Il Coraggio di Cambiare
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Anteprima del libro
Il Coraggio di Cambiare - Daniela Gemelli
EPILOGO
1985
SARA
L’odore della nebbia era particolarmente forte quella mattina. Sfuocava i contorni delle cose e dei suoi pensieri, ancora avvolti in un lento risveglio. Sentiva particolarmente freddo, oltre ad una incredibile stanchezza con la quale conviveva da quando aveva iniziato a lavorare. "Com’è possibile vivere così ogni giorno della tua vita? – si domandava ogni mattina –
un’intera giornata spesa per un’occupazione banale, noiosa e di pochi contenuti". Si sentiva profondamente delusa dalla nuova vita lavorativa e dal ruolo specifico di impiegata in cui, suo malgrado, si trovava ingabbiata. Di energia voglia di fare ne aveva tanta, ma il suo desiderio era altro: un anno sabbatico all’estero. A Londra per cominciare, magari New York, il Brasile, l’Europa del Nord. Aria nuova, per cercare e trovare la sua strada; quel mondo là fuori, ricco di stimoli, idee e persone che le avrebbero aperto la mente per capire che fare del suo futuro. Avrebbe dovuto immaginare che il suo sogno era impossibile, almeno al prezzo di una rottura con un suoi genitori. Era una figlia coccolata, amata, ma molto controllata. Nella sua famiglia lavorava solo il padre, e la mamma si dedicava completamente alla crescita dei figli e della casa. La madre soffriva quel ruolo, sicuramente anche per il fatto che aveva lavorato per quindici anni, prima di scegliere, come molte, di lasciare tutto per i figli. E così, sentimenti quali rammarico ed autocommiserazione le condizionavano le giornate; continue riflessioni su quanto non poteva fare nel ruolo di casalinga-madre, un disagio crescente con la crescita dei figli e il loro graduale allontanamento. Non era il lavoro in sé che le mancava, ma il contatto con gli altri, il vestirsi con più cura la mattina per uscire, il piacere di incontrare nuove persone. Ripeteva spesso che "stare a casa non prevedeva nessuna gratificazione, solo sacrifici; e se all'inizio la frenesia della gestione dei figli piccoli le aveva permesso di non cogliere le limitazioni della sua scelta, man mano che i ragazzi crescevano - e si accorgeva che avevano sempre meno bisogno di lei, se non per delle incombenze non gratificanti - l'insoddisfazione si infiltrava sempre più nelle sue giornate, incupendole e facendole diventare ogni giorno più pesanti. A partire da quel lavoro lasciato, la sua mente spaziava a quei bilanci di mezza età in cui era doveroso domandarsi se si erano fatte le scelte giuste, con crescente risentimento verso il marito, ma anche verso i figli che
di tutto si preoccupavano tranne che di lei. Ribellatosi il primogenito maschio da quella presenza materna quasi ossessiva, tutta l’attenzione della madre si era riversata su Sara. E così lei aveva vissuto un’adolescenza molto difficile, fatta di proibizioni, orari di rientro impossibili, critiche e limitazioni. In qualche modo la sua vita era stata già decisa: una scuola che le permettesse di lavorare subito, e poi un bell’impiego che, con un voto alto alla maturità, le sarebbe stato proposto sicuramente. Così eccola alla Key’s. Certo, come poterci rinunciare? Un lavoro così
sicuro". Il cielo si era rasserenato. Dalla scrivania vedeva le montagne, innevate e le cime disegnate in un cielo timidamente azzurro.
Aiuto! …Voleva andare a casa.
LUCA
Il caffè era terribile. Possibile che quei distributori lo facessero ogni giorno peggio? Restava in bocca un sapore cattivo, terribilmente amaro, la lingua pastosa… Si sentiva patetico nel pensare tutte le mattine a sua madre ed alla cura che lei metteva nel preparargli il caffè: il rito della macchinetta napoletana
: non troppa (ma nemmeno troppo poca) polvere di caffè che appiattiva nel contenitore facendo piccoli solchi, un rituale che ripeteva da sempre servendoglielo solo dopo averlo anche girato con cura…nessuno poteva capire la filosofia napoletana (e l’amore di sua madre), ci si provava ad avvicinare, ma senza speranza… già, il caffè buono, come gli mancava, quel profumo fantastico.. E non gli mancava solo il caffè: la gente, il calore, il sole, anche a Novembre…quel tepore della mattina, con la città che si stiracchia e si sveglia. Nell’ultima telefonata con Angela si parlava proprio del sole di Novembre, e di quanto fosse bello andare al mare in tardo autunno; a dire il vero era fantastico in ogni stagione: in inverno, in primavera, in estate…ma che ne sapevano a Milano? Certo, lei non lo apprezzava tanto quanto lui lo rimpiangeva. Chissà, forse perché ci era abituata, mentre a lui mancava enormemente. Talvolta Luca rifletteva su quanto fossero distanti l’uno dall’altra, sembravano vivere in due diversi continenti, a migliaia di chilometri, invece che ottocento scarsi. Non poteva immaginare, lei, che mondo diverso aveva trovato qui… Di positivo c’era la tanta efficienza, l’organizzazione, dentro e fuori l’Azienda. Lavorare a Milano era così facile, tutto così funzionale, ci si muoveva da una parte all'altra della città senza attendere mai, la metropolitana collegava perfettamente i paesi periferici al centro, qualunque servizio funzionava perfettamente. E poi – a dispetto del grigiore del cielo – c’era tanta vivacità, si vedeva che era la città della moda… era stimolante, anche la sera…con mille locali, teatri, musei, bella gente … Il negativo, appunto, era il clima, la nebbia, il freddo; e le amicizie, così difficili…l’assenza della famiglia; e di lei. Sapeva bene che Angela avrebbe avuto bisogno del suo aiuto e della sua presenza. Era sempre stato così, fin da quando avevano quattordici anni. Ma lui ora non poteva fare nulla, anzi avrebbe avuto bisogno lui stesso di un po’ di supporto, in quel gelido quotidiano. Una giornata senza nebbia era già un risultato incredibile; solo per questo si poteva iniziare con un po’ più di buon umore. In fondo era solo l’inizio della sua vita professionale, poteva solo migliorare: lavorando sodo, qui si poteva far carriera. Lo sapeva. Aveva studiato per tanti anni per quella laurea che gli avrebbe dato un futuro, lui ci credeva; e soprattutto loro, i suoi genitori; lo avevano spronato a fare di lui un uomo responsabile, di cui essere fieri. Poteva cambiare la sua vita, e di riflesso la loro. Suo padre ripeteva che il figlio sarebbe diventato Direttore Generale della Key’s. Papà esagerava sempre, ma nella sua semplicità aveva fatto grandi cose: era riuscito a farlo studiare, ogni singola lira accantonata con tanto lavoro faticoso e malpagato, era per lui, per farlo studiare e garantirgli un futuro. Conseguentemente Luca sentiva forti le aspettative del padre. E anche questo aveva contribuito alla sua forte determinazione: glielo doveva il suo successo, anche se ciò avesse comportato, com’era avvenuto, spostarsi al Nord, dove il lavoro c’era.
E l’avrebbe fatta, la carriera, ad ogni costo.
MARTIN
Nuovamente inattese le previsioni dei meteorologi: "niente pioggia a Bruxelles fino a dicembre - si prodigavano a scrivere,
sarà un autunno secco"...; e invece si sentiva la pioggia fin dentro la schiena, e negli occhi, ovunque. Non si ricordava più da quanti giorni consecutivi stesse piovendo. Quel cielo cupo e pesante, che lo condizionava nella sue giornate fino a perdersi nell’insofferente malinconia della vita lo faceva sentire male, come se avesse un peso sul cuore. Avrebbe scelto di non alzarsi dal letto, era un mattino così triste, e sapeva che non sarebbe migliorato con il passare delle ore; meglio restare a casa, ad ascoltare musica classica; e se il tempo fosse migliorato, poteva addirittura osare una passeggiata sulla Rue Neuve.....l’ufficio davvero no, non poteva essere la sua destinazione odierna. Il medico gli aveva detto che si trattava di un inizio di depressione, che poteva capitare quando si era sottoposti a momenti particolarmente difficili o stressanti; e l’autunno poteva solo peggiorare la situazione. Doveva essere paziente con sé stesso, organizzare bene la sua giornata, fissando scadenze ai propri impegni, dandosi delle certezze; e doveva accettarsi ed essere tollerante con sé e con gli altri.
Grande consulenza. C’era arrivato anche lui. Ma quanto lo infastidiva sentirsi così.
SARA
Il suo capo era uno strano personaggio ma gentile, sorridente, accogliente
con lei, forse perché si rendeva conto del suo disagio. Non pretendeva nulla di più di quello che faceva, e non le faceva mai fretta. Anzi, voleva che imparasse tante cose. Da subito Sara aveva realizzato che gli studi fatti erano stati praticamente inutili, un mondo scollegato dalla realtà: tecnica aziendale, inglese, nessuna informazione aveva un senso qui. Tutto diverso, tante sigle, incomprensibili, davvero nulla di utilizzabile. Talvolta chiedeva alle colleghe la traduzione di queste sigle, ma spesso nemmeno loro sapevano trovarla…le usavano senza conoscerne il significato? Che tristezza…Era un signore, il suo capo, sulla cinquantina, o forse quaranta, magro, ben vestito, occhiali spessi. Ed era buffo: la sua faccia la faceva ridere, anche se non si sarebbe mai permessa di mostrarlo. Parlava tanto, era sempre indaffarato, la sua scrivania era piena di fogli, lo vedeva sempre alla ricerca di qualcosa. Una volta aveva assistito ad una scena divertente: lui era al telefono, infervorandosi nel discorso, sbatteva le carte, le spostava da destra a sinistra, cercando qualcosa di preciso e prendendo tempo con l’interlocutore dall’altra parte della cornetta. Alla fine trovò il foglio decisivo: stava nel cestino dei rifiuti. Forse non era tanto importante. Sicuramente era un’anticonformista, ed a lei piaceva. Un giorno le disse: "ho pensato che una delle prime cose che devi imparare è l’utilizzo del Personal Computer. Immagino tu non sappia nulla di DOS e dei relativi comandi. Sara non poté che confermare.
Allora ti affianco ad un collega che è molto bravo, vedrai imparerai in fretta….Lucaaa..? Non vi siete ancora visti vero? Ti presento Sara, è da noi da pochi giorni, trasmettile tutte le tue conoscenze".
Luca era sulla trentina, con la barba, un bel sorriso, parlava con un accento napoletano. Dopo averla invitata alla sua scrivania, le chiese delle sue conoscenze informatiche, e subito Sara si sentì male: che figuraccia.... ammettere che non ci capiva niente era quasi una versione ottimistica della realtà. Aveva una voce profonda, bassa, e quell’accento era divertente. Il blu della giacca gli stava bene, i lineamenti erano scuri, dai capelli alla barba. Gli occhi erano estremamente espressivi, anch’essi scuri, di un marrone profondo, e Sara se li sentiva addosso. Non era bello, ma aveva un bel modo di fare, era affascinante...Anche se era imbarazzata, l'idea dell’affiancamento le piaceva molto. Iniziarono subito con la lezione, lui sembrava a suo agio, quasi divertito. Parlava lento, e se capiva di non essere seguito, riprendeva dall’inizio. Dopo un paio d’ore, Sara era esausta. Affaticata dall’eccesso di notizie, e stanca di darsi un contegno. Si accordarono per il giorno successivo. Quella sera, sul pullman di ritorno, mentre osservava dal finestrino la strada trafficata, Sara si rese conto che stava sorridendo. Era stata una buona giornata, nonostante tutto. Forse la prima in cui aveva fatto qualcosa di interessante, e si era divertita. In fondo, forse, ci voleva solo pazienza, con il tempo poteva trovare qualcosa di utile per dare un senso alla sua vita professionale. E comunque, era indispensabile non dimenticare che, a differenza della scuola, in ufficio ci si stufava molto, a volte ci si arrabbiava anche, ma si veniva pagati. Mica un dettaglio da poco.
In fondo forse avrebbe aspettato a dare le dimissioni.
LUCA
Oggi non sopportava nessuno, nemmeno il solito brusio di voci. Si girò verso il capo. Come al solito stava immerso fra le sue carte. Dalla sua scrivania Luca non riusciva a vedere, né sentire, la persona che aveva di fronte, anche perché restava in un angolo silenziosa. Ricordava ancora il suo primo giorno in Azienda, un anno prima, e il momento in cui gli presentarono il suo capo. Era gentile, ma aveva una faccia strana, così buffa, sembrava una di quelle maschere napoletane che tanto lo facevano ridere da bambino. Ma era una persona onesta, e con il tempo aveva imparato ad apprezzarlo; era un manager capace, aveva tanti collaboratori e li sapeva gestire con professionalità, sapendoli prendere per quello che potevano offrire, individuando le loro potenzialità e permettendo loro di crescere professionalmente. Guardandosi intorno si riteneva fortunato, c’erano certi manager inquietanti e arrivisti in Key, che sfruttavano le nuove leve per apparire in prima persona con i rispettivi responsabili; invece il suo capo non era interessato – o forse non lo era più – ad emergere a tutti i costi; in fondo guadagnava bene, era dirigente da tanti anni, e poi ci teneva ad insegnare ai giovani e farli emergere. Quando lo chiamò ad alta voce, quasi si spaventò. Nel raggiungerlo, vide una ragazza davanti a lui. Era giovanissima, quasi una bambina. Probabilmente aveva appena finito le scuole superiori. Gliela presentò come la loro nuova collega, e gli chiese di darle supporto per i primi rudimenti informatici. Gli veniva da ridere; "avrà smesso di giocare con le bambole ieri" – pensò divertito. Immaginò subito che di informatica non se sapesse nulla. L’accompagnò alla sua scrivania. Mentre le faceva qualche domanda tecnica, la guardava e rifletteva: era così piccola, avrà avuto diciannove o vent’anni, faceva tenerezza; si vedeva che era un po’ agitata, non riusciva a stare ferma sulla sedia, e reggeva il suo sguardo con difficoltà. Era anche vestita in maniera strana, quasi volesse sembrare più grande senza riuscirci…Il viso la tradiva più di tutto, un’adolescente. Decise di non imbarazzarla oltremodo, e si mise a parlare di informatica.
Era proprio come sospettava, conoscenze tecniche: zero assoluto.
MARTIN
Sorrideva, in macchina mentre percorreva la N21; la chiamata della madre era stata la giusta punizione per i suoi pensieri assenteistici; a volte si sentiva molto maturo, preparato, con le idee chiare e tante certezze; altre volte invece, serviva proprio che Lei lo richiamasse all’ordine per ritrovare concretezza, che in questo caso portava all’Avenue de Bourget, destinazione Key’s Int. E per fortuna che la madre gli aveva telefonato: si era del tutto dimenticato che non era una giornata qualunque oggi, aveva indetto una riunione importantissima alle 10:00; già si immaginava la faccia del terribile André Pousser - che avrebbe presidiato la riunione per testare le sue capacità - qualora non si fosse presentato: lo avrebbe riempito di insulti, come solo il suo capo riusciva a fare. Ormai erano tre anni che lavorava in Key’s; dopo la laurea in Economia non era stato difficile trovare lavoro, anche grazie al fatto che aveva ottenuto il massimo dei voti. Ricordava quanto fosse dubbioso, avendo la possibilità di scegliere tra la Key’s oppure una società svedese in grande espansione, anche se molto più piccola. Alla fine aveva deciso che la prima opzione, un'azienda americana così ramificata in tutto il mondo, fosse l’azienda che poteva offrirgli maggiori possibilità di carriera, ma soprattutto un’esperienza importante per conoscere il mondo del lavoro in una struttura particolarmente organizzata. E poi non era male, molti giovani, molto dinamica, stava imparando molto.
Ma sì, ora si sentiva meglio, la musica del festival di Sanremo gli dava allegria; e la giusta carica per quella riunione.
SARA
Era stata un’impresa decidere cosa mettersi quella mattina. Stava per perdere il solito pullman. Arrivare in ritardo durante il periodo di prova, non era una buona cosa. Dopo continui ripensamenti, aveva optato per una gonna, non troppo corta, ed una camicia bianca, con le spalline grandi, che la facevano sentire più alta di quello che era. Si fisso allo specchio e non si piacque. Ma c’era poco da fare. Arrivata in ufficio, vide Luca venirle incontro per invitarla a bere un caffè. Si, proprio quel collega che il giorno prima l'aveva intrattenuta e con il quale si