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Quale sinistra?
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E-book75 pagine1 ora

Quale sinistra?

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La danno per scomparsa. Le sigle della sinistra radicale sono ridotte a minuscoli gruppi politici, divisi tra loro da pregiudiziali ideologiche, quando non consunti dall'autoreferenzialità. Colpita in primo luogo dalla crisi dei circoli e dei tradizionali canali di militanza di partito, la sinistra radicale soffre ormai da un decennio a questa parte di una frattura fra il proprio linguaggio e il senso comune. I due autori provano a comprendere i motivi delle difficoltà della sinistra italiana. La marginalità della sinistra è da attribuire, in parte, a una crisi generale della sfera pubblica. Il rovesciamento del ruolo della politica nell'esistenza degli individui ha cambiato anche il linguaggio e le modalità degli antagonismi sociali, che la sinistra non riesce più a intercettare. Si tratta di ricostruire il senso della propria presenza nella società. Da qui l'esigenza di ripartire da un nuovo tipo di relazione fra sociale e politico, che tenga conto anche dall'attuale processo di integrazione europea. Nello scenario di oggi, restituire senso alla parola sinistra significa oggi restituire senso alla parola politica e alla parola democrazia. Prefazione di Matteo Pucciarelli.
LinguaItaliano
EditoreRogas
Data di uscita30 mar 2020
ISBN9788835397373
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    Anteprima del libro

    Quale sinistra? - Tonino Bucci

    ATENA

    Prefazione

    di Matteo Pucciarelli

    Mi ritrovo a scrivere questa riflessione esattamente un anno dopo la vittoria dellʼ oxi in Grecia, una vittoria fatua che nel giro di poche ore si è trasformata in sconfitta. Fu il giorno in cui sembrò che Davide potesse battere Golia. Mi trovavo ad Atene per lavoro in quei giorni e sembrava di stare al centro del mondo. Era davvero il centro del mondo, dal punto di vista giornalistico certamente, ma anche politico: nella vecchia Europa ripiegata su se stessa cʼera un governo di un piccolo Paese, culla della democrazia e del pensiero moderno, che aveva il coraggio di ribellarsi. Un governo di sinistra, una sinistra vera, quella che aveva combattuto contro la dittatura dei Colonnelli e che poi era stata a Genova nel 2001. Un premier giovane e determinato capace di utilizzare un linguaggio fresco ma radicale: capace, ancora, di conquistare democraticamente una maggioranza parlamentare.

    Poteva essere lʼinizio di una nuova storia, dove le ragioni di un pensiero critico si coniugavano con la difficile arte del governare i processi, stando in mezzo alle contraddizioni. Perché - va detto - di essere minoritari, confinati nelle riserve indiane, non ne avevamo (abbiamo) voglia neanche noi. Nella consapevolezza, chissà quanto realistica, che una sinistra coerente che non dimentica la bussola - la lotta contro le disuguaglianze, di qualunque tipo esse siano - sia oggi la risposta giusta, una risposta di buonsenso alle crescenti ingiustizie che il sistema neoliberista ha fomentato dietro la promessa fallace del benessere per tutti.

    Quel sogno sembrava a portata di mano ma lo abbiamo già accantonato, a metà tra malinconia e vergogna. Siamo stati davvero così ingenui nel credere nella favola impossibile? Ci siamo goduti un giorno di festa senza cambiare niente di ciò che ci circonda?

    La risposta alle domande forse la avremo tra dieci, o venti anni. Ma piuttosto che derubricare quella pagina di storia, sicuramente controversa ma certamente esaltante, nell’album dei tradimenti, sarebbe meglio analizzare la sfida incompiuta che la sinistra ha di fronte: quella culturale. Quella fatta di parole, pensieri, valori comuni e condivisi. Prima di tutto ciò che è politica, esiste un sistema cognitivo che anticipa e poi cavalca le tendenze. Non esisterà mai un nuovo socialismo, o una nuova utopia che prova ad adattare quel modello all’esistente, senza la piena consapevolezza della distanza siderale tra la realtà di ciò che si muove nella pancia di una maggioranza sociale ormai indistinta e l’album dei ricordi della sinistra.

    La stessa parola sinistra nella percezione comune ha perso ormai una sua validità. Cosa vuol dire oggi sinistra? La domanda va fatta a un’anziana signora al mercato o a uno studente 18 di un istituto professionale: non vi sapranno rispondere. Le organizzazioni politiche e sindacali che vengono da quella storia sono ormai residui di un passato involuto, senza alcuna spinta propulsiva. Proprio oggi che, guarda un po’, le disuguaglianze avanzano senza alcun riguardo per nessuno. Il paradosso moderno è questo, almeno in Italia: il bisogno di sinistra aumenta e la sinistra scompare.

    Le ricette sono pane per teorici o stregoni. Per chi vive nel mondo reale - e molti degli ultimi mohicani, compagni di lotta e magari aggrappati a qualche piccolo posto di potere, non lo fanno da svariati anni - la risposta sta in una certezza banale: la storia è fatta di cicli storici che si ripetono. L’onda che a Genova è morta è in fondo a qualche oceano pronta a spumeggiare di nuovo, chissà grazie a quale scintilla e con quale forma. Una nuova generazione, oppure un nuovo sentire comune. Ma per chi anche adesso è qui, certo della propria identità, del proprio stare al mondo, tocca solo e semplicemente studiare, provare, sporcarsi le mani o imbrattare qualche foglio. Preparandosi al momento che arriverà, per mano nostra o di chi forse non è ancora nato. Calibrando le mille complessità di un mondo globalizzato fatto di numeri, equazioni, tecnicismi: un tasto premuto negli Stati Uniti può significare la bancarotta di uno Stato dall’al ­ tro capo del mondo. Illudendoci che bastasse l’arte della politica, pensando che il bagaglio ideologico pregiato del marxismo fosse sufficiente, questa realtà matrigna ci ha tolto il terreno sotto i piedi. E allora, per domani, serve connettere competenze diverse, unire professionalità distanti tra loro, utilizzare la fantasia di cui disponiamo per ribaltare il tavolo. O almeno per pensare di poterlo fare. Umanità, radicalità, realismo dell’utopia, coerenza, generosità, uguaglianza: possiamo anche non chiamarla sinistra. L’importante è farsi capire da quel 99 per cento della popolazione mondiale che ancora non sa - e attende che qualcuno glielo spieghi a dovere - che il restante 1 per cento possiede la medesima ricchezza di tutti gli altri. Siamo tanti, torniamo a parlarci.

    A sinistra tutto tace

    La crisi della sinistra, dunque. Da un quarto di secolo a questa parte si sono succedute analisi, teorie, diagnosi, terapie. Chi la dava per morta e sepolta già all’indomani del crollo del Muro di Berlino, chi negli anni ha rincorso facili illusioni di rinascita nonostante tutto. È accaduto di tutto: scissioni, litigi, addii, rincontri, convivenze forzate. Discussioni, soprattutto, tra chi pensava che bastasse cambiare nome e convertirsi al presente e chi, invece, riteneva sufficiente esserci per rinascere dalle proprie ceneri. Divisi negli intenti, uniti

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