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Questione di attimi
Questione di attimi
Questione di attimi
E-book352 pagine5 ore

Questione di attimi

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Info su questo ebook

Eva ha una vita tranquilla, regolare e ben scandita. Le sue giornate trascorrono serene tra lavoro, piscina, uscite con gli amici e le confidenze con le sue due coinquiline e amiche di vecchia data, Magda e Altea.
Eva ha un grosso punto fermo nella vita: a nessuno permetterà di minare quella stabilità che con fatica ha raggiunto. E poco le importa se questo significherà rinunciare all' amore, tanto in 25 anni di vita se c'è una cosa che Eva ha ben capito è che l'amore porta solo problemi.
E a lei i problemi non piacciono. Per niente.
Ma un giorno, senza alcun preavviso, Filippo, il fratello della sua coinquilina e amica Altea, si presenta a casa in compagnia di Federico, un ragazzo dagli occhi più verdi che Eva abbia mai visto, chiedendo temporanea ospitalità per entrambi, costretti per lavoro ad un veloce transito in Italia.
E per Eva e la sua stabilità inizieranno guai seri...
LinguaItaliano
Data di uscita28 mag 2017
ISBN9788826443409
Questione di attimi

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    Anteprima del libro

    Questione di attimi - Valentina Gift

    NOTE DI COPERTINA

    Eva ha una vita tranquilla, regolare e ben scandita. Le sue giornate trascorrono serene tra lavoro, piscina, uscite con gli amici e le confidenze con le sue due coinquiline e amiche di vecchia data, Magda e Altea.

    Eva ha un grosso punto fermo nella vita: a nessuno permetterà di minare quella stabilità che con fatica ha raggiunto. E poco le importa se questo significherà rinunciare all' amore, tanto in 25 anni di vita se c'è una cosa che Eva ha ben capito è che l'amore porta solo problemi.

    E a lei i problemi non piacciono. Per niente.

    Ma un giorno, senza alcun preavviso, Filippo, il fratello della sua coinquilina e amica Altea, si presenta a casa in compagnia di Federico, un ragazzo dagli occhi più verdi che Eva abbia mai visto, chiedendo temporanea ospitalità per entrambi, costretti per lavoro ad un veloce transito in Italia.

    E per Eva e la sua stabilità inizieranno guai seri...

    Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati

    CAPITOLO 1

    Ci han concesso solo una vita soddisfatti o no qua non rimborsano mai

    FEDERICO

    Lascio Valencia con uno strano peso sullo stomaco. Mi allontano dalla città a malincuore e osservo, dal sedile posteriore di un taxi qualsiasi, il suo metropolitano profilo stagliarsi alle mie spalle per l’ultima volta, mentre la luce arancione di un malinconico tramonto autunnale ne avvolge i contorni.

    Uno scatto da cartolina all’esterno e un inferno all’interno: io e questa città siamo incredibilmente molto simili.

    «A Verona verranno a prenderci mia sorella e un’amica», Filippo mi punta addosso uno sguardo intimidatorio. «Ti avverto già da ora, non provarci con le sue due coinquiline, Federico Bernardi. Se le ferissi a morte come il tuo solito, Altea si lagnerebbe a vita con me», si sistema la sacca in spalla e sospira facendo vagare lo sguardo tra la flotta di persone che milita quotidianamente all’interno dell’aeroporto. «E per la cronaca, se provi solo ad avvicinarti a mia sorella, ti spacco le gambe, sfilo le rotule e ci gioco a golf».

    Scoppio a ridere mentre Filippo ha dipinta in volto un’espressione serissima.

    «D’accordo, d’accordo», mi affretto a confermare alzando entrambe le mani. «Non la guarderò nemmeno tua sorella», continuando a sorridere mi sistemo gli occhiali da sole sul naso. «Non sarà neppure maggiorenne, se tutto va bene», lo sfotto.

    Il mio amico passa la lingua sui denti prima di guardarmi in cagnesco: «E per te mai lo sarà», ringhia facendomi sorridere ancora di più.

    Ho conosciuto Filippo alla fine degli studi universitari, quando entrambi ci siamo trovati a fare uno stage nella stessa azienda e poi ad essere assunti alla fine del periodo di prova con quello che è ora, per qualsiasi lavoratore italiano, un miraggio: il contratto a tempo indeterminato. Abbiamo entrambi iniziato girando l’Italia in lungo e in largo, proseguito con trasferte all’estero di qualche giorno, poi di qualche settimana, ricevendo infine una proposta che ognuno di noi due ha accettato al volo: il trasferimento nella sede estera di Valencia per cinque anni consecutivi, tempo che, all’epoca a me e Filippo era apparso eterno. Ripensandoci ora, invece, mi sembra di essere arrivato in questa meravigliosa città solo da pochi mesi.

    Per il sottoscritto, questi sono stati cinque anni produttivi, intensi e istruttivi. Abbandonare l’Italia e lasciare alle mie spalle i fantasmi del passato è stato liberatorio. Pensare di rientrarvi ora e di scontrarmi nuovamente con tutto ciò che lì ho abbandonato non mi fa di certo saltare di gioia, anzi, mi rende parecchio ansioso.

    Salgo in aereo e mi posiziono inquieto accanto al finestrino. Guardo la notte inghiottire la città che sto lasciando, insieme alla vita che qui avevo conquistato e a tutte le mie sicurezze.

    Mi sento un soldato.

    Sto abbandonando la Spagna, una nazione straniera in cui ho combattuto con valore contro un destino che pareva segnato, abbattuto i miei nemici e vinto puntando solo sulle mie capacità. Ma come ogni bravo guerriero sono ben consapevole del fatto che, purtroppo, vincere e perdere sono facce opposte di una stessa medaglia. Ecco perché, inevitabilmente, ora che sto tornando a casa, ciò che avverto dentro me, oltre che un infinito appagamento per come mi sono giocato questa enorme opportunità lavorativa che la vita mi ha regalato, è anche, in egual misura, un acuto senso di sconfitta.

    *************************************************************

    Sbarco a Verona e quando mi guardo intorno la prima cosa che mi viene in mente è che non ricordavo il Catullo così minuscolo. È mezzanotte passata, fa freddo e c’è la nebbia. La pista è semi vuota e la condensa che si solleva dall’asfalto e dal terreno incolto circostante mi fa pensare a Silent Hill. Infilo le mani nelle tasche del giubbotto di pelle e sbuffo.

    Bentornato in Italia, Federico Bernardi.

    Le valige impiegano un’eternità a comparire sul nastro trasportatore. Filippo è al telefono con la sorella e non si accorge nemmeno delle tre ragazze che accanto a noi fanno di tutto per attirare la nostra attenzione.

    «Altea e una sua amica sono qui», m’informa il mio amico facendo scivolare il telefono in tasca. «Ci stanno aspettando fuori».

    «Un’amica non è una coinquilina», lo pungolo. «Perciò posso provarci», trattengo a stento un sorriso.

    Lui mi colpisce la spalla con un pugno, accennando un mezzo sorriso: «Coglione».

    Appena le valige compaiono davanti a noi, le afferriamo e, piegando leggermente la testa quando passo loro accanto, pronuncio un educato: «Signore» di saluto a quelle tre ragazze che, se la situazione fosse stata diversa, non mi sarei lasciato scappare di certo l’occasione di abbordare. Loro rispondono con gridolini e risatine. Le donne. Che creature facilmente impressionabili.

    «Pippo!!! Ehi Pippo!!!».

    Una mora alta, slanciata e, con tutto il rispetto che nutro per il mio amico, piuttosto figa, si sta sbracciando oltre le transenne dell’uscita. È Altea, la sorella minore di Filippo, la ragazza che, a detta del mio amico, non mi devo permettere di guardare nemmeno con un cannocchiale astronomico. La riconosco all'istante, anche se non l’ho mai vista dal vivo ma solo su pc quando su Skype chiacchierava con il fratello, o in foto quando si taggavano sui social network. Se non ricordo male, Altea dovrebbe avere all’incirca venticinque anni. Accanto a lei una ragazza altrettanto bella, con i capelli biondi, gli occhi chiari e un rossetto rosso provocante mi sta osservando con curiosità.

    Solo un involucro bella mia, penso quando i suoi occhi esitano sul mio viso, niente di più che una bella confezione.

    «Ti ho avvertito», ribadisce Filippo mentre ci avviciniamo alla sorella e alla di lei amica.

    «Sì», ribatto stremato. «Ho capito», sbuffo. «Fidati», rincaro la dose dinnanzi alla sua malfidente espressione.

    Sfottere Pippo sulla gelosia che coltiva nei riguardi della sorella diviene un lavoro a tempo pieno a volte. E, a lungo andare, parecchio stancante.

    «Finalmente!!», Altea corre incontro al fratello e lo abbraccia forte. «Bentornato a casa!!».

    Lui la bacia frettolosamente sui capelli. «Grazie Tea», la lascia andare e si rivolge a me. «Federico, mia sorella Altea. Altea, il mio amico Federico».

    Lei allunga una mano che mi affretto a stringere. Ha una presa decisa e asciutta.

    «Ciao», pronuncia nella mia direzione sorridendomi. Il suo volto è luminoso.

    «Molto piacere», sorrido anch’io.

    Altea scioglie la stretta delle nostre mani per procedere alla presentazione della ragazza che le sta dietro. «Questa è la mia amica Gioia», si sposta perché ci possa stringere la mano. «Mio fratello Filippo e il suo amico Federico».

    «Ciao», anche Gioia sorride, ma il suo gesto, a differenza di Altea, cela ben altro della semplice felicità.

    Questa ragazza sta cacciando.

    E ha anche già puntato la preda.

    Sorrido tra me e me finché raggiungiamo l’auto in sosta che ci porterà a casa. Se le cose prenderanno la piega che immagino, Filippo mi ammazzerà molto prima di quanto pensassi.

    «Tu e Pippo vi sistemerete da me fintanto che non trovate casa, okay?», Altea si gira verso di me e io annuisco.

    Il mio amico mi aveva paventato la possibilità di essere ospiti a casa della sorella.

    «Vivo con due amiche, Eva e Magda. Magda al momento non c’è, è fuori città per qualche giorno, perciò, Fede tu ti sistemerai nella sua stanza. Io e te invece divideremo la mia», Altea si rivolge al fratello, «come ai vecchi tempi».

    Lui annuisce, caricando i bagagli prima di allungare una mano aperta con il palmo all’insù verso di lei: «Dammi le chiavi, guido io».

    Altea e Filippo siedono davanti.

    «Pensavo venissi con Eva», dice lui mettendo la cintura. «Saranno dieci anni che non la vedo».

    Altea scuote la testa: «Ha avuto un imprevisto a lavoro e mi ha chiamato per dire che avrebbe fatto tardi. Alle ventidue quando io e Gioia siamo partite doveva ancora rientrare. Conoscendola sarà collassata a letto appena messo piede nell’appartamento!», lei e il fratello scoppiano a ridere. «La vedrai domattina».

    «Eva è una loro amica d’infanzia», mi informa Gioia.

    Sorrido e annuisco, come se la cosa mi interessasse. «Anche tu dividi l’appartamento con loro?».

    Io e Gioia siamo seduti dietro, uno accanto all’altra, fare conversazione mi sembra il minimo.

    «No, io vivo sola. Nel loro stesso palazzo, ma ho un appartamento tutto mio», è un freddo polare, ma questo non impedisce a Gioia di levarsi il giubbotto, mettendo in bella mostra tutte le sue curve. «Se aveste bisogno di una camera in più…», lascia cadere con non curanza.

    Sposto lo sguardo da lei e incrocio gli occhi di Filippo nello specchietto retrovisore. Mi inchiodano al sedile. Amico, hai visto e sentito anche tu, ha fatto tutto da sola!! Non occorre nemmeno che lo dica ad alta voce, lui ha già capito tutto.

    Filippo sposta lo sguardo per riconcentrarsi sulla guida e senza alcuna difficoltà si immette nella carreggiata che ci porta dritti dritti in autostrada e poi a casa. Gioia si sistema sul sedile, accavalla le lunghe gambe sottili e poi, con finta innocenza, piega le cosce nude fino a sfiorare con la pelle liscia le dita della mano che ho poggiato tra me e lei. Ho promesso a Pippo che avrei fatto il bravo. Ma, visto come si stanno mettendo le cose, non sarà per niente facile, cazzo.

    CAPITOLO 2

    Caro Dio sono quasi sicura che tutte le mie preghiere vadano a finire nella cartella Spam: potresti controllare?

    EVA

    Che sarebbe stata una giornata di merda l’avrei dovuto immaginare già dalle prime ore del mattino quando, alle 03.17 ora locale, un intenso odore di fumo ha invaso la mia stanza svegliandomi di soprassalto.

    E ce ne vuole, visto che sono una che dorme come un sasso.

    Saltando giù dal letto con l’agilità di un cartonato a quella che per i miei standard equivaleva alla velocità della luce, ho immaginato di trovare oltre la porta un incendio di dimensioni bibliche. Ecco perché d'istinto ho afferrato il bicchiere d’acqua pieno per metà presente sul mio comodino, per farmi da scudo in quello che, se la situazione fosse stata davvero pericolosa, si sarebbe di certo dimostrato un vano tentativo di salvarmi la pelle. Folle supposizione? No, anzi. Considerando che a quell’ora il mio corpo non riesce nemmeno a scollare le palpebre di sua volontà, il solo fatto di aver avuto una reazione che ha scaturito in un’intuizione pratica ha aumentato in maniera esponenziale la mia carente autostima. Che fosse un’idea molto poco efficace non l’ho calcolato. In quanto a istinto di sopravvivenza sono una frana. Un primo esempio lampante di questa mia limitatezza si è verificato durante una disastrosa quanto pietosa esperienza al campo scout, dove mi sono persa tra i boschi nel corso di un’escursione di gruppo, e nell’attesa che venissero a recuperarmi ho avuto la brillante idea di fare la pipì nascosta dietro ad un cespuglio. E questo sarebbe ok se non mi fossi chinata esattamente sopra una pianta di ortiche, con tutte le conseguenze possibili e immaginabili. Stavolta posso affermare che mi sta andando ancora peggio. Perché nell’infelice esperienza con le ortiche avevo cinque anni e a ridere del fatto è stata solo mia madre, questa volta invece, non solo ne ho venti di più, ma ad attendermi al di là delle pareti della mia stanza, trovo persone con cui non ho il benché minimo rapporto consanguineo, pertanto è certo che mi canzoneranno da qui all’eternità.

    Il perché è presto detto.

    Sono uscita trafelata e mezza terrorizzata dalla porta della mia camera correndo con la coordinazione di una marmotta storpia e attraversando il corridoio in tutta fretta per raggiungere il punto di origine del fumo, piombando come un’assatanata in salotto, in mutande, canotta sdrucita, calzetti antiscivolo e tra le mani un bicchiere mezzo pieno (con stampata sopra la faccia costernata di Duffy Duck) che brandisco come uno scudo. Per forza, ero convinta di dovermi salvare dalle fiamme!! Falso allarme però, perché non c’è alcun incendio in atto. Se escludiamo quello che sta divampando sulle mie guance, almeno.

    Davanti a me, invece del fuoco che mi aspettavo, mi ritrovo a fissare quattro volti stupiti. Comodamente seduti sul divano e sulla poltrona di casa mia, ci sono Altea, una delle mie due coinquiline, suo fratello Filippo, Gioia, una vicina di casa, e un ragazzo che non conosco dagli occhi più verdi che io abbia mai visto in vita mia, su cui il mio sguardo indugia più del dovuto. Anche lui mi fissa con insistenza scrutandomi con un’intensità tale da farmi sentire sprovvista anche di quei pochi indumenti che indosso.

    «Eva?», Altea mi richiama all’ordine. «Ti abbiamo svegliato, per caso??».

    Solo in quell’istante mi rendo conto che non solo mi ritrovo in mutande davanti a due ragazzi pressoché sconosciuti ma, ironia della sorte, porto un paio di slip dal sapore adolescenziale di colore blu, con dei fiocchetti grigi e la stampa ben visibile del cosmo circondato dalla scritta: Tu mi mandi in orbita. Perciò, prima di perdere completamente la già poca fede che ripongo di norma nel mio sex appeal, nascondo in fretta le mie grazie dietro la spalliera del divano.

    «No, avevo…sete», improvviso agitando il bicchiere.

    «Ti ricordi di Filippo?», chiede Altea guardando il fratello maggiore con un sorriso amorevole.

    E come dimenticarlo? Anche se non lo vedo da anni il termine scimmietta che mi aveva affibbiato da bambina è ancora un soprannome molto in auge tra le vecchie conoscenze del quartiere dove sono cresciuta. È lui, fumatore di vecchia data, la causa della puzza di fumo, altro che principio di incendio!!

    «E lui è il suo amico Federico. Saranno nostri ospiti per un po’, te l’avevo detto vero?», Altea mi fissa con i suoi occhioni da cerbiatta.

    Ecco, questo invece l’avevo scordato.

    Alla grande.

    Secoli fa la mia amica mi aveva avvertita che il fratello maggiore e un amico sarebbero ritornati in Italia, e aveva chiesto se avremmo potuto ospitarli per qualche giorno per dar loro la possibilità di riorganizzare le loro vite e la permanenza in questa città dopo un lungo periodo di lontananza dalle scene. Se non erro, negli ultimi quattro o cinque anni, Filippo e Federico hanno vissuto in Spagna e ora che il loro lavoro li ha riportati in patria riprenderanno la loro vita qui.

    «Sì certo», mi affretto a risponderle.

    «Ti lascio ragazzina e ti ritrovo donna!!», Filippo si alza e mi viene incontro spalancando le braccia per abbracciarmi. «Ciao assonnata scimmietta! Ma la mamma cos’ha fatto in questo tempo, ti ha annaffiata?», smette di stritolarmi e mi guarda. «Come sei cresciuta…»

    Scoppio a ridere e gli assesto un bel pugno sulla spalla destra. Sono alta un metro e sessanta da quanto ho undici anni e lui lo sa bene. Come pure che non amo molto essere presa in giro sulla scarsità della mia statura.

    Filippo finge di misurarmi a spanne: «Quanto sei alta, Eva? Più o meno direi…»

    «Un metro e settantacinque», lo interrompo risoluta. «Solo che sembro molto più bassa», ironizzo.

    Lui ride. «Pensa un po’…avrei detto un metro e una lattina schiacciata».

    Che rispetto alle due mele e poco più che mi affibbiava quand'eravamo adolescenti è un bel passo avanti.

    «Bella la tenuta da notte, scimmietta», Filippo cambia argomento guardandomi mal celando il suo divertimento. «Dormi sempre così?».

    Ricordo di essere in mutande e avvampo mentre lui mi passa un braccio dietro le spalle appiccicando i nostri fianchi. «Perché sai, una canotta bianca non è esattamente coprente…»

    D’istinto porto le braccia al petto nel tentativo di coprire con assoluto ritardo qualcosa che, se le cose stanno come ha appena sentenziato Filippo, ha un senso solo relativo: lenire la pudicizia che provo in questo esatto istante, nulla più. Perché quello che c’era da vedere l’ho mostrato nell’istante stesso in cui ho messo piede in salotto, cioè dieci minuti fa.

    «Ehi voi due, la smettete di fare come se non ci fossero altre persone nella stanza?», ci riprende Altea. «E no Eva, la tua canotta non è trasparente, non dar retta a mio fratello», si stringe nelle spalle. «Sai quanto gli piaccia scherzare…»

    Sorrido e questa volta a Filippo sferro un piccolo calcio sugli stinchi. Non ho alcuna intenzione di mobilitare le braccia da dove le ho temporaneamente posizionate, se non dopo essermi personalmente accertata che la canotta non lasci intravedere nulla.

    «Starei ore qui a farmi prendere in giro da te, razza di idiota, ma ho urgente bisogno di raggiungere la cucina prima di morire disidratata e poi, se nessuno di voi se ne fosse accorto, sono in mutande e molto a disagio perciò», faccio ciao ciao a tutti con la manina, «buonanotte!».

    Gioia e Filippo scoppiano a ridere, mentre Altea mi schernisce sul fatto che non ha mai visto anima viva, dacché mi conosce, che mi abbia mai mandato in orbita. E così se prima potevo almeno sperare che l’imbarazzante stampa sugli slip fosse passata inosservata, ora che la mia amica l'ha sbandierato ai quattro venti, ho la certezza che così non è stato di certo.

    «Se avete finito di sfottermi me ne vado per gli affari miei», ribatto contrita puntando alla cucina con decisione e abbassando la canotta il più possibile verso il basso.

    «Scimmietta se tiri un altro po’ il culo lo copri sicuro ma lo sai vero che ti schizzeranno fuori le tette?», Filippo ride alle mie spalle. «La canotta non è così ampia da poter coprire tutto».

    Alzo gli occhi al cielo, diventando mio malgrado rossa come un peperone. Fortuna che sono girata di spalle... «Grazie faina, c’ero arrivata!! Ma cosa vuoi, tra l’alternativa di farmi guardare le tette dal frigorifero o il culo da voi ho dovuto scegliere il male minore!!».

    Sento una risata generale esplodere in salotto. Poi una voce di uomo profonda e calda come la sabbia di una spiaggia dire: «Te le ha cantate amico!».

    Al sicuro da occhi indiscreti, dietro la porta della cucina che mi sono chiusa alle spalle, do una sbirciatina alla mia zona inguine, giusto per appurare che il nomignolo appioppatomi da Filippo non trovi ragione d’essere... Accertatami che là sotto sia tutto in ordine sorrido tra me e me e appoggio la fronte alla superficie liscia e fredda del mobile dispensa: calzetti antiscivolo leopardati, un paio di inguardabili mutande, una canotta che avrà dieci anni almeno su cui risalta chiaramente quanto il mio corpo sia infreddolito e un bicchiere da poppante tra le mani.

    Un ingresso nelle scene eclatante, proprio degno di me.

    Sospiro e chiudo gli occhi, portando la testa leggermente all’indietro e poi picchiandola piano sull’anta bianca della cucina. Che dire a questo punto? Solo ciò che è ovvio e cioè che almeno la prima figura di merda della giornata è andata.

    Mi chiamo Eva Perri e sono una catastrofe ambulante: benvenuti nella mia vita.

    CAPITOLO 3

    Ottimista: è una persona che se fa un passo avanti e due indietro non pensa sia un disastro, ma un cha cha cha

    EVA

    Metto sul fuoco il bollitore per il the e intanto preparo la tavola per la colazione. Dopo la mia folle presentazione di stanotte, sono tornata a dormire fingendo di essere completamente a mio agio e non dannatamente imbarazzata come in realtà mi sentivo e sono certa nessuno se ne sia accorto. Sono una frana in molte cose, esclusa una: fingere. In questo non mi batte nessuno e riesco a fregare chiunque, anche Altea e Magda, le mie coinquiline e amiche di vecchia data. Non c’è persona al mondo che mi conosca bene, e giusto o sbagliato che sia, ho dei filtri emotivi altissimi che mi preservano dagli altri.

    Chiusa la porta della mia stanza, poco dopo ho sentito anche Altea, Filippo e Federico augurarsi la buona notte. Non mi è chiaro come si siano disposti per dormire e a dire il vero mi interessa poco. Il mio letto ha ospitato come sempre solo me e questo è l’importante.

    «Buongiorno scimmietta».

    I miei pensieri vengono interrotti da Filippo che entra in cucina sbadigliando, in boxer grigi e maglietta attillata. Sorrido alla sua mise e lui mi schiaffeggia una coscia con lo strofinaccio che da sempre penzola dalla maniglia del forno.

    «Che c’è, sei stata tu a dare il via libera all’uso della biancheria in vista!!».

    Punto volutamente lo sguardo sulle sue mutande: «Sì ma io non ho protuberanze strane appena sveglia».

    La faccia di Pippo si fa seria all’istante e i suoi occhi guizzano da me alle sue intimità. Quando si accorge che non c’è nulla da preoccuparsi il suo volto si distende e io scoppio a ridere.

    «Pensavi davvero che non ti avrei ricambiato con la stessa moneta?», chiedo girando la manopola del piano cottura per far cessare le fiamme. La teiera smette all’istante di fischiare. «Ti va un the, Pippo?».

    Lui sorride e si avvicina porgendomi due tazze che riempio di acqua bollente.

    Prendiamo posto uno in fronte all’altro mentre con le dita indico tutto ciò che è presente sul tavolo: «Biscotti, merendine, cereali, fette biscottate, marmellata e», allungo nella sua direzione un barattolo colmo di bustine colorate, «the di ogni genere. Ma non chiedermi differenze, gusti o consigli; è Magda l’esperta in materia».

    Filippo annuisce e poi prende una bustina a caso: «E’ bello rivederti scimmietta, come stai?».

    «Tu», ci interrompe Altea entrando in cucina come una furia e puntando il dito contro il fratello. «Stanotte dormirai con lei», indica me. «Mi hai tirato calci per tutto il tempo!!», si lagna.

    «Che cazzo vuoi che ti dica Tea, se non dormo con una donna ho un sonno agitato», si giustifica lui infilando pacificamente in bocca una manciata di cereali.

    «E io cosa sarei?», ribatte lei stupita.

    Filippo sgrana gli occhi: «Mia sorella!!».

    Altea si lascia andare su una sedia e poi affonda il viso tra le mani. «Psicologia maschile del cazzo», bofonchia in direzione del fratello.

    «Dormi tu con me e lascia a Filippo la tua stanza», propongo alla mia amica passandole una tazza.

    «Mm-mmh, potremmo fare anche così…», concede.

    «Buongiorno», una voce dal timbro profondo si insinua nell'aria e scuote ogni parte di me.

    È come se ogni mio organo interno stesse vibrando, e la sensazione mi lascia senza fiato. L' aria presente nel mio corpo sembra essere stata risucchiata completamente in un unico secondo.

    Federico entra in cucina stropicciando gli occhi. Quando toglie le mani e mi vede sorride. «Federico», dice allungando una mano. «Non mi pare che ieri sera ci abbiano presentati a dovere».

    «Eva», rispondo con voce stridula stringendogli la mano. Mentre gli sorrido a mia volta tento di ricordare come si fa a respirare. Ardua impresa, sotto il suo sguardo. Questo ragazzo ha degli occhi incredibili…Ehi, ma che cavolo sta succedendo? Perché mi sento così strana???

    «The o caffè, Fede?», Altea si alza dalla sedia per preparare la moka, intromettendosi tra me e Federico e permettendomi così di riprendere possesso della mia stabilità.

    «Caffè», Federico siede avanti a me, accanto a Filippo. «Ma mangiate tutta questa roba?», strabuzzando gli occhi indica il tavolo imbandito a nozze.

    «Facciamo colazione in tre la mattina!!», ride Altea. «E ognuna di noi ha i suoi gusti».

    «E la linea?», Filippo prende una fetta biscottata e inizia a spalmarci sopra la marmellata di more.

    Il commento mi riporta completamente a quella realtà che per un attimo la presenza di Federico e i suoi strani effetti mi avevano fatto dimenticare. La mia realtà, quella che mi vede sempre oggetto di rimproveri da parte di mia madre per le scarse attenzioni che a suo avviso riservo alle calorie dei cibi con cui mi nutro.

    Fisso Filippo con mezzo sorriso, piegando la testa di lato: «Cos’è, vuoi fare concorrenza ad Iris, adesso?».

    Il volto di Filippo cambia espressione in un attimo e i suoi occhi si incupiscono. «Mi dispiace Eva, non intendevo…»

    «Tranquillo era una battuta la mia», lo interrompo alzando le spalle.

    «Voleva esserlo anche la mia Eva, davvero», è imbarazzato.

    «L’avevo capito!!», dico addentando un biscotto al cioccolato e poi, ridendo con la bocca piena, spiego perché il suo commento non mi ha turbata. «E’ da un bel po’ che ciò che pensa lei ha smesso di interessarmi».

    Iris, o meglio la donna che tutti conoscono come mia madre, era una ballerina di danza classica, lo è stata per anni e ha raggiunto fin da piccola livelli di una certa importanza. Quando, appena diciottenne è rimasta incinta di me, il solo fatto che fossi femmina l’aveva riempita di

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