La caduta
Di Marco Bolla
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Info su questo ebook
Infine, una sezione dialettale permette al lettore di sperimentare voli pindarici in luoghi fantastici, conoscere il diavolo che balla coi ricchi oppure scoprire personaggi mitologici delle nostre tradizioni folcloristiche. Un libro curioso e prezioso, scritto con maestria e ricercatezza.
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Anteprima del libro
La caduta - Marco Bolla
intenzionale.
VECCHI RACCONTI
(1998 – 2003)
La caduta
Quel giorno d’autunno Luca si svegliò da un sonno piuttosto tormentato. Sudava. Aprì gli occhi e osservò i pochi raggi di sole che entravano dalla finestra. Tutto era strano, anzi diverso. Gli altri giorni non erano così: era tutto più giusto, più ordinato, più sensato, più pieno.
Sbigottito accese la lampada che si trovava sopra il comodino, collocato a fianco del letto, e guardò l’orologio.
Erano le nove!
Ebbe un sussulto tale che gli parve di svenire. Doveva già essere a scuola da un’ora. In un istante fu invaso dall’ansia e la sua testa fu così colma di pensieri atroci e caotici allo stesso tempo, che non fu in grado di riordinarli ed esaminarli uno alla volta.
Si portò celermente una mano alla fronte e osservò la stanza. Era più piccola, oscura, e gli oggetti gli sembravano delle orride bestie informi pronte ad accusarlo del suo atto irriverente.
Scese dal letto e con uno scatto raggiunse la camera dei suoi genitori. Restò sconcertato e senza parole: non c’era nessuno. Erano già andati a lavorare e non lo avevano neppure svegliato. Non capiva il perché. Oggi avrebbe avuto il compito in classe d’italiano. Credeva di sognare, invece stava vivendo la realtà, la nuda e cruda realtà. Gli mancava il respiro, il cuore gli batteva troppo forte: aveva paura che da un momento all’altro potesse saltargli fuori dal petto.
Luca ritornò in camera sua e si vestì. Scese le scale per raggiungere la porta che conduceva all’esterno, provò ad aprirla, ma era chiusa a chiave. Frugò nelle tasche dei pantaloni, in una delle quali teneva sempre le chiavi di casa, ma non trovò nulla. Risalì le scale e raggiunse la cucina. Alzò le tapparelle e dai vetri diede una rapida occhiata al cielo grigio e poi, abbassando lo sguardo, osservò delle persone che correvano lungo la strada. Una donna strattonava con la mano un bambino che piangeva. Un’anziana signora inciampò e cadde per terra. Un giovane con la cartella sulle spalle le passò accanto, finse di non vederla e la scansò.
Luca rimase a bocca aperta.
Quel giovane poteva essere lui, o quella vecchia lui da vecchio. Fu raggelato da un odioso senso d’incapacità crescente: sarebbe voluto intervenire ma non poteva perché era rinchiuso in casa. Perché non era intervenuto ieri o l’altro ieri quando ne aveva la possibilità? Ora l’unica cosa che poteva fare era osservare la vita che si svolgeva fuori dalla finestra. L’anziana signora era per terra che gridava aiuto, però tutti correvano e nessuno si accorgeva di lei, o almeno fingevano. Luca disperò. Questa situazione lo rodeva piano piano dall’interno. Stava partecipando in modo veramente ignominioso all’insensibilità della gente, e si vergognava come un cane bastonato, si vergognava semplicemente d’esistere. Non era più un ingranaggio della macchina e dalla finestra, con disgusto, poteva vedere tutta l’assurdità del tempo in cui viveva nella sua tetra fulgidità di morte. Era un mondo artificiale, privo di senso, che faceva troppo star male. Quel mondo al quale prima era tanto indifferente, ora sembrava inghiottirlo. Non ce la faceva più ad osservare e basta, eppure non agiva. La sua impotenza lo schiacciava, l’opprimeva; si sentiva un relitto in balìa del vuoto. Cosa l’aveva bloccato fino ad adesso? Dei dubbi laceranti e angoscianti s’accompagnavano al suo senso di colpa, e un brivido percorse da cima a fondo la sua lunga ed esile schiena. Povero Luca! Egli aveva tutto, non gli mancava niente. Stava frequentando l’ultimo anno delle scuole tecniche e fra qualche mese, salvo inconvenienti, avrebbe preso il diploma e poi sarebbe andato all’università, o magari a lavorare in banca, e poi…; ma poi se lo meritava il diploma? Se esso serviva a segnare il passaggio alla maturità, no, non lo meritava affatto, sarebbe stato ingiusto. Se Luca credeva d’avere tutto, ora aveva l’opportunità di constatare il grave sbaglio: non aveva niente d’essenziale, ma solo cose superflue, del tutto prive di consistenza. Tanti suoi progetti, purtroppo, erano offuscati dal suo comportamento meschino privo di coraggio; del coraggio necessario per rompere i vetri, sfondare la finestra, andare contro gli eventi, al fine di aiutare quella povera donna anziana distesa sul cemento, che invocava aiuto, con un lamento così insistente da far rabbrividire. Quel lamento sembrava il suo; quel lamento che per tanto tempo aveva celato ai suoi e a se stesso, e che si faceva sentire quando subiva un torto da qualche insegnante o da qualche compagno, sembrava proprio il suo. Oggi quel lamento aveva raggiunto l’apice della sua dannata maestosità e Luca lo contemplava sconfortato dalla sua finestra.
Quel giorno Luca capì che era un bullone della macchina che s’era staccato e caduto per terra, nella consapevolezza dell’esistenza. Fu difficile, ma alla fine seppe accettare, seppur con dispiacere, questa terribile verità.
Le due imperatrici
Quel giorno, in classe, Andrea e i suoi compagni stavano aspettando l’ultima professoressa della giornata che avrebbe dovuto spiegare un nuovo argomento d’economia. Andrea era stanco. Con una formula magica avrebbe voluto far passare il tempo velocemente per andare a casa.
La professoressa entrò in classe.
«Buongiorno!» recitarono in coro gli alunni, alzandosi in piedi.
«Buongiorno» disse con voce flebile l’insegnante.
Andrea era già assorto nei suoi pensieri. Gli sembrava d’essere in una gabbia; la scuola gli pareva una grande gabbia all’interno della quale si svolgeva una vita morta. Le finestre della sua classe erano alte, impossibili da toccare: erano come due imperatrici che decidevano se e quanta luce far penetrare all’interno. Erano terribili quelle finestre, anzi, incontrastabili. Andrea le odiava, non le sopportava. Che diritto avevano di occultargli la realtà esterna o di modificarla a loro piacimento? No, troppo ci aveva pensato: non ne avevano il diritto.
D’un tratto s’accorse che tutto il suo passato fluiva nel tenue raggio di luce che le due imperatrici oggi, forse per uno strano sbaglio, avevano permesso d’entrare nella sua integrità. E Andrea lì vedeva se stesso e s’immaginava bambino, ma la felicità di quel periodo veniva celata da quel fluire e gli pareva di soffocare per mancanza di vita. Il raggio fu come un lampo che gli permise di capire maggiormente ciò che da tempo già avvertiva.
«Deterioramento delle ragioni di scambio internazionali: questa è la prima causa economica di sottosviluppo dei paesi del sud del mondo» affermò la professoressa con voce così sicura che colpì e svegliò Andrea dal suo stato contemplativo.
«Perché diminuisce?» riprese l’insegnante.
Nessuno rispose.
«Per cause naturali, perché i nostri prodotti sono governati da regimi monopolistici, per il protezionismo che il nord attua nei confronti del sud, e per la bassa forza contrattuale dei paesi del sud. Altre cause di sottosviluppo sono la bassa produttività, l’insufficienza di infrastrutture pubbliche, un basso livello di istruzione tecnica, e un’elevata crescita demografica.»
Andrea non poteva sopportare che tutti i problemi si riducessero sempre a delle semplici considerazioni economiche; il cuore, il cuore degli uomini, dov’era? Forse nelle ragioni di scambio internazionali?
Sì, purtroppo!
pensava tra sé Andrea. Il cuore degli uomini si conservava nel freddo, all’interno delle due grandi imperatrici, in questo regno di follia considerato