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Coronavirus
Coronavirus
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E-book288 pagine5 ore

Coronavirus

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Info su questo ebook

Probabilmente tutti ricordiamo il giorno particolare che, senza saperlo prima, ha cambiato la nostra esistenza.
A volte, un poco mi spavento al pensiero di come, da una semplice e accidentale decisione, il corso della nostra vita possa cambiare volenti o nolenti.
Così accade per Guido il protagonista del mio libro.
Infatti, Guido, mai e poi mai si sarebbe immaginato che solo per prendere un mattino un treno per Milano le cose sarebbero cambiate definitivamente per lui.
L'incontro fortuito con una donna biologa e la scoperta di alcuni documenti misteriosi saranno gli elementi scatenanti di una avventura che il nostro Guido dovrà affrontare come una tempesta improvvisa che si abbatte sulla sua vita finora serena.
La minaccia di un Virus tremendo caduto nelle mani di un gruppo di terroristi islamici - che sono anche gli unici a possederne il vaccino - scatenerà una lotta silenziosa per la salvezza di una buona parte di una ignara umanità.
Ma non voglio certo anticiparti cosa accadrà. I colpi di scena saranno molti e si susseguiranno fino all'ultima pagina, proprio quando scoprirai un sorprendente finale che per altro potrebbe già essere un inizio sconvolgente della vita reale di ognuno di noi...
Nino Molinari
LinguaItaliano
Data di uscita17 nov 2015
ISBN9781519249616
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    Anteprima del libro

    Coronavirus - Nino Molinari

    EPILOGO

    CORONAVIRUS

    Un intrigante thriller sul terrorismo islamico

    NINO MOLINARI

    Copyright © 2015 Nino Molinari

    Tutti i diritti riservati.

    ISBN: 1519249616

    ISBN-13: 978-1519249616

    PROLOGO - CORONAVIRUS

    Le stazioni dei treni hanno sempre avuto su di me un grande fascino. A differenza degli aeroporti, dove la relazione tra passeggero e mezzo di trasporto è praticamente nulla – salvo a volte alcune vetrate che ti permettono perlomeno di vedere le piste e qualche aereo – le stazioni dei treni mantengono una certa aria di antico, perché sono quasi sempre delle strutture di una certa imponenza con sovente grandi arcate interne di ferro che coprono i binari, con strani echi che si diffondono nell’aria che contribuiscono a conferire all’ambiente una certa forza, come se si vivesse all’interno di un motore in movimento perenne.

    Tra lo sbuffare delle vecchie locomotive, i fischi, lo stridore dei freni e le porte delle antiquate carrozze che sbattono s’intercalano le grida dei facchini e i clacson dei carretti elettrici pieni di valige che zizzagano lungo le varie pensiline fra i binari. Poi il continuo andirivieni dei passeggeri che si muovono più o meno rapidamente, mentre altri se ne stanno seduti in attesa sulle panchine lungo i binari con i bambini che corrono, le mamme che gridano e i capotreni che fischiano. In pratica un’atmosfera eccitante dove l’attesa tra arrivi e partenze, scandita da grandi orologi elettrici lungo le passerelle, diventa quasi tangibile. Anche senza muoversi, solo guardando, si respira un’aria inebriante e a volte non bastano i soli due occhi che abbiamo per vedere tutto quello che vorremmo. Mi piace arrivare in anticipo, quando posso, per respirare un poco questa sensazione di essere anch’io parte di una folla che si agita in questo grande cuore pulsante.

    Anche la stazione di Porta Nuova a Torino rientra perfettamente nei canoni di tutte le stazioni delle grandi Città. Dopo il grande atrio e l’ampio corridoio con negozi e barbieri sempre aperti, proseguendo diritto, a destra s’intravede lo stazionamento dei taxi e davanti si apre la vera e propria hall centrale con allineati in verticale tutti i capolinea dei vari binari.

    Diedi una breve occhiata al grande tabellone elettronico davanti a me per vedere il numero del mio binario. Torino-Milano-Domodossola, binario dodici; in orario. Partenza alle 11.20. Perfetto pensai. Avevo tutto il tempo più che necessario e sufficiente per un caffè e magari anche seduto a un tavolino fuori del bar per potermi godere un po’ di questa vita vorticosa intorno a me. Intravidi giusto sulla mia destra un tavolino libero e girai rapidamente prima di essere anticipato da un altro viaggiatore con la mia stessa idea. Forse troppo velocemente perché mi scontrai con un’altra persona che stava arrivando più rapidamente di me alle mie spalle. Lo scontro doveva essere stato un vero spettacolo visto di fuori. Me lo sono poi immaginato al rallentatore. La cartella che avevo in mano letteralmente volò e un buon numero di fogli uscirono volando. Lo stesso successe con la grande borsa della persona che mi aveva urtato che oltre a perdere anch’essa una buona parte di fogli fittamente dattiloscritti, sparse sul pavimento un’incredibile varietà di piccoli oggetti da pettini, matite di vari colori, lucidalabbra e così via lo ricordo sempre come una specie di volo di gabbiani che agli occhi di un qualunque passante doveva sicuramente sembrare uno spettacolo non comune. Mi girai come un fulmine pronto a inveire contro il malcapitato seguendo l’antica regola che la miglior difesa è l’attacco, ma la risata squillante della signorina che mi trovai davanti non solo mi smorzò ogni velleità e riuscì a farmi cogliere il lato comico della situazione. Incominciammo entrambi a raccogliere tutto quello che si trovava sparso un po’ dovunque, mentre ci scambiavamo delle scuse reciproche. Appoggiammo il tutto sul tavolino del bar e incominciammo a dividere e a organizzare nuovamente i nostri fogli. Poi la signorina si fermò di colpo e allungandomi improvvisamente una mano mi disse:

    «Io mi chiamo Asari credo per colpa di mio padre che amava i videogiochi di fantascienza, e tu?».

    «Kevin» le risposi stringendole una mano forte e calda e proseguii: «forse per mia madre che amava Kevin Costner».

    Entrambi ridemmo e ci sentimmo subito bene.

    Nel breve silenzio che seguì, le diedi un’occhiata più attenta. Doveva avere all’incirca trentatré, trentacinque anni; capelli castano chiaro, occhi verde grigio e delle belle labbra di un rosso naturale. Un fisico snello, quasi magro, direbbe, e un’altezza solo un poco superiore al metro e sessanta. Credo che involontariamente il movimento delle mie mani che stavano riorganizzando i fogli doveva aver rallentato considerabilmente, perché incrociai un’occhiata della fanciulla che mi stava guardando in modo interrogativo con le sopracciglia lievemente alzate. Balbettai qualche stupida parola senza molto senso e vidi che Asari sorrise con un poco d’ironia come se avesse accettato che la stessi analizzando. Forse per farmi perdonare la mia intromissione nella sua sfera personale le chiesi se potevo offrirle un caffè e fui contento della sua risposta positiva. Mi alzai per raggiungere il cameriere e quando ritornai, le chiesi quanto tempo avesse a disposizione prima di prendere il treno.

    «Oh, non ti preoccupare più di un’ora mi piace venire in anticipo alla stazione».

    Guarda caso pensai, mentre Asari guardando l’orologio proseguiva «Devo prendere il treno delle 11.20 per Milano Domodossola e poi Lugano».

    «Guarda caso!» dissi questa volta a voce alta «Lo stesso treno che devo prendere anch’io, ma solo fino a Milano. Peccato che ormai anche nei treni ci siano i posti fissi perché avremmo potuto fare almeno una parte del viaggio insieme. Ma una volta che il treno sarà partito, ti vengo a cercare. Può darsi che il tuo scompartimento non sia pieno. Vedremo».

    L’arrivo del caffè interruppe i nostri discorsi, ma dopo il primo sorso, entrambi parlammo allo stesso tempo e ci mettemmo a ridere perché la domanda era la stessa.

    «Che cosa sono tutti questi fogli che ti porti dietro?».

    Fu Asari la prima a rispondere.

    «Anche se forse non ho l’apparenza, come mi dicono in molti, il mio lavoro è di ricercatrice biologica e sono specializzata nello studio delle nuove infezioni insorgenti siano esse causate da virus o da batteri. Una di queste ultime che fa già decisamente paura è dovuta a un Coronavirus che era stato già isolato in Medio Oriente qualche tempo fa, ma che ultimamente ha, come dire, cambiato aspetto diventando ancora più aggressivo perché è capace di attaccare vari organi contemporaneamente come fegato, reni, vie respiratorie ed è in grado di uccidere un altissimo numero di cellule molto rapidamente».

    Senza praticamente accorgersi, Asari era diventata molto seria e concentrata così che la lasciai proseguire.

    «Per di più il piccolo ‘bastardo’ ha la capacità di fare delle mutazioni con grande rapidità così che anche noi dobbiamo reazionare molto rapidamente credo di aver quasi trovato una soluzione e sto’ andando a Lugano da un mio vecchio professore e amico che ha un laboratorio fantastico per vedere le possibilità di un vaccino Il piccolo bastardo ha però anche un punto debole. Patisce il caldo non può vivere molto se la temperatura si alza sopra lo zero gradi". Alzò poi le spalle come per chiedermi scusa nel caso mi avesse annoiato e proseguì «Sai com’è, noi ricercatori abbiamo un po’ sempre la mania di pensare che quello che facciamo sia, come dire, interessante per tutti ed io poi, in particolar modo, sono molto attaccata al mio lavoro forse fin troppo, come mi dicono in tanti».

    «E, in effetti, sicuramente è molto interessante. perlomeno molto più utile e importante dei miei fogli che non sono altro che una novella che ho scritto e che sto adesso portando al mio Editore a Milano per la fase di revisione degli ultimi dettagli e poi, se tutto starà bene, verrà stampata; è il mio primo libro e sono un poco emozionato, a dire il vero».

    «E, ci credo!» rispose Asari con un entusiasmo che mi fece piacere, «Io, al posto tuo, non starei nella pelle all’idea di poter vedere il mio nome su di un libro», poi riprendendo fiato soggiunse immediatamente «Di cosa parla? Qual è il titolo? Dammi qualche dato in più. Sai noi ricercatori viviamo di dati».

    La sua domanda mi mise un poco in imbarazzo e fui contento di averle detto quasi inconsciamente invece del mio nome Guido Rinaldi lo pseudonimo che ho usato per il mio libro – Kevin. Ci sono ormai quasi affezionato e mi viene abbastanza facile usarlo. È come una seconda persona dentro di me. Però, adesso dovevo anche dare qualche spiegazione in più.

    «È un po’ un problema» incominciai cercando le parole migliori «Il fatto è che il mio libro è un racconto quasi al 100% autobiografico e contiene molte, direi troppe, cose che mi metterebbero piuttosto in soggezione nel caso che si vendessero un buon numero di copie come dice di essere sicuro il mio Editore, perché mi sentirei poi molto male con le occhiate della gente che m’incontra … Non so se mi puoi capire. Sarebbe per me come camminare nudo tra la gente. Non potrei più sentirmi comodo in mezzo agli altri senza pensare poi alle ovvie domande che verrebbero automatiche da parte del prossimo. Per di più contiene anche una parte piuttosto pericolosa per me perché racconto delle cose che non dovrei sapere… e non dovrei dire… ma sarebbe adesso troppo lungo spiegarmi».

    Feci una pausa quasi lasciando la frase in sospeso e sentendo le mie parole io stesso un po’, diciamo, perlomeno strane. Forse per voler in qualche modo giustificare quanto stavo dicendo, anche se non ce ne sarebbe stato bisogno, continuai «il fatto è che sono una persona forse un po’ troppo riservata e mi sono trovato immischiato in alcune situazioni più grandi di me».

    «Non c’è nessun bisogno che ti debba giustificare con me» m’interruppe Asari «Anche noi, diciamo, ricercatori, siamo quasi sempre piuttosto chiusi. Sempre con la testa un po’ nelle nuvole, per cui ti capisco perfettamente».

    Veramente mi fece tirare un bel sospiro di sollievo e subito dopo, però continuò «Il fatto è, con quello che mi hai detto, che mi hai fatto venire ancora più voglia di leggerlo…».

    Poi fece una bella risata e tutto si rilassò.

    «Comunque,» continuai «per lo meno un dato in più tu già l’hai sai già il mio pseudonimo che troverai sul libro… perché’ ti devo confessare che Kevin, anche se mi piace, non è il mio nome mi è venuto automatico dirtelo prima quando ci siamo incontrati perché stava bene con il tuo che è già abbastanza strano».

    «Non sarà mica veramente Kevin Costner il tuo pseudonimo, vero?» mi chiese poi la fanciulla spalancando gli occhi «No, no di certo sarebbe credo anche plagio ma, in ogni caso suona abbastanza, diciamo, simile. È Kevin Foster».

    Mentre stavo dicendo queste ultime parole, non so dire esattamente cosa vidi ma ebbi l’impressione che negli ultimi cinque o sei secondi, Asari, non mi stesse ascoltando. Sono sempre stato un buon osservatore fin da bambino, forse per aver giocato il più delle volte da solo e aver esercitato in questo modo una particolare attenzione ai dettagli, così che anche le più piccole espressioni degli occhi che, a volte, perdono il brillio consueto o una leggera piega che prende la bocca o una piccola variante dell’inclinazione di un sopracciglio, possono spesso farmi intravedere i pensieri che scorrono nella testa della persona che mi sta di fronte. Asari, in effetti, aveva perso il suo sorriso di poco prima e vedevo che il suo sguardo non stava più sopra di me ma girava un po’ da tutte le parti e nascondeva una certa apprensione. Per darle il tempo di rilassarsi le dissi che, siccome mancava ormai solo poco più di mezz’ora alla partenza del nostro treno, sarei andato un attimo a pagare i nostri caffè. Non mi fece quasi caso per cui mi alzai e andai alla cassa. Un paio di minuti dopo ero di ritorno e trovai Asari che già stava in piedi con la sua grande borsa su di una spalla e che mi disse immediatamente «Per favore, se puoi, vieni poi a cercarmi sul treno, carrozza tre, il mio posto è il 5a Adesso ho ancora un paio di telefonate urgenti da fare… ci vediamo dopo» e incominciò ad allontanarsi. Poi si voltò un secondo e mi disse: «Grazie per il caffè!».

    Sparì quasi correndo e lasciandomi con la netta impressione che qualche cosa non andava bene. Un poco contrariato o più che altro pensieroso, alzai la mia cartella dal tavolino e quasi rovesciai nuovamente i miei fogli per terra, perché un elastico in uno dei bordi non stava agganciato. Mi venne quasi da ridere mentre mi dirigevo rapidamente verso il mio binario. Mi sentivo un poco inebriato all’idea di rivedere Asari dopo poco. Non era mai stato molto facile per me intavolare un discorso con una donna e nonostante i miei quarant’anni ormai suonati da qualche mese, sicuramente non assomigliavo molto al Signor Kevin del mio libro che aveva, per fortuna, un carattere molto più aperto del mio. Beato lui pensai sorridendo. Forse, a forza di scrivere sopra il mio omologo, ero anche riuscito a prendere qualche cosa di buono da lui, almeno nel carattere. E dire che invece, fisicamente Kevin era perfettamente uguale a me con i suoi capelli biondo scuro che sempre avevo lasciato liberi di girare come volevano senza mai preoccuparmene molto. Aveva un’altezza di un metro e settantacinque, gli piaceva molto camminare, come a me, e praticamente, al passo giusto, non si stancava mai. Direi, anzi che era piuttosto magro ma si autogiustificava sempre pensando che era tutto peso in meno da portarsi dietro Per il resto direi forse che non ero né bello né simpatico come Kevin. L’unica cosa che mi piaceva, forse, erano i miei occhi scuri per me più belli di quelli azzurri che avevo affibbiato a Kevin. Di buono, comunque, il mio amico Kevin aveva avuto il grande pregio di aiutarmi a… sopravvivere e di questo lo ringraziavo tutti i giorni. Scrivendo per alcuni mesi su tutto il suo strano mondo e inseguendolo nelle sue vicissitudini mi ero, un po’ alla volta, immedesimato molto in questo personaggio e non era la prima volta che mi trovavo senza accorgermene a parlare da solo con lui, a chiedergli consigli come si farebbe con un amico o anche a criticarlo per alcune delle sue stranezze che gli concedevo nel libro.

    Mi diressi con passo tranquillo verso il mio binario con una strana sensazione. Era quasi come se presagissi inconsciamente che con quel treno che stavo per prendere, avrei anche dato una svolta importante alla mia vita rendendola anche molto più ‘movimentata’ di quello che forse avrei voluto. Forse anche questa sensazione era dovuta al fatto che, anche se non me ne ero accorto, c’erano già da una decina di minuti un paio di occhi che mi avevano inseguito con fin troppa attenzione. Arrivai al binario e scoprii che si trattava ancora di un vecchio tipo di vagone di quelli fatti con un corridoio laterale e diviso in tanti scompartimenti di sei posti comodi foderati di un bel velluto rosso un po’ usato con, sotto il finestrino, un piccolo tavolino pieghevole, la porta scorrevole e sopra i sedili, il portabagagli ancora fatto di una specie di corda a rete. Probabilmente ai suoi tempi doveva essere stato un vagone di prima classe ma ormai.

    Cercai il vagone numero due e trovai quasi subito il mio posto nel terzo scompartimento. Il treno, nonostante ormai mancassero solo più dieci minuti alla partenza, era quasi vuoto. Nel mio scompartimento c’era solo un signore che leggeva il giornale e che mi salutò dandomi un’occhiata superficiale. Non avendo che una piccola sacca con le mie cose e la cartella del libro non appoggiai nulla e preferii starmene fuori nel corridoio aspettando la partenza. Mi affacciai dal finestrino del corridoio guardando a destra e a sinistra e vidi che praticamente non c’era più nessuno lungo la pensilina. Solo il capostazione con il suo cappello con la striscia rossa e oro e il fischietto già pronto, e un paio di signori con un’aria nervosa e preoccupata che guardavano un po’ da tutte le parti verso le varie porte dei vagoni e a volte anche verso di me con un’aria accigliata. Sentii ancora sbattere un paio di porte e poi il fischietto acuto che annunciava la partenza. Il treno si mosse e i due signori lungo la pensilina si diedero uno sguardo reciproco d’interrogazione.

    Osservai per alcuni minuti il paesaggio d’intricati binari che mi passavano di fianco, sorprendendomi, come sempre, di come il treno sapesse prendere la direzione corretta. In pochi minuti, dopo qualche breve galleria, i binari si erano già ridotti a due e scorrevano fra due alti muri di pietra in cima ai quali s’intravedevano le facciate delle case che scorrevano di fianco. Come per incanto il paesaggio si apri più ampio intorno a me con le tipiche case o meglio ‘casone popolari’ che si trovano un po’ in tutte le periferie delle grandi città e poi incominciarono a intercalarsi i campi verdi con file di alberi e case già più rustiche. Passeggiai brevemente lungo il corridoio sbirciando nei vari compartimenti che, in effetti, erano piuttosto deserti. Pensai con piacere che quasi sicuramente lo stesso panorama ci doveva essere anche nella carrozza tre e m’incamminai con il crescente desiderio di potermi rivedere con Asari. Cercai lo scompartimento cinque e vidi, mentre mi avvicinavo, che era aperto e preparai il mio miglior sorriso.

    Diciamo pure che se il mio sorriso fosse stato di terracotta, si sarebbe sgretolato sulla porta perché, lo scompartimento era, letteralmente vuoto. Cercai di recuperare i resti del mio sorriso guardandomi incerto a destra e a sinistra, niente da fare. Ma perché? Mi aveva anche dato il numero del vagone o si era forse sbagliata?. Decisi di passeggiare per tutto il treno che non era poi tanto lungo, per vedere se la trovavo. Mi sembrava impossibile e la delusione che non volevo ancora accettare si stava trasformando in un misto di rabbia e tristezza. Dopo aver percorso un paio di volte tutto il treno avanti e indietro, finalmente mi rassegnai all’evidenza dei fatti e mi sedetti nel sedile 5A di Asari come per cercare conforto o forse pensando che potesse comparire come d’incanto.

    Fu la voce del controllore un poco prima della Stazione di Santhià che mi chiedeva il biglietto a farmi ritornare con i piedi sulla terra: «Signore il suo posto è nel vagone due» mi disse e di fronte al mio sguardo interrogativo sul fatto che il treno era praticamente vuoto, seguì «Comunque se a Santhià nessuno le chiede il posto… può anche restare», e se ne andò con la sua aria annoiata sicuramente pensando che proprio non era il caso di fare tanto i fiscali.

    Rimasi seduto per lungo tempo guardando i campi coltivati che mi scorrevano di fianco accompagnato dal ritmico rumore tamburellante del treno che sembrava come saltellare sopra le giunture dei binari in modo continuo e monotono, salvo alcune interruzioni di tanto in tanto quando s’incrociavano degli scambi che si trasformavano in un repentino accelerare del ritmo come un tocco esperto di batteria. Mi lasciai cullare da questo ipnotico accompagnamento e dalla visione rapida delle immagini che mi sfilavano di fianco. Cullare fino a che finalmente i miei occhi si chiusero e la mia anima riuscì a respirare nuovamente.

    CAPITOLO 1

    Neanche tre mesi dopo la pubblicazione del libro avevo già raggiunto le prime centomila copie di vendita e le ristampe si seguivano alle ristampe.

    La Casa Editrice nella persona di Luca Soleni il mio Editore non passava praticamente giorno che mi chiamasse almeno due volte per telefono sempre con la voce eccitata per darmi le ultime notizie. D’altra parte era anche l’unico modo che gli avevo dato per contattarmi, visto che oltre a non sapere il mio nome reale, sapeva solo che vivevo a Torino, notizia che mi era scappata senza volerlo in un discorso. Non aveva la direzione di dove vivevo e il telefono a cui mi chiamava era quello di una libreria di un comune amico dove passavo le mie giornate in pratica come commesso ma di questo parleremo dopo.

    «Kevin» ormai si era abituato a chiamarmi così «Ti sto richiamando, perché’ solo adesso ho avuto due notizie a dire poco mirabili», si fermò in attesa di un mio segnale d’interesse che non arrivò ed essendoci già abbastanza abituato, prosegui: «La prima è che dovresti comprare una copia dell’Espresso che è appena uscito oggi per vedere che splendido articolo hanno fatto sul nostro libro e, soprattutto per vedere la pagina iniziale». fece una lunga pausa sicuramente aspettandosi l’ovvia domanda da me. Poi continuò per nulla scoraggiato dal mio silenzio. «Proprio così. In prima pagina c’è la copertina del nostro libro con una grande scritta in rosso ‘ Tanto famoso quanto sconosciuto! Chi è? ’ Che te ne sembra? Devo alla fine riconoscere che quest’idea dello pseudonimo sta funzionando meglio di quanto pensassi Sai cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire che le vendite andranno alle stelle…In effetti, ho già chiamato per preparare una ristampa in più per coprirci le spalle Non hai niente da dire?».

    In effetti, stavo ancora cercando di digerire la notizia con un misto di sorpresa, molta, molta paura e un leggero sorriso per quel ‘nostro libro’. Sì, paura di quello che poteva succedere. Ero contento, evidentemente ma anche, in verità avrei preferito non avere tanta notorietà. Completamente all’opposto di Luca che gioiva molto più di me, non so se di vero piacere o per i soldi che avrebbe ricevuto in più, «Speriamo che non esagerino» mi sentii dire «Non mi sento molto a mio agio in questo ruolo, dove mi stanno incastrando, sta quasi diventando Giallo su chi mai sarà l’assassino».

    «Dai Kevin, non fare il tragico anche perché prima o poi dovremo anche risolvere questa faccenda in sospeso del mistero dell’autore E, in effetti, è proprio questa la seconda strabiliante notizia che ti volevo dare».

    Hai, hai, pensai vedo già in arrivo alcuni problemi.

    Luca prese un’aria più seria e meno eccitata quando proseguì: «Ho ricevuto poco fa una telefonata niente popò di meno che dalla Rai, dalla direzione generale dei programmi, un certo Dr. Fumagalli, che vorrebbe approfittare del programma di varietà del Sabato sera, quello con quel tasso di ascolto allucinante, sai cosa dico, non è vero Anche se è un programma di varietà con cantanti e attori famosi, vorrebbero, in pratica, fare una puntata dove verrebbe fatta finalmente la presentazione dell’autore del libro più famoso dell’anno a tutto il pubblico in pratica ti farebbero un’intervista in esclusiva che sarebbe un vero e proprio Boom e non solo per l’Italia ma già per molti Paesi del mondo visto che, il

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