L'umorismo e la donna: deficienza dell'umorismo e del senso del comico nel sesso femminile (1926)
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Un libro comunque da leggere perché è una testimonianza diretta di un uomo che ragionava come ragionavano gli uomini di quell’epoca, anzi, peggio ancora: come ragionava la classe colta dell’epoca ed è interessante -moooolto interessante!- perché ci porta in anni lontani e ci apre una finestra particolare per interpretare e per capire meglio quel periodo, quel mondo, quell’ambiente meglio di tanti libri di storia e di sociologia scritti dopo.
Un libro da leggere però anche -e soprattutto!- perché a leggerlo con l'ottica giusta è oltremodo spassoso, talvolta esilarante: non si ride con l'Autore, si ride dell'Autore, della sua visione della donna e della sua misoginia che raggiunge vette di ridicolo difficilmente raggiungibili... Imperdibile!
Con prefazione e postfazione di Remo Badoer
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Anteprima del libro
L'umorismo e la donna - Giovanni Battista Ughetti
Postfazione
Prefazione
(di R. Badoer)
Allora, diciamolo subito, fuori dai denti, così ci si cava il pensiero: questo è un libro misogino, scritto da un misogino in un'epoca misogina e in un luogo ad alto contenuto di misoginia (l'Italia del 1926!). E le idee (oddio, in questo caso idee
è una parola grossa...) presentate in questo libro sono di conseguenza difficilmente condivisibili.
E allora, uno si chiede, perché mai dovrei leggere una roba del genere? Domanda giusta, ma i motivi ci sono -e parto dal meno importante.
Allora: questo libro è una testimonianza diretta di un uomo che ragionava come ragionavano gli uomini di quell’epoca, anzi, peggio ancora: di come ragionava la classe colta dell’epoca ed è interessante -moooolto interessante!- perché ci porta in anni lontani e ci apre una finestra particolare per capire meglio la concezione della donna in quel periodo, in quel mondo, in quell’ambiente meglio di tanti seriosi e accademici blablabla in libri di storia e di sociologia scritti dopo. Che poi quei tempi tanto lontani non sono: se guardiamo ben bene, se andiamo oltre la patina del politically correct, le radici da cui è nato questo libro sotto sotto sono ancora vive anche un secolo dopo, e quello che scrive l'Autore potrebbe scriverlo oggi anche qualcun altro....
Ma c’è un secondo motivo, quello per cui consiglierei a tutti questo libro: è da ridere, è spassoso suo malgrado -potremmo dire a insaputa dell’autore, perché a leggere oggi questo libro ci si diverte, e non poco. E anche se il divertimento nella lettura era certamente presente nelle intenzioni di chi lo scrisse, il fatto è che, leggendo con l'ottica giusta, non si ride con l'Autore, si ride dell'Autore, della sua visione della donna e della sua misoginia tanto ingenua da sfiorare il ridicolo, misoginia che è sempre presente anche e soprattutto quando l'autore dichiara che non c'è -si chiama coda di paglia.
E se non si può fare a meno di sorridere e ghignare quando l' Ughetti parla con la sua alta condiscendenza e pelosa spocchia delle artiste, sia pittrici che scrittrici (le pennaiuole
), non si può fare a meno di sganasciare quando si infervora contro le donne che si occupano di attività maschili (soprattutto contro le medichesse
-era un medico!e le conferenziere
che ... hanno sempre una bella bocca e bei denti, altrimenti non conferenzierebbero
!
E se poi gli capita di non poter fare a meno, magari a denti stretti, di dover riconoscere la capacità femminile in attività prettamente maschili (o almeno, all'epoca prettamente maschili) le definisce dei mezzi maschi e non si capisce fino a che punto per lui questo sia un complimento!
Certo, e lo mette in chiaro nel libro, c'è chi è peggio di lui, e cita a profusione Tolstoj, Schopenhauer, Heine e compagnia briscola, quale fosse prova di obiettività di giudizio parlare male delle donne sì, ma comunque meno di qualcun altro.
A sua discolpa, va detto che all'epoca non erano solo i maschi a pensarla in un certo modo, basti pensare alle scrittrici citate nel testo, che rispettavano la comune italica opinione che le donne, oltre alle faccende d'amore e alla famiglia, non dovrebbero impicciarsi di altro: se qualcuno ha avuto l'occasione di leggere qualcosa di Annie Vivanti, Margherita Scarfatti, Clarice Tartufari o di altre autrici italiane citate, sa cosa voglio dire[1].
Ma chi era questo Ughetti? Nato a Vernaria Reale, in provincia di Torino, nel 1852, Giovanni Battista Ughetti si trasferisce a Catania, dove si laurea in Medicina e dove finirà per diventare docente di Patologia generale (e anche se oggi è quasi dimenticato, fu lui a scoprire per primo il meningococco).
Non si occupava solo di medicina, scrisse diversi libri di argomenti vari ma -almeno dai pochi che ho letto- sempre con una certa prosopopea e sufficienza: anche se non ho la più pallida idea di come fosse fisicamente, l’immagine che mi salta in testa di Ughetti (anzi: del dottor professor Ughetti -come non dubito amasse essere chiamato) è quella di un uomo ben messo, con la barba curata, che pontifica nei salotti con un sorrisetto di sufficienza, ben messo di panza ma con il petto bene in fuori, il pollice di una mano infilato nel taschino del gilet e l’altra mano che regge un bicchiere, magari appoggiato ad un caminetto (e anche se non era niente del genere, a me piace pensarlo così).
Per concludere, un avviso al lettore. Talmente è spudorata la misoginia dell’autore che uno si può anche chiedere: ma quest’Ughetti parlava sul serio e credeva veramente in quello che scriveva oppure voleva scrivere un libello provocatorio, magari di dubbio gusto ma sempre libello? Personalmente, propendo per la prima ipotesi perché come dicevo Ughetti scrisse in campi ma mantenne sempre una differenza tra le opere di carattere medico e divulgativo -che firmava col suo vero nome, come questa sua opera- e altre opere di carattere più leggero, che firmava con uno pseudonimo decisamente inaspettato per il personaggio: Iris.
Buona lettura
Remo Badoer
Nota tecnica: questa trascrizione si basa sulla prima edizione (Fratelli Bocca, 1926). Nel riportare il testo sono stati corretti errori di battitura, anche nel nome di alcuni autori (Dikens, Thakeray, …) ma per rendere più gustosa la lettura è stato mantenutolo stile dell’epoca (es.: gioja, intiero, sustrato, ecc.).
[1] il sottoscritto, quando ha curato il volume "Gli uomini visti dalle donne", si è trovato a leggere testi di queste ed altre scrittrici italiane di moda in quel periodo… è stata un’esperienza traumatizzante. Interessante, certo, ma traumatizzante.
Proemio
Disse uno scrittore francese che gl’italiani qualificano la prefazione la salsa del libro, ma s’ignora chi sia l’italiano che pel primo abbia dato una simile definizione gastronomica. So bene che un celebre umorista sentenziò che è la parte più necessaria e interessante, talvolta la sola interessante, di tutto il libro; e ciò parecchi anni prima del D’Alembert, il quale, come è noto, colla prefazione all'Enciclopedia ideata dal Diderot, creò la sua più grande e durevole fama seguita da molti dispiaceri per le idee che vi aveva manifestato. Pertanto anch’io metto innanzi una prefazione, che intitolo proemio, sia per maggior correttezza, sia per costringere chi prende in mano il libro a non saltar via questa parte, come sogliono fare per le comuni prefazioni i lettori frettolosi e superficiali.
Esiste probabilmente ancora da noi e fors’anche altrove, qualche dotto ipocondriaco che giudicherà l’argomento trattato in questo volumetto poco scientifico e tanto meno serio; ad ogni modo estraneo a quel ramo della medicina che mi ha caratterizzato per tutta