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Napoli criminale
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E-book486 pagine7 ore

Napoli criminale

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Omicidi di camorra, ma non solo

Un far west senza sceriffi dove il crimine impera indisturbato: ecco come appare Napoli a chi legge le cronache che raccontano di una città mattatoio attraversata da una violenza che non risparmia niente e nessuno.
Non c’è un’altra metropoli al mondo in cui il sangue imbratta, senza distinzioni sociali né geografiche, le strade eleganti e i vicoli malfamati, i quartieri dei ricchi e i rioni dei poveracci, i palazzi della politica e le stanze del potere. Nel vasto e variegato catalogo degli orrori che si sono consumati all’ombra del Vesuvio, uno spazio rilevante è occupato dai clan della camorra che con le loro guerre hanno provocato centinaia e centinaia di morti. Ma si commetterebbe un grosso errore nel ricondurre tutto il male solo ai macellai delle cosche che si combattono per accaparrarsi il mercato della droga o il controllo delle estorsioni. Perché Napoli è anche la città dell’inafferrabile mostro che massacrò una famiglia in via Caravaggio, dell’oscuro e ancora impunito delitto dell’affascinante Anna Parlato Grimaldi, della tragica fine di due ragazzine conquistate dai modi gentili di tre bulli di Ponticelli protagonisti di un processo lungo e tormentato. Ma Napoli è anche la città dove a voler far bene il proprio dovere si rischia la vita, come testimoniano l’assassinio di un poliziotto onesto come il capo della Squadra mobile Antonio Ammaturo e l’agguato a un giornalista troppo curioso come Giancarlo Siani. Ed è anche la città in cui vengono uccise persone innocenti la cui unica colpa è di vivere nel far west. Ma forse Napoli è peggio del far west.

Delitti misteriosi e ancora impuniti nelle strade di una città splendida spesso lasciata in balia del crimine.

Tra i temi trattati nel libro:

• Pupetta Maresca, la ragazza con la pistola
• il mostro di via Caravaggio
• il delitto di Anna Parlato Grimaldi
• Giuseppe Salvia, il nemico di Cutolo
• il rapimento di Ciro Cirillo
• tre belve a Ponticelli
• Giancarlo Siani: un giornalista troppo curioso
• la villetta dell’orrore
• Maurizio Estate, quando il coraggio vale una vita
• far west al Vomero
• piombo sugli operai
• il poliziotto pistolero
• Gigi e Paolo, due vittime innocenti
• l’assassinio dell’amica d’infanzia
• un “santo” punito per una svista dei killer
• una testa mozzata tra i rifiuti
• Basic Instinct a Casandrino
Bruno De Stefano
Giornalista professionista, ha seguito la cronaca nera e giudiziaria per diversi quotidiani, tra cui «Paese Sera» e «Il Giornale di Napoli», e per il settimanale «Metropolis». Ha lavorato per il «Corriere del Mezzogiorno», «City», il «Corriere della Sera» e «La Gazzetta dello Sport». Tra le sue pubblicazioni per la Newton Compton La casta della monnezza, La penisola dei mafiosi, 101 storie di camorra che non ti hanno mai raccontato, I boss della camorra, Napoli criminale e, insieme a Vincenzo Ceruso e Pietro Comito, I nuovi boss. È stato tra i curatori dell’antologia sulle mafie Strozzateci tutti e nel settembre del 2012 ha vinto il Premio Siani con il volume Giancarlo Siani. Passione e morte di un giornalista scomodo.
LinguaItaliano
Data di uscita2 nov 2015
ISBN9788854187559
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    Anteprima del libro

    Napoli criminale - Bruno De Stefano

    I

    Pupetta, la vendicatrice

    Un temperamento selvaggio e il fascino grezzo da ragazza di pro­vin­cia. Assunta Maresca, ribattezzata Pupetta fin dall’infanzia, è una bella fanciulla dai capelli nero corvino e dalle forme morbide. Gli uomini la corteggiano con una certa prudenza perché è la coccolatissima e unica figlia femmina di don Vincenzo, capo della famiglia camorristica dei lampetielli di Castellammare di Stabia, «così denominati dal luccichio della lama di coltello, che sanno maneggiare con estrema perizia» (Sergio De Gregorio, I nemici di Cutolo).

    All’inizio degli anni ’50 Pupetta è solo un’adolescente che cresce in fretta in un ambiente maschilista che attribuisce alla donna un solo ed unico compito: essere devota all’uomo, marito, fratello o padre che sia. Come tutte le coetanee, anche lei è destinata a convolare a nozze prima possibile, magari con qualche giovanotto benestante che le consenta un’esistenza priva di sacrifici. A sospirare per uno sguardo di Pupetta c’è una legione di spasimanti, ma la scelta cade su Pasquale Simonetti, un ragazzone dal fisico imponente che è conosciuto col soprannome di Pascalone ’e Nola. Ma Simonetti, originario di Palma Campania, un comune della provincia di Napoli, di robusto non ha solo la corporatura. È solida come una roccia soprattutto la sua fama di guappo, di uomo di rispetto davanti al quale tutti si devono inchinare. Negli anni ’50 la camorra non è ancora l’orda di macellai che spargerà sangue più di vent’anni dopo, si uccide anche con una certa ferocia ma solo quando è necessario, e le controversie più che dalle pistole vengono risolte dal prestigio dei singoli malavitosi. Quando ha dovuto ricorrere alle maniere forti, Pascalone però non si è tirato indietro. Ha già dovuto esibire tutta la sua guapperia per placare i sogni di gloria di don Alfredo Maisto, ras di Giugliano, ed ha avuto il coraggio di schiaffeggiare pubblicamente, all’ippodromo di Agnano, una leggenda vivente come Lucky Luciano, il temutissimo rappresentante della mafia italo-americana.

    Ma che Simonetti sia un boss potente lo dimostra il fatto che controlla il mercato ortofrutticolo, la cui base operativa è a corso Novara, a Napoli, a pochi metri dalla stazione centrale. Pascalone è il cosiddetto presidente dei prezzi, ovvero colui che impone l’andamento delle transazioni della frutta e della verdura, riscuotendo sontuose tangenti. Non è un compito facile gestire i mercati ortofrutticoli perché sono popolati da gente senza scrupoli che sa perfettamente che l’unica legge che conta è quella del più forte, è un ambiente pieno di insidie dov’è assolutamente sconsigliabile mostrarsi troppo accondiscendente nei confronti del prossimo. Per evitare qualsiasi genere di problemi a sovrintendere ci vuole un personaggio dal carisma di Simonetti che tiene a bada contadini e grossisti senza prevaricare, convinto com’è che l’unico modo per difendere guadagni favolosi sia mantenere l’ordine.

    Il centro di tutto è il corso Novara, zona a occidente di Napoli, nei pressi della stazione ferroviaria, strada con un grande ufficio postale, molte banche. È qui che si vende un terzo dell’esportazione italiana di frutta e agrumi. Un giro di affari, con le altre produzioni, di circa 28 miliardi. Tutte le contrattazioni si svolgono all’aria aperta, per strada. È questo il regno di Pascalone, che controlla tutte le merci da contrattare. Ha rapporti con le industrie di trasformazione dei prodotti agricoli, anticipa soldi ai contadini e si assicura il prodotto fin dalla semina, ma soprattutto impone i prezzi. Ogni giorno, da lui, quasi fosse la borsa-merci o il borsino dei titoli, i frequentatori del mercato vanno a chiedere le cifre di vendita per patate e pomodori. Naturalmente, tutti si adeguano. Chi non lo fa, rischia grosso. La pelle. Niente legge del mercato, niente domanda e offerta, ma solo la volontà di chi ha più forza di intimidazione (Gigi Di Fiore, Potere camorrista).

    Il business però è troppo ghiotto per pensare che possa rimanere tutto nelle mani di una sola persona. C’è da tenere d’occhio la concorrenza, e soprattutto le ambizioni di Antonio Esposito, detto Totonno ’e Pomigliano. I rapporti tra Simonetti ed Esposito sono formalmente buoni, però è noto a tutti che Totonno mira a diventare il presidente dei prezzi.

    Tra Pupetta e Pascalone ’e Nola la scintilla dell’amore scocca subito. Lei è consapevole che d’ora in poi vivrà solo per accudire il marito, e lui sa di aver preso in sposa una donna che gli sarà sempre accanto, qualunque cosa dovesse accadere.

    Dopo un breve fidanzamento, Pupetta e Pascalone si sposano. Al matrimonio, celebrato il 27 aprile del 1955, partecipano centinaia di invitati, tutti estasiati di fronte ad una coppia perfetta: giovani, belli e potenti. Lei ha poco più di 18 anni, lui quasi 30. Ma la felicità dura appena ottanta giorni, a stroncarla sul nascere sono le spietate leggi della mala. E la vita di Pupetta Maresca deraglia, prendendo una direzione che nessuno avrebbe mai potuto immaginare: non potendo diventare la moglie affettuosa di un guappo in carriera, si trasformerà in implacabile assassina. L’episodio che sconvolge la routine dell’affascinante fanciulla dei lampetielli accade la mattina del 16 luglio 1955. Pascalone è in corso Novara, come al solito sta impartendo ordini sui prezzi ed è circondato dal consueto codazzo di fedelissimi. Ad un certo punto sulla sua strada incrocia Gaetano Orlando, detto Tanino ’e bastimento, figlio di un ex sindaco comunista di Marano e considerato molto vicino ad Antonio Esposito. Orlando è un delinquente di second’ordine e le rigide gerarchie della malavita vogliono che al cospetto di un pezzo da novanta come Pascalone debba inchinarsi e omaggiarlo con rispetto. Ma invece di tenere un comportamento ossequioso, Orlando finge di non vederlo e tira dritto. Un affronto che Simonetti non gradisce affatto, lamentandosi per la maleducazione di quello che ritiene un personaggio di mezza tacca. Tra i due nasce un battibecco, Tanino ’e bastimento urla davanti a tutti: «E tu saresti Pascalone ’e Nola?». Subito dopo Orlando si rende conto che l’aver pubblicamente sfidato Simonetti gli costerà la vita. Così prima che Pascalone passi alle maniere forti, estrae la pistola dalla giacchetta e preme il grilletto più volte. Simonetti viene colpito all’addome e ad un polso. Al processo Tanino ’e bastimento dichiarerà di aver sparato per legittima difesa, perché anche Simonetti era armato. Una verità, la sua, che emergerà al termine di un lungo percorso giudiziario.

    Racconterà Pupetta Maresca: «Corsi subito all’ospedale Incurabili dove l’avevano portato. L’avevano operato, ma era subentrata la peritonite. Mi rincuorava e mi fece il nome di Esposito come mandante della sparatoria. Pascalone era il mio principe azzurro e io volevo che si facesse giustizia, ma la giustizia voleva prove, prove, prove» («Il Mattino», 17 luglio 2005).

    Pupetta è ancora acerba d’età ma è già una femmina di carattere, sa benissimo che in certe circostanze difendere l’onore non è una scelta ma un obbligo al quale non ci si può sottrarre. E benché giovanissima è sufficientemente fredda e spietata, decisa a punire chi l’ha costretta a passare dall’abito bianco ai vestiti di nero dopo neppure due mesi e mezzo di matrimonio. Tanto più che lei e Pascalone si apprestavano a condurre un’esistenza gioiosa: «Avendo Pasquale deciso di cambiare vita e di allontanarsi da brutti ambienti, vedevo la mia vita con i sogni di una ragazza di 17 anni, una vita piena di cose belle e felici per la famiglia che andava formandosi con la prossima nascita di mio figlio Pasqualino» (Isaia Sales, Le strade della violenza).

    Pupetta, comunque, non ha bisogno di prove, se il marito agonizzante gli ha fatto il nome di Antonio Esposito, quell’uomo deve pagarla cara. E così organizza la vendetta nei minimi dettagli. Dalla scomparsa del marito alla rappresaglia trascorrono ottanta giorni. In questo periodo nel grembo cresce, intanto, il frutto dell’amore breve ma intenso con Pascalone. Pupetta è incinta di cinque mesi quando il 4 ottobre del 1955, a bordo di una Fiat 1100 nera guidata da Nicola Vistocco, si fa accompagnare dal fratello Ciro al corso Novara, esattamente dov’è stato ammazzato il suo Pasquale. Antonio Esposito è davanti al bar Grandone. Quando si trova di fronte quella ragazzina di appena 18 anni con addosso un tailleur nero, Esposito non si preoccupa più di tanto, non immagina che la fanciulla con il ventre già ingrossato dalla gravidanza sia venuta fin lì per regolare un conto in sospeso. Esposito le prende il mento tra l’indice e il pollice e le dice: «Pupetta, che cosa volete da me?». Pochi istanti dopo Totonno riceve una risposta che non s’aspetta: le vedova di Simonetti tira fuori la pistola dalla borsetta e comincia a sparare. Esposito ha il tempo di reagire, ma Pupetta è più veloce e lo uccide lasciandolo in una pozza di sangue davanti al bar Grandone.

    «Eravamo sposati da appena ottanta giorni quando hanno sparato a mio marito. E ottanta giorni più tardi io ho sparato all’uomo che lo aveva ucciso. Avevo solo diciotto anni ed ero incinta. Onestamente ho cominciato a sparare prima io. L’ho ammazzato, però lui avrebbe ammazzato me. Non ho sparato soltanto io a lui. Anche lui sparava contro di me. La mia macchina era crivellata di colpi» (Clare Longrigg, L’altra metà della mafia).

    Il giorno dopo il nome di Pupetta Maresca è sui giornali di tutto il Paese. Dal nord arrivano gli inviati dei quotidiani nazionali per raccontare la storia di questa ragazza cresciuta a pane e guapperia che trova il coraggio di vendicarsi contro colui che aveva ordinato l’assassinio del marito. La vicenda, narrata senza rinunciare ai luoghi comuni e ai toni folkloristici, contribuisce a trasformare una giovane vedova con un figlio in arrivo in una leggenda vivente. La sua fama, infatti, scavalcherà ben presto i confini di Napoli, di lei scriveranno i giornali di tutta Italia, la sua storia ispirerà un film e lei stessa diventerà attrice in una pellicola tutta lacrime e canzoni lagnose. La vita di Pupetta, insomma, sarà come un romanzo, ma scritto quasi esclusivamente con il sangue e con ben impressa nella memoria la figura del suo consorte, dipinto come un uomo buono, votato alla difesa dei più deboli: «Mio marito doveva decidere se le patate dovevano andare a 30 o 29 lire. Questo lo decideva a Napoli, dove andavano tutti i coloni. Quando mio marito aveva stabilito il prezzo, tutti dovevano sottostare. Mio marito metteva i prezzi giusti, andava a favore dei coloni, li faceva guadagnare di più» (Isaia Sales, op. cit.).

    Dopo il delitto, la giovane vedova si dà alla fuga, ma viene acciuffata al termine di una latitanza durata appena dieci giorni: il 14 ottobre del 1955 la bella fanciulla stabiese finisce in carcere. In galera la sua condizione di ragazza madre le consente di avere un trattamento particolare e l’angoscia della detenzione viene alleggerita dall’affetto delle altre detenute che le preparano da mangiare, le fanno trovare sempre la biancheria pulita. Le sua storia però è troppo singolare per poter essere archiviata come un fattaccio di cronaca nera. E il mito della donna del sud che vendica a revolverate il suo uomo, approda anche al cinema grazie a Francesco Rosi. Il regista che negli anni successivi firmerà capolavori come Mani sulla città, nel 1956 gira La sfida, film ispirato a Pascalone ’e Nola e a Pupetta. Nella pellicola si racconta l’ascesa di un giovane camorrista, Vito Polara (interpretato da José Suarez), che scala i vertici della camorra partendo dal controllo dei mercati ortofrutticoli. Con il passaggio nelle sale cinematografiche, la leggenda di Pupetta si consolida ulteriormente. Ma la popolarità che le regala il mondo della celluloide non cancella i reati. Nell’aprile del 1959 inizia il processo davanti alla Corte di Assise di Napoli per l’omicidio di Antonio Esposito. Il pubblico ministero Antonio De Franciscis apre la sua requisitoria dicendo: «Questo è un processo a un particolare ambiente sociale, dominato dalla sopraffazione di pochi. Pupetta è prigioniera di una causale della malavita. Non ha fondamento la tesi del delitto d’amore». I giudici non sono teneri come le sue compagne di cella e la condannano a 18 anni di carcere. In appello la sentenza è meno pesante: 13 anni e 4 mesi. Intanto nel gennaio del 1956 in carcere nasce il figlio concepito con Pascalone e che si chiamerà Pasquale, come il padre. Ma in famiglia lo ribattezzeranno subito Pascalino ’e Nola. Dietro le sbarre Pupetta resta fino al 1965, quando riceve la grazia. Ha 29 anni. Nel 1967 la sua vita sembra essere arrivata ad una svolta. Di mezzo c’è ancora il mondo del cinema, però stavolta è lei a diventare protagonista. Approfittando della fama che circonda la bella ragazza bruna, il regista Renato Parravicini le offre di recitare nel film Delitto a Posillipo – Londra chiama Napoli, un drammone lacrimoso con Giancarlo Del Duca, Ingrid Schoeller, Franco Ressel, Dina De Santis e Tullio Altamura. I risultati però sono assai modesti: la pellicola di Parravicini suscita poco entusiasmo tra gli spettatori e subisce l’impietosa stroncatura della critica. Ne Il Mereghetti – Dizionario dei film (Baldini e Castoldi), si leggerà:

    L’unica regia di un direttore di produzione partenopeo, autore anche della sceneggiatura, è un melodramma improbabile e sconclusionato, il cui solo interesse consiste nell’aver affidato a Pupetta Maresca un ruolo che ricorda le sue vere disavventure giudiziarie: una specie di mise en abyme in cui il riferimento, più che alla realtà, è all’ordine morale delle cose, come se si volesse riconfermare anche dallo schermo l’intrinseca onestà della donna accusata da una serie di ingiuste coincidenze. Doppiata nei dialoghi, la Maresca canta con la propria voce O bbene mio, da lei stessa scritta.

    La deludente esperienza cinematografica viene smaltita in fretta, anche perché c’è da allevare il piccolo Pasqualino che dopo essere nato e cresciuto in carcere dev’essere tenuto lontano da ogni tentazione. Invece di lasciarsi alle spalle l’ambiente che l’ha resa vedova ad appena 18 anni e cercare di costruirsi una nuova vita, Pupetta s’invaghisce di un uomo che ha molti punti in comune con il suo primo amore. È il 1970 e la sua nuova fiamma si chiama Umberto Ammaturo, rampante camorrista legato all’organizzazione guidata da Michele Zaza e Antonio Bardellino, che negli anni successivi diventeranno ospiti fissi delle patrie galere e delle cronache dei giornali. Ammaturo è brillante e carismatico, la sua fedina penale è già macchiata da un tentato omicidio. L’aitante Umberto, che dopo aver fatto il contrabbandiere di sigarette si è dato al traffico di droga, è reduce da un matrimonio fallito con la figlia di Felice Malventi, grossista di gelati e ben introdotto nel clan di Antonio Bardellino. La nuova relazione rende però infelice ed inquieto il piccolo Pasqualino, cresciuto nel mito del padre e affascinato dalle sue imprese da guappo di rispetto che non aveva paura di niente e di nessuno, come dimostra lo schiaffo rifilato a una stella di prima grandezza come Lucky Luciano. Il ragazzo è ancora poco più di un adolescente quando dimostra di non gradire la presenza in casa di un altro uomo. «È una mancanza di rispetto alla memoria di mio padre», dirà durante le numerose discussioni in famiglia. E l’erede di Pascalone ’e Nola non ha ancora 18 anni quando manifesta una personalità impulsiva e violenta, accentuata dalla frequentazione con gli zii materni, i lampetielli di Castellammare di Stabia. Il giovanotto scalpita per scalare la piramide malavitosa, è convinto che essere il figlio di Pascalone possa spalancargli le porte del crimine senza dover fare tutta la trafila per diventare un boss. Invece da quando il babbo è stato freddato al corso Novara sono trascorsi molti anni e la camorra è diventata un’organizzazione più complessa e meno tollerante nei confronti di chi si avventura in audaci iniziative personali, a prescindere dal nome che porta. Il 10 gennaio del 1974 Simonetti junior avrebbe compiuto 18 anni, ma la sua fugace carriera di aspirante boss viene stroncata otto giorni prima che possa festeggiare il compleanno. Pupetta Maresca deve fare i conti con un altro dolore: dopo aver perso il marito, perde anche il figlio. Il 2 gennaio del 1974 Pascalino ’e Nola sparisce dalla circolazione, negli ambienti della malavita napoletana tutti sanno che non tornerà mai più a casa perché è stato ammazzato. «Me lo hanno ucciso con due pallottole alla schiena, lo so. Perché?» (Marisa Figurato e Francesco Marolda, Storie di contrabbando).

    «Se sapessi chi l’ha ammazzato, mi farei giustizia da sola», aveva gridato all’indomani della sparizione del ragazzo. Ma uno dei maggiori sospettati dell’omicidio di Pasqualino è proprio Umberto Ammaturo, il suo compagno, che però sarà scagionato in un processo che si conclude con decine di assoluzioni per insufficienza di prove. Col passare del tempo, a Pupetta passa la febbre della vendetta e si rassegna: «La sola cosa che desidero è quella di ritrovare il cadavere del mio bambino. Sono stanca di piangere su una tomba vuota» (Sergio De Gregorio, op. cit.). Ma per lei i lutti non sono ancora finiti. Nel 1976 viene ucciso anche un suo nipote, Mario Simonetti, non ancora ventenne.

    Intanto la storia con Ammaturo è diventata importante, e dalla relazione con il suo nuovo compagno oramai proiettato ai vertici della camorra napoletana sono nati due gemelli, Roberto e Antonella. Ma quello con Umberto è un legame che si consuma in incontri fugaci. Ammaturo, infatti, è latitante. Dopo essere finito in galera perché sospettato di essere tra i responsabili della scomparsa di Pasqualino Simonetti, nel 1975 era evaso dal padiglione Palermo per detenuti dell’ospedale Cardarelli nel quale era stato ricoverato per una malattia. Arrestato nel marzo 1977 insieme con altre 40 persone, tra le quali il console di Panama a Napoli, Ana Diaz, perché coinvolto in un traffico di droga dal Sud America, era stato condannato a 18 anni di reclusione, successivamente ridotti a 11. Per i medici del manicomio giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, dove era stato successivamente ricoverato, non era sano di mente: c’è chi lo aveva definito «un soggetto schizofrenico con allucinazioni, chi uno psicotico con grave decadimento dell’istinto di sopravvivenza ed esplosioni incontrollate di violente cariche autolesionistiche» (Roberto Ciuni, Le macerie di Napoli). Dal manicomio se l’era squagliata dopo aver ottenuto una licenza di sette giorni. Il 7 dicembre del 1981 nei suoi confronti era stato emesso dalla Procura della Repubblica di Salerno un ordine di cattura con l’accusa di far parte del clan camorristico della Nuova Famiglia.

    Con il suo uomo perennemente in fuga, Pupetta Maresca cerca di condurre una vita normale, concentrandosi su due soli impegni: crescere i suoi figli e gestire due negozi di abbigliamento aperti al centro di Napoli. Ma in città e in provincia la situazione sta precipitando da quando sulla scena è entrato con prepotenza un certo Raffaele Cutolo, un camorrista di Ottaviano che tutti chiamano ’o professore perché ha il vezzo di arricchire i suoi discorsi con citazioni dotte. Cutolo è un sanguinario ed è a capo della Nuova Camorra Organizzata, un esercito che minaccia, spara e uccide chiunque osi mettersi sulla sua strada. Nell’ambito di una strategia finalizzata ad estendere il dominio in tutta la provincia, ’o professore ha dichiarato guerra pure ai lampetielli di Castellammare di Stabia. Nell’aprile del ’78 Ciro Maresca, fratello di Pupetta, è davanti al portone di casa quando due sconosciuti gli sparano addosso, ma sbagliano mira e lui resta illeso. Tre anni dopo Ciro viene arrestato dalla polizia, grazie ad una soffiata, e rinchiuso nel carcere di Poggioreale: la sua vita è in pericolo perché a Poggioreale comandano gli uomini di Cutolo che dietro le sbarre hanno già ammazzato diverse persone. Pupetta è allarmata per la campagna di violenza della Nuova Camorra Organizzata, lei stessa è stata minacciata da Cutolo. Ma nonostante ’o professore abbia ormai conquistato il dominio di Napoli e provincia, lei, da autentica donna d’onore, non ci sta a piegarsi di fronte al camorrista di Ottaviano. Una ritirata, anche se solo strategica, non si addice all’ex moglie di Pascalone ’e Nola che il 13 gennaio del 1982, il giorno di carnevale, convoca una conferenza stampa nella quale promette di rilasciare dichiarazioni sconvolgenti. Tuttavia il sospetto è che l’idea di utilizzare i mass media sia del suo compagno Umberto Ammaturo, al vertice del cartello della Nuova Famiglia che cerca di frenare l’irresistibile ascesa di Cutolo. Per lanciare un avvertimento al capo della NCO, Pupetta è l’ideale: quella donna dal passato turbolento e dalla vita che sembra un film, è una figura che ai cronisti piace molto, e c’è da scommettere che accorreranno in massa per sentire cosa ha da dire Madame camorra.

    L’incontro con i giornalisti si tiene al Circolo della Stampa, dove Pupetta si presenta come una di quelle dive imbolsite dall’età che ritornano sulla scena dopo un lungo periodo di inattività. E da autentica diva si fa attendere, presentandosi davanti a taccuini e telecamere esattamente un’ora dopo l’orario stabilito. Al Circolo, che è sulla Riviera di Chiaia, arriva in taxi, accompagnata dalla commessa di uno dei suoi negozi, e vestita in maniera un po’ pacchiana. Ecco come la descrive Sergio De Gregorio nel libro I nemici di Cutolo: «Pupetta indossa un completo di pelle ed una camicia notevolmente sbottonata. Capelli ben acconciati, pettinati a caschetto, circondati da un volgarissimo collo di pelliccia. Gli anelli tempestati di brillanti luccicano sotto i lampi dei flash e le luci delle troupes televisive».

    Poi a beneficio dei cronisti inizia lo show, non prima di aver bacchettato qualcuno dei presenti che parla ad alta voce.

    «Signori, per favore, un po’ di silenzio», urla Pupetta, «...se al posto mio ci fosse Cutolo, non stareste a fare tutto questo casino: già, di lui avete paura, lui vi tappa la bocca col piombo... La situazione si è fatta insostenibile. La Campania è soffocata da un potere occulto ma presente a tutti i livelli. È quello di Raffaele Cutolo, quel bastardo, e dei suoi killers sanguinari. Vogliono il comando a tutti i costi: o sei con loro o sei contro di loro. Cutolo vuol diventare l’imperatore di Napoli, e questa città soffre per colpa sua. I morti, il bagno di sangue a cui la gente sta assistendo inerte, sono dovuti alla megalomania di questo pazzo che vuole imporre la sua legge agli altri, anche a quelli che non c’entrano nulla con lui o con i suoi seguaci». E ad un giornalista che le chiede se parla a nome della Nuova Famiglia, risponde: «Parlo esclusivamente per me e per i miei familiari. Se Cutolo tocca qualcuno della mia famiglia, faccio ammazzare senza pietà donne e bambini... e poi, se per Nuova Famiglia intendete tutta quella gente che si difende dallo strapotere di quest’uomo, allora ritenetemi pure affiliata a questa organizzazione... E dite anche che non ho paura dei killer, che quando vogliono sanno dove trovarmi» (Sergio De Gregorio, op. cit.).

    Le parole di una vedova di camorra suscitano scalpore e fanno gridare allo scandalo mezza Italia, stupita di come si possa utilizzare la stampa per lanciare messaggi di morte ai nemici. Le violente polemiche sull’uso distorto dei media e sullo show di carnevale che lascia tutti a bocca aperta, non spaventano la vedova di Pascalone:

    Ripeterei quello che ho detto altre cento volte. Sono andata al Circolo della Stampa perché mi ci hanno invitata, ma la conferenza l’avrei convocata anche ai bagni pubblici se fosse stato necessario... Qui è questione di vita o di morte! C’è gente che scappa da quattro anni, che si nasconde sotto i colpi dei sicari... Vuole sapere se Cutolo è davvero tanto potente? Ha le spalle forti, è protetto in carcere e fuori. Ha amici potenti in politica, nelle amministrazioni, negli enti pubblici e privati. Ha informatori dappertutto: se ricevi una minaccia e la denunci alla polizia, dopo un quarto d’ora i cutoliani sono a casa tua per punire la spiata. In carcere quell’uomo lì è guardato a vista: oltre alla complicità dei direttori, può godere della protezione di decine di comparielli che si fanno trasferire qui apposta per stargli affianco (Sergio De Gregorio, op. cit.).

    A chi contesta le sue singolari prese di posizione, Pupetta rivendica il fatto di aver saldato il suo conto con la legge. «Ho sbagliato e ho pagato», dice, e ammette: «Mi piacciono le pellicce, i gioielli, mi piace pure frequentare la bella gente di questa città. Adesso, con l’aria che tira, ho ben altro a cui pensare... e poi, se appaio qualche volta vanitosa e spregiudicata, non è che una impressione: cerco di tenermi viva, perché le mie sofferenze non sono ancora terminate» (Sergio De Gregorio, op. cit.).

    Le esternazioni pronunciate dall’improvvisato pulpito al Circolo della Stampa non sconvolgono affatto Raffaele Cutolo. Il boss di Ottaviano reagisce a modo suo: in maniera gelida e sprezzante. E dopo aver letto le minacce della Maresca, prende carta e penna e scrive ai giornali una lettera dai toni distaccati, come a voler dimostrare che non ha paura di niente e di nessuno. Scrive il capo nella NCO in un italiano non sempre impeccabile:

    In data odierna ho letto su tutti i quotidiani nazionali il messaggio della signora Pupetta, cosa che mi ha meravigliato perché con tutti i suoi fratelli mi sono sempre stimato, anche se suo fratello Ciro lo accusano innocentemente per il vile attentato fatto alla mia abitazione, in quanto Ciro non avrebbe mai fatto una cosa così gravissima e infame, solo per puro miracolo non morirono i miei familiari, in genere composti da vecchi e bambini; tra l’altro in quella occasione erano ospitati ben 12 bambini, figli di amici terremotati. Mi meraviglia altresì che il Circolo della Stampa (un pubblico ufficio) è stato teatro di una malinconica sceneggiata. Con questo non desidero fare alcun commento da chi e perché è stata manovrata la signora Assunta Maresca che conosco molto bene. Ho anche pensato che la signora Pupetta vuole girare un altro film e cerca pubblicità... certo ha scelto il giorno giusto, e cioè carnevale... Questa è la prova di come ognuno attribuisce tutto a me e solo a me. Intorno alla mia figura hanno costruito un divismo, e gli abili funzionari della questura di Napoli vi costruiscono sopra dei bei romanzi... Mi attribuiscono gravi crimini, acerrime inimicizie con persone che non conosco e che non mi sono mai state vicine! Le sbandierate inimicizie con i cosiddetti anticutoliani sono, a mio modesto avviso, utili e necessarie per perorare le facili ed entusiasmanti recriminazioni del questore, il quale, attraverso i suoi almanacchi, scambia la verità con la certezza. Appassionato fino al delirio costruisce idoli di cartapesta, chiamandoli miei nemici o anticutoliani. Se va avanti con queste affermazioni, prima o poi (vedrete!) a suo dire sarebbe anticutoliano anche San Gennaro che poi, detto in confidenza, se potesse schierarsi con qualcuno si metterebbe dalla parte mia... Io non mi definisco un criminale, i criminali sono fuori dalle patrie galere, in ceti riveriti ed ossequiati. Io non voglio la guerra, la gente vuole la pace... E io mi sento un uomo che divide le sue miserie con quelle dei più abbisognevoli e dei più emarginati. A me si rivolgono quelli dimenticati da Dio e dagli uomini, le cui speranze sono strozzate dalla miseria... E io sarei il criminale? Ormai in Italia se la prendono tutti con me. Darebbero la colpa a Cutolo anche se eruttasse il Vesuvio. Figuratevi che hanno ordinato perquisizioni nella mia cella perfino a proposito del rapimento del generale americano Dozier... La signora Maresca avrebbe fatto bene ad occuparsi dei suoi negozietti di abbigliamento, invece di fare le sbruffonate che ha fatto. Se la poteva prendere con i politici corrotti, con i giudici che non fanno i processi, con i delinquenti veri, e invece punta la sua attenzione sul sottoscritto. È nient’altro che una isterica (Sergio De Gregorio, op. cit.).

    Le esternazioni della donna non producono gli effetti sperati. La NCO continua la sua guerra sanguinaria contro i nemici della Nuova Famiglia e, mentre l’odiato Cutolo diventa sempre più forte, Pupetta finisce nei guai. Quasi due mesi dopo la sceneggiata con i giornalisti, il giudice istruttore Alfonso Stravino la accusa di omicidio volontario. Secondo il magistrato, insieme con Umberto Ammaturo e alcuni pregiudicati appartenenti al clan della Nuova Famiglia, avrebbe partecipato all’omicidio di Ciro Galli, di 29 anni, avvenuto nel settembre del 1981. Galli era stato assassinato a Castellammare di Stabia, all’interno del circolo ricreativo Marco Polo: i killer avevano fatto mettere tutti faccia al muro e sotto gli occhi dei genitori del ragazzo – che erano nel circolo – lo avevano ucciso con un colpo di pistola alla testa. Durante le indagini, la madre del giovane, Fortuna Narretta, aveva dichiarato agli inquirenti che nei giorni precedenti al delitto, la Maresca era andata da lei per invitarla a dire al figlio Ciro e ad altri cutoliani, suoi amici, di non minacciare la famiglia Maresca, cioè i parenti della stessa Pupetta.

    Ma oltre che con i lutti e le disavventure giudiziarie, Pupetta deve fare i conti con altre sofferenze. Come quella che le piomba addosso all’alba del 12 giugno, quando i carabinieri fanno irruzione in una palazzina di viale Colli Aminei, nella zona collinare della città. I militari entrano nell’appartamento per arrestare Umberto Ammaturo, ma a sorpresa scoprono che insieme al superlatitante c’è anche la sua fedele compagna. Pupetta Maresca indossa un pigiama di seta verde ed ha i capelli raccolti all’indietro. Prima di farsi ammanettare, Ammaturo implora i carabinieri di non arrestarla: «Lei non è colpevole di nulla, è solo la madre dei miei figli, dovete lasciarla in pace» (Sergio De Gregorio, op. cit.). Sembra la scena melodrammatica di un mediocre film d’amore, invece è l’ennesima batosta per Madame Camorra. L’ennesima, ma non l’ultima. Perché Pupetta Maresca resta in libertà solo un altro mese. Il 13 luglio viene arrestata nella sua abitazione di via Tiberio, nel quartiere di Fuorigrotta: per non farsi riconoscere è tornata a casa vestita da zingara. Addosso ha assegni per un valore di circa 400 milioni di lire. Secondo gli inquirenti stava per scappare perché aveva saputo che l’avrebbero arrestata: la Procura aveva emesso un mandato di cattura per lei e per il suo Umberto, accusati di aver organizzato l’omicidio del criminologo Aldo Semerari, la cui testa era stata trovata in una bacinella all’interno di un’auto parcheggiata nel centro di Ottaviano: il corpo era chiuso nel bagagliaio. Semerari, secondo la Nuova Famiglia, era colpevole di aver firmato troppe perizie psichiatriche favorevoli al capo della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo.

    Pupetta Maresca risulterà innocente, ma intanto sarà costretta a rinunciare all’uomo che nel suo cuore aveva presto il posto di Pascalone ’e Nola. Ammaturo scappa dal soggiorno obbligato di Mondovì, in provincia di Cuneo, per rifugiarsi in Sud America dove trova alleati preziosi negli ambienti della mafia siciliana che traffica in droga e che ha stretto un patto con esponenti della camorra, a partire da Antonio Bardellino.

    Ammaturo si destreggia, viaggia dal Perú al Cile, dal Cile alla Colombia, al Brasile, all’Uruguay. In Brasile l’arrestano e riesce ad evadere. Trascorre sei anni mettendo insieme una fortuna: una tenuta nello stato brasiliano di San Paolo, proprietà immobiliari in Perú e Colombia, partecipazioni nel Senegal e in Uruguay. Altro che seminfermo di mente: a dimostrazione di quant’è abile, appena l’hanno arrestato l’ultima volta e ha capito di non avere più scampo, s’è messo nelle mani dei poliziotti italiani accettando di cantare (Roberto Ciuni, op. cit.).

    Con la latitanza di Ammaturo tramonta l’epopea di Pupetta Maresca come donna di camorra. Il suo nome, però, continua a comparire sulle cronache dei giornali anche se per vicende minori. La vedova di Pascalone ’e Nola resta invischiata in fatti di cronaca che offuscano non poco l’immagine di femmina d’onore. Il 12 febbraio del 1985 la quinta sezione penale del Tribunale di Napoli la condanna a tre anni di carcere per aver sottratto dei titoli di credito per 600 milioni di lire alla Banca Stabiese.

    Ma per Pupetta non ci sono solo gli schiaffi della giustizia. Nel marzo del 1985 il tribunale decide di mandarla al soggiorno obbligato a Sarnano, in provincia di Macerata, ma il consiglio comunale si ribella e vota un ordine del giorno con il quale rifiuta formalmente di ospitare un personaggio che si è macchiato di reati gravissimi. Secondo gli amministratori del comune marchigiano, una presenza così ingombrante rischierebbe di turbare le condizioni di vita locali e pregiudicherebbe la buona immagine della città.

    Quasi dieci anni dopo, siamo nel maggio del 1994, Pupetta Maresca viene denunciata dalla polizia per usura e ricettazione insieme con il suo nuovo convivente, Antonio Troncone, impiegato in un’esattoria. Gli agenti del commissariato di Sorrento, perquisendo l’abitazione della coppia in via Pietà, trovano cambiali, assegni, ricevute del banco di pegni e gioielli per un valore complessivo di circa 100 milioni.

    Un mese più tardi il nome di Pupetta passa dalle pagine della cronaca nera a quelle degli spettacoli. Dopo una lunga vertenza giudiziaria, la prima sezione del Tribunale civile di Roma stabilisce che può andare in onda nella sua versione integrale un film televisivo prodotto nell’83 dalla Rai su Pupetta Maresca, interpretata da una giovanissima Alessandra Mussolini. La giustizia civile dà torto alla vedova di Simonetti che con una istanza al pretore aveva impedito la trasmissione del film ritenendo che alcune scene fossero lesive del suo onore e non corrispondenti alla realtà. Il pretore aveva subordinato la messa in onda al taglio di alcune scene e alla riscrittura di alcuni passaggi della sceneggiatura. Nonostante ciò, nella sentenza il magistrato aveva espresso lusinghieri giudizi sulla Mussolini: «giovane e bellissima attrice che fa emergere il ritratto di una persona fedele all’immagine del marito ucciso spinta irresistibilmente a farsi vendetta da sola» (Ansa, 6 giugno 1994).

    Pupetta torna alla ribalta nell’estate del 2000, quando denuncia di essere stata truffata di una vincita di 21 miliardi al Superenalotto. In un esposto ai carabinieri di Castellammare di Stabia accusa il suo factotum, Giovanni Boscaglia, di averle sottratto la schedina vincente giocata in una ricevitoria del corso Umberto, a Napoli. Boscaglia, dietro le insistenze della donna, avrebbe dapprima sostenuto di aver vinto solo un quarto del premio, attraverso una caratura, poi si sarebbe convinto a consegnare la metà della somma con un accordo presso un notaio di Castellammare di Stabia. In base all’accordo Boscaglia avrebbe dovuto consegnare il biglietto vincente al notaio il quale avrebbe poi provveduto a incassare l’assegno e a distribuire il denaro in parti uguali. Le indagini stabiliranno che la storia della vincita Boscaglia se l’era inventata.

    Intanto la giustizia non l’ha mai persa d’occhio. I magistrati le confiscano tre appartamenti perché sarebbero stati acquistati con denaro di provenienza illecita e li assegna al comune di Napoli che li metterà a disposizione di alcune associazioni di volontariato. La decisione dei giudici provoca la rabbiosa reazione della donna che nega di aver mai adoperato danaro di dubbia provenienza. «Quegli appartamenti li ho comprati a prezzo di sacrifici. La decisione del comune è ingiusta: vogliono ottenere solo pubblicità sui giornali grazie al mio nome. Se quello che i giudici affermano fosse vero non avrei il coraggio di guardare in faccia i miei figli. La verità è che se ci tolgono quelle case, non ci rimarrà più nulla» (Ansa, 23 maggio 2003). Pupetta perde la battaglia contro il comune che un mese dopo prende possesso del primo immobile, un’abitazione in via Tiberio 46, che viene destinato a centro polifunzionale per i giovani e che ospiterà attività culturali di contrasto alla tossicodipendenza.

    La vendetta al corso Novara, il dolore per la scomparsa di Pasqualino, il film Delitto a Posillipo, la love story con il narcotrafficante Ammaturo e gli show nelle conferenze stampa: tutto diventa solo un ricordo, immagini sbiadite di un’esistenza tumultuosa e sofferta ma oramai lontanissima nel tempo. Da diversi anni di lei non si hanno più notizie, si sa che è andata a godere una vecchiaia tranquilla in un paesino della costiera sorrentina.

    II

    Il mostro di via Caravaggio

    Ottobre 1975. Da giorni c’è un telefono che squilla a vuoto in un appartamento al quarto piano di una palazzina di via Caravaggio, al civico 78, nel quartiere Vomero. Il telefono che trilla a tutte le ore è quello della famiglia Santangelo. Stranamente in casa non c’è nessuno, eppure il signor Domenico, la moglie Gemma Cenname e la figlia Angela non vanno quasi mai da nessuna parte. Stavolta, però, saranno senz’altro partiti per una vacanza, visto che nel parcheggio condominiale da oltre una settimana non c’è la loro Fulvia amaranto. Nessuno li ha più visti dalla sera del 29 ottobre, però quasi nessuno si è interrogato più di tanto per la lunga e insolita assenza di persone abituate a farsi gli affari propri e a dare quel minimo di confidenza tipico di chi spera di essere trattato con uguale riservatezza.

    Ma chi sono i Santangelo? Una famiglia tranquilla, con una vita uguale a quella di tante altre, per certi versi anonima, come il condominio in cui abitano. I Santangelo non si sono mai fatti notare troppo e nessuno è mai riuscito a capire chi e cosa si nasconda dietro quella scorza fatta di buone maniere e poche parole. Non è che i vicini di casa abbiano mai voluto ficcare a tutti i costi il naso nei loro affari, ma con Domenico, Gemma e Angela è sempre stato difficile andare anche solo un po’ oltre i rapporti formali. Ma che la discrezione talvolta sia sfociata in una tenace difesa della privacy se ne sono accorti pure i parenti, che sanno poco o nulla di quella famigliola.

    Domenico Santangelo è un uomo dai modi garbati, ostenta un’aria nobile d’altri tempi che però fa a pugni

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