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Un sogno chiamato Europa: Storia, economia, politica e istituzioni dell’Unione europea
Un sogno chiamato Europa: Storia, economia, politica e istituzioni dell’Unione europea
Un sogno chiamato Europa: Storia, economia, politica e istituzioni dell’Unione europea
E-book274 pagine3 ore

Un sogno chiamato Europa: Storia, economia, politica e istituzioni dell’Unione europea

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L’Unione europea è un progetto politico ed economico unico nel suo genere, nato al termine di due devastanti conflitti con l’obiettivo di costruire una comunità di popoli uniti e solidali, superando antiche divisioni linguistiche, storiche e culturali; un mosaico di identità diverse ma disposte a cooperare pacificamente. Le pressioni migratorie, il terrorismo internazionale, le crisi economiche sociali e sanitarie, l’affermazione di istanze euroscettiche, le sfide ambientali e politiche di un mondo globalizzato non devono indurre alla sfiducia, ma ricordarci che un’Europa unita, un tempo sogno di pochi, è oggi una necessità per l’intero pianeta.
Queste pagine, incentrate sulla sua storia e sulle sue istituzioni, ci spiegano il perché.
LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2022
ISBN9788849140040
Un sogno chiamato Europa: Storia, economia, politica e istituzioni dell’Unione europea

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    Un sogno chiamato Europa - Mauro Maggiorani

    L’Unione europea è un progetto politico ed economico unico nel suo genere, nato al termine di due devastanti conflitti con l’obiettivo di costruire una comunità di popoli uniti e solidali, superando antiche divisioni linguistiche, storiche e culturali; un mosaico di identità diverse ma disposte a cooperare pacificamente. Le pressioni migratorie, il terrorismo internazionale, le crisi economiche sociali e sanitarie, l’affermazione di istanze euroscettiche, le sfide ambientali e politiche di un mondo globalizzato non devono indurre alla sfiducia, ma ricordarci che un’Europa unita, un tempo sogno di pochi, è oggi una necessità per l’intero pianeta.

    Queste pagine, incentrate sulla sua storia e sulle sue istituzioni, ci spiegano il perché.

    Mauro Maggiorani. Storico e scrittore, insegna Integrazione politica ed economica dell’Unione europea all’università di Bologna. Ha pubblicato studi su tematiche europee, in particolare sulla politica estera della sinistra comunista italiana.

    Saggi

    Copyright © 2021, Biblioteca Clueb

    ISBN 978-88-491-4004-0

    Fotografia di copertina di Marcel Strauß, Unsplash

    Biblioteca Clueb

    via Marsala, 31 – 40126 Bologna

    info@bibliotecaclueb.it – www.bibliotecaclueb.it

    Mauro Maggiorani

    Un sogno chiamato Europa

    Storia, economia, politica e istituzioni dell’Unione europea

    Introduzione di

    Romano Prodi

    Biblioteca-CLUEB_logoSN8_CMYK.png

    Introduzione


    C’era davvero bisogno di un libro come questo, capace di legare insieme, in un unico contesto storico, politico ed economico, meticolosamente ricostruito, la storia dell’Europa e l’evoluzione delle sue istituzioni.

    Sono quindi grato al prof. Mauro Maggiorani per aver voluto che accompagnassi questa sua pubblicazione con una mia introduzione. Un testo dal titolo evocativo, Un sogno chiamato Europa, che ben si coniuga con gli obiettivi dichiarati dall’autore stesso: rivolgersi ai giovani il cui futuro, come quasi ossessivamente ripeto ad ogni occasione, sarà sempre più intensamente connesso con l’Europa e con il mondo.

    Mi spingo anzi a dire che non vi sarà un futuro possibile se non quello che consentirà ai nostri giovani, attraverso l’azione politica, economica e sociale dell’Europa, di potersi realmente confrontare con il resto del mondo. Poiché nessuna nazione, da sola, potrà reggere nella competizione con le grandi potenze, né affrontare le sfide di un mondo che si fa ogni giorno più grande, più globale e più complesso.

    Questo testo ricostruisce in modo capillare il susseguirsi degli scenari geopolitici ed economici di tutta l’area europea e della vicina area di influenza sovietica, così come il preminente ruolo americano nel nostro primo e secondo dopoguerra, con il pregio, niente affatto scontato, di rappresentare i passaggi fondamentali che hanno condotto alle grandi conquiste della nostra storia recente. Queste pagine ristabiliscono insomma quella necessaria connessione tra il passato e il contemporaneo che aiuta la comprensione profonda degli avvenimenti, favorendo una conoscenza non solo aneddotica dei fatti e delle circostanze. Una conoscenza quindi indispensabile anche per l’interpretazione del presente.

    L’Europa unita nasce dalla tragedia dei due conflitti mondiali. Sebbene, come questo testo spiega in modo dettagliato, un’idea di unione federale e confederale delle nazioni europee non fosse nuova, è con il Patto del carbone e dell’acciaio, del 9 maggio del 1950, su iniziativa di Shuman, che si individua, per la prima volta, la scelta solidaristica che ha posto le basi della nostra Unione.

    Carbone e acciaio, i due preziosi materiali contesi da Francia e Germania perché insostituibili alleati nei conflitti armati che per secoli hanno insanguinato l’Europa, furono messi in comune. Un patto siglato nel 1951 a Parigi anche da Belgio, Italia, Lussemburgo e Paesi bassi, oltre che da Francia e Germania, con cui si diede vita alla Ceca che rappresenta quel primo passo fondamentale verso l’integrazione graduale dell’Europa: cessione di sovranità progressiva per il conseguimento di obiettivi comuni. Schuman, Adenauer e De Gasperi, come opportunamente ricorda l’autore, non condividevano solo la lingua tedesca, ma provenivano dalla stessa famiglia politica, quella dei cristiano democratici, e avevano vissuto la tragedia della guerra. È infatti con il Patto dell’acciaio e del carbone, a cui tutti e tre contribuirono e che stabiliva la rinuncia ad una parte di sovranità degli Stati per affidare la gestione di queste risorse in modo pacifico e condiviso, che si introduce in modo definitivo la parola Pace tra le nazioni d’Europa. Pace dopo il più grave conflitto che mai l’umanità avesse conosciuto, dopo lo sterminio di 6 milioni di ebrei, pace dopo 40 milioni di morti tra civili e militari, dopo le barbarie del nazismo e del fascismo, dopo la distruzione delle nostre capitali. E paradossalmente è proprio la parola pace a non suscitare più, presso i giovani, quella partecipazione e attenzione che invece continua a meritare: se solo ci guardassimo attorno comprenderemmo a fondo la condizione di straordinario privilegio, anche rispetto a popoli così vicini a noi, che questi settantacinque anni senza conflitti rappresentano per tutti i cittadini d’Europa.

    Un graduale e progressivo cammino ha condotto le nazioni europee, nella metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, a concepire un accordo di natura economica, capace di apportare miglioramenti sia sul piano della produzione sia nella vita dei lavoratori, che ha consentito di avviare quel processo di unificazione fondato sulla condivisione, sulla solidarietà e sulla volontà di scongiurare, per sempre, la guerra entro i confini d’Europa.

    Una vera rivoluzione, introdotta però progressivamente: non un susseguirsi rapido di accadimenti, non un fatto globale immediato, ma una continua conquista portata avanti con gli strumenti propri della democrazia, del dialogo, del confronto, dell’analisi dei problemi e delle soluzioni condivise. Sta infatti qui la chiave di lettura più importante per la comprensione di tutta la storia europea, di ieri e di oggi. Ed è questa la ragione per cui il sogno europeo continua ad essere una conquista, una battaglia culturale e politica, una sfida che attende l’impegno e lo studio delle generazioni future, come fu per i padri fondatori.

    Laboratorio politico unico al mondo, l’Europa ha continuato a progredire, dai primi passi della Comunità del carbone e dell’acciaio al Mercato comune, dai progressivi allargamenti – unico vero esempio di esportazione pacifica della democrazia – fino alla costruzione dell’Euro. Ogni traguardo è stato sostenuto dall’entusiasmo convinto dell’opinione pubblica che ama l’Unione quando questa agisce per il bene comune. Nulla è stato imposto, ma tutto è stato proposto e fatto proprio dai governi e dai parlamenti dei paesi.

    Il 2005 è l’anno fatale per l’Europa: fatale perché Francia e Olanda bocciarono la Costituzione europea arrestandone il cammino. Da quel momento il potere è gradualmente passato dalla Commissione al Consiglio, passaggio che ha impresso un grande cambiamento in Europa: non è più la Commissione,  organo sovranazionale, il centro della politica e delle scelte europee, ma il Consiglio dove, tra i paesi che qui hanno la loro rappresentanza, la voce del più forte ha condizionato tutta la politica economica della UE proprio durante la grave crisi economico finanziaria che dal 2008, per 10 anni, ha messo a dura prova tutti i paesi europei. Una dura linea di politica economica che ha deluso le aspettative dei cittadini europei, allontanandoli progressivamente e consumandone pian piano la fiducia nei confronti dell’Unione.

    Esattamente come in modo esaustivo l’autore di questo testo spiega: la debolezza e l’affievolimento del progetto europeo sono inversamente proporzionali al successo nell’opinione pubblica dei partiti euroscettici, che trovano terreno fertile proprio nei momenti di crisi.

    Non c’è da stupirsi dell’esito del referendum inglese che ha portato alla Brexit poiché l’Inghilterra è, in fondo, sempre rimasta nel solco della sua tradizionale partecipazione con riserva all’Unione, tanto quanto bastava per tenersi svincolata da patti stringenti finalizzati a un progetto federale. Il suo sentimento di appartenenza alla Ue infatti, come giustamente si ricorda in questo libro, non è mai cambiato dal 1990 al 2015, mantenendola saldamente all’ultimo posto tra le nazioni europee.

    E tuttavia non possiamo liquidare così una questione che ha inferto all’Europa una ferita profonda. La spinta nazionalista e populista che in Gran bretagna è prevalsa, ha attraversato tutta l’Europa, traendo energie proprio dalle scelte di rigida politica economica e dalla incompiutezza del progetto europeo: abbiamo una moneta unica, ma non una politica fiscale armonica, non abbiamo un esercito comune e una comune politica estera, abbiamo rinunciato per troppo tempo alla fortificazione del nostro welfare e ci siamo poco impegnati per contrastare le pericolose disuguaglianze all’interno dei nostri confini. Così come ben analizzato dall’autore nelle pagine dedicate alla conoscenza dell’Unione e che giustamente insiste su uno dei punti di maggior debolezza: la mancanza di una politica estera comune.

    A tutto questo si è aggiunto, come elemento di ulteriore destabilizzazione, una dilagante tendenza all’affermazione del leaderismo e dell’autoritarismo che attraversa tutto il mondo, dall’Asia fino al Brasile. Abbiamo inoltre assistito al radicale mutamento degli Stati uniti il cui interesse per l’affermazione del progetto dell’Unione europea, espresso continuativamente per oltre mezzo secolo, si è trasformato, con la presidenza di Trump, in diffidenza e aperta ostilità nei confronti dell’Europa, così storicamente diversa dalla concezione di America first. L’animosità dell’ex presidente americano nei nostri confronti è arrivata fino al punto di sostenere la campagna antieuropea in Gran bretagna!

    Nonostante la nostra debolezza, figlia della nostra incompiutezza – non conto infatti più le volte in cui ho definito l’Europa un pane cotto a metà –, le forze antieuropeiste non hanno trionfato nell’ultimo confronto elettorale.

    E proprio l’inaspettato arrivo e diffusione della pandemia hanno prodotto a Bruxelles una vera inversione di tendenza: la solidarietà che tanto ci è mancata durante la crisi del 2008, ha invece prevalso sotto i colpi del coronavirus e l’Europa ha difeso e sostenuto le sue nazioni con interventi economici come mai era avvenuto in passato. Prova che l’Europa non solo è viva, ma continua a rappresentare la nostra sola possibilità di continuare ad avere un peso e un ruolo nel mondo.

    Questo libro descrive fatti, decisioni, scelte, successi e crisi come elementi di un grande progetto che va ancora compiendosi, sotto ai nostri occhi, e che richiede tutto il nostro impegno, innanzitutto a conoscere. Non solo per affrontare le sfide che ci attendono, dalla migrazione alla competizione tecnologica ed economica con le grandi potenze mondiali, dalla nuova globalizzazione, che dovrà essere diversa e guidata come non è avvenuto fino ad oggi, al contrasto delle troppe disuguaglianze, ma anche per il consolidamento degli obiettivi già raggiunti e dei valori che ci contraddistinguono. Solidarietà e condivisione, aiuto reciproco, interessi convergenti, difesa del nostro sistema democratico sono tutti elementi unificanti per gli europei. Nessuna nazione da sola potrà affrontare la Cina o gli Stati uniti e non vi è nessuna logica ragione, o reale motivo, per non realizzare quanto Carlo Azeglio Ciampi seppe esprimere con una sola frase: sono uso chiamarmi cittadino europeo, nato in terra d’Italia. Non si tratta infatti, per essere europeisti, di abbandonare il legittimo sentimento che lega ciascuno di noi al proprio paese, si tratta invece di approfondire la nostra comune storia e le ragioni che ci hanno condotto insieme fino qui, oggi ancora tutte valide e irrobustite dalla crisi sanitaria che abbiamo affrontato e che ci vedrà uscirne perché uniti.

    Se guardiamo al nostro passato con lo sguardo rivolto al futuro, così come questo libro ci consente di fare, scopriamo che innumerevoli sono i nostri valori unificanti, così forti da averci consentito di superare anche le recenti difficoltà. C’è infine un’osservazione che ancora mi preme. Ci siamo uniti per porre fine a secoli di guerre feroci entro i nostri confini e per difendere la democrazia dopo gli orrori del nazifascismo. Oggi l’Europa è il baluardo della democrazia stessa, primo e più radicato valore unificante europeo. Ritengo che questa sia la più significante eredità e responsabilità che la storia consegna ad ogni cittadino d’Europa.

    Romano Prodi, Bologna 30 dicembre 2020

    Nota dell’autore


    Alcuni anni fa usciva, con questa stessa casa editrice, il libro Unire l’Europa in cui proponevo una sintesi delle principali tematiche inerenti il processo di integrazione europea tra storia, istituzioni e politiche. Quel testo, pensato per gli studenti universitari ma adatto a chiunque avesse desiderato farsi un’idea sull’Unione, ha costituito l’iniziale punto di riferimento per la stesura di questo volume; ma tali e tante sono le questioni venute nel frattempo emergendo e modificandosi (per fattori endogeni ed esogeni all’Europa: dall’avanzata dei populismi alla Brexit, dalle insidie legate alla Russia di Putin e alla Turchia di Erdoğan alla stagione neo-isolazionista di Trump sino alle minacce terroristiche) che, via via che l’elaborazione procedeva, mi sono reso conto di non potermi limitare alla sola revisione, optando per un più generale ripensamento dei contenuti e della struttura del libro.

    È così nato un manuale in gran parte diverso da quello cui avevo inizialmente pensato; ma lo sforzo di aggiornare e ripensare la storia dell’Europa unita (inserendo problematiche nuove e ritornando su precedenti questioni), non ha intaccato in me la consapevolezza che i processi qui descritti sono ben lontani dall’essere definiti e pienamente comprensibili. Ne consegue che anche queste pagine possono solo aspirare a fornire una sorta di istantanea dell’evoluzione in corso.

    Nella redazione, oltre ai nuovi studi disponibili e alle banche dati consultabili in rete, mi sono avvalso di quanto appreso negli anni attraverso le lezioni e le conversazioni avute con le centinaia di giovani frequentanti il corso di Integrazione politica ed economica dell’Unione europea impartito presso il campus di Forlì dell’università di Bologna. Confronti che hanno portato, in tante occasioni, all’elaborazione da parte degli studenti di ricerche capaci di offrire spunti originali e ben documentati.

    Desidero in questa breve Nota ringraziare il presidente Romano Prodi per avere accolto l’invito a scrivere una introduzione al testo; le sue parole a favore della costruzione europea, pronunziate negli anni passati tra Roma e Bruxelles, unitamente all’appassionato e instancabile impegno posto per tale causa, hanno rappresentato nei momenti bui della nostra storia recente uno dei pochi luminosi punti di riferimento per chi nutre ideali europeistici e democratici.

    Poiché questa pubblicazione è rivolta ai giovani, di oggi e di domani, con l’auspicio che divengano a pieno titolo cittadini europei, credo che la sua autorevole presenza sia non solo importante ma direi quasi necessaria.

    Bologna, 25 gennaio 2021

    Prima parte

    Le due anime dell’Europa

    Nel mondo capitalista


    Il nuovo ordine americano

    All’indomani della seconda guerra mondiale non si tardò molto a comprendere che l’intesa stabilitasi tra Stati uniti e Unione sovietica stava volgendo al termine; non era solo in ragione dell’evidente distanza tra i due modelli di civiltà – da un lato il mondo occidentale basato sull’identità sociale e politica mediata dal consumo, sulla prosperità e sulla crescita sconfinata della produttività; dall’altro il paradiso sovietico, polo d’attrazione sia del proletariato dei paesi industrializzati sia dei popoli che combattevano contro l’imperialismo capitalistico e il colonialismo – ma anche per le tensioni che avevano caratterizzato i mesi seguenti la fine della guerra e che facevano ritenere probabile una futura frontale collisione.

    Sebbene una situazione reale di conflitto tra est e ovest non si avrà che nel 1948 in corrispondenza con il blocco di Berlino, il clima nei rapporti tra gli Alleati era andato immediatamente irrigidendosi in conseguenza di eventi quali quelli di Turchia e Grecia (dove si erano avuti i primi scontri tra il movimento partigiano comunista e le truppe anglo-americane) che avevano portato al deterioramento delle relazioni reciproche.

    Per il continente europeo, ancora in mano agli eserciti occupanti, la prospettiva era l’estromissione dal novero delle grandi potenze, fatta eccezione per l’attenzione (soprattutto diplomatica) per il Regno unito e, in seconda fila, per la Francia invitate a sedere al tavolo dei grandi in ragione della loro tradizione democratica e della resistenza opposta al nazismo, ma del tutto prive della potenza necessaria per giocare un ruolo significativo dal punto di vista decisionale, come gli eventi dei decenni successivi si sarebbero incaricati di dimostrare. Era l’inizio di un lungo periodo di totale divisione tra una Europa americana e una Europa sovietica, entrambe dipendenti dalle scelte di politica internazionale compiute dalla superpotenza di riferimento.

    Posto che per gli Stati uniti non era più possibile tornare all’isolazionismo abbracciato al termine della Grande guerra, si rese necessaria una generale riformulazione della politica estera che si concretizzò nell’istituzione di una serie di soggetti internazionali (attivi in campo economico, politico e militare) in grado di assicurare, a livello mondiale, la costruzione di un nuovo ordine, dando in tal modo corpo al grande disegno rooseveltiano volto a garantire benessere economico, libertà politica e commerciale, nonché a salvaguardare la pace.

    In chiave economica (sulla base dell’esperienza negativa maturata tra le due guerre) gli Usa proposero di creare, in sintonia con il Regno unito, tre nuove istituzioni destinate a controllare i pagamenti internazionali, i movimenti di capitale e il commercio mondiale; compiti rispettivamente attribuiti, con tempistiche diverse, al Fondo monetario internazionale (Fmi), alla Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (più nota come Wb, World bank) e all’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc). Tale assetto generale delle relazioni economiche internazionali fu stabilito alla conferenza di Bretton Woods del 1944 nel corso della quale furono adottate scelte macro-economiche spiccatamente neoliberiste (tendenti cioè a favorire la libera circolazione di beni, servizi e capitali) che si combinarono con politiche nazionali improntate a un massiccio intervento degli Stati nell’economia.

    Nel settore dei pagamenti internazionali, data per scontata la decisione di andare alla definizione di tassi di cambio fissi (per evitare le fluttuazioni monetarie che avevano portato negli anni Trenta alla svalutazione e all’esportazione della disoccupazione), occorreva definire delle regole per stabilire come fissare i tassi, come difenderli e quando farli cambiare; tali compiti furono attribuiti alla prima delle nuove organizzazioni su richiamate: il Fmi¹. Gli Stati membri erano tenuti a fissare una parità tra il valore della propria moneta e l’oro o il dollaro; i tassi di cambio risultanti dal raffronto delle diverse parità potevano essere modificati solo in caso di uno squilibrio nella bilancia dei pagamenti².

    Ogni paese versava al Fondo un deposito, calcolato in misura diversa da Stato a Stato, che andava a costituire una riserva monetaria; in caso di necessità poteva essere chiesto al Fondo l’utilizzo delle riserve (con un prestito concesso rimborsabile in cinque anni) entro il limite del 25% della quota versata al Fondo stesso.

    Il 25 giugno del 1946 – sulla base sempre degli accordi di Bretton Woods di cui fu ispiratore l’economista britannico John Maynard Keynes – prese quindi formalmente a operare la World bank con il contributo iniziale di 45 paesi e con il compito di promuovere investimenti a lungo termine per lo sviluppo degli Stati membri e ridurre la povertà. Benché la ricostruzione europea rappresentasse per tale istituzione l’obiettivo prioritario, per soccorrere l’Europa fu necessario un intervento diretto degli Usa (attraverso il Piano Marshall) non disponendo la Wb di risorse economiche sufficienti a far fronte a un così impegnativo compito. Diversamente dal Fmi, l’Istituto bancario possedeva, infatti, limitate risorse proprie, con un capitale iniziale di 10 miliardi di dollari di cui solo il 20% effettivamente versato; già nel corso degli anni Quaranta la Wb riorientò, pertanto, le proprie finalità indirizzandole principalmente verso l’assistenza ai paesi in via di sviluppo.

    Il giudizio storico su tale organizzazione non è scevro di critiche poiché, nonostante i decenni di crescita economica e le migliaia di prestiti erogati, permangono forti squilibri e il problema della povertà appare tutt’altro che risolto; la Wb, guidata dalle nazioni ricche, ha infatti condotto politiche spesso più attente ai risultati economici delle iniziative finanziate che ai costi sociali che da queste potevano scaturire.

    Più difficile da istituire fu l’organizzazione chiamata a operare in ambito commerciale. Alla fase di liberalizzazione del commercio che aveva contraddistinto il periodo 1870-1914 (prima globalizzazione economica) era seguito un trentennio di instabilità – per l’avvento dei regimi comunista, fascista e nazista, nonché per lo scatenarsi della crisi del ’29 e di due guerre mondiali – che aveva portato all’adozione generalizzata di misure protezionistiche e alla conseguente contrazione degli

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