Piazza Tienanmen
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Anteprima del libro
Piazza Tienanmen - Andrea Tavano
sangue
I
Pechino, gennaio 1967
Dorme serena, la Grande Sala del Popolo, comodamente adagiata sulla sua immensa piazza. Dorme serena la città. È quasi mezzanotte. Quasi nessuno è in giro, se non qualche raro passante in bicicletta che rincasa, sotto la luce dei lampioni. Fa freddo, il cielo è terso e spira il vento pungente dal Gobi. Sembra di stare proprio nel deserto, in mezzo alla Tienanmen. Il cuore della Cina.
All'interno dell'enorme palazzo, seduto su di una poltrona, le gambe accavallate e la sigaretta tra le dita, Mao Zedong sta aspettando in apparente tranquillità un ospite da lui espressamente mandato a chiamare. L'ospite è stato portato lì in automobile da Zonghnanhai, non molto distante. Appena arriva, Mao si alza, ripone la sigaretta nel posacenere sul tavolino, gli stringe la mano. Lo invita ad accomodarsi sulla poltrona accanto. Si siedono. Mao riprende la sigaretta e lo osserva. L'ospite lo guarda a sua volta. L'ospite è Liu Shaoqi. Formalmente è ancora il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, ma solo formalmente. Pochi istanti, poi iniziano a discutere.
Mao parla per primo. - Ti ho fatto chiamare perché ho avuto notizie di un incidente occorso a tua figlia, Liu Tingting. Un infortunio alla gamba, se non sbaglio. Ora come sta? Vuoi dirmi cosa è successo?
Liu attende un attimo. Pare confuso. Poi risponde prontamente: - In realtà era solo tranello ordito da un gruppo di Guardie Rosse per fare uscire da Zhongnanhai me e mia moglie, Wang Guangmei, e sottoporci a critica. È accaduto lo scorso 6 gennaio. Io ho evitato il confronto, se così possiamo chiamarlo, poiché dei compagni dirigenti sono riusciti a portarmi via. Ma mia moglie invece ha dovuto sostenere un dibattito molto teso all'Università. Si è difesa egregiamente.
- Bene, meglio così. Meglio così. Comunque, so che insisti da tempo per avere un incontro con me, non è vero?
- Sì, certo. Da tempo.
- Quindi approfittane, se posso esserti di aiuto in qualche cosa.
- Puoi esserlo. Compagno Mao, credo che il livello degli attacchi pubblici nei miei riguardi e nei riguardi di diversi membri importanti del partito stia oltrepassando il limite di guardia. Non è più tollerabile una situazione del genere, è molto pericolosa. In merito, ti chiedo di acconsentire affinché io assuma su di me tutte le accuse che vengono mosse, anche quelle che colpiscono gli altri dirigenti. Questo per evitare che il partito subisca danni irrimediabili...
Liu si interrompe. Mao resta in silenzio. Il mondo resta in silenzio. Liu riprende. - Chiedo inoltre di poter tornare a breve nello Yenan, nella mia casa di origine, assieme alla mia famiglia. Penso sia la scelta più appropriata. Mi ritirerò dalla vita politica e lavorerò lì come contadino. Nient'altro ti chiedo.
Silenzio. Uno sbuffo di fumo si alza dal viso di Mao. Che dice: - Mi permetto di suggeriti la lettura di alcuni libri, compagno Liu. Ho preparato una lista, il mio segretario te la consegnerà all'uscita. Studia e prenditi cura della tua salute.
Liu è visibilmente spazientito. - Ma insomma, non è bastata l'autocritica che ho pronunciato pubblicamente lo scorso autunno? Mi sembrava tutto chiarito. Se non sbaglio, ero assieme a te, al tuo fianco, sulla Tienanmen, durante le sfilate di massa delle Guardie Rosse dei mesi scorsi.
- Non sbagli. Ma come sempre, pensi di risolvere in maniera troppo semplice e troppo affrettata ogni questione. Troppo agevolmente. Ricordi, ci hai provato anche nel sessantadue.
- In quale occasione?
- Alla Conferenza dei settemila quadri. O sbaglio? Il disastro del Grande Balzo, tu dicevi, causato da calamità naturali, ma soprattutto da errori umani. Soprattutto da errori umani, ripetevi. Non è passato inosservato il tuo discorso.
- Ma quale attinenza hanno quei fatti con quanto avvenuto negli ultimi mesi in Cina, e qui a Pechino soprattutto? L'analisi sul Grande Balzo l'avevamo già portata a termine a Wuchang nel '58 ed a Lushan nel '59. Non ho aggiunto alcunché di nuovo nel '62. Invece quanto sta avvenendo, adesso, giorno dopo giorno, rischia di cancellare a breve tutte le nostre conquiste. Di distruggere tutto ciò che abbiamo costruito dal quarantanove.
- Va bene così, è perfetto, perché su di un foglio bianco tutto è possibile. Si può scrivere e disegnare ciò che vi è di più nuovo e di più bello. Riflettici con attenzione.
- Sì ma le masse non possono sollevarsi contro il partito senza diventare controrivoluzionarie. È una prospettiva inevitabile. Chi resterà alla guida del partito e dello Stato quando questo movimento esploderà, privo di controllo e di freni?
- Sono disposto a correre ogni rischio, – risponde Mao - senza lotta e contraddizioni la mia esistenza si esaurirebbe, non avrebbe più alcun senso. Quando ho compreso che era giunto il momento di un cambiamento, l'ho promosso, senza esitazioni, senza timori. Per salvare la rivoluzione, ho deciso di rilanciarla. Sei tu che non comprendi la verità.
- E cos'è la verità?
- La verità è che inizia a farti male la testa. Lo vedo da come mi guardi. La mia voce ti infastidisce, ti tortura, e di questo me ne dolgo. Ma non ho alternative. La verità, poi, è che le masse acclamano e appoggiano la mia rivoluzione. Sventolano il Libretto Rosso. Lottano nel mio nome. La verità, compagno Liu, è che tu non comprendi più quello che si muove attorno a te. Non comprendi la natura del mio gioco. E non hai più fiducia nelle masse.
Liu ha davvero un gran mal di testa, in quella notte fredda e placida del 13 gennaio 1967, mentre esce dal palazzo e rivede il cielo stellato sulla piazza Tienanmen. Si chiede cosa stia accadendo. Si chiede se le ultime parole, le ultime frasi del suo dialogo con Mao Zedong, siano state davvero pronunciate, oppure se le abbia soltanto sognate.
La tempesta è già in corso.
Shanghai è attraversata da un possente movimento che si abbatte sui vertici locali del partito. I lavoratori scendono in sciopero e la città è paralizzata. Una folla enorme e fremente occupa le strade. Le Guardie Rosse vogliono la proclamazione di una Comune. Il Centro maoista a parole acconsente, ma di fatto, sfruttando esercito e polizia, la blocca. L'antagonismo di classe non deve travolgere il potere costituito. Non c'è spazio per azzardi, per salti in avanti.
Il 25 gennaio decine di studenti cinesi a Mosca tentano di occupare il Mausoleo di Lenin, sulla piazza Rossa, invitando il popolo sovietico alla sollevazione e contestando a gran voce i revisionisti rinchiusi nelle stanze del Cremlino. Interviene la polizia. Si parla di morti. Gli studenti sono espulsi ed accolti in patria, al ritorno, come eroi.
Il 26 gennaio, alla notizia di quanto avvenuto a Mosca, masse di rivoltosi cingono d'assedio l'ambasciata dell'URSS a Pechino e tentano di assaltare l'edificio, senza riuscirci. Lo stesso giorno Liu Shaoqi è trascinato fuori di casa dalle Guardie Rosse per essere sottoposto ad una sezione di lotta di massa. In piazza Tienanmen, alti dirigenti, fra i quali l'ex ministro delle ferrovie, vengono pubblicamente criticati ed umiliati dalla folla.
La Cina è accerchiata. I revisionisti sovietici da un lato. Gli imperialisti americani e i loro lacchè, i giapponesi, i coreani, dagli altri lati. Il Vietnam è in fiamme. La guerra pare ad un passo. E le masse stanno esplodendo.
Estate 1967
La Rivoluzione Culturale sconvolge la Cina, la illumina, la scuote, la trasfigura. Il Paese è sull'orlo del caos. Come un'onda, implacabile, il furore iconoclasta e contestatario dei giovani cinesi sta travolgendo l'Impero di Mezzo, con una rivoluzione senza freni e, in apparenza, senza limiti. Bombardare il quartier generale della reazione. Cancellare gli elementi borghesi dal governo e dalla società. Installare la lotta di classe nel partito. Denunciare i destri. Lunga vita al terrore rosso. L'apprendista stregone ha scatenato forze che non è più in grado di tenere a freno. È qualcosa di mai visto. È libertà allo stato puro.
Nel mese di giugno sono riprese le prese di potere, ovvero i tentativi delle Guardie Rosse di abbattere le vecchie istituzioni e di installarne di nuove. Si susseguono gli scontri tra fazioni e gli scioperi. Si assaltano le armerie. I gruppi politici, innumerevoli, iniziano ad impugnare le armi. I disordini si allargano alle campagne.
A Shanghai vengono installati i tribunali rivoluzionari. Ci sono scontri violenti a Canton e si contano i morti. A Wuhan, nel luglio del '67, è guerra aperta. Uno di fronte all'altro, due gruppi armati, ciascuno formato da mezzo milione di persone, si combattono apertamente. Il Milione di Eroi, appoggiato da truppe locali guidate da Chen Zaidao, contro il Quartier Generale dei Lavoratori di Wuhan, le Guardie Rosse. Il Centro maoista ferma la battaglia e impone il proprio ordine. Ci sono pesanti massacri nello Hunan.
Pechino deve sembrare un vulcano pronto ad eruttare in ogni momento, un calderone in ebollizione. Il palcoscenico di una festa del popolo in movimento. O di una tragedia senza fondo. L'aria calma, piatta, silenziosa, e poi improvvisi e irrefrenabili, le urla, i cortei, le sedute di lotta. Gli scontri. Una sagra della follia, o il popolo che prende in mano il proprio destino, si può scegliere.
A giugno il Ministero degli esteri è occupato dalle Guardie Rosse, che tentano di imporre la loro linea sulla politica estera cinese. Le ambasciate cinesi devono funzionare come centri di propaganda mondiale della rivoluzione in corso. Il 21 luglio sono montate tribune sulla Tienanmen per reclutare volontari che combattano i destri a Wuhan. Il 1 agosto, festa dell'esercito, il Quotidiano del Popolo pubblica un discorso incendiario di Lin Biao, Ministro della difesa, numero due del regime. Dal giorno dopo, in centinaia di migliaia assediano Zongnanhai, la cittadella del potere cinese nel pieno centro di Pechino. La parola d'ordine è smascherare Liu. I giovani ribelli si accampano in strada, montano tende, organizzano cucine da campo. Urlano slogan in continuazione. Vivono un'esperienza collettiva entusiasmante. Il 5 agosto enormi sedute di critica si tengono in piazza Tienanmen, allo stadio e di fronte all'entrata di Zongnanhai.
La febbre della Rivoluzione Culturale contagia Hong Kong. I dimostranti sono nelle strade. Quando giungono a Pechino le notizie delle violenti repressioni che le autorità britanniche stanno attuando, le Guardie Rosse assaltano la Legazione inglese. È il 22 agosto. Il personale della sede diplomatica è sequestrato, malmenato, costretto alla fuga. Il palazzo è dato alle fiamme. Anche l'ambasciata indonesiana viene attaccata e devastata.
Non c'è altra soluzione al di fuori di un intervento diretto dell'Esercito di Liberazione Popolare. Ne è convinto il Centro maoista, ormai trionfante ed egemone. Lin Biao ha dalla sua parte gran parte dei quadri militari e dei soldati. Mao appoggia la linea. Zhou Enlai l'ha già detto: Un colpo d'occhio sulla situazione odierna ci mostra che la maggior parte dei dipartimenti ha bisogno del controllo militare
. I primi reparti dell'esercito si insediano nelle scuole e nelle fabbriche ed impongono il loro ordine. I Comitati Rivoluzionari, cioè