Lo status giuridico degli immigrati, rifugiati e richiedenti asilo dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona
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Lo status giuridico degli immigrati, rifugiati e richiedenti asilo dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona - Silvia Loschiavo
Silvia Loschiavo
Lo status giuridico degli immigrati, rifugiati e richiedenti asilo dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona
Abel books
Proprietà letteraria riservata
© 2011 Abel Books
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:
Abel Books
via Terme di Traiano, 25
00053 Civitavecchia (Roma)
ISBN 978-88-97513-070
Indice
CAPITOLO I
SEZIONE I - Il nuovo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia
SEZIONE II - Le politiche relative all'immigrazione
SEZIONE III - La nuova Europa dell'asilo
SEZIONE IV - La Carta europea dei diritti fondamentali
CAPITOLO III
CAPITOLO IV
RIFLESSIONI CONCLUSIVE
CAPITOLO I
EXCURSUS SULLE POLITICHE D’IMMIGRAZIONE E ASILO NELL’UNIONE EUROPEA
1. La politica migratoria europea che ha avuto inizio a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale è stata caratterizzata dalla presenza di fasi ben distinte contrassegnate da tre approcci determinati da differenti contingenze storico-sociali.
Dal dopoguerra fino agli anni '70 si è assistito ad una generalizzata politica di promozione dell'immigrazione economica, necessaria per sopperire alla crescente domanda di manodopera generata dal benessere economico in un periodo di piena occupazione.
L'anno 1973 segna l'inizio di un periodo di recessione dovuto, com'è noto, alla crisi petrolifera: la Francia e la Germania, seguite a ruota dagli altri Paesi europei di immigrazione, decretarono un blocco completo all'ingresso di lavoratori stranieri assieme alla promozione di programmi volti al rimpatrio volontario.
La terza fase, individuabile a cavallo fra i decenni '80 e '90, è caratterizzata da un ulteriore inasprimento delle politiche restrittive dovuto ad una generalizzata preoccupazione circa l'immigrazione illegale e l'aumento del flusso dei richiedenti asilo.
La chiusura delle frontiere in quegli anni, avvenuta in concomitanza con la creazione di uno spazio comune europeo, mirante ad un'integrazione a livello economico ed istituzionale, ha mostrato i limiti e l'inefficacia di una politica dell'immigrazione portata avanti a livello nazionale da ciascuno Stato membro, facendo invocare da più parti un'azione di policy making a livello comunitario.
L'evidente necessità di una politica migratoria comunitaria non ha tuttavia portato a risultati lineari, anzi, ha visto gli Stati membri delle Comunità europee restii a rinunciare alle prerogative nazionali in materia: cosicché questi hanno preferito intraprendere azioni nell'ambito della concertazione intergovernativa, scartando l'idea di una gestione interamente comunitaria delle politiche dell'immigrazione.
Il primo esempio di forme di intervento basate sull'orientamento intergovernativo è il gruppo TREVI, fondato nel 1975, i cui scopi erano, inizialmente, la lotta al terrorismo ed il coordinamento fra le forze di polizia in quest'ambito. Il panorama politico di questi anni ha visto la nascita di numerosi gruppi e vertici, registrando una inevitabile confusione dovuta alla sovrapposizione di ruoli nell'azione in campo di sicurezza e immigrazione.
È da registrare come i primi timidi tentativi da parte della Commissione europea di iniziare un processo di policy making comunitario in materia di immigrazione, tra cui la nota Decisione 85/381, siano stati tenuti a freno dagli Stati membri, i quali hanno messo in discussione dinanzi alla Corte di Giustizia le basi giuridiche della competenza dell'organo comunitario.
Nonostante l'organo giurisdizionale della Comunità europea abbia dato ragione ai ricorrenti, la decisione presenta caratteri di indubbio interesse nel senso del riconoscimento del nesso tra la politica migratoria e il mercato del lavoro comunitario. È su questa base che la Corte conclude nel senso dell'esistenza di una competenza potenziale della Comunità nell'ambito della politica d'immigrazione.
Con l'Atto Unico Europeo del 1985 e il passaggio al mercato unico conforme alle disposizioni del Trattato di Roma attraverso la libera circolazione delle merci, persone, servizi e capitali, si è rafforzata ancor più la necessità di abolire i controlli alle frontiere interne, rinforzando quelli alle frontiere esterne, tra la Comunità e gli Stati terzi.
Il Trattato riconosce una limitata competenza alla Comunità europea nell'ambito del trattamento dei cittadini di Paesi terzi in funzione della realizzazione del mercato interno.
L'art. 100 del Trattato CEE, tuttavia, statuisce che le direttive volte al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in ambiti suscettibili di incidere sull'instaurazione e funzionamento del mercato comune siano sottoposte alla regola dell'unanimità, ciò a dimostrazione dell'intenzione degli Stati membri a mantenere il pieno controllo in materia.
2. Secondo quanto detto finora l'obiettivo dell'abbattimento delle frontiere interne all'Unione e la conseguente libera circolazione delle persone all'interno di essa è stato perseguito per mezzo della concertazione intergovernativa.
In questi anni, accanto al dualismo di prospettive rappresentato dall'approccio intergovernativo e dal metodo comunitario, la cui linea di demarcazione si faceva più o meno netta in questa o quella dichiarazione, è da rilevare un ulteriore orientamento in materia di politica europea dell'immigrazione, quello definito come "movimento a diversa velocità".
È sulla base di quest'ultima tendenza che si possono inserire gli accordi di Schengen del 14 giugno 1985, definiti da Giorgio Napolitano un esempio ante litteram di cooperazione rafforzata tra alcuni membri soltanto dell'Unione dei Quindici
.
Nonostante la libera circolazione delle persone figurasse quale obiettivo fondamentale dell'Unione, essa veniva realizzata solo da alcuni Stati membri, (Germania, Francia e Paesi del Benelux), i quali hanno preferito, peraltro, l'utilizzo di uno strumento di diritto internazionale rispetto ad uno di diritto comunitario.
Gli accordi in oggetto avevano quale scopo l'eliminazione graduale delle frontiere comuni e la realizzazione della libera circolazione all'interno degli Stati parti; essi disciplinavano la politica dei visti, le condizioni di ingresso, di residenza e circolazione degli stranieri nel territorio comune agli Stati parti e la materia dell'asilo.
Proseguendo nell'analisi, sembra opportuno evidenziare le disposizioni concernenti il rapporto tra gli Accordi di Schengen e le norme di diritto comunitario per poi passare ad una rapida analisi dei lati oscuri
di tali strumenti evidenziati in dottrina e giurisprudenza.
Nella Convenzione per l'applicazione dell'accordo di Schengen del 19 giugno 1990, all'art. 134 si legge che "le disposizioni della presente Convenzione sono applicabili nella misura in cui sono compatibili con il diritto comunitario": sembrerebbe in questo modo affermata la prevalenza di quest'ultimo sulla stessa Convenzione. La dottrina, tuttavia, ha rilevato numerose incompatibilità tra le disposizioni degli Accordi e i diritti fondamentali riscontrati nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU).
Negli Accordi di Schengen, inoltre, accanto ai controlli sull'immigrazione e la criminalità, sono previsti controlli rafforzati alle frontiere nei confronti di cittadini di altri Stati comunitari, essendo tali disposizioni in evidente contrasto col diritto comunitario.
Per ciò che concerne le modalità di negoziazione di entrambi gli strumenti (l'accordo di Schengen e la Convenzione di applicazione ad esso relativa), rileva il fatto che i vertici dei Paesi firmatari si siano svolti in segreto.
Allo stesso modo, nessuna giurisdizione internazionale è stata indicata come legittimata all'interpretazione delle disposizioni dei Trattati di Schengen o delle decisioni del suddetto Comitato.
Per quanto riguarda la tematica dell'asilo, la Convenzione applicativa del '90 ha previsto il riconoscimento reciproco dei visti, nell'attesa della creazione di un visto comune per l'ingresso di cittadini di Paesi terzi.
Un richiedente asilo che goda dello status di rifugiato nel territorio uno Stato membro, può dunque, secondo gli accordi di Schengen, muoversi liberamente all'interno dei confini dell'Unione, fondandosi le relazioni tra gli Stati su un principio di mutua fiducia.
Un'importante lacuna rinvenibile in tali accordi riguarda l'assenza di una definizione di rifugiato, alla quale si sopperisce richiamando quella contenuta nella Convenzione di Ginevra. In vista dell'auspicata armonizzazione legislativa, alla quale si richiamano le clausole interpretative all'inizio di ciascuno degli accordi, è stata più volte invocata una nuova formulazione del concetto di rifugiato, che tenga conto delle circostanze storiche createsi dopo il crollo del Muro di Berlino.
3. Il Trattato sull'Unione Europea (d'ora in poi T.U.E.) concluso a Maastricht il 7 febbraio 1992 non ha apportato grandi modifiche a livello di politica migratoria comunitaria, essendo stato inserito nel quadro istituzionale previsto nel Titolo VI il già ravvisato orientamento intergovernativo di alcuni Stati membri.
Tuttavia è stato individuato come il Titolo VI T.U.E. abbia aperto la strada verso una piattaforma comunitaria nelle decisioni in materia di asilo e immigrazione contenendo, altresì, disposizioni sulla cooperazione in campo di giustizia e affari interni, ambiti solitamente associati al terzo pilastro
, quello della cooperazione intergovernativa.
Con l'art. 100 C T.U.E. sono stati registrati dei passi avanti in direzione del riconoscimento di una competenza comunitaria in materia di immigrazione: in esso parte della politica dei visti è stata fatta rientrare nel primo pilastro, essendo il Consiglio autorizzato a determinare i Paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l'attraversamento delle frontiere esterne.
Tuttavia, accanto all'orientamento che tale politica dei visti sembrerebbe perseguire, genera confusione l'inserimento della politica d’immigrazione tra le questioni d’interesse comune
, oggetto di cooperazione intergovernativa e rientrante quindi nel terzo pilastro.
Si rinviene un parziale ampliamento delle competenze degli organi comunitari in materia: alla Commissione è assicurato il diritto d’iniziativa legislativa, anche se non esclusivo, mentre si prevede la consultazione del Parlamento europeo sugli aspetti principali delle attività della Presidenza. La competenza della Corte è stata esclusa per l'interpretazione delle decisioni prese nell'ambito del terzo pilastro, mentre l'organo è stato riconosciuto competente riguardo ai trattati redatti ex art. K3, ove «le convenzioni possono prevedere che la Corte di Giustizia sia competente per interpretarne le disposizioni e per comporre le controversie connesse per la loro applicazione».
A oggi è opinione comune considerare che il T.U.E. del 1992 abbia preparato la strada a una gestione comunitaria negli ambiti d’immigrazione e asilo: ciò non significa, tuttavia, che questo obiettivo sia stato, al tempo, raggiunto. Se ci si addentra in una verifica degli atti compiuti dal Consiglio nell'ambito d’immigrazione e asilo, prendendo in considerazione i cinque anni successivi al 1992, si evidenzia come questi rientrino principalmente tra risoluzioni, conclusioni e raccomandazioni, in altre parole atti di natura non vincolante.
Una decisiva svolta nel senso di trasferire al primo pilastro le materie ricomprese nell'art. K1 era prevista da una norma-passerella (art. K9), subordinata ad una decisione adottata all'unanimità dal Consiglio su iniziativa della Commissione o di uno Stato membro, la quale però non fu mai applicata.
4. La consacrazione del trasferimento all'Unione Europea della competenza in materia di immigrazione risale, com'è noto, all'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam il 1° maggio 1999 e all'adozione delle conclusioni del Consiglio Europeo di Tampere, avvenuta nell'ottobre dello stesso anno. Il Trattato di Amsterdam ha modificato il Trattato sull'Unione Europea (T.U.E.) e i Trattati istitutivi delle Comunità europee. Con esso, tramite la cosiddetta passerella comunitaria
si è dato il via alla comunitarizzazione di una serie di azioni nel campo della giustizia e affari interni prima rientranti nel terzo pilastro, cioè nella cooperazione intergovernativa: tra queste, le disposizioni in materia di immigrazione regolare e illegale.
Il Titolo IV del T.C.E. ha esteso la competenza comunitaria alle politiche dei visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone, tra cui la cooperazione giudiziaria in materia civile. Tale contenuto si inserisce naturalmente nel disposto dell'art. 61 T.C.E., che riporta tra gli obiettivi dell'Unione quello di istituire uno "spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia", (cfr. art. 2 T.U.E.) e dispone, altresì, l'adozione di misure sulla protezione dei diritti dei cittadini di Stati terzi. La legittimazione ad agire nel campo dell'immigrazione è data all'Unione dall'art. 63 contenuto nel Titolo IV del T.C.E., ove si legge che il Consiglio, entro un periodo di cinque anni a partite dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, previa consultazione del Parlamento europeo, delibera all'unanimità nei casi seguenti:
Adozione di misure in materia di asilo, richiamandosi alle Convenzioni relative allo status di rifugiati, nei seguenti settori:
Determinazione dello Stato membro competente ad esaminare la domanda di asilo presentata da un cittadino di un paese terzo all'interno dell'Unione;
Norme minime in materia di accoglienza dei richiedenti asilo nell'Unione;
Norme minime sulle procedure applicabili a livello nazionale negli Stati membri per l'attribuzione e la revoca dello status di rifugiato per cittadini di Paesi terzi;
Adozione di misure nei confronti di rifugiati e sfollati, sia nel settore della protezione temporanea nei confronti degli sfollati, nonché persone che necessitano di protezione internazionale, qualora impossibilitati a rientrare nel paese d'origine, sia per la promozione di un equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono i rifugiati e gli