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Attacco al Presidente
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E-book149 pagine2 ore

Attacco al Presidente

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Info su questo ebook

Londra, 2021. Il brillante presidente del consiglio italiano Sergio Raimondi è nella capitale britannica per un importante evento culturale. Durante il breve soggiorno conosce Amanda Taylor, un’affascinante top executive di una grande società internazionale, e se ne invaghisce.
Un gruppo finanziario ostile a Raimondi approfitta del rapporto di confidenza che si è creato tra i due, offrendo alla donna una ricompensa se riuscirà ad attirarlo in un’intricata trappola, per lui politicamente mortale, da organizzarsi a Roma.
In essa sarebbero coinvolti anche il capo dei servizi segreti israeliani nella Penisola e un diplomatico della Nubia, il nuovo stato africano separatosi dal Sudan e ricco di enormi giacimenti di uranio, di grande interesse per l’Italia e il suo governo.
Nella complessa partita a scacchi che si gioca nella città eterna si rivelerà prezioso, per Amanda, l’aiuto non del tutto disinteressato di Andrea Spinelli, simpatico e originale giornalista italiano da lei conosciuto a Londra.
Eviterà il presidente la rovina politica e la bionda inglese a non essere stritolata nella perversa macchinazione in cui finisce per cadere?
LinguaItaliano
Data di uscita27 lug 2016
ISBN9788869631009
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    Anteprima del libro

    Attacco al Presidente - Franco Carboni

    Anonimo

    ATTACCO AL PRESIDENTE

    Parte I – I due corteggiatori

    Il parco non era così affollato come lui si era aspettato.

    In agosto anche i londinesi fuggono dalla città, come fanno gli italiani osservò rivolgendosi a Pigni, che gli camminava accanto. Le guardie del corpo si tenevano a qualche metro di distanza, fingendo di essere due giovanotti che per caso stavano andando nella stessa direzione.

    Eh sì, Sergio, è quello che sta ormai avvenendo anche in altre metropoli europee gli rispose l’amico. Guarda Parigi: diversi anni fa in questo mese la trovavi animata, una città brillante come sempre. Se ci vai adesso, certe strade sono deserte e molti negozi sono chiusi per ferie.

    Stavano costeggiando il laghetto che occupa una parte del parco di St. James. Gli alberi, i cespugli, l’erba, tutto era verdissimo, risultato di un’estate fino a pochi giorni prima piovosa. Ora la temperatura era perfetta, intorno ai ventiquattro gradi. I rari nuvoloni che di tanto in tanto coprivano il sole fuggendo verso est rendevano a tratti l’aria più frizzante.

    È stata un’ottima idea la tua, Sandro, di anticipare di un giorno la nostra venuta a Londra riprese il presidente del consiglio rivolgendosi al suo sottosegretario. Si conoscevano da una vita e lo chiamava familiarmente Sandro, mentre per tutti gli altri era il dottor Alessandro Pigni, colui che gli risolveva le situazioni più intricate, il diplomatico, il tessitore per eccellenza. Così possiamo rilassarci per qualche ora, senza che giornalisti e telecamere ci rompano le scatole. Domani è una giornata impegnativa per noi e, diciamolo pure, decisamente importante per l’Italia. Dobbiamo essere in forma…su, acceleriamo il passo!

    Entrambi indossavano una tuta leggera e il presidente portava calato sulla testa un cappellino con visiera per non farsi riconoscere. I due uomini che li proteggevano indossavano magliette e pantaloncini sotto al ginocchio.

    Raimondi amava questo parco più degli altri più grandi, che assieme forniscono al centro di Londra un enorme polmone verde. Era più intimo, col suo bel laghetto popolato di cigni, anatre e uccelli di vari tipi e l’isoletta là in fondo. Tuttavia, il vero motivo per cui lo preferiva era forse quello di essere circondato dagli edifici che rappresentavano i maggiori simboli della passata grandezza del Paese.

    Lui aveva sempre ammirato questa nazione di antiche tradizioni democratiche, che con una popolazione non superiore a quella di altri Paesi europei come l’Italia era riuscita a piantare la bandiera dell’Union Jack ai quattro angoli della terra. Con essa aveva portato la civiltà, la giustizia, il senso della dignità della persona, pur commettendo errori e prevaricazioni, forse inevitabili data la mentalità di allora.

    Non solo per queste sue ben note simpatie per tutto ciò che era inglese Raimondi veniva chiamato il Blair italiano: alto, snello, capelli castani leggermente ondulati, 48 anni, fisicamente faceva ricordare l’ex-primo ministro britannico e gli somigliava anche per la ventata di rinnovamento che stava portando nel mondo politico del Bel Paese.

    Era arrivato alla presidenza del consiglio due anni prima, nel 2019, dopo che da sindaco aveva risollevato le sorti economiche di una grande città del nord, dandole inoltre nuovo slancio in campo culturale e sociale, e dopo aver fondato, sull’onda di quei risultati, un partito della sinistra moderata di stampo socialdemocratico. Alla guida di questa formazione politica aveva raccolto consensi anche tra molti simpatizzanti di centro-destra, per aver tagliato ogni residuo legame con i vecchi esponenti di estrazione comunista e con la loro ideologia.

    Capo di una coalizione di centro-sinistra, era particolarmente popolare non solo tra i giovani, che in lui vedevano la realizzazione delle loro attese per un futuro più brillante, ma anche nella classe media e in quella imprenditoriale, avendo quest’ultima accolto con speranza e simpatia le sue idee per ridare competitività all’Italia. Meno entusiasta si era dimostrata una parte della grande borghesia, quando aveva dichiarato che era sua intenzione porre fine al sistema poco trasparente di copertura reciproca tra settori del mondo bancario e alcuni grossi gruppi industriali e di servizi in posizioni semi-monopolistiche.

    Lo slogan che lo aveva portato al successo era stato: Responsabilità, Solidarietà, Innovazione, anche se l’estrema sinistra aveva fin dall’inizio tentato di ridicolizzarlo, dicendo che era un ritorno alla R.S.I., la Repubblica Sociale Italiana d’infausta memoria. Lui però non se n’era curato e le elezioni gli avevano dato ragione: il suo era chiaramente emerso il partito più votato.

    Si stavano avvicinando al lato orientale del parco e, dopo un tratto asfaltato, si fermarono sul grande piazzale sterrato della caserma delle Guardie a cavallo a rimirare i simboli dell’impero: sulla sinistra il palazzo dell’ammiragliato, verso destra il ministero degli esteri, che quasi soffoca la piccola residenza del primo ministro, e l’enorme edificio degli uffici governativi, dai cui sotterranei Churchill e collaboratori avevano diretto le operazioni militari durante la seconda guerra mondiale. Al di là di via Whitehall altre imponenti costruzioni e, più lontani, i palazzi del parlamento, che l’avevano affascinato quando, studente, aveva visitato per la prima volta la capitale britannica.

    Penso sia ora di ritornare, fece Raimondi dando un ultimo sguardo in giro è bene che rivediamo prima di cena i dettagli della presentazione.

    Quando veniva a Londra The Regency era il suo albergo favorito. Non troppo grande, le camere davano su una bella piazza erbosa con grandi alberi secolari. Di fronte si scorgeva il lungo edificio in mattoni rossi dove si era installato il generale Eisenhower durante la preparazione dello sbarco in Normandia, sulla sinistra l’ambasciata americana, sulla destra quella italiana.

    Dopo una veloce doccia si fece fare dal fisioterapista un trattamento al collo e alle spalle, poiché persisteva un fastidioso dolore che gli impediva da tempo di girare la testa normalmente.

    Il massaggiatore, raccomandatogli dall’amico presidente americano che lo utilizzava ogni volta che arrivava a Londra, era un ragazzone di circa trentacinque anni, alto due metri, con una lunga barba rossa incolta e capelli crespi dello stesso colore raccolti in uno chignon. Si chiamava Sasha, diceva di avere padre inglese e madre russa, a loro volta con ascendenti delle più varie nazionalità. Viveva su una barca ormeggiata in un canale del Tamigi ed era arrivato all’albergo su un triciclo dipinto tutto di bianco, con le bandierine di Russia, Inghilterra e Italia e il lettino ripiegabile avvolto accuratamente nella plastica. Le sue mani erano enormi ma si muovevano con una delicatezza incredibile. Quando afferravano le braccia o massaggiavano le spalle e le zone intorno al collo di Raimondi, questi talvolta pensava con preoccupazione che, se il bestione avesse voluto, avrebbe potuto spezzargli l’osso del collo con una semplice torsione. Tuttavia si fidava, sapeva che i servizi segreti statunitensi avevano svolto indagini accurate sull’individuo.

    Mentre lo manipolava gli raccontava aneddoti così spassosi sulla sua vita – da giovanissimo era stato un figlio dei fiori, poi aveva trascorso un anno al seguito di un bramino in giro per tutta l’India – che secondo il presidente avrebbero potuto diventare la trama di un film, se Sasha non ne avesse categoricamente respinto l’idea.

    La riunione con Pigni e i ministri coinvolti si svolse verso le sette di sera in un saloncino della suite di Raimondi. Vestiti tutti informalmente, come da richiesta del loro capo, sedettero intorno al tavolo Sofia Bordini, responsabile del turismo, una bella e attivissima donna, dai lunghi capelli biondi; Maria Giardini, vice-ministro per i beni culturali, capelli scuri corti, occhiali dalle larghe lenti, che come la collega stava portando molte idee nuove nell’azione del governo; l’ambasciatore italiano, il direttore dell’ENIT, quello dell’Istituto Italiano di Cultura e alcuni altri collaboratori. Raimondi, come faceva spesso, iniziò con un paio di battute per sciogliere l’atmosfera, Pigni riassunse le ragioni e i traguardi della manifestazione del giorno successivo e gli altri, via via, esposero gli aspetti di loro competenza. Erano le otto passate quando, dopo le ultime raccomandazioni del presidente, scesero tutti per cenare in una saletta riservata del ristorante italiano contiguo all’hotel. Quindi si ritirarono nelle loro stanze. Raimondi chiamò l’Italia per fare gli auguri di compleanno per l’indomani alla figlia maggiore, ricordandole che la famiglia si sarebbe riunita per festeggiarla la domenica successiva nella casa per le vacanze in Sicilia. Poi, come al solito, si mise a lavorare fino a notte inoltrata.

    La sede dell’Istituto Italiano di Cultura si trovava in un imponente edificio neoclassico della prima metà dell’ottocento. Costruito negli anni in cui i terreni paludosi dell’intera zona erano stati trasformati in uno dei quartieri più eleganti della città, si affacciava su Belgrave Square, una piazza con frondosi alberi al centro di un ampio prato.

    C’era un via vai di persone che si muovevano animatamente entrando e uscendo dal palazzo sotto gli occhi delle telecamere della Rai. Anche la BBC e altre reti avevano inviato operatori e giornalisti e i poliziotti facevano fatica a tenere sgombra l’entrata dell’Istituto da una folla un po’ indisciplinata di turisti e curiosi, attratti dallo spiegamento inusuale.

    Il breve corteo di berline presidenziali arrivò sul luogo alle undici, come da programma, scortato dagli agenti della polizia metropolitana a bordo di grosse moto con i lampeggianti accesi. Dalla penultima macchina scese Sergio Raimondi. L’andirivieni di persone era cessato, il numero di poliziotti che tenevano a bada il pubblico era stato aumentato e gli uomini della sicurezza fecero scudo al capo del governo italiano. Nell’uscire dall’auto Raimondi notò che dalla scalinata dell’Istituto stava scendendo in gran fretta, da sola e indisturbata, una donna decisamente bella, in un tailleur blu professionale. Il suo occhio, che non disdegnava di posarsi su esponenti molto attraenti del gentil sesso se gli passavano vicino, le diede sui 40 anni. Capelli biondi lunghi alla spalla, teneva a sinistra la borsetta a tracolla mentre l’altra mano sorreggeva una ventiquattrore. Per un istante lo colse una leggera apprensione – Perché va di corsa? E se nella valigetta ci fosse una bomba? si domandò – che sparì quando notò che la donna, che sembrava non vedere nessuno, come fosse immersa in suoi pensieri, prese ad allontanarsi in una direzione diversa. Le diede un ultimo sguardo avviandosi ai primi gradini e rispose sorridendo e alzando il braccio alla gente che lo applaudiva. Viva Sergio, viva l’Italia sentì gridare. Grazie, grazie rispose lui salendo la scala seguito dai suoi.

    All’interno l’ampio salone a pianterreno era gremito e tutti si alzarono in piedi applaudendo al suo ingresso dalla porta di fondo, dietro il tavolo degli oratori. Era indubbio che, nonostante i molti oppositori, la sua persona aveva un carisma fuori dal comune e la sua presenza trasformava ogni occasione ufficiale da un avvenimento in genere noioso in una specie di kermesse popolare.

    Una volta che autorità e pubblico si furono accomodati, il direttore dell’Istituto prese la parola per rilevare l’importanza dell’evento e il fatto che si fosse scelta Londra come prima sede per rilanciare l’immagine dell’Italia nel mondo con una campagna veramente innovativa.

    Il presidente del consiglio, dopo tale introduzione, si alzò a parlare:

    "Sapete

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