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P&m - parassiti e mestatori
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P&m - parassiti e mestatori
E-book237 pagine3 ore

P&m - parassiti e mestatori

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Info su questo ebook

Il libro analizza il processo di involuzione del mondo antico, dominato da Roma confrontandolo con quello in atto nel mondo moderno occidentale, ancora dominato dagli Stati Uniti d’America. Tale analisi porta alla conclusione che le cause di degenerazione di entrambi, rapportate ai tempi, sono analoghe. Ne deriva che anche il sistema definito “Impero americano” è destinato al crollo, in assenza degli indispensabili cambiamenti che mancarono all’Impero romano. Viene indagato il percorso che ha compiuto quest’ultimo dalla sua formazione, con la instaurazione della sana repubblica, all’autocrazia imperiale, estremo rimedio al caos che si era creato, fino alla sua disintegrazione. L’Impero americano è studiato partendo dalla situazione italiana, la più grave, rilevando le incapacità ed il malaffare che hanno finito per dominarvi. Ma non è solo l’Italia ad essere afflitta da tali forze distruttive, che si stanno estendendo al resto dell’Europa ed al Nord America, mano a mano che cresce il peso e quindi il potere della moltitudine dei parassiti e mestatori. Questi minano ogni società, depredandone progressivamente le risorse, non curandosi delle conseguenze, dalle quali anch’essi saranno travolti. Il confinamento entro limiti sopportabili del loro potere è l’unico mezzo di difesa possibile, che si traduce, logicamente, nella riduzione, al minimo grado, di ogni apparato pubblico, di ogni burocrazia, in ultima analisi della intermediazione dello stato, di cui parassiti e mestatori si alimentano.
LinguaItaliano
Data di uscita11 dic 2013
ISBN9788868853761
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    P&m - parassiti e mestatori - Giancarlo Giotto

    P&M

    parassiti e mestatori

    dalla Roma Imperiale all’Impero Americano

    LA (QUASI) IRRESISTIBILE FORZA DEBOLE

    DISTRUTTRICE DELLE SOCIETA’

    PREFAZIONE

    Le pagine che seguono traggono origine da discorsi fatti dalla metà degli anni ’80 nell’ambito di amicizie nate ai tempi del liceo e dell’università e con stimati giornalisti, uno dei quali fu anche costituente.

    Il paese, abituato ad una politica oppizzante degli anni precedenti, con una conduzione dell’economia già allora chiaramente insufficiente (il perpetrarsi della quale non poteva che portare al disastro, sia pure in tempi non brevissimi) fu, in quegli stessi anni, come elettrizzato dall’avvento sulla scena politica della nuova generazione socialista, che prese la conduzione del partito e contemporaneamente dilagò in tutti i posti di potere pubblico, occupandone un numero spropositato, rispetto al peso elettorale che il partito allora aveva, con propri fedelissimi.

    Questi (in maggioranza meno che quarantenni) ne attuarono la linea politica con estrema aggressività, alla maniera mussoliniana (o comunista): o con me o contro di me, senza rispetto alcuno per anzianità, competenze, professionalità degli altri.

    I valori etici fino a quel momento, seppure mortificati, ancora sostenuti da una parte parlamentare ancora consistente ed ancora vivi in gran parte della gente, ebbero un colpo mortale.

    Sembrava che il paese dovesse rassegnarsi, oltre che al malaffare della politica (come se questo dovesse essere una normalità) anche ad un’idea di modello di vita avente come base non principi morali ma il soldo, fatto con qualunque mezzo e sguaiatamente esibito.

    A ben guardare, segnali di questa degenerazione si potevano cogliere anche al di là dei confini nazionali, anche se ancora molto circoscritti.

    Prese allora il via l’idea di stendere una specie di diario per fissare a propria futura memoria i fatti che mano a mano accadevano e non scordarsi i motivi che avrebbero portato ai cambiamenti di cui in futuro ci si sarebbe probabilmente dovuti dolere.

    Nel contempo, osservando via via analogie sempre più evidenti tra quello che accadeva e quello che era già accaduto nel mondo antico romano, questa specie di diario prese la struttura di un parallelismo tra i processi evolutivi ed involutivi del mondo antico, dominato da Roma e quelli del mondo moderno, dominato dall’America, cioè dagli Stati Uniti d’America.

    Ma questo piccolo promemoria, più che a ricordare ciò che è accaduto a chi lo ha vissuto, può servire da spunto e stimolo per le nuove generazioni ad informarsi, a valutare la pericolosità della superficialità, a crearsi gli strumenti per non farsi imbrogliare da chi è sempre in agguato per trascinare gli altri su percorsi utopistici ed illusori, nel nome di malintesi principi morali (così come furono tentate le generazioni protagoniste dello sfascio) e da chi, privo di professionalità e competenze, riesce a vivere sulle spalle degli altri grazie al potere che una società, in cui l’intermediazione dello stato è dilagante, rende facilmente accessibile a chi è più spregiudicato.

    1. PREMESSA

    Il nostro tempo, la nostra esperienza quotidiana, ci pone continuamente a confronto con una società che ci appare notevolmente malata.

    Basta leggere un quotidiano per rendersi conto del grado di malessere generale in cui si dibatte il nostro paese, dalla dilagante corruzione di chi esercita pubblici poteri, all’arroganza di imprenditori privi di etica.

    Le notizie positive sono marginali e rare. Se questa è la situazione italiana, a ben vedere quella degli altri Stati occidentali non sembra migliore di molto.

    La civiltà occidentale che è stata fino al giorno d’oggi il migliore esempio di applicazione pratica dei diritti fondamentali dell’uomo in termini di godimento della libertà ed uguaglianza nell’applicazione del diritto,  sembra entrata in un processo di forte involuzione.

    In effetti il mondo ha vissuto da millenni attraverso un perenne alternarsi di epoche illuminate ed epoche oscure, di profonda crisi morale ed economica.

    Già nell’antica Grecia, Esiodo (1), riferendosi al suo tempo, paragonato alle precedenti mitiche età  (dell’oro ecc..) ne fa un quadro desolante: « il presente è malvagio: i giudici si fanno corrompere e disonorano la giustizia; quelli che sono al potere si burlano delle proteste delle loro vittime, come il falco nella favola, degli stridi dell’usignolo». Siamo nell’ottavo secolo A.C..

    Le cause di questo alternarsi sono complesse, almeno paiono tali.

    Forse è però possibile che esista per esse una radice fondamentale che le scateni nei vari campi dell’azione umana, ove ognuna finisce per condizionare l’altra, che spieghi in misura ragionevolmente soddisfacente cosa muove alla radice il cosmo umano.

    E se fosse individuabile, come definire questo fattore basilare, che spingerebbe all’azione positiva e creatrice, ovvero ad un atteggiamento negativo e distruttivo?

    Nei secoli questo fattore è stato continuamente oggetto di speculazioni in campo filosofico e di rivelazioni in campo religioso: l’antitesi tra bene e male, la natura duale del cosmo, la lotta escatologica tra i figli della luce ed i figli delle tenebre ecc…

    Si potrebbe osservare che esso non varia nella sostanza nel tempo, ma si esplica in varie forme al variare della società.

    Proviamo allora ad analizzare queste forme nella società di oggi.

    Negli anni ciascuno di noi è portato a studiare i comportamenti propri e degli altri nella vita di relazioni, nel mondo del lavoro, nei rapporti sociali.

    Chi approfondisce di più la cosa è naturalmente indotto a fare collegamenti col presente ma anche col passato, anche remoto.

    Certamente la conoscenza della storia dà a tali analisi un prezioso supporto e conduce per mano alla riscoperta dei corsi e ricorsi alla Giovan Battista Vico (2): il comportamento dell’uomo nella vita di relazioni col suo prossimo non è cambiato affatto da quando è nata la prima società di uomini che ha lasciato scritti e probabilmente anche prima.

    Già Cicerone diceva più di duemila anni fa che la storia è maestra di vita e lo è ancora di più oggi.

    La lotta per il potere dell’epoca romana a cavallo tra la fine della repubblica e l’inizio dell’impero, fu sì costellata di fatti di sangue, ma solo come mezzi estremi connessi con quella società, perché fini, modo di pensare, tradimenti, ipocrisie, falsità, sono gli stessi dei rapporti di potere di oggi.

    Che nel mondo convivano in costante scontro il bene ed il male risulta evidente ogni giorno e, si può dire, in ogni forma di relazione sociale.

    Le conseguenze si riflettono sia nel rapporto quotidiano con gli altri, sia nel rapporto quotidiano col il contesto ambientale nel quale viviamo.

    Quest’ultimo denuncia costantemente l’involuzione culturale che pochi provocano e molti patiscono.

    Ovunque ne possiamo amaramente vedere esempi.

    Consideriamone un primo, apparentemente poco rilevante: il degrado di un piccolo centro vicino a Roma: Orte (3). 

    Paese dell’alto Lazio di origini antichissime, domina su un tamburo di tufo uno dei meandri del Tevere, da cui presumibilmente trae la ragione della sua fondazione, quale forte postazione di controllo della via fluviale (come Guardea, l’antica Guardia Tiberis, e tante altre); assomiglia ad una piccola Orvieto, un tempo deliziosamente incastonata nel mare di verde da cui sorge.

    Da qualche anno il declivio naturale del terreno, che materializza una rampa di attacco dalla pianura alla rocca preistorica, poi etrusca, romana, medievale, è spezzato a mezza costa da una imponente costruzione recente, di gran lunga più alta di tutte le costruzioni esistenti sia sulla pianura che sulla rocca, di cui lambisce il piano.

    La prima riflessione che può sorgere nella nostra mente è che questo abominio (incomprensibile, visto l’ampio spazio libero nella pianura circostante, ove infatti si è sviluppata l’edilizia moderna) sia sicuramente stato realizzato con un regolare permesso edilizio, pur essendo palesi sia la sua bruttezza in assoluto, sia soprattutto la sua incompatibilità con il contesto in cui è stato inserito, che è un amalgama, forse non voluto ma notevole, di natura, arte e storia.

    Dopo questa considerazione è facile pensare che l’abominio visto sia certamente il risultato di un processo sinergico negativo, il risultato di un incontro tra chi ha concepito e poi costruito e chi doveva approvarne la realizzazione e lo ha fatto.

    Appare allora però pure subito chiaro che la sola speculazione non possa esserne stata la causa prima, la molla che ha spinto tutto all’origine: alla radice dell’affare ci doveva essere un processo più intimo, un elemento più complesso: la speculazione deve essere stata cioè un effetto, non una causa.

    Tale elemento è nella sostanza del modo di vivere: un modo di considerare la vita in tutti i suoi aspetti: dai rapporti familiari, a quelli con gli amici, nel lavoro, nella società, nella politica, proprio di una (purtroppo sempre più ampia) schiera di uomini che si potrebbero definire distruttivi, mestatori per natura, in contrapposizione con i creativi, intimamente corretti e sociali.

    Questi ultimi nella propria configurazione genetica hanno avuto la fortuna di essere immuni da questa tara negativa, tara che in ultima analisi potremmo sintetizzare con la propensione al parassitismo che possiamo qualificare meglio come parassitismo sociale.

    Il parassitismo è presente in natura in ogni forma di vita, che per esistere dipende dalla possibilità di nutrimento e questo si ricava dalla vita stessa; specie nel mondo animale ogni individuo o vive a spese di un altro (si veda la vita marina, tanto spettacolare quanto violenta: meno male che i pesci non gridano, sarebbe terrificante) o del mondo vegetale: dai micro parassiti che si insinuano negli organismi più grandi sottraendone energie, ai grandi predatori come i rettili, i felini, all’uomo stesso.

    L’uomo (che non è stato il solo) nel tempo si è organizzato socialmente per aumentare la propria capacità predatrice, garanzia del proprio sostentamento; questo ha comportato una suddivisione dei ruoli e quindi lo sviluppo di un senso di responsabilità e di dovere di onestà nei confronti del clan.

    Se questo fosse venuto meno (se si fosse cioè insinuata l’idea di sfruttare il lavoro degli altri componenti del clan) la caccia sarebbe stata meno fruttuosa e la possibilità di sostentamento diminuita, al limite fino a conseguenze tragiche.

    Nel tempo il termine caccia si è trasformato in lavoro od economia ma l’effetto ultimo del parassita è il medesimo: il collasso del clan.

    In altri termini il grado di sviluppo e benessere diffuso di una società è inversamente proporzionale al grado di sviluppo del parassitismo: se quest’ultimo cresce oltre una misura assorbibile, col tempo la società degenera fino ad implodere.

    Il grado di sviluppo del parassitismo è ovviamente dovuto sia al numero dei soggetti parassiti, sia soprattutto alle capacità ed intelligenza di molti di loro, purtroppo (per gli altri) male impiegate. 

    Anche il parassita, oltre ad operare in proprio si organizza in strutture corporative, identificabili di volta in volta in settori interni a partiti politici, in blocchi di potere militare-industriale, in associazioni pseudo etico-religiose, nella grande finanza ecc…tutte finalizzate all’ottenimento del massimo arricchimento senza merito, a spese altrui.

    Analizzando la storia per prima, poi la vita contemporanea (diciamo dagli anni ’60 ad oggi) si può sempre rilevare alla base di tutte le storture, della incompatibilità con la corretta vita di una società sana, lo stesso fattore, padre di tutte le aberrazioni che non ne costituiscono che la manifestazione, l’effetto, sia pure multiforme.

    Per parassitismo sociale si intende quindi lo sfruttamento degli altri e delle circostanze da parte di chi mette in campo un atteggiamento mentale volto a vivere (crescere, arricchirsi, ecc..) ottenendo il massimo con il minimo sforzo possibile, a spese di qualcun altro.

    Realizzare qualcosa cercando di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo non può per certi versi che essere una aspirazione più che legittima.

    Ciò è vero però quando il risparmio energetico non avviene a spese di altri: e questo è il punto: si può facilmente constatare che tutte le volte che invece è così, oltre che inaccettabile ed ingiusta, l’azione che si compie si riduce poi in un costo generale, che anche l’attore finirà in qualche misura per pagare, forse anche inconsapevolmente: il guadagno di un’azione da parassita si risolve sempre in un danno sociale.

    L’esempio di Orte è emblematico: una speculazione derivata sicuramente dall’avere seguito la via più facile ha causato un grave danno al paesaggio, rovinato un pregevole sito storico, inutilmente imbruttito.

    A ciò si aggiunga che da un punto di vista strettamente tecnico, la costruzione al tamburo di tufo su cui si appoggia la cittadina qualche problema lo darà in futuro, giacché le sue fondazioni creeranno modifiche alla circolazione delle falde acquifere di superficie, favorendo concentrazioni di azione di erosione, per non parlare delle azioni sismiche, che la considerevole massa del fabbricato convertirà in rilevante forza tagliante a mezza costa, non certo salutare per il delicato equilibrio statico del tufo.

    Chi pagherà i danni conseguenti, sicuramente di gran lunga superiori sia ai benefici conseguiti dagli speculatori, sia ai costi che gli speculatori medesimi avrebbero dovuto sostenere per costruire in modo diverso, in altro sito?

    Seguire questa seconda strada, al momento sarebbe stato certamente più complicato, (probabilmente comportando l’acquisto di un nuovo terreno, l’attesa di una variante di piano regolatore, la rinuncia a parte della cubatura ecc…).

    Ma il parassita mestatore cerca la via più facile e redditizia, ha una visione corta e non si cura certo delle conseguenze delle proprie scelte.

    Stessa sorte accomuna Orte a tante altre località di assoluto pregio come Pienza, Tarquinia, Castel del Monte, la blasonata Capalbio; anche qui le costruzioni moderne (pretenziosi comprensori con piscine) sono state realizzate in parte anche a ridosso del centro antico, comunque rovinando lo splendido antico isolamento di cui questo godeva,  piuttosto che sfruttare l’ampissima disponibilità di spazio alternativo dei dintorni, a debita distanza.

    La situazione delineata in un caso tutto sommato di dimensioni circoscritte, la possiamo ritrovare tal quale in dimensioni ben più grandi, nella cementificazione scriteriata delle coste, così come nello sviluppo di crescita di molte grandi città.

    Che dire, ad esempio, dello scellerato sviluppo edilizio di Roma, che avrebbe meritato ben di meglio?

    L’abominio è cominciato già lontano nel tempo, dalla breccia di Porta Pia (4). Vari intellettuali, viaggiatori dell’ottocento, ultimi affezionati del classico Gran Tour, giudicarono la Roma nuova Capitale d’Italia come una bella donna che ingrassa.

    Oggi la bella donna è sfigurata dall’oppressione di milioni di metri cubi di case, molte delle quali inutili (o meglio utili solo per le speculazioni finanziarie dei costruttori collusi con banchieri) che si continuano a costruire sparpagliate sul territorio in modo isotropo, ovvero a macchia d’olio, senza un sano criterio urbanistico, a soddisfare tutti gli appetiti di politici e speculatori privi di ogni senso di civiltà, che fanno pagare il loro guadagno a tutti quelli che cercano di muoversi in città, su una viabilità insufficiente per mancanza di spazi ad essa riservati, che girano lo sguardo e vedono solo penosi palazzoni, tutti attaccati, senza il rispetto di uno sfondo.

    Si continuano a riempire perfino i pochi spazi rimasti miracolosamente liberi da costruzioni in zone centrali, nelle quali vengono così aumentati traffico e carichi urbanistici, già critici.

    Il Piano Regolatore del 1962-65 fu faticosamente approvato dopo l’espletamento di complesse ed interminabili procedure tra comitati, commissioni, ministeri ecc…per mediare le varie pressioni, al termine delle quali si riuscì comunque a salvare almeno parte degli apprezzabili dispositivi originari che pure c’erano (anche se la sua impostazione generale non era certo delle migliori) (5).

    Ma esso è stato poi stravolto da numerose varianti, con le quali si è dato il via ad ulteriori espansioni scriteriate di volumetrie abitative, facendone fallire l’originale disegno urbanistico (non isotropo) con la conseguenza, tra l’altro, della perdita degli spazi funzionali alla realizzazione del cosiddetto Asse Attrezzato, poi denominato SDO o Sistema Direzionale Orientale, ottima previsione che la ferma opposizione della burocrazia romana è riuscita a cancellare.

    E’ rilevante che anche i piani regolatori precedenti avevano subìto la stessa sorte: si veda ad esempio quello del 1883 che aveva previsto di conservare alcune delle antiche ville principesche a ridosso delle mura aureliane, previsione presto annullata da una serie di convenzioni di variante, sottoscritte con spregiudicati affaristi (ignobili nobili proprietari dei terreni alleati con ignobili tecnici comunali ecc…) che suscitarono l’indignazione e la opposizione, peraltro senza risultati, di molti intellettuali sia italiani che stranieri.

    Perfino alcune nazioni europee fecero passi diplomatici ufficiali per un ripensamento del prevedibile scempio, rimanendo anch’esse inascoltate.

    Il modo in cui sono state sbandierate le grandi qualità del nuovo PRG (Piano Regolatore Generale 2008) è arrivato a toccare il ridicolo: enormi conversioni di cubature di servizi a cubature residenziali (private, non edilizia pubblica) sono state spacciate come un beneficio collettivo, tacendo che per realizzarle venivano sacrificate aree già sottoposte a tutela ambientale.

    Che dire inoltre dell’ipocrisia con cui si sono magnificati gli accordi di programma da inserire nel Piano, che ne hanno statuito, già prima della sua approvazione, le varianti da apportarvi, contro ogni regola e logica amministrativa?

    Il grado di inumanità di amministratori e costruttori può essere esemplificato ricorrendo ad un aneddoto avente per protagonista un noto architetto del Comune di Roma: ai tempi in cui si doveva tradurre in piani particolareggiati il nefasto (ma superato poi abbondantemente per nefandezza) Piano Regolatore del 1962 famoso era questo tecnico, che usava dimensioni di matite diverse per tracciare i confini di zona sulle mappe (allora si faceva tutto a mano): alcune avevano la mina così grande da lasciare un tratto corrispondente ad una larghezza sul terreno di svariati metri e consentire così rilevanti aumenti di cubatura, spostando il tratto nella direzione giusta, cioè quella gradita dal palazzinaro richiedente.

    In effetti l’intervento umano può risultare catastrofico per il contesto naturale circostante, ma può anche esaltarne le caratteristiche, a seconda di chi e come interviene.

    Esempi positivi del passato li possiamo trovare ovunque; eccone alcuni significativi: per prime le acropoli di Atene e di Lindos: due alture che senza quello che vi si è così spettacolarmente costruito sopra

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