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Patrioti illuminati: Giganti italiani contro l’egemonia culturale
Patrioti illuminati: Giganti italiani contro l’egemonia culturale
Patrioti illuminati: Giganti italiani contro l’egemonia culturale
E-book208 pagine2 ore

Patrioti illuminati: Giganti italiani contro l’egemonia culturale

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Info su questo ebook

Controversi, dimenticati, talvolta demonizzati. Gli uomini di grande spessore raccontati in questo libro sono coperti da una certa “dannazione”, ma non v’è dubbio che abbiano commesso atti eroici al servizio dell’Italia. 
In un Paese in cui l’idea di Nazione viene tenuta in soffitta, troppo spesso i cittadini non li conoscono, o li sottovalutano, o li condannano.  Patrioti illuminati racconta le loro storie, concentrandosi sui sacrifici e sugli impegni che assunsero in difesa dell’Italia: le storie di Alcide De Gasperi, Enrico Mattei e Bettino Craxi. Stelle luminose in uno Stato che, progressivamente ma inesorabilmente, oscurava ogni aspirazione anche alla semplice difesa dell’interesse nazionale.
LinguaItaliano
Data di uscita20 ott 2020
ISBN9791220209748
Patrioti illuminati: Giganti italiani contro l’egemonia culturale

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    Anteprima del libro

    Patrioti illuminati - Stelio Fergola

    Stelio Fergola

    Patrioti illuminati

    Giganti italiani contro l’egemonia culturale

    Patrioti illuminati

    Stelio Fergola

    © Idrovolante Edizioni

    All rights reserved

    Director: Roberto Alfatti Appetiti

    Editor-in-chief: Daniele Dell’Orco

    1A edizione – ottobre 2020

    www.idrovolanteedizioni.it

    idrovolante.edizioni@gmail.com

    Ad enrico

    introduzione

    Questo libro nasce dalla necessità di tramandare. Il significato del verbo è presto detto: Trasmettere nel tempo, da una generazione a un’altra, notizie, fatti, tradizioni, valori spirituali. Ma nell’accezione più profonda, tramandare significa anche comunicare la memoria di un atto eroico e compiere azioni degne d’essere tramandate ai posteri¹.

    Un passaggio che dovrebbe essere naturale in qualsiasi comunità che voglia dirsi tale, ma che nel mondo odierno si rivela essere molto più complicato che in passato. E questo vale in particolar modo per il nostro Paese.

    In questo libro di atti eroici ne racconteremo tanti. Di sicuro, ne racconteremo di peso specifico enorme. Non seguendo la classica idealizzazione dell’eroismo senza macchia, parto di improbabili uomini perfetti, no. Gli uomini che hanno commesso questi atti eroici erano tutt’altro che perfetti. Alcuni, forse, potrebbero aver avuto anche qualche scheletro nell’armadio prima di redimersi. Fatto sta che il loro popolo, il nostro popolo, non li conosce o li sottovaluta. In certi casi, gli sono stati raccontati nel peggiore dei modi, sì che non potessero trarne esempio e giovamento. Ma andiamo con ordine e partiamo dalle basi.

    Non è un mistero che in Italia l’idea di Nazione non soltanto sia in declino, ma sulla via della totale estinzione da almeno una cinquantina d’anni. Pesano certamente la disfatta del 1945, la data traumatica dell’8 settembre 1943, e in generale caratteri e modi che condussero il Paese verso una distruzione militare e sociale così drammatica da condizionarne lo sviluppo futuro.

    Uno sviluppo che in qualche maniera, pur nella radicale diversità di vedute, programmazioni e strutture politiche, sia l’Italia liberale che l’Italia fascista avevano perseguito e approfondito con energia. E che l’Italia repubblicana cessa di considerare come punto focale della propria identità politica praticamente dalla sua fondazione nel 1948.

    D’altronde lo storico Emilio Gentile, nel suo La Grande Italia, riconosce tranquillamente che in realtà, la disfatta militare, la caduta del regime fascista, il crollo dello Stato nazionale non distrussero soltanto le ambizioni di potenza e di grandezza, ma trascinarono nella rovina anche la fragile identità nazionale che, pur con tutti i suoi limiti, ambizioni e illusioni, gli italiani avevano acquistato in otto decenni di vita unitaria².

    Questo sebbene lo stesso Gentile abbia affermato in seguito che l’8 settembre 1943 non vi sia stata propriamente una morte della Patria, ma solo un disfacimento dello Stato³. Il che è una valutazione indubbiamente plausibile, visto che è piuttosto complicato asserire che fenomeni sociali e storici di tale portata muoiano d’impeto, ma piuttosto in seguito a una malattia di lungo corso. Del resto anche chi ha parlato apertamente di morte della patria a seguito del disastro nella Seconda Guerra Mondiale, come Ernesto Galli Della Loggia, non riesce a rifuggire dall’espressione crisi dello Stato Nazione, il che indica naturalmente un percorso e non una fine repentina obiettivamente impossibile.

    In questo processo gioca un ruolo rilevante la cultura antifascista e la sua incapacità di produrre ideologia o caratteri suoi propri, elemento che avremo modo di esaminare nel primo capitolo.

    Ma tornando al primo rigo di questa introduzione, ovvero alla mancanza di tradizione che si è insidiata nella mente e nel cuore degli italiani dopo la catastrofe militare del 1945. Essendo estremamente sintetici, potremmo ricordare quanto sia difficile amare o difendere qualcosa che non si conosce. E scavando un pochino più a fondo, potremmo osservare che, da quella data in avanti, sempre più italiani nel corso dei decenni siano stati educati alla lontananza dai valori patriottici, ben incalzati in una fase, quella della ricostruzione, fatta di tanto attivismo ed enormi capacità, ma anche inesorabilmente legata alla critica del concetto di ambizione, la quale era stata indubbiamente una parola d’ordine assoluta del Ventennio fascista e in quanto tale bisognosa di essere abiurata in ogni modo, insieme al concetto di nazionalismo. Nella stessa Italia del XXI secolo, essere ambiziosi significa in qualche maniera essere arroganti o prevaricatori. Uno scotto che hanno subito tutti coloro che hanno tentato, in forme diverse, di mirare ad obiettivi più alti.

    L’Italia repubblicana nacque con una decisa e chiara professione di antinazionalismo, scrive ancora Gentile.

    Ciò ebbe riflessi evidenti nello stesso modo italiano di concepire la propria storia nazionale, idolatrata sempre più nell’ambito della cosiddetta resistenza e sempre meno nel processo di unificazione portato a termine dal Risorgimento, così come nella stessa Vittoria del 4 novembre 1918 (senza scomodare necessariamente il fascismo e le costruzioni sociali e culturali che da esso scaturirono).

    È chiaro che in un clima del genere, gli italiani che ancora sentivano la Patria sarebbero diminuiti sempre più, quantitativamente e qualitativamente, con la nascita delle future generazioni. Ciò non può esimerci dal notare che nelle fasi intermedie si ebbe comunque a che fare con delle classi dirigenti nate e cresciute nelle due Italie precedenti, in cui nazionalismo e patria non rappresentarono ancora completi tabù o concetti da stigmatizzare.

    Alcuni di costoro perseguirono non solo l’interesse, ma addirittura la gloria e l’affermazione dell’Italia a livello internazionale. E rappresentarono delle assolute eccezioni in un sistema culturale e istituzionale che aveva definitivamente seppellito l’ideale di Patria.

    Questo libro vuole raccontare le loro storie, concentrandosi sui sacrifici e sugli impegni che si assunsero in nome e nell’interesse del proprio Paese. Le storie di Alcide De Gasperi, Enrico Mattei e Bettino Craxi. Stelle luminose in uno Stato che, progressivamente ma inesorabilmente, oscurava ogni aspirazione anche alla semplice difesa dell’interesse nazionale.

    De Gasperi affrontava i drammi di una disfatta con la maggiore dignità possibile in quel difficilissimo momento storico, Mattei lottava contro lo strapotere dei padroni del petrolio riuscendo nell’impresa di fare gli interessi non solo dei Paesi produttori ma anche della Nazione. Craxi ripristinava addirittura uno spazio di autonomia italiano nel Mediterraneo, senza voler dimenticare mai la celebre crisi di Sigonella, probabilmente l’ultimo sussulto di orgoglio patriottico di questo Paese.

    Questo libro non si propone di raccontare semplicemente i fatti: essi sono quasi tutti noti e conosciuti, e fin troppi testi hanno avuto il merito di occuparsene. Ha invece un altro scopo: sottolineare il filo conduttore che ha animato i protagonisti, lo spirito di sacrificio che, in modo diverso, li ha condotti verso le proprie scelte.

    Ma vuole narrare anche delle contraddizioni e degli impeti che questi uomini hanno lasciato al Paese e al popolo italiano.

    Prima fra tutte, il fatto di essere tutti – o quasi - ascrivibili alla categoria culturale degli antifascisti. L’aggettivo culturale vale ovviamente solo per Craxi, ancora bambino nel periodo della resistenza, mentre per De Gasperi e Mattei si può parlare di attivismo e di militanza.

    Un antifascismo patriottico? Da ciò che vedremo, parrebbe fisiologicamente impossibile. Ciò non toglie che alcuni suoi esponenti ufficiali abbiano fatto gli interessi della Patria come pochissimi altri. Non senza controversie: di De Gasperi, ad esempio, si potrebbe ricordare la possibile – e nel caso fosse vera, grave - macchia delle lettere richiedenti agli Alleati il bombardamento di Roma, nell’ottica senz’altro di far cadere un regime che egli aveva sempre avversato, ma con l’importante conseguenza di provocare vittime innocenti. Tralasciando i dettagli di una vicenda che ancora oggi non ha certezze, non c’è dubbio che il leader democristiano si fosse già riscattato anzitempo, affrontando trattati di Pace e ricostruzione come pochi uomini di spessore avrebbero fatto.

    Guardando all’attualità, sembra palese che gli italiani depressi o atrofizzati dal sistema pedagogico anti-nazionale successivo al 1945 non abbiano recepito le imprese, i modelli e gli esempi che pure ci sono stati nell’era della Repubblica. Più di ogni cosa, non li hanno interiorizzati. Ed è forse anche per questo che sono lontani dal sentirsi collettività, popolo e Nazione.

    Questo sebbene negli ultimi anni vi sia stato qualche scossone positivo. Fino al 2016, secondo un sondaggio Demos, la maggioranza dei nostri connazionali (circa il 77%) non riconosceva sé stesso come legato al territorio nazionale bensì a quello locale o regionale, e solo il 23% dichiarava di sentirsi anzitutto italiano.

    Le profonde crisi sociali vissute negli ultimi tre o quattro anni però, sembrano aver mostrato qualche segnale di reazione. Confuso, pasticciato, come è confusa l’identità italiana nelle menti dei cittadini comuni. Ma in ogni caso, una reazione.

    Con le elezioni politiche del 4 marzo 2018 gli italiani hanno votato in massa due formazioni politiche – Lega e Movimento 5 Stelle – che almeno negli intenti si dichiaravano antisistemiche. Il partito di Matteo Salvini in particolar modo, da sempre contrario all’immigrazione di massa, ha raddoppiato i suoi consensi nel giro di poco più di un anno, superando il 34% alle elezioni europee del 26 maggio 2019.

    Tutto ciò, è bene chiarirlo, non dimostra assolutamente una riscoperta di identità da parte del popolo italiano. Palesa, in ogni caso, una situazione di insofferenza non solo per le gravi tensioni economiche derivate dalle politiche fallimentari dell’Unione Europea, ma anche per la gestione suicida della pratica migratoria, composta essenzialmente di clandestini giunti in massa sulle nostre coste negli anni successivi alle cosiddette primavere arabe in Siria e soprattutto in Libia (questo a meno che oltre 700mila persone in meno di 5 anni non possa considerarsi una invasione come pure la retorica progressista ha provato a sostenere con forza).

    Manifesta un’insofferenza dettata essenzialmente dalla compromissione di alcuni valori quotidiani che fino a una quindicina d’anni fa si davano per scontati: l’esistenza di una casa propria (non intesa soltanto nel senso di dimora, ma di ambiente collettivo) e di uno Stato che metta al primo posto i propri cittadini nel lavoro come nelle sue tutele.

    Un’insofferenza, quindi, frutto di problemi squisitamente materiali, non certo spirituali. Ma in ogni caso non preclusi al cambiamento, come dimostra il sorprendente risultato di un altro sondaggio, questa volta tenuto da Ipsos per l’istituto internazionale More in Common nel febbraio 2019, secondo il quale il 60% degli italiani sarebbe preoccupato di una perdita di identità culturale del Paese in seguito alle migrazioni irregolari di massa dell’ultimo decennio. Dato non totalmente in contraddizione con quello dell’identità localista mostrata dall’analisi di Demos di qualche anno prima, ma in ogni caso indicativo di una reazione, in un popolo le cui radici vengono troppo spesso negate dalla cultura massmediatica.

    Il sondaggio aveva messo in fila le categorie di intervistati nel campione di riferimento, risultanti da una dichiarazione all’inizio dell’intervista. Tra essi i cosiddetti gruppi aperti (composti dai cosiddetti italiani cosmopoliti e i cattolici umanitari), i gruppi chiusi (in cui figurano i nazionalisti ostili e i difensori della cultura) e infine i gruppi intermedi ( formati dai moderati disimpegnati, i trascurati e i preoccupati per la sicurezza).

    Ovviamente la maggior parte dei voti di chi ha denunciato preoccupazione per la perdita di identità nel Paese provengono dai gruppi chiusi, ma anche in quelli aperti c’è qualche sorpresa, rappresentato dall’oltre 10% di italiani cosmopoliti che hanno risposto di avere comunque a cuore l’identità italiana⁴.

    La fonte è indubbiamente di un certo prestigio e il metodo di indagine utilizzato fin troppo accurato, di conseguenza il dato, di per sé, stimola per lo meno una riflessione. Possibile che in così poco tempo gli italiani si siano risvegliati e abbiano riscoperto un orgoglio nazionale sopito da tempo, oltre che represso in ogni modo dal punto di vista culturale? Difficile pensarlo.

    Ma che una certa sensibilità si sia smossa è fuor di dubbio. Cosa avverrà in futuro è di difficile previsione. Il nostro compito è tentare di cogliere l’occasione sociale e trasmettere alle generazioni, per quanto possibile, l’esempio di tanti uomini che hanno fatto la storia di questo Paese, perfino in un regime politico come l’Italia repubblicana che non si è mai dimostrato particolarmente attento a tramandare l’elemento nazionale.

    Non posso negare che l’ispirazione per narrare le loro storie sia nata osservando, studiando e ammirando l’esperienza politica, economica ma anche direi umana di Enrico Mattei. L’intera sua avventura, temeraria e spericolata, rappresenta forse il fulcro del messaggio che questo libro vuole cercare di trasmettere: ovvero la necessità di non rinunciare mai ai sogni e alle ambizioni. Mi ero però reso conto che l’ennesimo testo che affrontasse solo la storia di Mattei, oltre ad essere banale, non avrebbe avuto la forza necessaria per trasmettere tale messaggio. Questo perché, banalmente, nella storia non si incide mai da soli, ma sempre in contesti di uomini e capacità idonei a supportare le proprie visioni. E questi uomini adeguati, spingono a comprendere il valore delle eccezioni che, nella prima Repubblica, vanno ben oltre l’esperienza del dirigente marchigiano, abbracciando anche quella di immortali cattolici trentini, di arguti piemontesi e statisti milanesi. Ecco perché tramandare le loro opere e i loro esempi è necessario.

    Lo faremo, si badi bene, non focalizzandoci esclusivamente sui buoni esiti. Certamente, i risultati ne costituiranno un’importante ossatura: ciò che hanno fatto i patrioti illuminati della Repubblica ha portato benefici incontestabili al Paese. Ma non ci ossessioneremo su quel peculiare modo di vedere le cose, nichilista e perdente, in cui le nobili intenzioni passano spesso in secondo piano rispetto alla popolare pagnotta, soprattutto rispetto al valore più alto di tutti, che resta l’Italia.

    Crediamo, infatti, che proprio la retorica del risultato (composta da vari e spesso inutili luoghi comuni, come quelli di sminuire quanto di buono e perfino eccelso abbia prodotto la politica italiana in un secolo e mezzo, paragonandola spesso a quella di imperi plurisecolari) sia una delle assi portanti del successo dell’anti-italianismo di massa, incapace di valorizzare ma solo di auto-mortificare.

    Secondo perché, com’è logico che sia, non tutte le storie che racconteremo sono a lieto fine, non tutte sono prive di errori o limiti, e alcune hanno testimoniato perfino dei clamorosi fallimenti. Se De Gasperi ha salvato il massimo che si potesse di un’Italia in macerie, ed è stato indiscutibilmente il leader della sua ricostruzione, non si può dire che sia riuscito a fare altrettanto nella politica di sviluppo del Mezzogiorno. Se Mattei ha creato un fenomeno di fama mondiale come l’ENI, spezzando ufficialmente il monopolio anglosassone del petrolio, non è arrivato mai al punto di raggiungere e superare le cosiddette Sette Sorelle, pur ponendole in uno stato di enormi apprensioni e difficoltà (che testimonieremo tramite documenti diplomatici ufficiali).

    Discorsi simili per Pella, e per tutti gli altri attori – principali e secondari – che ci racconteranno questa storia.

    Diceva Bettino Craxi: L’ambizione, al contrario di quanto credono i mediocri, è spesso nutrita non da desideri di affermazioni personali ma da questo spirito avventuroso e visionario.

    Perché fulcro delle esperienze che vogliamo raccontarvi è solo uno: lo spirito. Che li animò in quanto statisti, politici, dirigenti, ma soprattutto come italiani.

    A maggior ragione se si pensa al contesto storico, sociale e soprattutto istituzionale in cui si trovarono ad operare.


    1 Enciclopedia Treccani.

    2 E. Gentile, La Grande Italia. Il mito della Nazione nel XX secolo, Laterza, 2006.

    3 E. Gentile, Morì lo Stato, non la Patria, in il Sole 24 Ore, 8 settembre 2013.

    4 L. Magrone, L’identità italiana è a rischio?, in Youtrend, 14 febbraio 2019.

    capitolo 1

    l’antifascismo come anti-nazione

    Al momento dello sbarco mia madre ci vietò di accettare

    qualsiasi dono dagli americani… la Patria

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