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La quercia e l'angelo
La quercia e l'angelo
La quercia e l'angelo
E-book267 pagine4 ore

La quercia e l'angelo

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Info su questo ebook

Quante volte vi è capitato di guardare il cielo e il vostro sguardo ha catturato la scia luminosa di una stella cadente? Una leggenda narra che questi sciami brillanti siano Esseri Spirituali che decidono di venire sulla terra per vivere un’esperienza umana e avere l’opportunità di raggiungere livelli di coscienza più elevata.Alba è una di questi e scende in un corpo per fare la propria esperienza evolutiva; dopo aver scelto il luogo, il tempo e le persone che condivideranno la sua nuova vita, si ritrova nel grembo di Lucia.Il suo percorso è pieno di imprevisti e sofferenze, ma avrà buoni amici e la guida costante del suo Angelo Custode.Un giorno, inaspettatamente, ritrova Stefano, il primo amore: con lui vivrà attimi indimenticabili. Questo però non è il percorso scelto per la sua vita, ed essa subirà una nuova svolta che la riporterà al suo piano originario.Questo romanzo affronta i temi esistenziali, i misteri della vita e anche i suoi grandi drammi, e lo fa penetrando in profondità nell’animo umano, trasmettendo al lettore sensazioni e sentimenti che resteranno indelebili nei suoi pensieri e nei suoi ricordi.Il libro non potrà che tenervi con il fiato sospeso fino all’ultima pagina.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2020
ISBN9788831687638
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    Anteprima del libro

    La quercia e l'angelo - Elena Helmi

    terra.

    LUCIA

    Perdersi con lo sguardo fra le stelle

    è come cominciare a camminare

    nella propria anima

    (A. Vanligt)

    Sulla terra era appena finito il mese di agosto, i contadini avevano già riposto nei granai il grano che poi, a tempo debito, sarebbe stato portato con i buoi o con i muli nei mulini per la trasformazione in farina; anche il fieno odoroso era già stato sistemato nei solai sopra le stalle e a poco a poco sarebbe sceso nelle greppie per alimentare le vacche fino alla fine dell’inverno. Le pannocchie dorate di granturco venivano raccolte e portate con grandi cesti nelle cascine, poi, alla sera, i contadini si riunivano ora da uno ora dall’altro, nelle aie per la sfogliatura. In queste occasioni i più anziani raccontavano aneddoti e fiabe ai più piccini, qualche volta qualcuno portava un’armonica e terminato il lavoro si cantava e si ballava.

    Le giornate, passato il ferragosto, si accorciavano e la sera calava dolcemente come per dare respiro agli agricoltori sfiancati dalle lunghe ore passate nei campi ricurvi sugli attrezzi da lavoro.

    Negli anni cinquanta, in quel piccolo paese, non c’erano i moderni attrezzi ora in uso ma tutto il lavoro veniva svolto manualmente; gli uomini iniziavano a falciare l’erba o a tagliare il grano dalle prime luci del mattino fino a sera inoltrata. Le donne, dopo aver sbrigato le faccende domestiche, andavano nelle stalle a mungere, filtravano il latte e mettevano il caglio per fare formaggi, pulivano le gabbie dei conigli e davano loro fieno fresco, i più fortunati avevano anche il maiale che in inverno veniva ucciso e le sue carni venivano consumate con parsimonia; c’erano poi galline e qualche gallo che giravano liberi nelle campagne per razzolare nel terreno, le prime avrebbero poi depositato le uova nei cesti del pollaio, dopo aver avvisato con il loro chiocciare insistente.

    Nelle giornate di sole le massaie mettevano al sole grandi mastelli pieni di acqua affinché si riscaldassero, così al rientro dai campi, gli uomini, dopo una giornata di duro lavoro, si lavavano per togliere la sporcizia e la stanchezza.

    Il bagno, così come lo conosciamo oggi, non esisteva: fuori, staccata dalla casa si realizzava una piccola costruzione con il tetto di frasche con la funzione di gabinetto che veniva usata soprattutto in inverno, mentre, nei mesi più caldi, si andava nei campi all’aria aperta dietro a qualche cespuglio.

    I gatti si sdraiavano al sole per catturare l’ultimo tepore della giornata e per riposarsi dopo la notte di caccia ai topi nei solai e nei granai.

    Lucia a quel tempo aveva ventisette anni e quella era la vita che conduceva dopo il matrimonio con Giacomo nel grande podere dei suoceri denominato La Quercia. Così era chiamato perché proprio nei pressi della grande abitazione ne era cresciuto un possente esemplare, ormai centenario.

    Le amiche, alcune con affetto sincero altre con celata invidia, le avevano detto di essere una ragazza fortunata, andava sposa ad un bravo e onesto giovane, che per di più, a quei tempi, faceva parte di una ricca famiglia. Il podere era di proprietà della famiglia dal 1860 ed era stato tramandato di generazione in generazione. Nei primi anni la grande casa posta su diversi piani con almeno quindici vani, era posizionata al centro di campi coltivati; nella parte posteriore c’era una boscaglia di faggio e querce. In inverno e in primavera quando si scioglievano le nevi e arrivavano le piogge, si formava un laghetto dove dimoravano rane, rospi e salamandre. Nonostante tutto questo, Lucia aveva sofferto molto in quegli anni, aveva lasciato i genitori e i due fratelli per entrare nella famiglia del marito. Mentre nella sua casa, nonostante i problemi legati alla guerra e al dopoguerra regnavano serenità e armonia, nella nuova famiglia aveva trovato acredine e discordia causati dalla suocera e dalla sorella del marito.

    Le donne erano cattive ed invadenti, provavano nei suoi confronti una gelosia morbosa e tante ne facevano e tante ne inventavano per renderle difficile la vita. Giacomo, forse un po’ succube delle due donne, cercava di barcamenarsi in questa complicata situazione, evitando e scusando ora l’una ora l’altra per amor di pace.

    Il padre di Giacomo era invece una persona di animo buono e gentile e, pur comprendendo la difficile situazione che si era creata con l’arrivo di Lucia, cercava di non scontrarsi con la moglie e la figlia.

    I genitori e i fratelli di Lucia abitavano in un altro paese a decine di chilometri di distanza, cosi, visto che a quei tempi non c’erano automobili, lei poteva andarli a trovare poche volte all’anno, una di queste era a settembre, quando nella sua parrocchia si festeggiava San Michele Arcangelo. Lucia era molto devota di San Michele, considerato da tutti come un grande guerriero che con la sua spada aveva sconfitto il male, così lei, ogni sera, prima di addormentarsi volgeva a lui le sue preghiere, con la speranza che anche nella sua famiglia avrebbe riportato pace e serenità.

    Quando ritornava al paese, cercava di attardarsi il più a lungo possibile con la sua famiglia per ritrovare un po’ di quiete e per godere della compagnia della madre a cui raccontava le sue sofferenze dovute alla nuova convivenza; la madre le sedeva accanto e la stringeva fra le braccia per darle tutto il suo conforto, ben sapendo che non avrebbe mai potuto intromettersi nella sua nuova famiglia. Le raccomandava di avere pazienza e le diceva che prima o poi le cose sarebbero cambiate e anche per lei ci sarebbe stata un po’ di tranquillità, le prometteva che ogni giorno avrebbe pregato l’Arcangelo Michele affinché vegliasse su quella figliola lontana.

    Forse furono le preghiere o forse fu il destino, dopo tanti anni di matrimonio, Lucia si accorse di essere incinta.

    - Ho deciso, come Spirito, di incarnarmi in un nuovo corpo fisico e di scendere sulla terra per fare una nuova esperienza di vita.

    Ho scelto Lucia e Giacomo come madre e padre perché sono stata attratta dai loro pensieri, desideri e intenzioni e so che attraverso loro completerò il percorso che mi porterà ad evolvere. Solo così potrò sperimentare l’amore e l’odio, la forza e la debolezza, il pianto e il sorriso, la luce e le tenebre.

    Così entro nel grembo di Lucia ed il mio cuore inizia a battere dolcemente e avverto le prime emozioni umane.

    Il primo a sapere del suo stato fu Giacomo che accolse con gran gioia la notizia, però di comune accordo decisero di mantenere il segreto con la famiglia almeno fino alla fine del terzo mese di gravidanza.

    In quel periodo Lucia sentiva meno la stanchezza e svolgeva i pesanti lavori con più entusiasmo, a volte quando al mattino rifaceva il letto si metteva davanti al grande specchio incastonato nello sportello dell’armadio per vedere se il ventre cresceva, poi lo accarezzava dolcemente e diceva tenere parole alla sua bambina.

    Fin dal primo momento lei sapeva che sarebbe arrivata una bambina e già immaginava di darle tutto l’amore e il sostegno che la sua famiglia aveva dato a lei.

    Ora le pesava meno anche l’ostilità delle due donne, dava meno importanza alle parole malevole che udiva attraverso le pareti quando era sola in casa.

    Erano già iniziate le piogge e presto anche la neve avrebbe fatto la sua prima comparsa, in cucina la stufa a legna, oltre a donare tutto il suo calore serviva anche per cucinare. Nell’ampio forno, oltre alle carni, venivano cotte anche mele e pere che spandevano per la cucina tutto il loro profumo; i dolci invece venivano preparati solo nelle occasioni importanti.

    Il pane veniva fatto una volta alla settimana e cotto nel forno esterno, le pagnotte dorate e fragranti venivano riposte nella madia e consumate fin dal primo mattino nel caffelatte e poi a pranzo e a cena; nulla andava sprecato, se ne rimaneva qualche fetta veniva messa nella broda dei maiali assieme agli scarti delle verdure.

    Giacomo guardava la sua sposa con più dolcezza che nel passato, ma la rigida educazione ricevuta in famiglia non gli permetteva nessun contatto fisico, fosse anche solo una carezza o un abbraccio se non nella loro intimità.

    Lucia aveva acquistato gomitoli di lana colorata e allegre stoffe per preparare corredino e copertine e Giacomo aveva già trovato il legno per preparare il lettino.

    Erano passati i primi tre mesi di gravidanza e si avvicinava il Natale, così Giacomo colse l’occasione per dare la bella notizia alla sua famiglia. Lucia preferì rimanere nel suo appartamento situato al piano di sotto di quello dei suoceri, non se la sentiva di affrontare eventuali critiche da parte della suocera o della sorella; era invece certa che il suocero avrebbe accolto la notizia con gran gioia.

    Guardando dalla finestra Lucia vide il cielo coperto, gli alberi muovevano i rami ormai spogli dondolando dolcemente, qua e là i primi fiocchi bianchi facevano capolino.

    - Ora sento l’amore di mia madre, lo avverto come una lieve carezza, un soffio.

    Sento il battito tranquillo del suo cuore e il suo respiro regolare. So con certezza che mi accolgono con infinito amore e questo mi aiuterà a correggere e risolvere le imperfezioni che non sono riuscita a portare a termine nelle mie vite precedenti. Sono consapevole che dovrò affrontare, oltre a momenti di gioia anche momenti di sconforto e di solitudine, tutto è stato concordato prima della mia discesa nella materia. Ma non sarò mai sola, le mie Guide Spirituali mi saranno accanto e, ogni volta che devierò dal cammino prescelto, con piccoli o grandi segnali mi riporteranno sulla giusta via.

    All’improvviso Lucia udì le voci concitate di Giacomo e della suocera, udiva soprattutto quest’ultima che gridava che erano ancora così giovani che avrebbero potuto aspettare ancora. Lucia in quello stato non sarebbe stata di grande aiuto con tutti i lavori da portare avanti, poi quello lì (stava ad indicare il nascituro) sarebbe arrivato proprio nel mese di giugno, quando fieno e grano erano da tagliare e sistemare.

    Lucia cercava di capire cosa avrebbe detto Giacomo, la risposta tardava ad arrivare, poi udì il tonfo di una porta che si chiudeva e dai suoi occhi scivolò una lacrima.

    - Avverto sia le soddisfazioni che le delusioni di mia madre e le condivido; siamo legate dal cordone ombelicale che rappresenta ben più di un piccolo tubicino attraverso il quale passa il nutrimento, ma è un legame molto più profondo che continuerà nel tempo.

    Lucia andò nella legnaia accanto a casa per fare provvista di legna che sarebbe servita per la serata ormai in arrivo; il vero motivo però era che non voleva far vedere a suo marito la delusione dipinta sul suo volto: ancora una volta lui aveva taciuto e non aveva detto niente in sua difesa.

    Giacomo era arrabbiato forse più con sé stesso che con la madre, si sentiva in colpa; lui avrebbe dovuto difendere Lucia e invece, forse per rispetto o forse per paura del litigio che ne sarebbe seguito, aveva chinato la testa ed era uscito di corsa. Non se la sentiva di affrontare sua moglie, decise così di attardarsi e di andare a pulire la stalla e a mungere le mucche, cosa che di solito faceva il padre.

    La cena fu tranquilla e soprattutto silenziosa, nessuno dei due osava parlare per primo. Lucia per stemperare quella tensione che entrambi sentivano, accese la radio per ascoltare un po’ di musica, le piacevano tanto le canzonette allora in voga: Teddy Reno, Claudio Villa e Nilla Pizzi, erano i suoi cantanti preferiti, ma Gino Latilla con la sua canzone dedicata a Tutte le mamme ora la faceva sognare.

    Fuori era ormai buio e la neve iniziava a cadere copiosa, il mattino dopo avrebbero dovuto alzarsi ancor prima per spalare e creare il sentiero per andare nella stalla e da tutti gli altri animali per pulire le loro gabbie e dar loro da mangiare.

    Al mattino Lucia, che di solito si alzava sempre prima del marito per accendere la stufa a legna e per preparare la colazione, fece per alzarsi ma, forse per la tensione della sera precedente, sentì alcune fitte nel basso ventre.

    Giacomo intervenne prontamente in suo soccorso e la costrinse a rimanere a letto. Scese in cucina e, dopo aver messo all’interno della stufa alcuni rametti più piccoli e secchi per far attecchire il fuoco, appoggiò sopra il pentolino con il latte e preparò, con la polvere macinata, la macchinetta del caffè; tagliò alcune fette di pane e dispose sulla tavola due tazze.

    Aprì la porta per vedere quanta neve era caduta durante la notte. Se avesse potuto rimanere in casa senza la preoccupazione di dover uscire per affrontare una dura giornata di lavoro, avrebbe potuto apprezzare il panorama che si estendeva di fronte ai suoi occhi.

    I campi che circondavano la casa erano diventati di un bianco candido, sul sentiero che conduceva alla casa c’erano file di alberi che con i loro rami spogli e innevati si allungavano verso il cielo bianco, qua e là si potevano vedere piccole impronte lasciate dagli uccellini in cerca di cibo; tutto era silenzioso, ovattato, fiabesco. Nell’aria si sentiva quel pungente profumo di freddo e il respiro diventava vapore.

    Ma Giacomo, preoccupato per la moglie e per la giornata da affrontare, non riusciva a vedere questo miracolo, sentiva dentro di sé una profonda malinconia.

    Lucia con grande volontà si era vestita ed era scesa, conosceva suo marito molto bene e sentiva la sua preoccupazione. Incrociò il suo sguardo e lo strinse in un abbraccio:

    «Non preoccuparti andrà tutto bene, passeranno in fretta questi mesi e dopo avremo il nostro frugoletto da coccolare.»

    Giacomo se la strinse al petto rassicurato dalle sue parole e dalla determinazione che da sempre aveva constatato nella moglie.

    Fecero colazione, e mentre Lucia faceva le faccende domestiche, Giacomo, armato di stivali e abiti pesanti, prese la pala e iniziò a rimuovere la neve attorno alla casa e alla stalla. Ben presto fu raggiunto anche dal padre e dalla sorella, che lo aiutarono a creare sentieri per il passaggio. Per evitare rovinose cadute, sopra a questi viottoli veniva buttato ogni giorno della cenere. Però la neve continuava a cadere e ogni mattina si doveva togliere nuovamente quella caduta durante la notte.

    Solo dopo cominciava la giornata, con il solito carico di lavoro: si mungeva e si accudivano gli animali: con il latte appena munto si faceva un nuovo formaggio. Quelli fatti nei giorni precedenti venivano lavati e messi a stagionare su assi di legno coperte da lindi canovacci. Solo dopo qualche mese venivano portati nel negozio del paese per la vendita.

    Il siero del latte veniva bollito e con questo si faceva la ricotta che di solito veniva consumata in giornata accompagnata ad un piatto di polenta oppure aggiunta ad un piatto di minestra e patate.

    Il Natale era alle porte, ora che rimaneva tempo perché i campi erano a riposo, in famiglia si preparavano tortellini e ciambelle; per l’occasione veniva cucinato anche il coniglio più grosso che veniva messo nel forno a legna dopo la cottura del pane.

    Ora le cose fra Lucia e le altre donne della famiglia sembravano migliorate, ma forse era perché con il freddo si passava più tempo in casa e c’erano meno occasioni di vedersi.

    Il ventre di Lucia cresceva e fu proprio nel giorno dell’Epifania che, mentre era seduta a sferruzzare, avvertì un lievissimo sfarfallio. Si fermò in attesa di avvertirne un altro a conferma del primo, ma non accadde nulla.

    Eppure ci avrebbe giurato, la sua bambina le aveva mandato un piccolissimo segnale come ad indicarle che tutto stava andando bene.

    Non disse nulla a Giacomo, era certa che se lui non lo avesse sentito avrebbe potuto dubitare della sua sensazione, decise così di aspettare che il movimento divenisse più evidente.

    Dopo un colpo di coda gelido che aveva portato altra neve alla fine di gennaio, arrivò febbraio: le giornate si erano allungate di poche ore, ma già si avvertiva nell’aria un lieve cambiamento; sui rami si udiva qualche merlo lanciare il suo fischiettare allegro, sonoro, per attirare la femmina e costruire il nido; il ruscello che scorreva a lato della casa era gonfio e scintillante per lo sciogliersi della neve, qua e là facevano capolino Bucaneve e Croco che avevano sfidato il rigido inverno.

    Le giornate erano allungate di qualche ora, l’aria era ancora fredda soprattutto al mattino e alla sera, il sole faceva sentire durante il giorno il suo tepore, nei campi si vedevano le piantine di grano e di mais, anche l’erbetta che sarebbe diventata fieno, mostrava le sue tenere foglioline. Lucia a volte si soffermava a guardare la natura, ricordava quando la maestra delle elementari, diceva che sotto la neve cresceva il pane, sotto la pioggia cresceva la fame: quell’anno la neve era stata abbondante e il raccolto sarebbe stato generoso.

    Fu proprio con il risveglio della natura che Lucia udì distintamente il movimento della sua piccola, questa volta non c’erano dubbi, si guardò attorno in cerca del marito e quando lo vide accanto alle gabbie dei conigli, andò da lui con passo sollecito; gli prese la mano e con dolcezza la appoggiò sul ventre prominente.

    - Avverto la carezza di una mano più grande, immagino sia quella di mio padre e mi sento bene, protetta. Sono ancora piccolissima, sto nuotando in un grande spazio scuro, posso girare su me stessa senza alcuna difficoltà; non c’è luce ma è ugualmente piacevole. Ricordo che prima della mia discesa ero immersa nella luce. Una luce immensa che scaldava, rassicurava, irradiava amore ed io vibravo ad una frequenza diversa.

    La sorella di Giacomo, Gina, vide tutto questo e con cattiveria disse che non era certo la prima donna che metteva al mondo un bambino e che, con le loro effusioni, erano proprio ridicoli. Giacomo tolse la mano bruscamente dal ventre e Lucia si sentì ferita dalle parole piene di ostilità della cognata. In cuor suo sperò che la sua piccolina si sarebbe fatta rispettare, non avrebbe avuto il suo carattere mite e remissivo.

    Marzo iniziò con tanta pioggia: a volte era una pioggerellina sottile e insistente che sembrava penetrare nelle ossa, a volte arrivava con forti temporali preceduti da scariche elettrice e grandi tuoni, poi nel cielo terso si poteva ammirare, nelle colline poste di fronte al podere, un bellissimo arcobaleno. Con le temperature più miti erano arrivate anche le prime rondini che dopo aver girato a lungo sulla casa come per sincerarsi che nulla fosse cambiato, entravano nella stalla dai grossi finestroni per ritrovare intatti i vecchi nidi.

    Lucia fin da bambina aveva sempre ammirato le rondini, le mettevano gioia, a volte stava seduta sotto un albero ad ascoltare i loro garriti, a guardare il loro affannato andirivieni con i becchi pieni di insetti che portavano ai loro piccoli nei nidi sotto i tetti.

    Alla domenica, quando la strada sterrata che attraversava i campi, scendeva giù al fiume e poi risaliva di nuovo nell’altro versante, era asciutta, tutta la famiglia andava a messa. Partivano presto perché la chiesa era lontana, partivano senza fare colazione perché poi si sarebbero confessati e avrebbero fatto la comunione.

    Oltre a pregare era anche un modo per ritrovarsi tutti assieme: giovani, vecchi e bambini. Si parlava del tempo e dei futuri raccolti, a volte si contrattava la vendita di qualche bestia.

    Le donne parlavano dei figli e qualcuna raccontava quello che accadeva nei paesi vicini, gli uomini si riunivano in un locale adibito a bar per bere un bicchiere di vino, i ragazzi si rincorrevano per la piazza e giocavano a nascondino.

    Lucia rimaneva a casa e preparava il pranzo per la famiglia, il pancione ora era molto evidente e la piccolina si faceva sentire sempre con maggior frequenza.

    Quando era da sola poteva lasciarsi andare ai suoi sogni: appoggiava delicatamente la mano ruvida sul ventre e accarezzava quella bozza che si muoveva nello spazio sempre più piccolo. Ora però faceva più fatica a sbrigare le sue faccende, era diventata più lenta e goffa nei movimenti e di questo se ne erano accorte anche la suocera e la cognata che coglievano ogni occasione per farglielo notare. Lucia cercava di non ascoltarle, ma il rammarico che provava era davvero forte, qualche volta aveva provato a parlarne con Giacomo, ma non aveva ricevuto un gran conforto, le diceva di portare pazienza che con la nascita della creatura le cose sarebbero cambiate. A volte pensava che suo marito non le credesse perché queste malignità le venivano dette per lo più quando era da sola. Più volte si era anche sentita dire che Giacomo era corteggiato da donne più avvenenti di lei e alcune gli avrebbero portato in dote un corredo più consistente e anche qualche mobile compreso il comò.

    Lucia ripensava a quando era una giovane

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