare quella notte. Si accomodò, quasi sdraiato, sotto la cupa ombra delle fronde spinose che sfioravano la terra battuta del percorso verso le capanne. Si preparò all’attesa, sistemandosi accanto la lunga lancia con la punta di selce.

    Non avrebbe dovuto aspettare molto, ma non era un cinghiale quello che doveva abbattere quella notte. Era qualcosa di meno impegnativo ma più preoccupante: si trattava dello straniero che era arrivato da qualche giorno al villaggio.

    Parlava una strana lingua fatta di suoni armoniosi e sottili, molto diversi dai rumori rozzi ma familiari usati dalla sua tribù. Soprattutto, erano suoni continui, ossessivi.

    Sembrava che il forestiero avesse continuamente qualcosa da dire, anche quando non c’era nulla da chiedere o da offrire.

    Lo avevano accolto con la fredda ospitalità che dedicavano a tutti, in attesa di capire se il nuovo arrivato potesse rappresentare un pericolo per il villaggio. Bastarono pochi giorni per capire che non era pericoloso.

    Era solo curioso, cercava di vedere e capire tutto. Frugava nelle capanne, sollevava la pelliccia alle donne, sorrideva con denti bianchissimi ai bambini che lo mettevano in mezzo a loro, come fosse un cucciolo. Finché, una sera, attorno al fuoco, dopo la consumazione del pasto comune – un cosciotto di cinghiale arrostito sotto le braci – fece un cenno con la mano, chiedendo il silenzio.

    Si alzò in piedi e si tolse dalla schiena il sacchetto di pelle che portava sempre con sé. Non lo aveva mai abbandonato, anche quando frugava nelle capanne o rincorreva per gioco i bambini.

    Con ampi gesti delle mani, ottenne il silenzio e riuscì anche a far capire che dovevano aspettarsi qualcosa di straordinario. Mise la mano nel sacchetto e trasse fuori una strana polvere bianca che sistemò in una grossa ciotola di legno. Poi l’accostò al recipiente dell’acqua, una vescica di cinghiale appesa ad un ramo dell’albero al centro del villaggio.

    Incurante del mormorio di disapprovazione che si levò attorno a lui, sciolse appena la piccola corda che sigillava il liquido prezioso e ne versò un poco nella ciotola. Sedette carponi alla luce fioca del braciere e con ampi movimenti cominciò un lento ma sistematico

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