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Sunshine: I colori della musica
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Sunshine: I colori della musica
E-book145 pagine2 ore

Sunshine: I colori della musica

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Info su questo ebook

La musica negli anni ’60 e ’70 è stata la colonna sonora di intere generazioni, svolgendo quasi “una funzione sociale”.
Questo è un libro di interviste, dove la parola è data ai protagonisti musicali di quegli anni, tra cui Bobby Posner dei Rokes, Zoot Money, Vince Martell, Al Kooper e tanti altri. 
La ricostruzione storica del periodo in Italia è sintetizzata mediante un’intervista a Mario Capanna. 
Prefazione di Bila Copellini batterista de I Nomadi dal 1965 al 1969.
LinguaItaliano
Data di uscita16 mar 2020
ISBN9788835386803
Sunshine: I colori della musica

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    Anteprima del libro

    Sunshine - Diego Protani

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    DIEGO PROTANI

    Sunshine

    I COLORI DELLA MUSICA

    Sunshine I colori della musica

    Un libro di Diego Protani

    Isbn 978-88-3343-225-0

    Prima Edizione Marzo 2020

    Traduzioni ad opera di Milena Giordano, Tiziano Papagni e Fath Marin.

    LFA Publisher

    Lello Lucignano Editore

    Via A. Diaz, 17 -80023-

    Caivano -Napoli, Italy

    Partita Iva 06298711216

    www.lfaeditorenapoli.it --- info@lfaeditorenapoli.it

    Distribuzione esclusivo cartacea Libro Co. Italia -Fi-

    PREFAZIONE

    Come potete giudicar per i capelli che portiam? Si, possiamo racchiuderlo con questa frase della nostra prima canzone di successo quello che era il periodo allora. Anni colorati, pieni di sogni e di speranze. Speranze di un mondo migliore e di una modernità che guardavamo dall’altra parte dell’oceano. Erano gli anni della contestazione dove noi contestavamo ma era facile che capitasse che venissimo contestati, come ad esempio al Cantagiro.

    Non si diventava in genere musicisti tramite il conservatorio, ci si diventava sul campo. Non era raro fare anche due serate la stessa sera. Piazze, balere, piccoli locali. In ogni dove c’era la possibilità si era pronti a partire.

    E non c’era giorno in cui la curiosità di nuove sonorità non ci travolgesse: non solo i Beatles o i Rolling stones ma anche Kinks, Troggs, Moody Blues, The Animals... il tutto poi veniva assorbito e spesso nascevano le famose cover.

    E poi l’incontro con Francesco Guccini, il maestrone che aveva già capito tutto il novecento già negli anni 60 (con gli odi di partito Dio è morto è una frase profetica).

    Si era giovani, erano gli anni del boom economico e dell’Inter di Sandro Mazzola e Helenio Herrera. Del cinema di Fellini o Antonioni, della Roma di Pasolini e Alberto Moravia. Un’Italia che purtroppo ora non c’è più e troppo spesso dimenticata.

    Ma sono convinto che quei tempi splendenti torneranno e ad un giovane di oggi posso soltanto consigliare i fiori che hai dentro non farli morire, ma lascia che s’aprano ai raggi del sole.

    Bila Copellini

    Batterista de I Nomadi 1965/69

    INTRODUZIONE

    Questo non è un saggio e non ha la pretesa di esserlo. Questo è un libro di interviste ai protagonisti di un’epoca che forse non tornerà mai più.

    Si è scritto molto su questo periodo, sugli anni sessanta e settanta. E difficilmente è possibile aggiungere delle novità. Ci sono bibliografie sterminate da esaminare, impossibile anche umanamente.

    Allora come ho creduto che sia giusto ho voluto dare parola a chi quell’epoca l’ha vissuta e ne è stato protagonista.

    Ho iniziato con Mario Capanna per spiegare socialmente il periodo in Italia e dopo ho dato spazio a chi nel campo musicale è stato in prima linea.

    Perché questo è un libro musicale, ma la musica è sempre stato lo specchio della società.

    FORMIDABILI QUEGLI ANNI…

    INTERVISTA A MARIO CAPANNA

    1) Come nacque il ‘68 in Italia e che ricordo hai di quell’epoca?

    R: Il ricordo è profondamente positivo, non a caso a mezzo secolo di distanza siamo qui a parlarne. Se si trattasse di una cosa ininfluente non perderemmo tempo a riguardo. Il 68 nasce in Italia addirittura precedendolo perché la prima occupazione dell’Università della Cattolica è del novembre 1967, un fatto clamoroso. Nessuno si aspettava che si iniziasse con l’occupazione di una università tradizionalista come la Cattolica. Inoltre il 68 italiano continua per molti aspetti l’anno dopo con le lotte dell’autunno caldo del 1969. Possiamo parlare di un 68 prevalentemente e non esclusivamente studentesco e di un 1969 prevalentemente ma non esclusivamente operaio e sindacale.

    2) Come mai da un movimento pacifico come quello studentesco nel decennio dopo scatta il momento buio della violenza?

    R: Ecco è questa equivalenza che io contesto. Nel senso che non bisogna affidarsi alle mie parole ma si scopre che la prima vera forma di terrorismo che insanguina l’Italia è quella dello stato con la strage di Piazza Fontana il 12 dicembre 1969 a Milano. Che non a caso è passata alla coscienza del nostro popolo proprio con la definizione precisa di Strage di Stato. Per cui non esiste l’equazione 68 uguale violenza o terrorismo, anzi come disse bene Umberto Eco il terrorismo è la negazione non riuscita del ’68. Nel senso che il 68 sono grandi lotte di massa tutte alla luce del sole, dove ci si mostrava a viso aperto e se ne pagavano le conseguenze inclusi processi, arresti e addirittura con qualche giovane che ci ha rimesso la vita, questo non va dimenticato. Al contrario, il terrorismo, è l’agguato dietro l’angolo o l’eliminazione fisica dell’avversario. Tutto il contrario diciamo. Spesso si dimentica che il nostro paese è stato flagellato da ben tre forme di terrorismo: quella di stato e che si palesa con la strage di piazza Fontana che poi va avanti con quella di Brescia, l’Italicus e la strage di Bologna. Seconda forma di terrorismo quello rosso, il terrorismo delle BR o Prima Linea. Terzo quello che si tende a dimenticare che è quello fascista come Ordine Nuovo, i Nar…tutto questo trae origine da Piazza fontana; nel senso che mai, dico mai, prima di piazza Fontana nei movimenti nessuno si era messo in testa di dire Bisogna eliminare fisicamente l’avversario. Solo dopo che si deve far sfatare che lo stato è stragista che alcune minoranze fanno il ragionamento asimmetrico Se lo stato uccide d’ora in poi cominceremo a farlo anche noi e da qui è nato il terrorismo. Ma tutto questo non deriva dal 68 ma come frutto maledetto della strage di Piazza Fontana.

    3) Lei è stato uno dei leader della lotta studentesca e del movimento rivoluzionario dell’epoca. Che idea si è fatto del gesto di Jan Palach ?

    R: Be’ fu una cosa che colpì molto perché in qualche modo ci costrinse ad un esame di coscienza. Noi come noto fummo profondamente contrari all’invasione dei carri armati sovietici che nella maledetta notte del 20 agosto del 68 irrompono in Cecoslovacchia e pongono fine nel sangue della primavera di Praga. Ma noi presi come eravamo per la lotta alla guerra in Vietnam e per il diritto allo studio forse non demmo la sufficiente importanza a quell’iniziativa che fu terribilmente repressiva dei carri armati sovietici. Per cui quando Jan Palach si da fuoco, riassumendo con questo gesto di sacrificio estremo la sua profonda ansia per la lotta della libertà, fummo molto colpiti a tal punto che qualche anno fa in occasione dell’anniversario del suo sacrificio non a caso una delegazione del movimento studentesco di cui io stesso feci parte si regò a Praga nel luogo dove il giovane si sacrificò. Per rendergli omaggio postumo e per riconoscere il grandissimo gesto di generosità rivoluzionaria sino al limite del suo sacrificio estremo aveva significato.

    4) Perché nasce Democrazia Proletaria, quali sono state le vostre vittorie e cosa ha lasciato a questa Repubblica?

    R: Innanzitutto è di grande significato il momento in cui nasce Democrazia Proletaria e poi il perché nasce. Il momento in cui nasce è esattamente durante il sequestro di Aldo Moro quindi nel ‘78. Nasce con la vocazione apertamente di essere un argine contro il terrorismo di sinistra e dunque di voler mantenere nel terreno della democrazia la lotta di decine e decine di migliaia di giovani, di lavoratori, impiegati e intellettuali. Non si dimentichi che quando Democrazia Proletaria veniva definito il piccolo partito dalla grandi ragioni e non si dimentichi che spiriti eccellenti da Dario Fo a Paolo Villaggio e molti altri intellettuali ci diedero il loro sostegno aperto palese e convinto. Addirittura Paolo Villaggio chiese di esser candidato nel 1987 a Roma e non fu eletto per un pelo. E poi nasce come alternativa di sinistra nei confronti del pci di cui criticavamo il perdurante filosovietismo e criticavamo la strategia del compromesso storico che a quell’epoca si rivelava perdente. Da questo punto di vista l’esperienza di Democrazia Proletaria non ha avuto equali, per esempio pochi considerano che noi eravamo il secondo partito cattolico dopo la DC. Votavano per noi la quasi totalità dei preti operai ai nostri comizi venivano delle suore. Avevamo riscontri positivi nelle parrocchie in sintonia della rivoluzione del consiglio ecumenico del Vaticano Secondo. Da questo punto di vista si è configurata e venne ricordata con piacere come un esperienza multiforme di reale innovatività. Anche nel campo della sinistra soprattutto nel suo modo di pensare e di rapportarsi alle contraddizioni dell’epoca ma soprattutto di incidervi praticando una democrazia reale al nostro interno.

    IL PANORAMA ITALIANO

    INTERVISTA A BEPPE CARDILE

    1) I tuoi inizi furono con i samurai, uno dei primi gruppi italiani. Che ricordi hai?

    R: Ho i ricordi più belli degli anni dai ’50 ai ’60. Eravamo giovanissimi ed entusiasti, e suonavamo di tutto, dal jazz di Gillespie e Parker a Harry Belafonte, perché la musica bella non ha confini. Provavamo ore ed ore senza mai stancarci, e quando avevamo finito ripassavamo tutto da capo. Siamo ancora in contatto: ogni tanto vado a Livorno e suoniamo ancora insieme, con l’entusiasmo che non ci ha mai lasciato. Quattro amici veri, come lo eravamo allora. E per fortuna, tutti ancora vivi e vegeti.

    2) Il successo arrivò con Un disco per l’estate. Che atmosfera c’era?

    R: Un’atmosfera di novità, il Disco per l’Estate era una manifestazione nuova e molto interessante: nuovissimi talenti sbocciarono, e molti di loro sono ancora attivi e acclamati. Uno per tutti, De Gregori.

    3) Poi sei stato al festival di Sanremo. Come fu l’accoglienza? Con chi hai legato di più?

    R: L’accoglienza fu calorosa: Adamo mi telefonò dal Belgio per farmi gli auguri, ed eravamo tutti molto emozionati per l’importanza dell’avvenimento, che quell’anno (1965) era presentato da Mike Bongiorno. Legai subito con Bruno Lauzi, mio grande amico, e poi con Bongusto, con John Foster, con Wilma Goich e Iva Zanicchi.  Con quest’ultima, Tony Renis e il grande Walter Chiari effettuai una tournée teatrale nel 1973, come orchestra base e con qualche particella recitata. Fu un anno meraviglioso, scoprii la grandezza di Walter e i più bei teatri italiani, dal Massimo di Palermo al Petruzzelli di Bari.

    Indimenticabile.

    4) Successivamente hai avuto l’onore di lanciare molti comici, a chi sei più affezionato?

    R: Sono affezionato a molti, da Giobbe Covatta a Aldo, Giovanni e Giacomo. Ogni tanto li incontro e rievochiamo quei tempi. Poi sono legato a Gianluca Guidi, che debuttò nel mio Burlesque dopo una telefonata di sua madre alla quale non seppi dire di no: era Lauretta Masiero.

    Il papà, Johnny Dorelli, veniva ad ascoltare il figlio cantante con gli occhiali da sole per non farsi riconoscere… Naturalmente lo riconobbero tutti. 

    5) Che differenza c’è tra il Beppe scrittore di romanzi e il Beppe cantante?

    R: Non molta: mi piace inventare, sia con la musica che con le parole. Le situazioni che descrivo nei libri sono naturalmente più ampie di quelle limitate ai testi delle canzoni, eppure l’atmosfera a volte è identica. Scrivere gialli e parlare del soprannaturale mi è facile, e il successo delle vendite mi restituisce in parte quel pezzetto di successo musicale che mi è mancato. Ma non si può avere tutto. E ti assicuro che scrivere è meraviglioso: si inventano situazioni nuove, cose che prima non esistevano. È bello acchiappare le parole che volano nell’aria, e metterle in ordine su un foglio. Così scrivo, scrivo continuamente e molti apprezzano i miei sforzi letterari: non è poco, sai? 

    INTERVISTA AD ANTOINE

    1) Antoine ci puoi raccontare come è iniziata la tua attività artistica?

    R: Fan di Folk song, ho cominciato a cantare nelle strade mentre viaggiavo attraverso l’Europa; Durante il mio ultimo anno di studi in una scuola d’ingegneria, sono andato a vedere una casa discografica, chi mi ha fatto incidere rapidamente un album. La mia canzone «Les Elucubrations (le divagazioni) d’Antoine» e stata subito un enorme successo et mi ha cambiato la vita.

    2) Lei ha spopolato anche nei vari festival sanremesi ad esempio con Pietre e La tramontana. Sono canzoni tuttora gettonate, anche nei karaoke. Perché sono diventate evergreen?

    R: Dopo un anno di successo in Francia, un direttore artistico milanese mi ha proposto, primo di incidere le mie canzoni in Italiano (con traduzioni

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