Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Assassinio in laboratorio
Assassinio in laboratorio
Assassinio in laboratorio
E-book420 pagine5 ore

Assassinio in laboratorio

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

In questo libro racconto in modo divertente e ironico, spero, le mie (e altrui) avventure lavorative, ma soprattutto extralavorative nell’ambito del Laboratorio nel mondo Universitario e Ospedaliero partendo dagli anni 196… fino al 1990.

Le avventure sono degne di “Amici Miei” ma tutte rigorosamente vere, abbellite per motivi letterali ma vere. (Importante leggere l’introduzione).

Anticipazione a supporto: un mitico personaggio capace di una impresa tuttora insuperata (Viaggio Rimini – Venezia) ha personalmente ribadito, poco prima di Natale durante una delle nostre riunioni conviviali con persone a cui era stata da tempo racconta la sua follia e considerata naturalmente inventata, che tutto quello riferito era la sacrosanta verità.

Il paziente lettore si chiederà come sia possibile ricordare tanto dopo anni.

In primis quando ho scritto non era passato molto tempo, e avevo ancora una buona memoria, infine si rinvanga il passato quando ci si trova con gli amici.

Da qui a scriverle è stato un passo buono e giusto.

Il problema è stato la differenza con la prosa usata nei testi scientifici, da allegare agli atti dei vari congressi, e dei due o tre libri cui ho contribuito alla stesura.

Qualcuno troverà eccessivo l’uso di interazioni in dialetto bolognese, ma allora capitava, e tuttora il suo uso sporadico con alcuni dei personaggi del libro lo si fa.

Tutto inizia dalla partecipazione iniziale a una esperienza indimenticabile sul metabolismo lipidico presso il Laboratorio di Ricerca della Clinica Ostetrica e Ginecologia Pasquale Sfameni dell’Università degli Studi di Bologna. Purtroppo ora non esiste più, il laboratorio, non la clinica.

Successivamente contribuire profondamente alla messa a punto di analisi imperniate sull’impiego di antisieri, ora diffuse in molti settori clinici, dal campo ormonale agli indicatori tumorali.

Ho volutamente tralasciare gli aspetti negativi, che qualsiasi attività lavorativa comporta, non sono sempre tutte rose e fiori. I rapporti non sempre idilliaci con le varie dirigenze, qualche screzio con i collaboratori e talvolta pure con gli amici.

Per non parlare di aspetti ancor più delicati. Ad esempio dovevo andare a Palermo, assieme ai soliti amici per un congresso, con quell’aereo che sopra Ustica fu abbattuto. Mi era nata da poco la mia secondogenita e non me la sentivo di lasciare sola mia moglie, approfittando che anche i colleghi avevano un periodo denso di impegni, circa una settimana prima della partenza facilmente li convinsi a soprassedere. Non dico altro. Bando alle tristezze…

Per altre notizie sulla mia persona vi invito a considerare quelle scritte per una altra pubblicazione ebook: Al Mannd dal Vén o de Rerum Vinorum”.
LinguaItaliano
Data di uscita12 mag 2016
ISBN9788892601666
Assassinio in laboratorio

Correlato a Assassinio in laboratorio

Ebook correlati

Umorismo e satira per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Assassinio in laboratorio

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Assassinio in laboratorio - Franco Vecchi

    Publishing

    INTRODUZIONE ALLE INTRODUZIONI

    In queste righe troverete due introduzioni, tre con quella che state leggendo, quindi è necessaria una spiegazione.

    Ho voluto riunire in un unico racconto due novellette su i fatti della vita in un Laboratorio di Ricerca Universitario e poi del Laboratorio Analisi di Radiommunologia, scritte in un intervallo di alcuni anni, quindi tra il 1991 e il 1994.

    Lo scopo era di mettere in risalto, in modo si spera divertente e ironico, tutto ciò che in quei frangenti avveniva.

    Ho anche cambiato l’ordine di presentazione in quanto il primo racconto, in realtà, tratta di un lasso di tempo successivo agli avvenimenti descritti nel secondo.

    Nel racconto completo ho rappresentato la continuità della mia personale esperienza lavorativa, in questo nuovo testo si rispetta pertanto l’ordine temporale reale, non quello di stesura.

    Le due novellette furono pubblicate da due Aziende che avevano interesse nell’ambito del mondo delle analisi chimico-cliniche.

    Una tuttora in auge, aveva istituito molto intelligentemente, una collana chiamata Caleidoscopio Letterario, che raccoglieva racconti i cui autori erano i… viventi il mondo ospedaliero.

    Seguì ben presto pure una Collana Scientifica dedicata alle esperienze sia del Laboratorio che della Medicina in genere.

    Nel Caleidoscopio Letterario uscì il secondo mio lavoro, con un titolo chilometrico:

    Tutto quello che avreste dovuto sapere su di un laboratorio analisi e la mamma non vi ha detto.

    E’ incentrato sull’inizio della mia attività, compaiono pure alcuni dei protagonisti che incontreremo nell’altra narrazione, ma è più ristretta al mondo del Laboratorio di Fisiopatologia della Riproduzione della Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Università di Bologna.

    Ora il laboratorio di ricerca non c’è più, ed è cambiato radicalmente l’aspetto della Clinica e la sua struttura. Così come non esiste più il Laboratorio di Radioimmunologia, fagocitato dalla centralizzazione dei Servizi. Il mio primo racconto, nato soprattutto per il ricordo della vita congressuale, era dedicato inizialmente ai soli protagonisti di quelle pagine. Doveva essere una distribuzione artigianale tramite dischetti per computer e semplici fotocopie.

    Poi, un dirigente di un’azienda, ora non più presente sul mercato, pensò di farne una pubblicazione da donare per Natale, come strenna, a tutti coloro che in Italia seguivano le vicissitudini attorno a un nuovo metodo analitico: la radioimmunologia.

    I loro nomi, opportunamente storpiati dovrebbero nascondere i veri protagonisti: esempio il mio nome è divenuto Stanco Giovani, quello del mio carissimo amico e collega (nonché coprotagonista di queste avventure) da Gianfranco Bolelli, detto Bollo, è divenuto semplicemente Pollo. Anche i nomi delle aziende sono state modificate in modo analogo.

    I nomi dei congressi invece sono reali, e reali sono tutte le avventure narrate in entrambe le narrazioni.

    Il racconto, che raccoglie tali peripezie, è:

    Assassinio in laboratorio, chi ha ucciso la radioimmunologia.

    Il titolo trova giustificazione perché all’epoca in cui è stato redatto la radioimmunologia classica stava in pratica scomparendo, soppiantata da tecniche più moderne e gestibili.

    Ora a distanza di molti anni, essendo andati perduti i testi originali, io stesso ne possiedo solo due copie di ciascun racconto, non credo che nemmeno i personaggi descritti li abbiano ritenuti degni di finire nella libreria, pertanto ho pensato che riunirli e farli conoscere a un pubblico più vasto, e soprattut-to che non ha vissuto quei momenti, potrebbe essere una cosa piacevole.

    Ho recuperato i vecchi dischetti - i mitici floppy disk - su cui avevo inviato i testi per la stampa e li ho copiati sul computer… e qui apriti cielo. Erano scritti in un vecchio formato - Word Star - e non riconosciuto dai computer moderni.

    Già a suo tempo avevano prodotto problemi analoghi per la loro trasfor-mazione in stampa, mi ricordo bene le lamentele degli stampatori di entrambi i volumi.

    Dopo lunghe prove la cosa migliore che sono riuscito a fare è stato convertirli in un testo accettabile, spariscono alcune doppie e tutte le parole accentate sono sostituite da lineette o altre diavolerie, nonché gli a capo e la configurazione di pagina.

    Chissà quanti errori di ortografia… erano presenti nei dischetti originali -colpa mia - e altri si formarono per i problemi sopracitati.

    Poi ho ridefinito il Layout di pagina e il carattere.

    Ergo ho in pratica dovuto quasi riscriverlo, in questa occasione ho provveduto a riproporre - scritti in corsivo - per rendere più agevole la lettura, dettagli tecnici, non solo per i non esperti di laboratorio, quindi ci sarà un brevissimo glossario o la spiegazione di alcune metodologie analitiche nel corso della stesura. Erano state previste pure nella versione originale ma, visto che i libri erano distribuiti in pratica ai popoli del Laboratorio, erano pleonastiche e furono eliminate; ora penso sia utile il loro ripescaggio.

    Altre annotazioni, nuove questa volta, servono per sottolineare avvenimenti dell’epoca che permettono al lettore di oggi di comprendere certe situazioni.

    Sono mantenute alla fine del racconto, similmente a quanto avviene nelle pubblicazioni serie, alcune note bibliografiche riportate in modo faceto di libri che esistono, mentre non esistono le letture consigliate, con titoli arrabattati dalle terminologie del laboratorio.

    Il vostro autore , in vero, ha anche pubblicato molti lavori scientifici, più di 100 pubblicazioni, coautore di tre libri e relatore in una trentina di convegni, infine ha insegnato in parecchi corsi di aggiornamento. Inoltre ha attivamente collaborato per quasi 15 anni al Controllo di Qua-lità del CNR e quello Regionale, sia nella preparazione dei sieri sia nella elaborazione dati, e come coodinatore di un gruppo di ricerca.

    In più, rispetto all’edizione originale ho pensato di inserire alcune foto dei nostri cari eroi, ritratti in gioventù e in età più matura.

    Per le scritture in dialetto bolognese ci sono problemi, sono previste le lettere n, s e z scritte con un puntino sopra, la ż c’è, ma nessuna tastiera umana, forse solo in Finlandia, ha le altre che sono state sostituite rispettivamente con ń e ś.

    Speriamo che tutti coloro che hanno passato tempo prezioso per definirne la scrittura chiudano un occhio, due sarebbe meglio.

    Come accennato nella prefazione del racconto Assassinio in Laboratorio, sulla scomparsa di alcuni di quei protagonisti, mi duole ricordare che a distanza di un paio di decenni, la lista si è purtroppo allungata.

    Se taluno aveva raggiunto un’età compatibile con un sereno abbandono di questo mondo (affermazione discutibile la mia), altri invece sono purtroppo mancati ancora assai giovani.

    Ma lo scopo di queste righe è suscitare allegria, e io so per certo che loro vogliono che così sia.

    Il leggere di loro è farli rivivere.

    Tornando a cose più piacevoli e sperando che il tutto piaccia, vi auguro buona lettura.

    Tutto quello che avreste

    dovuto sapere

    su di un laboratorio analisi

    e la mamma non vi ha detto.

    INTRODUZIONE ORIGINALE

    Tempo fa mentre transitavo nei viali interni dell'ospedale, diretto verso il Servizio di Fisica Sanitaria per assolvere alcune noiose pratiche burocratiche, ho visto il ragnetto.

    Non si deve intendere un simpatico animaletto a otto zampe appartenente alla famiglia degli aracnidi, nel nostro gergo il ragnetto è la denominazione del camion, con relativa benna prensile, utilizzato per portare al macero o al demolitore tutti i residuati bellici scartati dai vari servizi e laboratori.

    Ebbene il ragnetto stava prelevando, con la delicatezza consentita dalla sua possente pinza idraulica da dieci tonnellate, anzi è meglio dire stritolando un qualcosa che ha attirato la mia attenzione.

    Io, quella cosa l'avevo già vista, mi avvicino per osservare meglio e identifico una vecchia ultracentrifuga (centrifuga capace di superare 30000 rotazioni al minuto RPM), la stessa che avevo usato nei lontani e mitici anni 60.

    Il laboratorio, che ha visto nascere le mie scarse risorse analitiche, aveva deciso la sua rottamazione, e ora sotto i miei occhi si stava consumando il delitto.

    Subito ho percepito il classico nodo alla gola poi, in un attimo, passare nella mente a velocità incredibile una serie di ricordi ritenuti ormai completamente perduti.

    Ho rivisto me stesso, edizione giovanile, aggirarmi nel nuovo laboratorio ad ammirare con gli occhi spalancati le innumerevoli strumentazioni. Perché riperdere nuovamente quelle sensazioni e quei momenti di entusiasmo?

    Visto che ho già completato un’enorme fatica letteraria, la scrittura di alcune simpatiche avventure legate al mondo dell'immunometria, mi è parso giusto fermare sulla carta altre vicissitudini, epoca preimmunometria, anche se me la cavo meglio con le provette che con la penna.

    In vero le mie precedenti fatiche (al plurale perché avevo sempre pensato di aver scritto due libri in uno: il primo e l'ultimo) mi avevano portato via un bel po’ di tempo; in cambio, il piacere di rimembrare sul proprio passato, era stata cosa piacevole.

    Tutto questo senza quel sentimento di era più bello allora o di penosa nostalgia, il tempo fluisce inarrestabile ed è giusto che sia così; da questo, alla decisione di ributtarmi a pestare sui tasti del computer, è passato il tempo necessario per rientrare a casa e risedermi al tavolo di lavoro. Quindi ai miei venti o trenta stimati lettori (sono meno modesto del Manzoni e non ho sciacquato i panni in Reno, fiume di Bologna) dedico, riverente, questa mia penultima fatica, penultima perché ormai ci ho preso gusto.

    E saranno tutti cavoli vostri.

    (N.d.A. Infatti poco tempo fa, nel 2014, ho pubblicato un ponderoso e-book che tratta della storia del Vino - Al Mannd dal vèn – o de rerum vinorum - ora anche in cartaceo -).

    Ho voluto riportare all'inizio di ogni capitolo proverbi o modi di dire tipicamente petroniani, la grafia non sarà corretta ma spero che in pochi se ne accorgano.

    In effetti, per scrivere correttamente il vernacolo bolognese si abbisogna di una tastiera ricca di lettere strane, che io non ho, e reperibile forse solo in Finlandia, mancheranno quindi due punti su molte vocali e consonanti, od accenti vari.

    Tali modi di dire derivano in parte da un’opera semplicemente favolosa scritta da Luigi Preti: Voglio dirlo in Dialetto, che consiglio vivamente di leggere.

    Spero che l'autore, che dedica pagine su pagine all’ortografia e alla sintassi del dialetto bolognese, non legga mai le brutte trascrizioni fatte. Nell'indice sono riportate le traduzioni.

    Analogamente nel testo sono riportate frasi in dialetto, seguite dalla traduzione, anche se talora pleonastica.

    A causa degli argomenti scabrosi trattati in queste righe, si consiglia la lettura solo ad adulti maturi di almeno 12 anni.

    Per i personaggi e le vicende riportate nel presente lavoro valgono le raccomandazioni fatte nel precedente, a cui vi rimando per conoscenza.

    CAPITOLO 1°

    Briśa sàmper dóvv ai é dl'aqua ai é i ranúc, mo dóvv ai canta un ranòc ai é l'aqua

    In un freddo e piovoso mattino di febbraio, correva l'anno del Signore 196…, Giovani, con passo spedito e ritmato percorreva i lunghi e luminosi corridoi della Clinica Ostetrica e Ginecologica per raggiungere la meta laboratorio.

    Il laboratorio era situato in un ampio seminterrato e qui doveva incontrare un non meglio identificato Pollo.

    Maneggiava un tetro ombrello grigio, come un perfetto inglese della City, aggiungendo cosi al rumore dei passi il ticchettio della punta metallica sul pavimento.

    Il suo procedere risuonava sinistro rompendo quel silenzio più totale, nel frattempo il solitario camminatore cercava di capire quale luogo e quale ambiente avrebbe trovato, era anche curioso di prendere visione del duro lavoro che l'attendeva.

    In realtà non aveva capito di cosa diavolo trattassero in quel sito, ma sapeva perché era lì.

    A suo tempo aveva fatto una serie di spettabili domande a Industrie ed Enti vari, una assai generica anche alla Spettabile Università degli Studi per sapere se, in qualche altro buco della stessa, qualche disperato potesse aver bisogno di lui, non a titolo gratuito, nella sua qualità di modesto neo chimico patentato.

    Un suo prof., saputo il fatto attraverso un sotterraneo e misterioso passa parola, gli comunicò che pareva essersi trovato il buco e il disperato pareva, udite udite, potesse pure ottenere inizialmente una specie di borsa di studio elargita dal CNR (leggasi: Contiamo Notevole Remunerazione, ossia grana), poi… non mettere limiti al futuro.

    Qui, gli aveva detto, il lavoro era tecnicamente e culturalmente assai interessante, pur diverso da quanto fatto finora.

    Doveva parlare e mettersi in contatto con un certo Pollo, che risultò poi essere colui che aveva contattato il prof. per avere il nome di un candidato al posto.

    Pollo, chi era costui?

    Pollo: abbreviazione di Polelli GF., apprendista alchimista del XX sec. D.C., si dice che lavorasse per il CNR e ciò pare documentato da numerose pubblicazioni dell'epoca.

    (Precisazione dell'autore.)

    Entrato in laboratorio chiese di costui e qualcuno, dopo averlo squadrato da capo a piedi, lo accompagnò in una delle tante stanze componenti quell'enorme luogo.

    Doverosa descrizione dell'enorme luogo.

    Il laboratorio, disposto ai lati di un lungo e largo corridoio, e popolato da aspiranti apprendisti stregoni, era in pieno allestimento; da qualche tempo erano iniziate, in modo teutonico, interessanti ricerche sul metabolismo lipidico.

    Appena entrato notò, sul lato sinistro, uno stanzone arredato stile Cagliostro ove venivano effettuati gli esami routinari per la clinica, poi lo studio della suora, che fece una rapida e fugace apparizione.

    Infine la prima di quattro stanze enormi: il cuore e l'anima del laboratorio. Al centro di ogni stanza sorgeva un magnifico banco ricoperto da una stupenda opalina azzurra, roba di gran classe; sotto grandi finestre, e ai lati, correva un largo ripiano continuo a U, sempre ricoperto da opalina.

    I ripiani laterali erano zeppi di strumenti.

    L'ultima stanza era circa il doppio delle altre e ospitava una parete allestita con una cappa aspirante di proporzioni elefantiache.

    In ogni stanza, nella parete opposta alle finestre, enormi armadi a muro erano inzeppati di materiali: vetrerie varie, vaschette per cromatografia, reagenti, registri, libri e ogni cosa necessaria, e non, in un laboratorio. Giovani guardava attentamente intorno: vide nella prima stanza una particolare vasca a Bagno Maria su cui incideva una distesa di estrattori di Soxhlet.

    (Attrezzatura in vetro formata da un lungo tubo in cui era contenuta una serpentina, sempre in vetro, al di fuori della quale scorre acqua di raffreddamento. Al termine del tubo è inserito, con attacchi in vetro smerigliato, un prolungamento contenente un alloggiamento in cui è inserito in un ditale assai grande, il materiale da cui si vuole estrarre alcuni componenti. Sotto vi è un palloncino in cui si pone il solvente necessario, il calore dell’acqua lo fa evaporare, che poi raffreddato scende sul ditale estraendo i composti solubili, poi con un sistema di sifoni ricade nel palloncino sottostante e ricomincia il ciclo.

    Al termine, dopo un certo numero di cicli avremo nel palloncino il solvente ricco dei composti estratti dalla materia posta nel ditale).1

    Scoprì che li erano chiamati estrattori di Soc…, insomma quella parola che contraddistingue il bolognese come belin il genovese, pirla il milanese, ostrega il veneto e così via.

    Sui banchi dell'altra stanza imperavano sostegni zeppi di imbuti separatori di tutti i tipi e di tutte le forme, colonne cromatografiche alte almeno un metro in ogni dove, frigoriferi e centrifughe: non c'era spazio libero neanche per appoggiare un bicchiere.

    Poteva anche essere scambiato per uno stand fieristico. Nella terza stanza troneggiavano un paio di stupendi gascromatografi (gli indimenticabili Parlo - Elba), attorniati dalle bombole dei gas, che misero in soggezione il neo visitatore.

    Ogni stanza era in comunicazione con le vicine e con il corridoio, tramite porte ricavate negli armadi a muro.

    L'ultima parte del corridoio, chiusa da una porta a vetri, funzionava da studio.

    Nella parte destra erano situate alcune stanze più piccole usate come studio o per particolari attività: sala bilance, sala per cromatografia su carta o su strato sottile ecc.

    (La cromatografia è un sistema analitico che prevede la separazione di alcuni composti, presenti in una miscela, sfruttando la loro differente affinità nei confronti tra due fasi, una fissa o stazionaria - generalmente solida carta, gel di varia natura, e fase mobile formata da un liquido o un gas, che trascina con sé separatamente i vari composti della miscela.

    La natura delle singole fasi dà il nome a ciascun metodo cromatografico). Giovani era viepiù sbigottito e meravigliato, nei laboratori ove aveva inutilmente cercato di imparare l’analisi chimica, non esisteva tale abbondanza nel rapporto attrezzatura-utilizzatore.

    L'unico vero neo era lo scarso panorama ammirabile dal laboratorio, sul lato sinistro le enormi finestre, stile anni trenta, mostravano un grigio muro di cemento alto circa due metri e mezzo in cima al quale iniziava il prato attorniante la clinica.

    Nel lato destro, vasistas larghi quanto la parete e alti un metro, facevano vedere solo un pezzo di cielo e la cima superiore degli abeti del parco. Erano isolati dal mondo, era già un problema capire se fuori piovesse o no. Torniamo ad occuparci del laboratorio.

    Diversi loschi figuri erano intenti ad agitare, separare, titolare o pipettare, ma si fermarono un attimo per scrutare il visitatore.

    Giovani arrivò finalmente nella stanza ove stava lavorando Pollo, l'ultima. Pollo stava qui misurando la densità ottica di alcuni campioni con uno spettrofotometro di marca tedesca, quindi eccezionale.

    Ora, quel coso, farebbe ridere: era lungo almeno due metri, parallelepippidiforme, tutto nero con numerose ed enormi manopole sporgenti un po’ dappertutto, un’asta brunita per fare avanzare o retrocedere il carrello nel quale erano riposte le due cuvette.

    (Lo spettrofotometro misura l’intensità luminosa, o meglio l’estinzione, di soluzioni contenenti cromogeni, sviluppati da particolari reazioni chimiche, da cui è possibile determinarne la concentrazione, ovvero la colorimetria.

    Le cuvette sono piccoli contenitori in quarzo purissimo in cui è versato il liquido da misurare).

    Spiccavano per il loro bianco splendente, quasi da ceramica, due grandi quadranti, in realtà di forma semiovale, nei quali erano contenuti la scala delle assorbanze e quella delle lunghezze d'onda.

    Almeno un quintale di ferro, di vetro e di fili.

    Ma era completamente e assolutamente manuale.

    Giovani strabuzzò gli occhi di fronte a cotanta meraviglia, per l'epoca invero notevole.

    Ma cosa sono mai i piccoli apparecchietti attuali?

    Un paio di kg di plastica e di fili di rame, disegnati da noti stilisti, tutti automatici, senza alcuna fantasia creativa, dotati di ventisette computer, basta spingere un solo bottone e la stampante scrive anche la programmazione della TV e l'oroscopo.

    Quello stava ai moderni come una Silver Shadow della Rolls degli anni trenta sta a un’utilitaria coreana.

    Quindi Pollo, con movenze attente e misurate, afferrava una delle due cuvette - l'altra era il bianco dei reattivi - stringendola tra le dita per la parte smerigliata, versava il campione da leggere e asciugava la parte trasparente con uno straccio asciutto e pulito.

    Poi la guardava attentamente contro luce per assicurarsi dell’assoluta trasparenza e finalmente la poneva nella sede, chiudeva il coperchio e poteva, smanettando su molteplici manopole giungeva alla lettura dell’estinzione.

    Pollo finì il suo lavoro con calma e dignità, annotando pazientemente i dati con una matita su un blocchetto di carta.

    Era un individuo paffutello e con la faccia da bimbo nutrito a nutella, un largo naso e l'occhio birichino.

    La prima impressione sull'ometto fu sicuramente positiva.

    Pollo lo accompagnò in giro per il laboratorio, spiegò sommariamente tutto quello che si faceva, e si sarebbe fatto in futuro, lì dentro.

    Giovani capì poco o niente, assentiva coscienzioso come se avesse capito tutto, gentilezza e cortesia sopra ogni cosa.

    Pollo capì che non aveva capito, ma si comportò come se Giovani capisse, gentilezza e cortesia sopra ogni cosa.

    Infine presentò a Giovani gli altri disperati lavoratori della provetta.

    Il laboratorio era vissuto da diversi personaggi, tutti ben lontani dalla normale normalità, per fortuna.

    Tra questi spiccavano il tracagnotto Tergio Godi, laboratorista nato, flemmatico come un lord inglese alla camera, ma nessuna fra le cento difficoltà analitiche insorgenti potevano minimamente scuoterlo e rimanere irrisolta; il lungo e magro Angloberto, analista di gran classe, dotato di pazienza infinita e di un raro tatto nell'esecuzione delle analisi più delicate.

    Medici vari, studenti, infermieri e inservienti, più una suora e varie comparse, completavano il quadro.

    Giovani ebbe la certezza di aver trovato un ambiente di proprio gradimento e in cui non avrebbe avuto difficoltà a inserirsi.

    Quindi decise di entrare a far parte di cotale mondo.

    Iniziò così la storia infinita.

    In quel periodo la ricerca nel laboratorio era divisa, a grandi linee, in due filoni tendenti però a un unico fine: il metabolismo lipidico.

    Un gruppo era interessato ai lipidi in generale e un altro gruppo del metabolismo degli stessi in vivo in particolari patologie.

    Giovani apparteneva a quest'ultimo gruppo, formato da un minor numero di persone, però davano una mano anche agli altri, in realtà non esisteva una suddivisione rigida e tutti si aiutavano, in caso di necessità.

    Entro certi limiti le tecniche analitiche erano simili.

    Familiarizzò subito con nuovi nomi di composti che, al solo pronunciarli, facevano perdere alcuni denti, nomi come fosfolipide, acido linolenico o palmitoleico diventarono familiari come pane e salame.

    Come aveva vissuto felice, fino a quel giorno, senza conoscere l'importanza dell'acido arachidonico?

    E l'acido fosfatidico, come era possibile ignorarlo?

    Chi poteva dormire senza conoscere il ruolo dei NEFA (Non Esterified Fatty Acid, acidi grassi non esterificati) e dei trigliceridi nel ciclo di Krebs? Il primo lavoro, affibbiato a Giovani, era interessante pur se un po’ rompente in alcune fasi.

    Somministravano un acido grasso, marcato con C¹⁴ (Isotopo radioattivo, beta emittente del Carbonio), a una serie di ratti, mentre erano sottoposti a una dieta particolare.

    Parimenti una serie di ratti seguiva il medesimo iter, ma con una dieta assolutamente nella norma.

    Dopo un lasso di tempo prestabilito venivano sacrificati e i vari organi attentamente studiati e analizzati.

    Giovani imparò così a maneggiare sempre più i millicurie (Curie è una delle unità di misura della radioattività, ora sostituita dal Bekerel) e i nanogrammi, le attività specifiche e la cromatografia su strato sottile o TLC Thin Layer Chromatography.

    (Lo strato sottile prevede una fase stazionaria composta da alcuni tipi di gel stratificati in un film sottilissimo su lastre di vetro).

    E fin qui tutto bene.

    Sempre mercanzia da laboratorio era, appresa a suo tempo e poi accantonata, ma conosciuta.

    Fu il primo impatto con i ratti a far nascere qualche piccola perplessità. Mercanzia da laboratorio non era.

    Lo stabulario, regno incontrastato del buon Loredano, era situato a destra, al fondo del corridoio e a fianco dello studio del laboratorio, e con i primi caldi estivi sembrava anche più vicino.

    Loredano era un simpatico vecchietto, tutto pepe, vispo come un ragazzino, battuta sempre pronta e rappresentava il tipico arguto anziano petroniano: lingua da taglia e cuci.

    Aveva un rapporto personalizzato con le varie bestioline che pullulavano nello stabulario: piccoli e vivaci topolini, tutti bianchi con gli occhietti rossi, brutti e rognosi ratti pure bianchi, teneri conigli dai variopinti mantelli. Se uno avesse espresso un giudizio superficiale, lo avrebbe battezzato per matto.

    Parlava con i topolini, prendeva in mano i ratti e li accarezzava; solo lui riusciva a prenderli a mani nude, senza le apposite lunghe pinze e senza incorrere in morsi e graffi, i conigli venivano coccolati giornalmente. Sosteneva spesso con convinzione:

    - Al bisti i èń mèi di cristiàn.-

    - Gli animali sono migliori degli umani.-

    Non era raro vederlo girare per il corridoio mentre accarezzava un ratto tenuto amorevolmente in braccio, o un topolino faceva capolino da una tasca o scorazzava tranquillo sulle spalle, e parlava loro con il tono con cui si parla ai bimbi.

    Accudiva ai loro bisogni e, quando richiesto, provvedeva anche a far crescere la famiglia, facendoli accoppiare.

    La sorte di tali animali era di servire da cavie e quindi occorreva praticar loro qualche somministrazione o... altro.

    Allora si avvicinava alla gabbietta, sussurrava qualche parolina, metteva dentro la mano e zac... la ritirava con l'animale che roteava in modo sicuro per presentarlo all'operatore, e altrettanto sicura era la presa.

    Costui poteva affondare sicuro l'ago, seppur guardando con circospezione i grandi denti giallastri.

    Anche nel momento supremo del loro sacrificio non cambiava la storia. Loredano prendeva i morituri dicendo:

    - Sô puvrètt, vgniv què dal voster bań amìg Loredano, ch'av vól dimôndi bàń. -

    - Su poveretti, venite qua dal vostro buon amico Loredano che vi vuole molto bene. -

    Poi li appoggiava su un tavolaccio e con un solo abile colpo, dato con un enorme coltellaccio, li decapitava.

    Parea udirsi nell'aere un sommesso rullo di tamburi accompagnare ogni testa rotolante, e le voci delle comari della rivoluzione allietare il rito con il canto della Marsigliese.

    Era così bravo, il novello Charles - Henri Sanson (il boia della Rivoluzione Francese), da fargli sostenere che neanche se ne accorgevano. Sicuramente così era.

    Da allora Giovani ebbe molti dubbi sul concetto di voler bene in generale e sul molto bene in particolare.

    Dopo il sacrificio Giovani, quando seguiva il proprio lavoro, doveva raccogliere più sangue possibile e poi procedeva al prelievo di alcuni organi quali fegato, tessuto muscolare, grasso sottocutaneo ecc.

    Il sangue, e i vari tessuti, dopo accurata pulizia, venivano misurati o pesati poi si iniziava subito un trattamento estrattivo o di liofilizzazione. Giovani all'inizio era molto prevenuto e schizzinoso, e non aveva quella pratica nell'eseguire questi interventi, mentre i suoi già esperti colleghi filavano lisci come l'olio.

    Il boia Loredano aveva capito tutto e ne approfittava.

    Per fargli passare le fisime e svezzarlo bene, lo costrinse a pastrocchiare con le interiora e a tenere in mano, più del dovuto, i pezzi prelevati alle vittime, questo finché il fatto non turbò più di tanto il neofita.

    Così il ragazzotto ci prese la mano e divenne, per lui, un’attività come un'altra.

    In fondo faceva in modo industriale, sui ratti, quello che le massaie compiono giornalmente sui polli, solo le finalità erano differenti.

    Fece pure un'altra spiacevole conoscenza: in laboratorio il solvente più usato, novanta volte su cento, era una micidiale e puzzolente miscela a base di cloroformio e metanolo, l'odore della quale impregnava ogni più intima fibra.

    Cielo come era bella la ricerca!!

    Godi e Giovani davanti a un gas-cromatografo

    CAPITOLO 2°

    Spass as é pió ingiòst con chi as vól bàń che con un nemìg

    L'organigramma del laboratorio era relativamente semplice: alcuni aspiranti docenti, sotto il controllo di affermati docenti, a loro volta seguiti dal gran capo di tutti i capi, seguivano attivamente le varie ricerche.

    Un giovine medico, Giuseppe Giornano detto Gigì, coordinava il settore della ricerca a cui anche il nostro collaborava.

    Era alto, spalle cadenti, un naso che avrebbe consolato Ciranò, quando camminava strascicava i piedi, regolarmente piatti, e rasentava i muri più silenzioso di un’ombra muta.

    Prima si udiva il puzzo dell’eterna sigaretta accesa, poi si scorgeva il fumo e lui apparire dentro la nuvoletta.

    In un confronto il famoso Janez di salgariana memoria, quello dell'ennesima sigaretta, avrebbe fatto la figura di un innocuo scolaretto sorpreso a fumare in bagno.

    Dal punto di vista umano era un ragazzo dal cuore d'oro e con un raro senso dell'amicizia e del rispetto del prossimo, rompeva solo un po’ più del consentito.

    In ogni modo era impossibile prendersela, era la classica persona che, se vi avesse rotto un vaso etrusco, avreste chiesto voi scusa perche non ne avevate anche uno cinese da offrigli.

    Tutti gli volevano bene.

    Mai visto uomo più casinista, distratto (non era raro vederlo con i calzini di diverso colore), smemorato ma capace di lavorare un giorno filato per scoprire se ottenevano i migliori risultati roteando un imbuto separatore a destra invece che a sinistra, e quindi con lo spirito del grande Ricercatore (con la R maiuscola).

    (L’imbuto separatore è un pallone di vetro di varie dimensioni, da 500 mL fino a 2000 o 3000 mL,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1