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I naufraghi del tempo
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E-book200 pagine2 ore

I naufraghi del tempo

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Info su questo ebook

‘I Naufraghi del Tempo’ è una storia oltre il Tempo e lo Spazio che narra le avventure di tre giovani inglesi, Thomas, Tip e Frederick che naufragano su un' isola piena di misteri. Per motivi diversi sono tutti legati al concetto di tempo ma presto impareranno che il tempo non ha una sola misura e i Maghi dei 4 Elementi li introdurranno alla Sapienza e ai segreti della Scienza. I tre ragazzi diventeranno adulti sull’Isola del Tempo e solo dopo 10 anni terrestri potranno tornare nella loro dimensione spazio-temporale. Incontreranno la Regina Fantasia, la Principessa Meravigliosa e tutte le fate dell’Isola del Tempo, ma anche gli Starlits, gli antichi custodi del Tempo e delle Stelle che li accompagneranno nel passaggio dall’infanzia alla giovinezza. I protagonisti vivranno mille avventure con tutti i magici abitanti dell’Isola ma solo uno di loro li seguirà nel loro mondo almeno fino a quando la clessidra della Regina non verrà ritrovata.
LinguaItaliano
Data di uscita9 mag 2016
ISBN9788892606609
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    Anteprima del libro

    I naufraghi del tempo - Isabelle Adriani

    Adriani

    Il Poggio d’Oro

    Si precipitarono tutti di sotto quando udirono la campanella della carrozza del Signor Pepe che annunciava nuove visite a Trinità dei Monti per le vacanze estive. Tip volò quasi giù per le scale battendo tutti sul tempo, Thomas fece appena in tempo a dire Attenzione Tip!, che la bambina era già in fondo alla scala, Eliza arrivò subito dietro Thomas, Frederick si incamminò con tutta calma, masticando qualcosa come al solito, mentre Josué seguì John e Francis, che tentavano di scavalcare Tip per arrivare primi al davanzale della terrazza del Poggio d’Oro.

    Da lì si vedevano i turisti appena arrivati nella elegante residenza di Villa Medici: otto colonne di marmo bianco, sorrette da capitelli corinzi e antichi fregi restaurati, accoglievano gli ospiti illustri insieme ad altrettanti valletti in livrea blu e rossa con bottoni dorati che brillavano al sole.

    Villa Medici confinava proprio con le mura del giardino dell’orfanotrofio dove vivevano i bambini. Oltre quel muro di Villa Medici però, le cose erano ben diverse: i danni del tempo e dell’incuria erano stati devastanti sotto molti punti di vista, il giardino era ormai in rovina, se ne intuivano gli antichi fasti grazie a qualche statua coperta d’edera sopra le colonne ad ovest e a qualche capitello che spuntava dall’erba come la piuma del cappello di un cavaliere sepolto. Le pareti di broccato damascato erano rattoppate da cerotti raggrinziti e i pavimenti, un tempo arricchiti da splendidi mosaici colorati, erano ridotti a pochi quadratini sbiaditi. Ma per Thomas, Francis, Tip, Eliza, Josuè, John e Frederick, i ragazzi del ‘Rudgers and Club Orphans Home’, il giardino del Poggio d’Oro era il posto più bello del mondo: non solo potevano giocare fra le rovine immaginando mille avventure, ma da lì potevano anche vedere Villa Medici e i turisti che arrivavano da tutto il mondo e così scommettevano sul paese di origine e di tutti quelli che entravano, sul numero delle valige, sulla lingua parlata e sulle parole dette spiando i movimenti delle labbra da lontano.

    Come sempre durante le feste, erano arrivati nuovi turisti dalla lontana America proprio con il Signor Pepe, che portava solo turisti speciali sulla sua carrozza tirata da quattro cavalli bianchi, foderata di velluto rosso e piena di piccoli ‘ponpon’ che Madame Club gli aveva spesso rubato per abbellire le tende o le lampade del Poggio d’Oro.

    Pepe non l’aveva mai perdonata, d’altronde fra loro non c’era mai stata simpatia. Pepe piaceva molto ai ragazzi dell’orfanotrofio, ma non piaceva ne’ a Madame Club, né a Skinhead Rudgers, che con Madame era il tenutario del Poggio d’Oro, la casa per orfani inglesi che non erano più stati reclamati da nessun parente in Inghilterra.

    Qualche anno prima, la febbre spagnola aveva colto alla sprovvista molti turisti europei che venivano a soggiornare in Italia durante i mesi estivi; la terribile epidemia aveva mietuto vittime anche fra illustri stranieri, risparmiando pochi bambini i cui genitori erano stati così lungimiranti da nasconderli al Poggio d’Oro. Madame Club e Skinhead Rudgers erano infatti riusciti a sfuggire al contagio.

    Fino a qualche anno prima il Poggio d’Oro era la residenza del vecchio Lord Hamilton, ritiratosi dieci anni prima a Roma per il clima e le bellezze architettoniche. Durante l’epidemia egli si era offerto di ospitare i bambini ancora sani nella sua enorme e vuota casa. Hamilton non aveva figli e si illudeva così di compiere anch’egli la sua missione su questa terra. Aveva passato una vita a viaggiare e ad esplorare il mondo, collezionando conquiste fra le aristocratiche del bel mondo, affascinate dalla sua prestanza e dal suo indubbio carisma, che svaniva però ogni qual volta si parlava di matrimonio; nonostante le numerose avventure, le storie ed i fidanzamenti infatti, Lord Hamilton era sempre riuscito a liberarsi e a non accasarsi mai.

    Il giovane Hamilton aveva molto beneficiato di questa condizione di liberta, ma il vecchio Hamilton si era ritrovato solo, senza eredi e senza compagnia, con due loschi figuri come unici compagni, nei suoi ultimi mesi di vita.

    Rudgers e Madame Club erano la cuoca ed il maggiordomo, che Lord Hamilton aveva portato con sé dall’Inghilterra. Non avendo parenti prossimi, alla sua morte i due avevano ereditato tutto, l’unica condizione che Hamilton aveva posto loro per ricevere l’eredità, era che continuassero ad offrire ospitalità agli orfani inglesi. Naturalmente Madame e Skin, come li chiamavano i ragazzi, avevano accettato subito, ma in cuor loro non nutrivano alcun affetto per quei ‘bastardi’ come li chiamavano in privato, erano quasi tutti figli di aristocratici o perlomeno di inglesi che potevano permettersi un viaggio in Italia, tranne qualche caso, come quello di Thomas certo, ma per il resto, Madame e Skin non avevano mai amato i bambini, né provavano particolare dispiacere per la loro condizione di orfani lontani da casa.

    Madame Club, al secolo Margareth Brow, era nata in un quartiere malfamato di Londra verso le Hills, sua madre era francese e si arrabattava come poteva, di suo padre non c’era traccia al momento, ma ne aveva lasciate molte prima, visto che Madame aveva ben otto fratelli. Sua madre aveva abbandonato lei e altri quattro figli appena avevano compiuto i 10 anni, per tornarsene in Francia con i più piccoli inseguendo l’ultima conquista che, almeno questa volta, era francese come lei.

    I ragazzi abbandonati si erano divisi e la piccola si era ritrovata a chiedere l’elemosina, finché una misericordiosa signora non l’aveva presa con sé: era una cuoca e lavorava presso una facoltosa famiglia inglese. La buona donna, che si chiamava Mary Jane Stevenson, l’aveva cresciuta e le aveva insegnato a cucinare e cosi Margareth aveva cominciato a lavorare per numerosi aristocratici londinesi, senza mai amarli ed anzi disprezzandoli per la loro fortuna. Vivendo sulla strada aveva imparato a dissimulare i suoi sentimenti e a sorridere sempre di fronte al nemico. Un giorno Mary Jane morì e la signora prese una nuova coppia di domestici con una figlia che faceva anche da aiuto cuoca, e cosi Margareth, che tutti avevano preso a chiamare ‘Club’, perché tutte le sere aspettava qualcuno fuori dai Club per soli uomini, non serviva più.

    La segnalarono però ad un amico di famiglia, che voleva trasferirsi in Italia: l’affascinante scapolo attempato Lord Hamilton, proprietario di una splendida villa in Italia dove non andava mai. Il sopraggiungere di una brutta tosse cronica però, gli aveva fatto cambiare i programmi e, consigliato dai dottori, aveva deciso di trasferirsi nel belpaese. Non era facile però trovare una domestica disposta a trasferirsi così su due piedi in un altro paese seppur bello come l’Italia.

    Quasi tutte avevano una famiglia e qualcuno a cui pensare o da accudire, ma Margareth Brow non aveva proprio nessuno, se non fosse stato per quella sera nella quale, gironzolando come sempre vicino a qualche Bar, aveva trovato Skinhead Rudgers ubriaco che camminava barcollando. Margareth l’aveva riaccompagnato a casa, si erano piaciuti, erano tutti e due soli e con storie simili, anche lui era orfano, da ragazzo era stato mozzo sulle navi da crociera, disprezzando i ricchi ospiti esattamente come Club, ma ora si dava da fare come poteva, tagliando legna e sgombrando cantine. Hamilton aveva bisogno anche di un uomo di fatiche e così anche Skinhead si era aggiunto a Margareth e da quasi dieci anni vivevano al Poggio d’oro, aspettando di ereditare tutto.

    Speravano sempre che qualcuno venisse a reclamare gli orfani e più volte avevano provato a darne qualcuno in adozione, poiché la condizione imposta da Lord Hamilton per ereditare il Poggio d’Oro, presupponeva che ci fossero ancora bambini da salvare, ma se se ne fossero andati tutti…, più o meno volontariamente…, allora le cose sarebbero state diverse per Madame e per Skinhead: avrebbero potuto vendere la villa e ritirarsi a fare la bella vita, dunque non vedevano i bambini come cuccioli da salvare come Hamilton, ma piuttosto come ostacoli alla loro felicità.

    Club aveva imposto ai bambini di chiamarla Madame, ma solo quando non c’era Lord Hamilton: in sua presenza infatti, i bambini potevano chiamarla Margareth, in caso contrario, per nessuna ragione al mondo potevano permettersi di chiamarla per nome. Riversava sui piccoli le stesse severissime regole alle quali aveva dovuto sottostare o che immaginava appartenessero ai ceti elevati che disprezzava.

    Il vecchio Lord fece appena in tempo a vedere al Poggio d’oro alcuni dei bambini salvati dalla febbre. Sentiva che stava morendo e che quella era una cosa giusta da fare, infatti negli ultimi anni, aveva maturato l’idea che la sua vita fosse stata solo un fallimento, che la sua stessa esistenza fosse stata inutile, ma l’accoglienza di bambini in pericolo, a causa dell’epidemia, lo aveva fatto risentire utile e finalmente felice.

    Se ne andò una sera di Maggio, con la finestra aperta sopra il giardino del Poggio d’Oro, dove i bambini giocavano e il ponentino romano gli portò le loro voci come un dolce canto di saluto.

    Ora l’epidemia era passata, Madame Club e Skinhead Rudgers avevano ben presto finito la rendita di Lord Hamilton, tentando di mantenere il Poggio come Hamilton, senza averne né la capacità, né la dedizione. Per la prima volta in possesso di molto denaro, lo avevano scialacquato rispettivamente in alcol, gioco d’azzardo e abiti costosi. Avevano cercato più volte di farsi dare del denaro dai genitori malati dei ragazzi durante l’epidemia, promettendo di trattarli bene, ma ormai ne erano rimasti pochi e nessuno di loro era stato reclamato da altri parenti inglesi, e così erano rimasti lì anche dopo la fine della spagnola e Madame e Skin, come li chiamavano i bambini, avevano cominciato a razionare il cibo che scarseggiava sempre più e a trattarli sempre peggio, ma i piccoli ospiti accettavano tutto, poiché non conoscevano altra condizione.

    Essi giravano fra le rovine vivendo mille avventure, immaginando di avere ancora i loro genitori tenuti prigionieri da qualche parte nelle segrete di un castello, che doveva trovarsi proprio sotto le fondamenta di Poggio d’Oro.

    La loro fantasia era animata dal desiderio di dimenticare le urla e le cattiverie dei tenutari, ma anche dai bei racconti di Pepe, il cocchiere di Villa Medici, dove i ricchi europei o americani avevano ripreso a venire dopo l’epidemia.

    Pepe raccontava loro le storie del mare, delle terre lontane da cui venivano i turisti, almeno finché Madame Club non suonava la campana, ben più stridula di quella della carrozza di Pepe e li richiamava all’ordine o a mangiare la cosiddetta ‘sbobba infestata’ come l’aveva soprannominata Frederick. Si trattava di una sorta di zuppa scura con ingredienti indefiniti, insipida e povera, ma Madame la propinava ai ragazzi con sadico orgoglio ogni giorno.

    Rudgers, il vecchio lupo di mare con un occhio bendato, l’alito orribile e una redingote d’altri tempi con gli alamari anneriti e sporchi, arrivò barcollando con la bottiglia di Rhum in mano…

    Madame Club cominciava a strillare che il pranzo era pronto e sembrava che il collo le schizzasse fuori del nastrino di pizzo viola che teneva sempre intorno alla gorgiera di macramè, il suo abito di velluto verde ormai sbiadito puzzava terribilmente e i bambini potevano sentire il suo fetore molto prima che entrasse nel dormitorio.

    ‘Zut les enfants’ continuava a ripetere mentre rientravano dal giardino, usava ripetere gli insulti in francese che aveva sentito tante volte da sua madre quando era arrabbiata, anche lei aveva imparato un po’di francese e a Roma anche un po’ di italiano, almeno lo stretto necessario per fare un po’ di spesa al mercato o per rispondere male a chi le si avvicinava.

    Skinhead usciva di pomeriggio dopo aver smaltito le sue sbronze e andava a giocare nella taverna ‘Da Zì Mario’, dove i romani ormai sapevano che ‘… lo straniero dell’orfanotrofio giocava forte…’ : solo quando vinceva i bambini erano sicuri di poter mangiare qualcosa, altrimenti le porte della dispensa restavano chiuse.

    La dispensa era un luogo freddo e scuro nel sotterraneo del Poggio D’oro dove Madame Club riponeva i suoi tesori gastronomici. Li nascondeva lì, per evitare che i ragazzi potessero accedere facilmente al cibo, specialmente Frederick, ma con il passare del tempo si era stancata di dover fare sei rampe di scale al buio e così quando Thomas era diventato abbastanza alto da raggiungere gli scaffali più alti, mandavano lui a prendere le scorte di cibo. Thomas era tollerato più degli altri perché la sua storia era diversa; per qualche verso lo vedevano più simile a loro: pare che sua madre fosse stata arrestata per omicidio e lui era solo al mondo, aveva già sette anni quando aveva bussato all’orfanotrofio da solo, eseguendo l’ultimo ordine della madre prima del suo arresto. Madame gli aveva aperto la porta e per la prima volta, da quando ospitavano orfani, si era soffermata per qualche istante a guardare quel ragazzino con lineamenti bellissimi e un’enorme frangia nera sugli occhi. Ora aveva sedici anni, era alto e magro, le fossette solcavano il suo giovane viso quando sorrideva ed i suoi occhi neri avevano lunghissime ciglia altrettanto nere, la sua carnagione era olivastra e la sua andatura veloce. In tasca portava sempre un vecchio orologio con la catena, aveva sempre paura di non arrivare in tempo da qualche parte, tutti sapevano che era già grande quando era stato portato in orfanotrofio, ma quando gli chiedevano qualcosa sulla sua storia, diceva che non ricordava nulle e correva nell’angolo più protetto del giardino ad inventare marchingegni con i pezzetti di legno che trovava.

    Eliza era stata portata lì a tredici anni dal padre, un ricco mercante di stoffe inglese, in Italia per affari: si era portato dietro la moglie e l’unica figlia, ma poi si era ammalato, la sua fragile moglie non aveva resistito alla febbre e dopo qualche mese anche lui era rimasto vittima dell’epidemia e lei era rimasta completamente sola. Ora aveva diciassette anni, e stava per andarsene: una signora dell’alta società l’aveva richiesta come cameriera e Madame Club aveva preteso un bel po’ di soldi per acconsentire a lasciarla andare. Eliza la aiutava in cucina ed era solo merito suo se, qualche volta, la ‘sbobba infestata’ sembrava un po’ meno sbobba.

    Frederick invece era stato portato al Poggio d’Oro dalla sua bellissima mamma con i capelli rossi, quando aveva quattro anni. L’aristocratica inglese

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