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E nondimeno l'anarchia
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E nondimeno l'anarchia

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Società e scienze sociali - saggio (29 pagine) - Dall'esperienza anarchica della Spagna degli Anni trenta a un possibile anarchismo del ventunesimo secolo.


“L’anarchia costruisce un’alleanza tra desiderio e volontà. È una sutura, non una rottura. È un ordine strepitoso, non un ordinamento micidiale. Mira a creare un divenire comune delle unicità, non a produrre un senso unico della comunanza, della comunità. Non è sociale, bensì amicale, in quanto pone l’amicizia e l’affetto al di sopra della violenza che ci tocca affrontare e assumere. Non è semplicemente radicale, ma anche inseminante, ramificata, fruttifera, rampicante, sporifera”.

In questo breve saggio di Carmine Mangone, autore poliedrico e profondo analizzatore delle avanguardie politiche e culturali del Novecento, potrete trovare una lettura dell’esperienza anarchica forse più conosciuta, quando nella Spagna degli anni ‘30, afflitta dalla guerra civile e da grandi sommovimenti sociali, si sperimentò la possibilità di fare a meno di Stato e capitale. La sconfitta cocente che ne derivò ha messo in crisi l’anarchismo storico di matrice ottocentesca, ma non ha inficiato gli sviluppi e gli innesti ancora possibili dell’idea positiva d’anarchia. Partendo dall’esperienza spagnola di Simone Weil, Mangone crea un percorso originale nel tentativo di superare, non solo teoricamente, la sterile dicotomia tra comunità e individualità.


Agitatore poetico e punk anarchico, Carmine Mangone è nato incidentalmente a Salerno nel 1967 e vive solitario (ma non isolato) tra le colline del Cilento. Tra le sue ultime pubblicazioni: Nostra poesia dei lupi (Nautilus, 2022); Glisser une main entre les jambes du destin (Asinamali, 2019); L'insurrezione che è qui. Max Stirner e l'unione dei godimenti (Gwynplaine, 2017).

LinguaItaliano
Data di uscita26 lug 2022
ISBN9788825421361
E nondimeno l'anarchia

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    E nondimeno l'anarchia - Carmine Mangone

    E nondimeno l’anarchia

    Simone Weil – uno di quei rari spiriti che inseguono senza posa una soluzione umana e generale ai problemi posti dalla mortalità – varca la frontiera spagnola a Port-Bou l’8 agosto 1936, a circa tre settimane dal colpo di stato militare contro il Frente Popular andato al governo con le elezioni del febbraio precedente.¹

    Il 17 luglio, una giunta nazionalista guidata da alcuni generali (tra cui Emilio Mola e Francisco Franco) si era infatti sollevata contro il governo democratico della Seconda Repubblica, incontrando però fin da subito, in diverse regioni, una decisa resistenza armata da parte delle masse proletarie, specialmente in Catalogna, dov’erano state determinanti, nei primi giorni del conflitto, la forza numerica e la radicalità del sindacato anarchico CNT [Confederación Nacional del Trabajo].

    L’opposizione popolare ai golpisti porterà da un lato all’innesco di alcuni processi rivoluzionari e autogestionari di matrice comunista libertaria, soprattutto in Catalogna e Aragona, e dall’altro a una sanguinosa guerra civile che si protrarrà per ben tre anni, fino alla primavera del 1939.

    Ufficiosamente, Simone Weil arriva in Spagna come giornalista. In realtà, ha tutta l’intenzione di partecipare al vivo delle lotte.

    In un primo momento contatta i vertici del POUM, un piccolo partito marxista antistalinista, col piano d’infiltrarsi nella zona franchista per indagare sulle sorti di Joaquín Maurín, segretario del partito, di cui non si hanno più notizie dal momento del golpe. Il suo aiuto viene però decisamente rifiutato. Finisce allora per aggregarsi, alcuni giorni dopo, a un gruppo di volontari internazionali che combatte fra le fila della colonna miliziana diretta da Buenaventura Durruti, figura leggendaria dell’anarchismo iberico.²

    All’epoca, Simone ha ventisette anni e va urtando da tempo contro gli spigoli delle contraddizioni sociali. Appartenente a un’area rivoluzionaria non allineata ai diktat sovietici, conserva una lucidità esemplare, sempre propositiva, in un’inquietudine critica che le fa rifiutare, non senza un tenero puntiglio, ogni facile adeguamento alle ideologie progressiste dell’epoca.

    Appena due anni prima, mettendo in gioco anche le proprie aporie esistenziali e politiche, proprio lei che si porterà in giro per un’intera vita un oltranzismo del cuore, aveva scritto: «(…) sotto pena di sprofondare nello smarrimento o nell’incoscienza, si deve rimettere tutto in questione. (…) Soltanto dei fanatici possono attribuire valore alla propria esistenza unicamente nella misura in cui essa serva una causa collettiva; reagire contro la subordinazione dell’individuo alla collettività implica che si cominci col rifiuto di subordinare il proprio destino al corso della storia. Per decidersi a un simile sforzo di analisi critica basta aver compreso che esso permetterebbe, a chi vi s’impegnasse, di sfuggire al

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