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Il profumo blu cobalto
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E-book125 pagine1 ora

Il profumo blu cobalto

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Info su questo ebook

Ogni persona potrebbe essere associata a un colore? Magari si potrebbe considerare ogni esperienza come una sfumatura… Oppure sarebbero le emozioni a dare le pennellate di ogni singola vita?
Se così fosse, Monika sarebbe il blu cobalto: elegante come un’onda e profonda come il mare. Ed è al mare che assomigliano le sue emozioni tempestose e tormentate, così come la sua ricerca della felicità da quando, bambina di porcellana, le è mancato l’amore materno. 
David, invece, sarebbe più simile al borgogna: innamorato dell’idea di una donna ancora prima di conoscerla, rimane stregato da Monika che così tanto sembra quella bambola salvata durante l’infanzia.
Ma basterà il sentimento che li ha legati dal primo sguardo a tenerli uniti quando la vita sembra voler fare di tutto per separarli?

Barbara Monika Zaziemski nasce per caso a Londra il 15 marzo del 1970, da madre italiana e padre polacco sfuggito alla prigionia di un campo di concentramento. Muove i suoi primi passi in Italia in una scuola americana, aggirandosi per ambienti raffinati e altolocati e trascrivendo l’eleganza e l’ambizione sul suo volto.
Dopo avere frequentato il liceo classico, si iscrive alla Facoltà di Psicologia di Torino e si laurea con lode nel tempo più breve concesso dall’Ateneo. Sceglie di perfezionare la sua preparazione da Psicologa iscrivendosi ad un corso post lauream di specializzazione in Psicoterapia e completa il percorso quadriennale con una tesi sul transessualismo, che le vale la lode e la dignità di stampa. Per mantenersi agli studi, lavora per quindici anni presso un’agenzia matrimoniale nota a livello nazionale. Ha il privilegio di esercitare l’attività di Psicoterapeuta da oltre vent’anni e ama così visceralmente la sua professione da seguire i pazienti anche a costi che non osano fare capolino sul tariffario dell’Ordine degli Psicologi. Il disagio non va in vacanza e non necessariamente vive nelle case e nel cuore di chi può permettersi una psicoterapia.
Della sua vita privata poco esterna, se non attraverso questo primo romanzo, nato come flusso di coscienza per elaborare la fine del suo credo nell’amore assoluto.
Vive a Torino con un gatto siberiano e un barboncino nero che rivela marcati tratti di dipendenza nei confronti della padrona.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2022
ISBN9791220136181
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    Anteprima del libro

    Il profumo blu cobalto - Barbara Zaziemski

    CAPITOLO I

    UN 30 NOVEMBRE CHE SAREBBE DIVENTATO LA COMBINAZIONE PER APRIRE IL FORZIERE

    Era una serata spettinata da rivoli di pioggia e drappi di vento che ostentavano un improbabile odore salmastro in una città accarezzata dai monti e con le braccia conserte e chiuse al mare come Torino. Forse era perché lei era nata con il mare dentro.

    Era il 30 NOVEMBRE.

    Lui sarebbe diventato un cavaliere vestito di dignità e ferite ma sarebbe riuscito a tornare a vivere grazie al suo irresistibile sorriso obliquo, lei sarebbe diventata invece una dama con gli occhi bagnati di sogni spezzati ed il cuore trasparente come il velo strappato di una sposa abbandonata all’altare. Quando un amore così puro viene sporcato da altre labbra, nulla sarà mai più come prima, ma questo lei non poteva ancora saperlo, altrimenti sarebbe scappata mille miglia lontano dal labirinto di fragile complessità e fascino studiato che sfavillava dallo sguardo di lui.

    Lui è David ed il solo assaporare quelle cinque lettere tra le sue labbra aveva l’oscuro potere di renderla, ancora oggi, sottilmente e segretamente liquida.

    Lei è Monika e ha troppi segreti oscuri appoggiati sulle spalle per credere ancora una volta di poter trovare la combinazione per aprire il forziere dell’amore eterno. Era stata una bambina di porcellana, sistemata sugli scaffali impolverati di dolore di una madre cupa e contorta che aveva perso il dono del sorriso con la prematura scomparsa del suo figlio prediletto a causa di una violenta tubercolosi che gli aveva spento il respiro. La madre aveva trascritto quel dolore nei polmoni della bambina che soffriva d’asma.

    Avrebbe compreso solo qualche decennio dopo, grazie al minuzioso percorso di analisi personale condotto dall’attempato quanto geniale Dottor Bigliani, che esiste un sottile filo di raso rosso che collega i dolori segreti dei nostri genitori all’orizzonte che pensiamo di trovare già tratteggiato dinnanzi al nostro incedere sul selciato della vita.

    La mano dell’artista resta la nostra nella misura in cui riusciamo ad elaborare i vissuti repressi di chi ci ha donato quel bizzarro dono che risponde al nome di esistenza. In caso contrario, si corre il rischio di essere vissuti da un intricato dedalo di miti famigliari e leggende personali, che qualche maldestro predecessore ha pensato bene di appiccicarci addosso per avere le mani più libere, senza curarsi delle nefaste conseguenze di un’eredità non reclamata.

    Monika è un’idea disegnata sulle pareti della disperazione, come quei cartoni animati dove appare un pennarello nero dal nulla per tracciare il contorno di una porta finta su un muro che poi si rivela un passaggio magico verso la salvezza. Ma quell’uscio si era improvvisamente chiuso con un fragoroso tonfo dietro alle sue spalle nude, incanalandola verso una scia di passi di danza sbagliati, al posto di concederle la lusinga di un ventaglio di possibilità. Tutti meritano delle chances nella vita, ancora di più se le ombre lunghe degli abbandoni taciuti si susseguono in un macabro rito pagano.

    Maledette favole che ci hanno insegnato che le storie possono finire bene con un punto bianco che non lascia spazio ad altre lacrime.

    Maledetta lei che si era fabbricata ali di cera per volare verso un sole di cocenti disillusioni. Lo avrebbe odiato di un sentimento tagliente e uncinato perché solo lui le aveva insegnato che poteva essere amata di un amore assoluto, stagliato su un cielo azzurro di eternità.

    Aveva 27 anni, una laurea in Psicologia impreziosita da un attestato con il massimo dei voti, vergato a mano da un amanuense svogliato e sottopagato. Un centinaio di libri giacevano forsennatamente sottolineati e finalmente impilati sul pavimento nero di un appartamento lasciatole senza un mobile da suo padre. Un appartamento vuoto come certi sguardi curiosi, senza amore.

    Il ricordo offuscato dalla nebbiolina tremolante e rorida di qualche anno prima, faceva capolino nella mente di Monika.

    Piacere sono l’ingegner Henryk e lei chi è signorina?.

    Sono tua figlia Monika, non mi vedi da 11 anni e sono venuta qui a Torino per studiare Psicologia, mia madre ha detto che avresti lasciato l’appartamento entro oggi pomeriggio.

    La sua voce risuonava amplificata e di qualche nota più alta perché stava entrando in un alloggio che il zelante ingegner Henryk si era premurato di far sgomberare da ogni mobile, lasciandole a sfregio e monito di una decadenza annunciata, una logora poltrona di velluto rosso cremisi con due molle oscenamente esposte al centro della seduta e un armadio a muro che le aveva regalato un urlo di spavento quando l’aveva aperto, in quanto era stata letteralmente sommersa da centinaia di fiori finti di dubbio gusto e con un persistente odore di plastica dura.

    Per mesi aveva dormito su una coperta rosa sistemata accuratamente nella vasca da bagno ed aveva avuto il privilegio di un rigido inverno che le consentisse di usare il balcone al posto di un frigo che non esisteva, così come i soldi per comprarlo.

    Se esci da questa casa non avrai un centesimo! erano state le parole pronunciate con un sorriso dritto da sua madre. Quella che allora aveva scambiato per algida indifferenza, sarebbe stata il miglior trampolino di lancio per la sua autonomia di giovane donna.

    E così era stato ma lei cavalcava allora un destriero che faceva scivolare i suoi zoccoli su un selciato dove credeva che tutto fosse ancora possibile.

    L’ingegner Henryk godeva di un’attenuante inappellabile agli occhi del mondo per coprire ogni sua nefandezza con il velo turchese della pietà. Avrebbe rifiutato con algida fermezza sua figlia quando da bambina gli correva incontro tentando invano di aggrapparsi alle sue ginocchia, avrebbe tradito ripetutamente sua moglie, accumulato una fortuna immensa per poi dissiparla dietro alle gambe affusolate delle donne che avrebbero attraversato con eleganza e sensualità il suo cammino. Era un uomo completamente inaffidabile e bruciato da un passato tetro senza ritorno.

    Era stato rinchiuso in un campo di concentramento all’età di ventuno anni perché nato con due peccati di troppo: ricco ed ebreo a Sambor, una quieta cittadina polacca che era stata invasa dai nazisti in un inverno rigido di freddo e di Guerra.

    La biografia di Henryk consisteva in poche parole incise sulla pietra di un passato che non poteva essere narrato. Non ne aveva mai parlato direttamente ma si vociferava che fosse sopravvissuto in campo di concentramento, cibandosi di bucce di patate ricoperte di terra passate sottobanco da un pietoso sottoufficiale nazista e che fosse fuggito strisciando sotto il filo spinato della recinzione, procurandosi un paio di profonde escoriazioni che si sarebbero convertite in cicatrici.

    Monika, per qualche inspiegabile ragione, aveva sempre adorato le cicatrici suscitando sguardi perplessi e diffidenti nelle persone a cui l’aveva confidato. Le richiamavano una sensazione di conforto perché, chi le indossava, era un sopravvissuto. Anche lei, suo malgrado, avrebbe subito un danno irreparabile, proprio come il passato di suo padre aveva annunciato con squilli di trombe e rulli di tamburo.

    Ritornando ad Henryk, fuggire in una notte d’autunno grazie al suo innato carisma che gli aveva garantito una sotterranea quanto misteriosa alleanza con il sottoufficiale in questione, sarebbe stato per sempre l’epicentro del suo segreto ed oscuro orgoglio. Pesava solamente

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