Così parlò Vladimir Lenin: Il padre della rivoluzione d'Ottobre spiega se stesso in un'antologia ragionata delle sue opere e dei suoi discorsi
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Così parlò Vladimir Lenin - Vladimir Lenin
LE FIONDE
Così parlò Vladimir Lenin
di Vladimir Lenin
© 2015 Red Star Press
Titolo originale: Sul Partito Proletario di tipo Nuovo
La riproduzione, la diffusione, la pubblicazione su diversi formati e l’esecuzione di quest’opera, purché a scopi non commerciali e a condizione che venga indicata la fonte e il contesto originario e che si riproduca la stessa licenza, è liberamente consentita e vivamente incoraggiata.
Prima edizione in e-book: marzo 2015
Design Dario Morgante
Red Star Press
Società cooperativa
Via Tancredi Cartella, 63 – 00159 Roma
www.facebook.com/libriredstar
redstarpress@email.com | www.redstarpress.it
Così parlò Vladimir Lenin
Vladimir Lenin
REDSTARPRESS
PREFAZIONE
Nella poesia La scritta invincibile (1934), Bertolt Brecht immagina un detenuto socialista italiano, ai tempi della prima guerra mondiale, che incide sul muro della cella la scritta Viva Lenin
. I secondini provano prima a imbiancarla, poi a raschiarla via, ma i loro tentativi non fanno che rendere ancora più visibile lo slogan. Non possono fare altro alla fine che buttare giù la parete.
In questi primi anni del terzo millennio, dinanzi all’implosione del tavolo da gioco dei capitali finanziari e a un pianeta spolpato dalla geometrica voracità dell’imperialismo, le intuizioni e le analisi di Lenin sembrano riapparire – beffarde come quella scritta – sui lisci muri delle borse valori, al centro esatto degli schermi al plasma che trasmettono diagrammi in caduta libera, nei proclami imbarazzati dei vertici mondiali sulla tenuta del sistema economico, tra gli scaffali ricolmi di saggi divulgativi scritti dai guru della finanza e dai premi Nobel che spiegano ora – e senza imbarazzo alcuno per il ritardo, né l’azzardo di un’ipotesi su scenari plausibili per il prossimo futuro – perché è accaduto quanto non hanno preconizzato. Una beffa in grande stile, si direbbe. Tanto amara che quasi nessuno ha il coraggio di ammetterla, tanto dirompente che è preda di mille esorcismi e di un certo preoccupato sarcasmo. E proprio nel momento in cui il capitalismo, più che una contingenza storica, viene da molti considerato come un’immanenza, del tutto connaturata al vivere civile, praticamente senza alternative. Intanto, a circa un ventennio dalla fine del sistema sovietico (che peraltro non fu mai democraticamente determinata), la situazione dei popoli che costituirono l’Urss è disastrosa sotto ogni profilo: tremenda povertà, libertà civili negate, degrado morale, crollo dell’aspettativa di vita, dittature, fine di ogni primato scientifico e culturale.
Se al posto di liquide cifre in corsa verso il baratro, sulle strisce digitali dei notiziari di borsa apparissero parole e spiegazioni, eccone qualcuna, già a disposizione, tratta dal saggio popolare
scritto da Lenin nel 1916, L’imperialismo come fase suprema del capitalismo:
Man mano che le banche si sviluppano e concentrano in poche istituzioni, si trasformano da modeste mediatrici in potenti monopoliste, che dispongono di quasi tutto il capitale denaro di tutti i capitalisti e piccoli industriali, e così pure della massima parte dei mezzi di produzione e delle sorgenti di materie prime di un dati paese e di tutta una serie di paesi. Questa trasformazione di numerosi modesti intermediari in un gruppetto di monopolisti, costituisce uno dei processi fondamentali della trasformazione del capitalismo in imperialismo capitalista.
Se nei notiziari a getto continuo della tv satellitare apparisse di tanto in tanto una riflessione sensata, ecco una nota a margine per consessi di emiri e magnati texani, per minacce di ministri e proclami di grandi capi, per bizze malcelate di generali smaniosi di menare le mani:
È noto a tutti quanto il capitale monopolistico abbia acuito tutti gli antagonismi del capitalismo. Basta accennare al rincaro dei prezzi e alla pressione dei cartelli. Questo inasprimento degli antagonismi costituisce la più potente forza motrice del periodo storico di transizione, iniziatosi con la definitiva vittoria del capitale finanziario mondiale.
E a commento delle torture, delle bombe nei mercati, degli sterminii etnici, dei campi profughi, delle immagini di morte per malattie perfettamente curabili, a commento delle pance dilatate dei neonati africani; lì, in nazioni gravide di energia fossile, di vene luminescenti d’oro e di diamanti, di acqua e di legnami, proprio lì, anziché i soliti ricami accorati e le solite chiacchiere, qualche parola un poco più precisa:
Monopoli, oligarchia, tendenza al dominio anziché alla libertà, sfruttamento di un numero sempre maggiore di nazioni piccole e deboli per opera di un ristretto gruppo di nazioni più ricche o potenti: sono le caratteristiche dell’imperalismo che ne fanno un capitalismo parassitario e putrescente.
E nei primi piani, nei ritratti dei potenti accatastati su un gigantesco tappeto kilim, nel salone principale di un’antica magione, al riparo tra ettari di pascolo e boschi, in una residenza appena fuori della capitale di una nazione neutrale; tra i ritocchi fotografici per lenire guance pendule e caviglie gonfie, nell’occhio luminoso dei plotoni di telecamere ufficiali, uno sguardo indipendente, un commento non autorizzato:
Sempre più netta appare la tendenza dell’imperialismo a formare "lo Stato dei rentiers, lo Stato usuraio, la cui borghesia vive esportando capitali e
tagliando cedole". Sarebbe erroneo credere che tale tendenza alla putrescenza escluda il rapido incremento del capitalismo: tutt’altro. Nell’età dell’imperialismo i singoli rami dell’industria, i singoli strati della borghesia, i singoli paesi palesano, con forza maggiore o minore, ora l’una ora l’altra di quelle tendenze. In complesso il capitalismo cresce assai più rapidamente di prima, sennoché tale incremento non solo diviene in generale più sperequato, ma tale sperequazione si manifesta particolarmente nell’imputridimento dei paesi capitalisticamente più forti.
Il tentativo di cancellare il contributo di Marx, Engels e Lenin alla comprensione del mondo in cui viviamo è, al di là delle apparenze, al di là della spessa cortina di silenzio o di denigrazione che aleggia attorno a tutto quanto abbia a che vedere col comunismo, decisamente fallito.
Prova ne sia, semmai, proprio la mancata pacificazione delle élite culturali dell’occidente col marxismo e con la storia del movimento operaio comunista internazionale. Gli intellettuali liberali (una auto-definizione largamente diffusa) – per non parlare dei politici, e degli uomini che ricoprono le più alte cariche all’interno delle istituzioni economiche mondiali – hanno un rapporto niente affatto neutro con il comunismo. Lo demonizzano o ne tacciono, come fossimo ancora ai vecchi tempi della guerra fredda, tanto più se hanno da farsi perdonare passate fascinazioni o addirittura adesioni e militanze di area marxista.
I partiti della sinistra radicale (per lo più non comunisti) raccolgono nel frattempo consensi sempre più esigui, ben lontani dall’impensierire chi ritiene di difendere lo stato di cose presenti.
Se si entra oggi in una grande libreria italiana, non è possibile reperire alcuna opera di Lenin, né una sua biografia. L’unico testo a disposizione è il sobrio e neutrale Lenin e Hitler. I due volti del totalitarismo (di Luciano Pellicani, Rubbettino 2009). Tutto qui. Ci sono biografie di Attila e Napoleone, interi scaffali sulla dinastia dei Savoia, su Enrico VIII e sul generale Eisenhower. Naturalmente è in vendita anche l’opera completa di Adam Smith, il filosofo scozzese fondatore dell’economia politica classica, convinto, tra le altre cose, che nel libero mercato esista una provvidenziale mano invisibile grazie alla quale la ricerca egoistica del proprio interesse giova tendenzialmente all’interesse dell’intera società. Eppure non per questo la sua opera è finita tra gli scaffali dei libri umoristici. Certo, con l’incedere della crisi, qualche crepa inizia a manifestarsi e tornano ad essere pubblicati volumi di e su Karl Marx, ma per un certo periodo, in Italia, è stato espulso da tutti i cataloghi persino Il Capitale (ora disponibile in edizione economica per Newton Compton). Per Lenin, invece, ancora nessuna significativa eccezione.
Verrebbe insomma da domandarsi chi ha paura del lupo cattivo. E se la paura di chi lo detesta non sia, in questo momento, più radicata della fiducia di chi, tutto sommato, potrebbe anche apprezzarlo. È difficile, cioè – al di là dei timori che sembrano nutrire gli anticomunisti – immaginare una così immediata ripresa della prospettiva rivoluzionaria a cui Lenin dedicò l’intera esistenza. E neanche quest’aspetto, tuttavia, può essere considerato come contraddittorio rispetto al suo pensiero e alla sua opera. Per Lenin, come dimostrano gran parte degli scritti e dei discorsi raccolti in questo libretto rosso, la rivoluzione non è un caso o una naturale conseguenza di eventi predeterminati. Non bastano la miseria in sé o il più cupo sfruttamento a far sorgere una rivoluzione. Al contrario, la rivoluzione è per lui una scienza: affinché si realizzi occorrono elementi soggettivi dotati di un razionale sistema di finalità e di competenze tali da poterla portare, in determinate condizioni, a compimento. Occorre, in particolare, il Partito comunista, inteso come avanguardia della classe operaia, l’unica classe sociale in grado di sovvertire le contraddizioni del capitalismo e, liberando se stessa, fornire all’umanità intera la possibilità di organizzarsi in un sistema di vita che non sia strutturalmente basato sullo sfruttamento ma che sia, al contrario, incentrato sulla pianificazione democratica dell’economia: così da liberare l’uomo dai bisogni primari e metterlo in condizione di dedicarsi, definitivamente, al proprio progresso scientifico e spirituale. Si persegue cioè una democrazia in senso pieno (non riservata alla classi dominanti), e una libertà compiuta.
Anche di fronte a un’umanità che appare spesso rassegnata - sia pur con eccezioni molto significative, che coinvolgono milioni di persone in tutto il mondo - di fronte a una presunta inevitabilità del capitalismo, non è possibile escludere che una prospettiva di tale complessità ed intrinseco valore si ripresenti in un prossimo futuro, nelle modalità e nelle forme che le assegnerà il divenire storico. Purché ci sia qualcuno in grado di tentare ancora una scienza tanto rischiosa, tanto delicata, tanto nemica della superficialità e della violenza gratuita, quale è la rivoluzione.
Per un rivoluzionario come Lenin, del resto, il fatto di aver bene intravisto gli esiti dei fenomeni a cui assisteva, potrebbe anche apparire in ogni caso irrilevante. L’ambizione è un’altra: Marx la espose nell’undicesima tesi su Feuerbach ed è incisa a chiare lettere sul parallelepipedo grigio che custodisce le sue spoglie mortali, nel cimitero londinese di Highgate. "I filosofi hanno finora soltanto interpretato il mondo in diversi modi; ora si tratta di trasformarlo".
INTRODUZIONE A
PER UN PARTITO PROLETARIO DI TIPO NUOVO
MOSCA, URSS 1973
Il bolscevismo, come corrente del pensiero politico e come partito politico, esiste dal 1903
¹ – così definì V. I. Lenin il risultato principale del II Congresso del Partito operaio socialdemocratico di Russia, il cui settantesimo anniversario è ricorso nell’estate del 1973. La Russia divenne la patria del primo partito proletario di tipo nuovo, il cui fondatore fu V. I. Lenin.
Sviluppando e arricchendo le idee basilari sul partito proletario, formulate da C. Marx e F. Engels, V. I. Lenin, per la prima volta nella storia del marxismo, creò una dottrina armoniosa e organica sul partito comunista, partito di tipo nuovo, caratterizzato come partito della rivoluzione sociale e della dittatura del proletariato, dell’identificazione del socialismo e del comunismo. Nel creare la dottrina sul partito proletario, Lenin teneva conto della ricca esperienza del movimento rivoluzionario, sia in Russia, che negli altri paesi del mondo.
Nella seconda metà degli anni ’90 del XIX secolo il marxismo, secondo una definizione di Lenin, è diventato una corrente del pensiero sociale e una parte integrante del movimento operaio
². Lo sviluppo del movimento operaio in Russia e al tempo stesso dei circoli e gruppi marxisti prepararono le condizioni per la fusione del socialismo scientifico con il movimento operaio di massa, per la nascita in Russia di un partito proletario. Il primo passo nella creazione di tale partito fu L’Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia
di Pietroburgo, fondata da V. I. Lenin nell’autunno 1895. Sotto la guida di V. I. Lenin L’unione di lotta
, per la prima volta in Russia cominciò a passare dalla propaganda delle idee marxiste nei ristretti circoli degli operai d’avanguardia a una vasta opera di agitazione tra le masse del proletariato, collegando la lotta economica degli operai con la lotta politica contro l’autocrazia. Delle organizzazioni operaie, sotto l’influsso dell’ Unione di lotta
di Pietroburgo, stavano sorgendo anche in altre città e regioni della Russia. Il sempre crescente sviluppo delle organizzazioni socialdemocratiche, che si registrava dappertutto, richiedeva l’elaborazione di un programma e di una tattica comuni della lotta rivoluzionaria dei marxisti in Russia. Si pose il compito di unire le organizzazioni socialdemocratiche in un partito, sorse la necessità di convocare un congresso. L’arresto e la deportazione impedirono a Lenin di prender parte alla preparazione pratica del congresso del partito. Ma pur trovandosi in prigione, Lenin portò avanti il lavoro per la creazione di un partito. Egli scrisse il Progetto di programma
del futuro partito, e le Spiegazioni al programma
. Più tardi, durante la deportazione in Siberia, nell’opera I compiti dei socialdemocratici russi
Lenin generalizzò l’esperienza dell’ Unione di lotta
di Pietroburgo quale germe del partito marxista e argomentò il programma politico e la tattica dei socialdemocratici russi.
Il I Congresso del POSDR si tenne nel marzo 1898. Il Congresso decise la fusione delle organizzazioni socialdemocratiche locali in un unico partito, il Partito operaio socialdemocratico di Russia. Il principale merito storico del I Congresso del POSDR risiede nell’aver proclamato la creazione di un partito proletario in Russia, anche se non unì queste organizzazioni né sul piano organizzativo, né su quello ideologico. Dunque, il tentativo del I Congresso di unire le organizzazioni socialdemocratiche, non fu coronato da successo. Alle difficoltà dovute all’arresto dei socialdemocratici rivoluzionari, si aggiunse lo sbandamento ideologico, di cui cercarono subito di approfittare gli elementi borghesi opportunistici. Lottando con fermezza contro l’opportunismo, V. I. Lenin stava lavorando alacremente alla elaborazione del piano per la formazione del partito. Già nel periodo della deportazione in Siberia, egli giunse alla conclusione che per creare un partito marxista in Russia era necessario partire dall’istituzione di un "organo di stampa del partito che abbia stretti legami con tutti i gruppi locali"³. Un tale organo divenne il giornale Iskra
, il cui organizzatore e direttore fu V. I. Lenin. Il primo numero dell’ Iskra
leninista vide la luce a Lipsia, l’11 dicembre 1900. Sull’ Iskra
furono pubblicati circa 60 scritti di Lenin, che ebbero un immenso ruolo nella elaborazione delle basi del partito.
Prima di tutto, il programma di direzione del giornale, elaborato da Lenin prevedeva una netta dissociazione sia dai revisionisti russi, che da quelli europeo - occidentali. V. I. Lenin scrisse: Prima di unirci e per unirci dobbiamo anzitutto delimitarci risolutamente e con precisione. Altrimenti la nostra unione sarebbe soltanto una finzione, che maschererebbe la confusione esistente di fatto ed ostacolerebbe la sua radicale eliminazione
⁴.
Il giornale Iskra
preparò la creazione del partito sul piano ideologico e quello organizzativo. Esso sapeva conciliare la propaganda e l’elaborazione della teoria. Mentre nell’attività pratica dei partiti socialdemocratici europeo – occidentali si delineò uno scostamento dai principi rivoluzionari del marxismo, il giornale Iskra
simboleggiava l’unità del pensiero e dell’azione rivoluzionari. L’organo combattivo dei marxisti russi fu una eccellente scuola per lo sviluppo della coscienza di classe degli operai, per la loro educazione rivoluzionaria. Lenin paragonava il giornale alle impalcature, con l’ausilio delle quali viene eretto tutto l’edificio del partito proletario. Il giornale, – scriveva Lenin, – non è solo un propagandista e un agitatore collettivo, ma anche un organizzatore collettivo
⁵.
Il giornale Iskra
creò una forte ossatura organizzativa del futuro partito proletario, educò un’intera pleiade di rivoluzionari - iskristi di professione. Valutando il ruolo dell’ Iskra
, V. I. Lenin scrisse più tardi: In tre anni di lavoro (1901 - 1903) l’
Iskra mise a punto il programma del partito socialdemocratico, i principi della sua tattica e le forme di collegamento dell’azione economica e politica degli operai sulla base del marxismo conseguente
⁶.
In tal modo, questo fu il periodo in cui, secondo Lenin, si gettavano le fondamenta di un partito di massa del proletariato rivoluzionario
⁷.
Alla fine del 1902 dall’organizzazione dell’ Iskra
fu formato il Comitato costitutivo per la convocazione del II Congresso del POSDR. Il Congresso si tenne nel luglio - agosto 1903 a Bruxelles indi a Londra. Il suo compito fondamentale consisteva nel creare "un vero partito fondato sui