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Sotto un tetto di stelle
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E-book123 pagine1 ora

Sotto un tetto di stelle

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Info su questo ebook

Un amore che ritorna, quello tra Sandra e Roberto. Prepotente, inatteso. Ritorna perché, forse, mai di fatto finito. Dopo quaranta lunghi anni, complice i moderni social. Ma Sandra cerca di resistergli e lotta con tutte le sue forze per non cedergli: ha un passato troppo doloroso da espiare e un presente altrettanto doloroso da combattere. Il ritornello di una canzone fa da sottofondo ai pensieri ora fiduciosi, ora pessimisti che si susseguono vorticosamente nella mente di Sandra: ma come ho fatto a stare tanto senza te… Fino a quando…
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2019
ISBN9788893471091
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    Anteprima del libro

    Sotto un tetto di stelle - Rosa Maria Colangelo

    Rosa Maria Colangelo

    Sotto un tetto di stelle

    Prima Edizione Ebook 2019 © R come Romance

    ISBN: 9788893471091

    Immagine di copertina su licenza Adobestock.com, elaborazione Edizioni del Loggione

    www.storieromantiche.it

    Edizioni del Loggione srl

    Via Paolo Ferrari 51/c

    41121 Modena – Italy

    romance@loggione.it

    http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it

    La trama di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.

    Ogni coincidenza con fatti e persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.

     A mio marito

    Rosa Maria Colangelo

    SOTTO UN TETTO

    DI STELLE

    Romanzo

    INDICE

    Introduzione

    Capitolo I

    Capitolo III

    Capitolo IV

    Epilogo

    L’autrice

    Catalogo

    Introduzione

    L’ho rivisto lì, sotto un tetto di stelle.

    Le stelle di Milano. Il cielo di Milano, che mai come in questo momento ha un bagliore quasi irreale, una luce dorata che sfuma i contorni delle cose. Nella luminescenza della sera tutto assume una consistenza diversa, propria, assoluta. Sa di magia.

    Sono in piedi, le mani che stringono la borsa, stringono con forza, per prendere forza; gli occhi fissi alle porte del pullman, siamo una decina di persone ad aspettare sul piazzale.

    Dio mio com’è invecchiato, ho pensato appena l’ho visto, è diventato brutto, curvo, ma non gliel’ho detto. È sceso dal pullman per ultimo, quasi l’avesse studiato, per fare più effetto.

    Ero sicura di poterlo riconoscere sebbene siano trascorsi quarant’anni. Quarant’anni! Una vita intera.

    Sono tanti quarant’anni. Anche per un grande ricordo. Per un grande amore. Per un grande rimpianto.

    Mi tremano un po’ le gambe a dirla tutta; non si è mai preparati fino in fondo ad affrontare simili storie, al di là dell’età, delle esperienze vissute, delle attese volute o subite.

    Che poi è successo tutto così in fretta, tutto per caso.

    Su Facebook. Come due adolescenti rincoglioniti dai network. Mio figlio mi ha iscritta a ‘sto Facebook; mi dice: guarda che puoi ritrovare tanti vecchi amici, compagni di scuola magari, non ti piacerebbe? Ci passi un po' di tempo. Mi convince, mi iscrivo ed è vero, mi contattano due o tre persone di cui avevo completamente perso le tracce: un compagno di banco delle superiori, un quasi innamorato di un paese vicino, una vecchia amica di università. È vero, è bello ritrovarsi e ritrovare il tempo andato, perduto.

    Mi scrive anche lui. Lì per lì faccio fatica a mettere a fuoco, a convincermi che è proprio lui. Ma sei proprio la Sandra di Molfetta? mi scrive. Sì, e tu sei proprio Roberto Santi? gli rispondo d’impulso, non immaginando lontanamente dove mi avrebbe portato quel sì.

    Com’è piccolo il mondo!

    Già, com’è piccolo… e Facebook, nella sua vastità, è nato apposta per renderlo ancora più piccolo. Milioni di persone che si incontrano virtualmente, e non solo, su un monitor più o meno piccolo, che si scambiano parole, foto, sensazioni, opinioni, frecciate, malumori, veleni, entusiasmi, abbracci e baci, rancori, odi, amori. Milioni di cuori che pulsano attraverso l’etere! Rimanesse tutto solo nell’etere!

    È passata un’eternità dall’ultima volta che ci siamo visti!

    Forse anche di più.

    Riaffiora un ricordo vago di due giovani seduti sulla panchina dei giardinetti prospicenti la chiesa, distanti, in silenzio, chini a fissare le formiche tra i fili d’erba. Chiudo forte gli occhi e cerco di richiamare alla mente un viso, una voce. Ma il tempo è un gran tiranno quando cancella ciò che non vorresti, o un gran signore quando infine riesce ad alleviare i dolori più atroci.

    In questo caso c’è il niente da ricordare, il vuoto, mi dico, ma so che non è vero. L’ultimo incontro era coinciso con un addio doloroso e inevitabile. A detta di lui.

    Non ci eravamo neanche stretti la mano o scambiati un ultimo bacio.

    «Parto, vado a Roma, seguo i miei.»

    «Perché non rimani?»

    «A fare cosa?»

    «Come a fare cosa?»

    Lo guardo stupita, non riesco o non voglio capire.

    «Ci sono io qui, a me non ci pensi?»

    «Ma io devo studiare, devo finire, i miei si trasferiscono apposta, rimango a fare cosa qui?»

    Già, a fare cosa? Ad alimentare un sogno, un amore? No, non ne vale la pena. Chissà, magari ha avuto ragione lui visto che in questi quarant’anni nessuno dei due ha più pensato a ciò che era stato. O che avrebbe potuto essere. No, non è vero, io ci ho pensato! Qualche volta. Nonostante altre storie e delusioni e illusioni. Nonostante un’altra vita. Gli anni sono rotolati via uno dietro l’altro portandosi appresso il loro peso ingombrante e leggero di attesa. Ma i sogni, quelli sono naufragati anzitempo, in una stretta di mano non data, in un ultimo bacio non scambiato.

    Mi lasciavi e non capivi quanto male mi facevi.

    Con Matteo fu un colpo di fulmine: bello, aitante, brillante e si era innamorato di me. Ci sposammo nella piccola chiesa di S. Fedele, pochi amici, pochi parenti. Mi ha dato tanto Matteo. Gli ho dato quello che ho potuto, saputo dare.

    Capitolo I

    Un signore scende lentamente dal pullman, tenendo in mano una valigia, ha il capo chino per vedere i gradini. Si tiene al corrimano. Mi si ferma il respiro. Eccolo, penso, è lui. Alza la testa poi la mano e saluta qualcuno alle mie spalle. Il sorriso mi si congela sui denti.

    Scendono ancora due donne, tre bambini, un giovane che si agita dentro le cuffie stereo.

    Credo non ci sia rimasto più nessuno.

    Ma dov’è? Possibile che non sia venuto e che non mi abbia avvisata, che abbia cambiato idea? Le porte del pullman stanno per richiudersi. Una mano ne blocca la chiusura.

    È sempre alto ma più magro di come lo ricordavo, e leggermente curvo. Un paio di jeans e una t-shirt neri e un golf aragosta sulle spalle. Vestiva sempre così da ragazzo: jeans e maglioni o jeans e magliette a seconda delle stagioni. Un borsone in una mano, un mazzo di rose rosse nell’altra.

    Sotto il riverbero della luna gli occhi gli brillano come costellate di pagliuzze d’oro. È un’onda improvvisa e colma di sensazioni quella che mi sommerge e mi chiude la gola, mi aggroviglia lo stomaco e mi fa avvertire lo stimolo della pipì. Sempre così quando vado in ansia. 

    Mio Dio com’è invecchiato, si è anche imbruttito…

    È cambiato. È diverso. Non è il Roberto che ricordavo.

    Sono tentata di girarmi e andar via ancor prima che possa vedermi, far finta di non esserci neanche venuta a questo stupido appuntamento.

    Cosa ci faccio qui, e perché? Per cosa?

    Poi un lampo: se lui è così invecchiato, figuriamoci io!

    Mi passo una mano sul viso a tastare le rughe che lo solcano. Ciascuno di noi ha un’immagine di sé alterata da una soggettività più o meno indulgente o troppo oggettiva. Una sorta di specchio invisibile che ci accompagna e nel quale ci specchiamo ogni qualvolta abbiamo bisogno di confermare o rinnegare la nostra immagine. Ma sebbene tenti di vedermi con occhi benevoli mi sento comunque una donna ormai sul baratro della vecchiaia! Cerco di prendere tempo guardandomi attorno. Di fianco due giovani si baciano sulla bocca, incuranti di chi sta loro attorno, e li guardo con un certo fastidio: non hanno un altro posto dove farlo? Poi mi dico che sono proprio invecchiata se mi scandalizzo per così poco.

    Mi sento chiamare: «Sandra?». Mi ha riconosciuta!

    Giro il viso, alzo la mano e gli faccio un cenno. Il suono della sua voce mi ha colpito come uno scroscio di acqua fresca sulla schiena: è la stessa, non l’ho scordata. È rimasta sepolta nel cassetto dei ricordi tutto questo tempo ed è venuta fuori al solo pronunciare il mio nome: Sandra! Mi piaceva come lo diceva lui. Si riempiva la bocca del mio nome.

    «Hai un nome bello.»

    «No, è brutto, e duro, sembra uno schiaffo.»

    «Roberto ti piace?»

    «Sì, è musicale, mi ricorda la mia prima cotta, Robertino si chiamava.»

    «Hai avuto un altro Roberto prima di me allora?»

    «Già, io avevo sette anni, lui nove, ma non mi guardava neanche e per dispetto gli ho rotto tutto il trenino, sotto i piedi.»

    «Sei dispettosa!»

    Ridevamo di quei ricordi, così lontani, così vicini.

    Scende i gradini lentamente, anche lui sta prendendo tempo? Mi viene vicino, mi sovrasta ancora di due spanne, mi porge il mazzo di fiori e mi posa un bacio sulla tempia,

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