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Lame di violenza improvvisa
Lame di violenza improvvisa
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E-book308 pagine4 ore

Lame di violenza improvvisa

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Info su questo ebook

Lame di violenza improvvisa è una raccolta di racconti con un elemento comune : la violenza.
Ovviamente.
Essa però non è mai il tema principale, ma solo un aspetto che unisce come filo conduttore le storie di tutti questi personaggi, in alcuni racconti appena accennato, in altri imperante e presente con tutta la sua carica destabilizzante e truculenta. La violenza non è solo quella che genera l'odore del sangue, ma è anche quella con cui quotidianamente conviviamo nelle sue molteplici e subdole forme. L'incomunicabilità è violenza, la separazione sociale ed emotiva nei confronti dei nostri simili è violenza, il potere della politica è violento, i ricordi possono essere violenti, i pensieri. Ogni cosa, ogni gesto, ogni azione può celare una carica violenta e aggressiva. I personaggi subiscono la violenza, l'hanno esercitata, e ognuno di essi interagisce con questa parte della sua storia personale in maniera diversa. La violenza così diviene passato, lavoro, strumento di riscatto o destino cucito sulla pelle. Tuttavia è sempre solo una cornice, un punto di partenza, di arrivo, un ricordo che aleggia o una presenza incombente che fa solo da sfondo all'umanità. Fragile e debole ma carica di affetti e di passioni, vitale e imperfetta, penalizzata dalle apparenze che vivono separate da quello che è il reale vissuto interiore emotivamente pregnante.
Sono racconti prima di tutto di solitudine, di un'umanità separata da sé stessa e dai suoi simili, abbandonata agli eventi ed in balia di una incapacità vitale a comunicare ed esprimere le loro emozioni. La lama del titolo è solo il simbolo di qualcosa che ferisce con un taglio netto, improvviso, come la violenza in questi racconti.
LinguaItaliano
Data di uscita5 giu 2013
ISBN9788867557257
Lame di violenza improvvisa

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    Anteprima del libro

    Lame di violenza improvvisa - Davide Tarozzi

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    INTRODUZIONE

    Talvolta, non fare nulla è la cosa più violenta da fare.

    Slavoj Žižek

    Lame di violenza improvvisa è una raccolta di racconti con un elemento comune : la violenza.

    Ovviamente.

    Essa però non è mai il tema principale, ma solo un aspetto che unisce come filo conduttore le storie di tutti questi personaggi, in alcuni racconti appena accennato, in altri imperante e presente con tutta la sua carica destabilizzante e truculenta. La violenza non è solo quella che genera l'odore del sangue, ma è anche quella con cui quotidianamente conviviamo nelle sue molteplici e subdole forme. L'incomunicabilità è violenza, la separazione sociale ed emotiva nei confronti dei nostri simili è violenza, il potere della politica è violento, i ricordi possono essere violenti, i pensieri. Ogni cosa, ogni gesto, ogni azione può celare una carica violenta e aggressiva. I personaggi subiscono la violenza, l'hanno esercitata, e ognuno di essi interagisce con questa parte della sua storia personale in maniera diversa. La violenza così diviene passato, lavoro, strumento di riscatto o destino cucito sulla pelle. Tuttavia è sempre solo una cornice, un punto di partenza, di arrivo, un ricordo che aleggia o una presenza incombente che fa solo da sfondo all'umanità. Fragile e debole ma carica di affetti e di passioni, vitale e imperfetta, penalizzata dalle apparenze che vivono separate da quello che è il reale vissuto interiore emotivamente pregnante.

    Sono racconti prima di tutto di solitudine, di un'umanità separata da sé stessa e dai suoi simili, abbandonata agli eventi ed in balia di una incapacità vitale a comunicare ed esprimere le loro emozioni. La lama del titolo è solo il simbolo di qualcosa che ferisce con un taglio netto, improvviso, come la violenza in questi racconti.

    Grazie a tutti per l'attenzione

    "[..] la società nella quale ci costringete a vivere e che noi vogliamo distruggere è tutta costruita sulla violenza. Mendicare la vita per un tozzo di pane è violenza, la miseria, la fame, alla quale sono costretti milioni di uomini è violenza, il denaro è violenza..la guerra..e persino la paura di morire. Li abbiamo tutti, ogni giorno. A pensarci bene, violenza.. è lei signor Fuller . Perché non mi ha detto semplice semplice: Bartolomeo Vanzetti la sua domanda è respinta?"

    Bartolomeo Vanzetti.

     Dal film Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo

    LAMA I R - IL GARGOYLE

    Non si può giudicare una ferita interiore dalle dimensioni del foro.

    Salman Rushdie

     Quella mattina fu la radiosveglia mal sintonizzata a svegliare C.V. , il suono cacofonico e gracchiante si spandeva per tutta la stanza impastato insieme alla voce dell'ultimo successo pop del momento, assolutamente indistinguibile da tutti quelli contemporanei e precedenti, al suo orecchio ormai ricettivo solo a tonalità musicali che spaziavano esclusivamente tra il rock e il metal.

    C.V. impiegò qualche lungo istante prima di realizzare che quel baccano allucinante era proprio la sua sveglia,  istanti sufficienti affinché quel suono penetrasse nella materia dei suoi sogni per cambiarla in maniera quasi radicale. Quella che era una bellissima donna con cui lui pareva essere sul procinto di giungere ad una certa intimità, dal nulla divenne una specie di mostro meccanico sbuffante, metallico e con tutta l'intenzione di masticarlo tra le sue fauci arrugginite.

    O almeno questo credeva di ricordare del suo sogno.

    Riuscire a spegnere la sveglia fu tutt'altro che una facile impresa, vista la quantità enorme di pulsanti, tutti rigorosamente non funzionanti, la cui scelta a tentoni risultava essere alquanto deleteria per il raggiungimento dello scopo prefissato: il silenzio. Tuttavia fu in grado di spegnere l'arnese in tempi sufficientemente brevi da poter passare a godersi il tiepido tepore del suo letto per quella mezz'oretta di dormiveglia che tanto trovava salutare per la sua resa giornaliera. Puntava la sveglia un'ora prima rispetto a quando intendeva alzarsi dal letto perché riteneva che lo stare tra il calduccio delle coperte lo ristorasse molto più di una improvvisa levataccia, benché con questa avrebbe potuto dormire più lungo.

    Di andare a lavorare quel giorno non se ne parlava, pertanto si trattava solo di trovare l'ispirazione adeguata per alzarsi; ispirazione che a quanto pare tardava ad arrivare visto che C.V. continuava stare con la testa affondata nel cuscino con gli occhi chiusi coperti dai capelli, spettinati quel tanto che bastava da far capire a chiunque che quella precedente doveva essere stata una serata molto impegnativa.

    Il sole filtrava dalla persiana semichiusa creando delle gallerie luminose, percorse da pulviscolo elettrico, che arpionavano il muro della stanza sul lato opposto a quello della finestra, interrompendo con violenza l'avvolgente oscurità mattutina che si ritirava delicatamente tra il tepore delle coperte ancora profumate di pulito, fresco di lavatrice. Fuori si sentivano i rumori ormai già avanzati del traffico della città, macchine che sgomitano ai semafori il tutto avvolto in una patina di smog, quasi a farne una confezione incellophanata da supermercato.  Il bar sotto casa era gremito di persone assonnate in coda per il caffè e per la brioche calda, a godersi quei brevi istanti di nulla che precedevano il lavoro e la scuola. Studenti si trascinavano per strada con gli zaini in spalla con andatura svogliata e universalmente riconoscibile in tutti coloro che sono costretti, loro malgrado, a finire in un posto che odiano, a fare cose che non gli interessano, comandati da persone che la maggior parte delle volte non capiscono niente. In questo non c'era nulla di diverso da quello che li avrebbe aspettati nel futuro, nel momento in cui dovranno andare al lavoro in un posto che odiano, a fare cose che non gli interessano, comandati da persone che la maggior parte delle volte non capiscono niente.

    Almeno in questo la scuola prepara in maniera egregia.

    La strada era percorsa da un unico enorme serpente di tanti colori che invadeva ogni viottolo verso tutte le direzioni; uomini d'affari con la valigia e studenti universitari, insieme ai mendicanti, erano le categorie più facilmente riconoscibili per l'abbigliamento, il resto della gente rimaneva nell'anonimato indistinguibile e inclassificabile. Operai al lavoro sul ciglio della strada bloccavano il traffico con somma disapprovazione degli automobilisti inferociti che sfogavano le loro frustrazioni sul clacson, inveendo con foga contro la macchina che li precedeva. Dal rumore dei martelli pneumatici e delle ruspe per gli scavi si poteva quasi dedurre che fossero al lavoro per buttare giù l'intera città, compito che probabilmente non li avrebbe scomposti più di tanto, anzi, avrebbero continuato a sorbirsi la loro sigaretta tranquilli mentre demolivano tutto mattone su mattone, a giudicare dall'imperturbabilità che li guidava. Avvolti nelle loro tute  non parevano curarsi di quanto accadeva intorno perché totalmente assorbiti dal lavoro, da cui non si distoglievano se non per brevi pause utilizzate gridandosi vicendevolmente qualcosa di offensivo.

    Era cosa comune per C.V. alzarsi ogni mattina con le netta sensazione, a volte quasi certezza, di essere un coglione, ma mai come quella volta gli sembrava di esserlo così tanto. Non ricordava di preciso l'accaduto della sera precedente e sul momento la cosa non sembrava avere grande importanza perché non era quello il motivo per cui si sentiva così, era qualcosa di più profondo, qualcosa che forse era già stato scritto sulla sua pelle in tempi che lui non poteva nemmeno ricordare, dal destino o da chi per lui. Una sorta di tatuaggio, di marchio da bestiame da cui non poteva sfuggire perché per sempre sarebbe appartenuto ad un solo branco, quello dei falliti. A sentirlo parlare aveva avuto solo tre fortune nella vita: riuscire a trovare uno straccio di lavoro nonostante la laurea, trovare una fidanzata e avere un appartamento proprio; ma senza riuscire ad averle tutte nello stesso momento. La sua fidanzata storica infatti, Arianna, lo aveva ormai lasciato da alcuni mesi per andare a vivere con un altro, la troia.

    Dopo aver fissato il soffitto per alcuni minuti C.V. decise di alzarsi, ma prima si sedette sul lato destro del letto, con i gomiti appoggiati alle gambe e la testa tra le mani a fissare una chiazza sul muro, quasi potesse aiutarlo a sentirsi meglio.

    Dal momento che non cambiava nulla, non che si fosse mai illuso del contrario, iniziò a cercare le ciabatte e non trovandole da nessuna parte concluse che anche camminare per casa con le calze poteva andare ugualmente bene. Uscì distrattamente dalla sua camera per dirigersi prima al bagno a pisciare osservando senza alcun interesse le riviste che erano rimaste sul davanzale ormai da mesi, erano di Arianna, la troia; non aveva ancora avuto il coraggio di buttarle via. Ogni volta che veniva abbandonato aveva l'insana tendenza ad attaccarsi agli oggetti come si farebbe con i feticci feticci e non poteva fare a meno di tenerli dove erano rimasti, forse anche per un qualche malato senso di masochismo vezzeggiato con il passare degli anni, quello stesso masochismo che lo aveva condotto ad accettare un lavoro mediocre come commesso in negozio di videonoleggio, proprio lui che aveva una laurea alle spalle.

    Una di quelle inutili, comunque.

    Era sorte comune a molti della sua generazione, che dopo aver studiato anni e anni si erano ritrovati a dover accettare lavori molto inferiori alle loro capacità a causa della crisi economica.

     Già, la crisi.

    Non esiste nulla di più studiato a tavolino, scusa e pretesto per sfruttare la povertà della gente, la disperazione delle persone e vincolarle al degrado con il pretesto che non c'è lavoro. Non riuscì ad inserirsi in quello per cui aveva studiato per via di un mercato ormai saturo e a causa di anni di vile malgoverno; odiava aprire il giornale e leggere di fottuti politicanti che vivevano nel lusso e che parlavano come dei mentecatti e che nonostante questo venivano costantemente rieletti, luridi cialtroni parassiti privi di ideali. Totalmente staccati dalla realtà non sapevano nulla di quello che succedeva nel paese, povertà, disperazione e disoccupazione prosperavano in ogni angolo di strada e all'angolo successivo sciacalli pronti ad approfittarne. In mezzo a queste mareggiate era difficile alzare la testa e l'unica soluzione fu quella di accettare quel lavoro, almeno temporaneamente, in attesa di momenti migliori; temporaneamente che ormai proseguiva da 3 anni e iniziava a diventare molto comodo. Tuttavia riusciva ancora a conservare piccoli margini di libertà, che ormai erano preclusi ai più, cercando di vivere in maniera minimale.

    Avere poche cose era una necessità per continuare a rimanere libero, lo aveva capito leggendo un articolo di Bauman.

    Spiegava come fossero cambiate le forme di controllo sociale nell'arco delle epoche storiche. Se durante la rivoluzione industriale si credeva di piegare il proletariato con sistemi rigidi, imposizione di lavoro e sfruttamento, ci si accorse presto che non funzionava perché questi non avevano nulla da perdere e potevano protestare, ribellarsi, organizzare sindacati funzionanti. Esattamente il contrario di quello che succede ora, in cui le persone vengono riempite di bisogni che non hanno e che non si possono permettere, se non tramite finanziamenti, mutui e prestiti. Se devi dei soldi a qualcuno non puoi permetterti di protestare e rinunciare alle tue entrate.

    Prima non c'era nulla da perdere ora c'è troppo da perdere.

    Se ne stava lì, con il cazzo tra le mani vicino al cesso, a guardare le riviste e a pensare a quando ancora c'era lei nella sua vita, quando al mattino ancora poteva vedere i suoi lunghi capelli nerissimi adagiati sulle sue spalle nude, a quando la avvolgeva nel suo abbraccio prima di svegliarla con un bacio sulla guancia, abitudine che aveva preso da quando si era trasferita da lui e che non aveva mai perso. Anche quando se n'era andata perseverava a sporgersi verso l'altro lato del letto cercando qualcosa che non c'era più.

    Dopo la pisciata mattutina, tutta intrisa di malinconie e ricordi che si risvegliavano ad ogni ingresso del bagno, si spostò in cucina per prepararsi un caffè, quello nero e amaro che piaceva a lui.

    Diversamente non avrebbe potuto nemmeno riconoscersi allo specchio, cosa che nemmeno gli dispiaceva più di tanto, ogni volta che era costretto a guardare il suo riflesso non riusciva a nascondere un sottile disprezzo verso sé stesso, verso la sua immagine così patetica e verso quella persona che non era stata in grado di raggiungere il suo ideale.

    Avrebbe voluto cambiare il mondo, non era nemmeno in grado di cambiare lavoro.

    Si sentiva come Dante nel film Clerks.

    Si sedette al tavolino della cucina attendendo che il caffè venisse su e nel mentre disegnava immaginarie circonferenze con le dita sulla sua superficie, tentando di circoscrivere mentalmente una piccola porzione dalle tonalità di colore differenti dal resto, un verde acqua tendente al marcio, che si era schiarita a causa di un prodotto non proprio adeguato alle pulizie.

    Acido Muriatico.

    La sua attenzione venne attirata per alcuni istanti dalla finestra che dava sulla città, da cui non si vedevano altro che appartamenti come il suo, altre finestre, altre vite.

    Da una di queste vide una piccola bambina che si sporgeva in punta dei piedi salutando con la manina, la guardò con un sorriso impercettibile e ricambiò il saluto, per poi tornare ad immergersi nei suoi pensieri. Iniziò ad aprire il giornale del giorno prima, rimasto lì dalla sera, per rileggere le notizie e iniziare la giornata nel peggior modo possibile, sgranocchiando ogni tanto un biscotto come colazione, con le briciole che andavano ad aggiungersi a quelle ormai sedimentate da settimane.

    Accese il cellulare, rimasto sul tavolo dalla sera precedente, e subito ricevette un messaggio da uno di quei servizi che ti inviano l'oroscopo :" Zodiaco: Oggi la vostra energia positiva sarà esuberante e soprattutto contagiosa. Gli altri saranno probabilmente attratti da voi".

    Non riuscì a trattenere un commento con toni di voce alterati

     <>

     e appoggiò con stizza il cellulare lontano da sé.

    Il vezzo di leggere l'oroscopo gli era rimasto da sempre, per quella sorta di divertimento che provava nel leggere le previsioni di fantomatiche storie d'amore che mai arrivavano e che venivano sottintese immancabilmente anche questa volta, o in cui forse lui sperava. Non esisteva nulla al mondo che sbagliasse come il suo oroscopo, il divario tra quello che gli diceva e quello che in realtà  finiva per vivere era sempre motivo di ilarità per C.V. .

    Finalmente l'aroma del caffè iniziò a diffondersi forte ed imperiosa per tutta stanza e il ribollire della caffettiera lo distolse dalle sue ruminazioni del mattino attirando la sua attenzione e costringendolo ad alzarsi per andare a versarsi la sua amata tazzina. Ora poteva sorbirsela in compagnia dei pensieri infestanti che potevano riprendere tranquillamente il loro corso.

    Lentamente lo stordimento da primo mattino iniziava ad abbandonare la sua mente, che tuttavia rimaneva ancora un attimo inebetita e incapace di spiegare quanto fosse successo la sera precedente. Aveva ancora i capelli tutti impiastricciati di fango secco dopo essere caduto a terra nel vano tentativo di picchiarsi con quell'energumeno ubriaco e ancora non riusciva a capire come gli fosse venuto in mente di andare a provocare un bestione del genere che, non c'è nemmeno il bisogno di dirlo, gli aveva fatto un discreto ematoma attorno all'occhio sinistro. Qualcosa aveva dato ma in effetti non esisteva sfida tra i due. E dire che non c'era nessun motivo, l'armadio si stava facendo beatamente i suoi quando C.V. senza nemmeno la scusante di essere ubriaco, perché era totalmente sobrio, gli corse incontro gridando tutto il suo odio e rancore per... mah, non lo sapeva nemmeno lui, era solo molto nervoso e voleva sfogarsi in qualche modo. Fatto sta che questo ha reagito senza nemmeno pensarci assestandogli un diretto al volto, preciso preciso nell'occhio nonostante la narcosi alcolica.

    Finito il caffè prese il suo pacchetto morbido di sigarette e iniziò a scuoterlo  per estrarre una delle ultime due sopravvissute alla serata, adagiandola con un movimento fluido della mano all'angolo della bocca. Prese un fiammifero e accese la sua quotidiana tabaccata rimanendo avvolto nel fumo, con gli occhi semichiusi.  Aspirò due o tre boccate con la sigaretta dondolante tra le labbra e poi buttò la cenere direttamente nella tazzina del caffè ormai vuota.

    Decise che era il caso di fare una doccia e uscire per non stare in casa a deprimersi. C'erano i mercatini di Natale in una delle piazze centrali ed era una buona scusa per far finta di fare qualcosa. Le persone come lui non escono mai a girovagare senza meta ma hanno bisogno di un pretesto e di un posto verso cui dirigersi, per convincere sé stessi di essere impegnati e di non bighellonare a caso nella solitudine, come se agli altri interessasse o si accorgessero che una persona continua a girare in tondo.

    Arrivò a piedi alla fiera tanto per far passare un po' di tempo e subito venne investito da un profumo intenso di dolciumi mescolato ai solventi dei vestiti e all'immancabile porchetta che non veniva mai cambiata : semplicemente si rigenerava da sé in base a quante persone la mangiavano.

    Decise di immergersi in quel marasma umano e in quelle ventate di odori.

    E' incredibile quanto ci si possa sentire soli anche quando si è circondati da una folla.

    Gironzolava per le bancarelle in cerca di nulla di speciale, fingendo interesse un po' per dei bonghi, un po' per delle armi ad aria compressa, un po' per i vestiti, ma anche le presine al forma di maiale potevano essere di suo interesse. Non gli fregava veramente niente di tutto quello, ma qualcosa si sentiva in dovere di guardare. Intento a rimirare un orrendo soprammobile in ceramica che nemmeno in una discarica si sarebbe intonato con l'ambiente da quanto era brutto, si sentì chiamare.

    Aveva già capito chi fosse e mentalmente tirò giù un rosario di cristi e madonne prima ancora che potesse vederne il volto.

    <>

     Cristo. E' proprio Arianna, la troia. Con lo stronzo.

     <>

    Disse lui lapidario e gelido come un cadavere, mentre lei continuava

     <>.

    In effetti tra le altre cose suo padre si era sentito male ed ora stava ricoverato in ospedale per un infarto, attualmente sorvegliato da sua madre. Niente di grave comunque, si sarebbe ripreso in fretta.

    Come credi che possa sentirmi? Felice possiamo escluderlo con una certa sicurezza che dici, eh?

    Ma riuscì solo a dire

     <>

    cercando di contenere lo sguardo sempre più contratto e ingrugnito nel vedere con la coda dell'occhio il viso dello stronzo che entrava nel suo campo visivo con la delicatezza di uno stupratore. Senza contare che pur di non dover sopportare la sua visione e quella di lei, avrebbe preferito correre la maratona di New York sulle ginocchia; definizione riduttiva e approssimata per difetto tuttavia. La spinta comunicativa di C.V. era pari a quella di una lapide in quel momento, e Arianna, la troia, non ebbe problemi a capirlo, anche perché non faceva il minimo sforzo per nascondere la sua profonda insofferenza per la situazione e non celava in alcun modo la sua voglia di interrompere quella conversazione inutile per poter continuare nell'attività che lo stava occupando prima di quella sgradevole interruzione: guardare l'orrendo soprammobile in ceramica, che anzi gli fornì il giusto pretesto per sottrarsi a quella sevizia.

    Cercò di attirare l'attenzione del venditore alzando leggermente il braccio con la mano aperta e cercando avidamente il suo sguardo.

     <>

    E dopo averla ottenuta intavolò una lunga conversazione chiedendo ogni genere di informazione su qualunque oggetto fosse presente su quel banchetto sperando che sentendosi ignorati, i due indesiderati desistessero e si togliessero dal suo spazio vitale.

    E da in mezzo ai suoi coglioni.

    Arianna la troia, sapeva perfettamente di ferirlo solo con la sua presenza e di quella dello stronzo, ma non era sinceramente nelle sue intenzioni, si sentiva molto in colpa per averlo messo in quella situazione di imbarazzo di cui percepiva le vibrazioni dentro la pelle come una scossa umidiccia. Era realmente preoccupata per la sua salute; è vero, non esisteva più nulla di quello che li aveva legati, sentimenti, passioni, ma continuava a volergli bene come ad una persona cara e sperava che lui potesse risollevarsi da quella situazione di disagio in cui evidentemente sostava. Si sentiva una concausa della sua sofferenza a cui non sapeva come dare sollievo senza risultare ipocrita o senza infierire ulteriormente.

    In effetti non era chiaro nemmeno a lei se avrebbe voluto intervenire perché gli era ancora caro o semplicemente per togliersi un peso dalla coscienza dell'aver distrutto una persona che non meritava di vivere quel malessere.

    Le cose però avevano smesso di funzionare, C.V. era sempre più distratto, totalmente assorto e chiuso in sé stesso, non le parlava più e le dedicava sempre meno tempo di quello che lei aveva bisogno. Semplicemente lui non c'era quasi mai. Lei si angosciava perché non riusciva a capire cosa lo stesse tormentando dentro, era come se fosse tutto tumulato e blindato in una qualche parte del suo cuore a cui lei non era consentito di accedere. Ogni suo sforzo per avvicinarsi otteneva solo l'effetto di allontanarlo sempre di più e farlo chiudere in quella sua preoccupazione di cui lei non era in grado di capire la natura. Desiderava aiutarlo più di ogni altra cosa e lui non gli permetteva di farlo e questo non faceva che renderla sempre più rabbiosa nei suoi confronti.

    Stare con lui la faceva sentire sempre più sola.

    Fu proprio dopo aver litigato furibondamente con lui che incontrò lo stronzo, Daniele. Quella sera lei si infuriò con C.V. perché aveva dimenticato di ritirarle un capo in lavanderia che a lei sarebbe servito il giorno seguente. Non era per il vestito in sé, era solo l'ultima di una sequenza di distrazioni che la facevano sentire come l'ultimo dei suoi pensieri.

    Concluse che le cose non avrebbero proprio mai funzionato.

    Se ne andò sbattendo la porta di casa, uscendo senza nemmeno mangiare la cena che lui le aveva preparato. Avrebbe preferito rimanere e discutere, chiarire, dirgli come si sentiva, ma le aveva intimato di sparire, furente di rabbia come non l'aveva mai visto e a lei non rimase che andarsene indignata, quella non era casa sua, altrimenti non gli avrebbe permesso di mandarla via. Quella sera non tornò dai suoi genitori, era meglio stare da un'amica, aveva bisogno di parlare. Simona intuì tutto non appena ebbe modo di sentire la

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