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Doppio gioco
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E-book196 pagine2 ore

Doppio gioco

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Info su questo ebook

Alto Adige, 1969. Due terroristi di destra, coinvolti nella preparazione di un attentato dinamitardo, vogliono passare il confine italiano e rifugiarsi all'estero. Per questo chiedono l’aiuto del Bas, il movimento clandestino che ha come scopo l’annessione del Sudtirolo all'Austria. Bruno Daprà, una guida alpina senza alcun legame con il Bas, accetta per soldi di aiutare i terroristi, ma all'arrivo dei due un imprevisto mette in allarme le autorità italiane e l’impresa si fa di colpo estremamente pericolosa.
LinguaItaliano
Data di uscita18 apr 2018
ISBN9788863937947
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    Anteprima del libro

    Doppio gioco - Pietro Brambati

    1

    Novembre 1969

    Alle cinque del pomeriggio il bar dell’hotel Posta era pieno di gente e di fumo. Bruno salutò Ivan, il proprietario, che come al solito stazionava dietro il bancone del bar fumando una sigaretta, e andò verso il tavolo dove Alfred lo stava aspettando davanti a un boccale di birra. 

    «Di che si tratta?» chiese sedendosi.

    Alfred terminò di bere la sua birra con calma, appoggiò il boccale sul tavolo e si asciugò la barba bianca col dorso della mano. 

    «È meglio andare a parlare di là» rispose alzandosi. 

    Alfred Gruber era un settantenne col ventre prominente e lunghi capelli grigi che dalla nuca pettinava in avanti, nel vano tentativo di coprire la calvizie. Ai tempi delle «opzioni» aveva scelto di emigrare in Germania, dove aveva prestato servizio volontario nella Wehrmacht. Alla fine della guerra era tornato in Alto Adige, avvicinandosi alle posizioni più radicali dell’indipendentismo sudtirolese. Non aveva mai digerito l’ammissione dell’Alto Adige all’Italia e alla fine degli anni Cinquanta aveva aderito al Bas, una neonata organizzazione clandestina per la liberazione del Sudtirolo, fondata da un gruppo di sudtirolesi, molti dei quali con trascorsi nazisti. In seguito, durante gli anni degli attentati dinamitardi, aveva svolto in prevalenza attività di propaganda, incaricandosi di far circolare volantini inneggianti alla liberazione del Sudtirolo. Alcuni sospettavano che avesse anche piazzato candelotti di dinamite sotto qualche traliccio dell’alta tensione, ma erano solo ipotesi, dicerie, che tuttavia lui non aveva mai né ammesso né smentito.

    Bruno lo seguì oltre la porta che introduceva in una piccola sala da pranzo, che Ivan riservava per riunioni conviviali più intime. Andarono a sedersi al tavolo in fondo, quello vicino alla finestra, che dava sul prato retrostante l’hotel. 

    «Immagino che tu abbia sentito degli attentati terroristici della settimana scorsa» disse Alfred.

    «Quelli di Milano e Roma?»

    Alfred scosse la testa affermativamente e gli lanciò un’occhiata, come per capire quale opinione se ne fosse fatto. 

    «I giornali e la televisione non fanno altro che parlarne» proseguì Bruno. «Pare siano di matrice anarchica.»

    Sulle labbra di Alfred spuntò un leggero sorriso.

    «Quando non sanno a che santo votarsi, tirano in ballo gli anarchici» borbottò.

    «A Milano hanno arrestato un tale che pare appartenga a un movimento anarchico.»

    «Già. Ma quel tizio non c’entra niente.»

    «E tu come lo sai?»

    «Come lo so… Lo so perché so chi sono i veri colpevoli.»

    Fece una pausa, guardandosi intorno come per accertarsi che nella sala non ci fosse nessun altro.

    «In realtà si tratta di due italiani appartenenti a un gruppo neofascista» proseguì chinandosi in avanti. «La cellula locale del Bas mi ha chiesto di aiutarli a passare illegalmente il confine austriaco, prima che la polizia italiana li individui. E tu sei l’unico che può farlo.» 

    Bruno scosse la testa. 

    «Lo sai che non ho mai voluto avere niente a che fare con questi movimenti per la liberazione del Sudtirolo» dichiarò.

    «Sì, lo so. Ma sono disposti a pagare bene il servizio.»

    «Non è una questione di soldi, ma di principio. E poi non ho nessuna intenzione di andarmi a impegolare in questioni politiche, col rischio di venire accusato di collaborazionismo.»

    «Si tratta semplicemente di guidarli al confine, nient’altro» disse Alfred.

    «Perché non ci pensano quelli del Bas? Tra di loro non manca chi conosce i percorsi sicuri.»

    «Sarebbe troppo pericoloso per loro. Anche se dopo i recenti accordi tra Italia e Austria l’ondata terroristica sembra conclusa, la polizia italiana li tiene costantemente d’occhio.»

    Restarono in silenzio. Dal bar adiacente giungeva il brusio compatto delle voci, accompagnato da improvvise risate e sbalzi di tono. 

    «Mi dispiace ma non posso farlo» disse Bruno.

    «Non dire che non puoi. Di’ piuttosto che non vuoi.»

    «Qual è la differenza?»

    Alfred si accarezzò la barba assorto, poi si alzò e sulla soglia del locale urlò a Ivan di portare due birre. 

    «Ho promesso a Franz Huber che li avrei aiutati» disse tornando a sedersi. «Lo farei io stesso se non fossi troppo vecchio e pieno di acciacchi.»

    Bruno sapeva fin troppo bene chi era Franz Huber: un fanatico austriaco con trascorsi nazisti che aveva votato la propria vita alla liberazione del Sudtirolo. Appartenente al Bas fin dalla prima ora e protagonista degli attentati della notte dei fuochi del ’61 e di Cima Vallona del ’67, durante il quale erano morti due carabinieri italiani a causa dello scoppio di due ordigni esplosivi. Alcuni personaggi appartenenti al suo gruppo erano stati in seguito arrestati, ma lui era riuscito a sfuggire all’arresto e a rendersi latitante.

    «Mi spiace» disse di nuovo Bruno. 

    «Non vuoi nemmeno sapere quanti soldi sono disposti a sborsare?»

    Bruno alzò le spalle. «Te l’ho detto, non è questo il punto…»

    «Cinque milioni» dichiarò Alfred. «Non sono pochi per una passeggiata in montagna.» 

    «Be’, non è proprio una passeggiata» replicò Bruno scuotendo la testa. «Ci vogliono tre ore di buon cammino per arrivare al confine. Lo sai anche tu che in alcuni punti i passaggi sono abbastanza impegnativi, e per chi non è abituato a camminare in montagna può diventare molto difficoltoso. Senza contare che siamo a novembre e può nevicare da un giorno all’altro.»

    Elena, la figlia di Ivan, arrivò con due boccali di birra e un piattino di brezel, che depositò sul tavolo. 

    «Se non sbaglio il tetto della tua casa ha un bisogno urgente di essere rifatto» insinuò Alfred quando Elena se ne fu andata. «Quei soldi potrebbero farti comodo.»

    Bruno restò in silenzio, pensoso. In effetti erano anni che doveva rifarlo, il tetto, ma non si era mai deciso. Le tegole, vecchie e cotte, con gli sbalzi di temperatura si lesionavano e le infiltrazioni piovane avevano fatto marcire gran parte dei travicelli di legno sottostanti. Certo, quei soldi gli avrebbero permesso di affrontare la spesa con più tranquillità, senza intaccare i risparmi che lui e Tania erano riusciti a mettere da parte… 

    «Chi altri è al corrente della faccenda?» domandò.

    «Solo noi due. E Franz, naturalmente.» 

    «Perché Franz ci tiene così tanto ad aiutare due terroristi italiani? Oltretutto fascisti. Da quel che mi risulta, l’indipendentismo tirolese non ha mai digerito il regime fascista.»

    «I tempi sono cambiati. Pare che il Bas veda con simpatia questo movimento neofascista. Hanno delle affinità. In fondo professano entrambi una fede di tipo nazionalsocialista.» 

    Bruno non commentò. Afferrò il boccale e bevve un sorso di birra, cercando di considerare attentamente i pro e i contro della questione. 

    «E quando andrebbe fatta la cosa?»

    «Il prima possibile. Stanotte arriveranno in paese. Diciamo domani, massimo dopodomani.»

    «E nel frattempo, dove alloggeranno?»

    «A casa mia. In un primo momento avevamo pensato di sistemarli qui da Ivan, approfittando del fatto che in questa stagione l’albergo è vuoto. Ma con i carabinieri che bazzicano spesso nel bar è troppo pericoloso. Il posto più sicuro è casa mia.»

    «Lo fai in nome degli ideali politici o per soldi?» chiese Bruno con un sorriso ironico.

    «Il mio tetto non è da rifare. E lo Stato italiano mi elargisce una pensione che, anche se modesta, mi permette di vivere» rispose Alfred risentito.

    «Non prendertela. Lo dicevo solo perché i carabinieri tengono d’occhio anche te, e il rischio che corri potrebbe valere qualcosa.»

    «Oh, i carabinieri sanno che ormai sono innocuo. Del resto i tempi del Südtirol svegliati! Preparati alla battaglia sono finiti.»

    «Non si può mai dire» affermò Bruno. «Sotto la cenere il fuoco dell’autonomia è ancora vivo.» 

    «Al diavolo! Insomma, vuoi farla o no questa cosa?»

    Bruno terminò la sua birra. «Non lo so, ci devo pensare» disse, alzandosi per andarsene. 

    «Be’, pensaci in fretta, perché come ho detto non abbiamo molto tempo a disposizione.»

    2

    Quando uscì dal locale il cielo era buio. Un forte vento s’infilava nella valle facendo dondolare i lampioni accesi agli angoli delle case. Le montagne intorno s’intravedevano appena, ed erano masse scure contro l’ultimo chiaro del cielo.

    Questo vento porterà presto la neve, pensò Bruno. La cosa non avrebbe suscitato in lui nessuna contrarietà, anzi, la neve era benedetta e necessaria, perché gli permetteva di guadagnarsi da vivere come maestro di sci durante la stagione invernale, ma per scortare quei due al confine era la condizione peggiore. Con la neve le cose potevano diventare complicate, e le tre ore di cammino che aveva calcolato in base ai propri ritmi rischiavano di diventare quattro, se non addirittura cinque. Sempre ammesso che quei due siano in grado di farcela, pensò. Era infatti più che probabile che non fossero abituati a camminare sui sentieri di montagna, e che avessero quindi necessità di fermarsi di tanto in tanto per riprendere fiato. 

    Senza rendersene conto, si accorse che stava considerando la faccenda come se avesse già deciso di accettare.

    Alfred sosteneva che c’erano dei legami politici tra questo movimento neofascista italiano e il Bas, ma da nessuna fonte ufficiale erano giunte notizie di un ipotetico collegamento col terrorismo altoatesino. Quindi, pensò Bruno, era improbabile che ci sarebbero stati giri di vite nei controlli locali, se non quelli soliti volti a catturare i responsabili ancora liberi di una stagione terroristica che ormai volgeva al termine. In vista dei probabili accordi tra Italia e Austria, il Bas si era andato progressivamente sciogliendo. Ma era opinione comune che non fosse morto del tutto e che, sotto l’apparente rinuncia alla lotta, covasse ancora un forte sentimento di autodeterminazione. Prova ne era che la caccia a quei terroristi ancora latitanti, ritenuti responsabili di attentati, non era cessata, e che le indagini e le perquisizioni effettuate sul territorio continuavano. Anche questo era da mettere in conto prima di decidere se accettare di guidare quei due al confine. Non era infatti improbabile incontrare qualche pattuglia di carabinieri in perlustrazione lungo i sentieri che portavano al confine. E Bruno non voleva nemmeno pensare a quello che sarebbe potuto succedere in quel caso. 

    Entrò in casa e, mentre appendeva il giaccone all’attaccapanni, sentì uno stuzzicante profumino arrivare dalla cucina. Andò in soggiorno e si versò due dita di vermut. Tania lo raggiunse, bevve un sorso dal suo bicchiere e lo baciò lievemente sulla bocca.

    «Tra poco è pronto» disse.

    «Bene.» 

    «Hai fame?» 

    «Un po’. Cosa c’è di buono?»

    «Spezzatino in umido con patate e torta di mele.» 

    «Diventerò grasso come un maiale. È questo che vuoi?»

    «Non mi piaceresti più» rispose lei ridendo e tornando in cucina. 

    Bruno si sedette sul divano a terminare il vermut. Silvestro, il grosso gatto soriano che li aveva adottati, entrando d’imperio in casa loro l’inverno precedente senza volersene più andare, gli saltò in grembo e lo salutò miagolando. Bruno lo grattò sotto la gola e intorno alle orecchie. Il gatto chiuse gli occhi e si distese felice contro il suo petto, ronfando. Era magnifico tornarsene a casa e avere una bella moglie che ti ha preparato la cena. Più tardi, di sopra, c’era il letto caldo, col piumone gonfio e le lenzuola sempre fresche e pulite.

    Quando cercava di spiegarsi perché avesse aspettato così tanto prima di sposarsi, non poteva fare a meno di considerare quanto fosse stata sciocca la sua contrarietà al matrimonio. Per molti anni aveva pensato che una donna tra i piedi gli avrebbe creato soltanto difficoltà e impedimenti. Aveva ritenuto che una moglie avrebbe compromesso per sempre la sua libertà individuale, le sue abitudini, il suo modo di vivere, e anche il piacere di recarsi di sera, quando ne aveva voglia, al bar con gli amici. Ma tutto questo con Tania non era successo, non ancora. Aveva accettato e assimilato ogni cosa di lui, adeguandovisi. Tanto che la sua vita non era per nulla cambiata, se non in meglio. E se aveva smesso di fare alcune di quelle cose che prima gli erano sembrate importanti e irrinunciabili, non era stato a causa di Tania, bensì per una scelta spontanea e ponderata. 

    Si erano conosciuti a Monaco, dove Bruno si era recato in compagnia di alcuni amici in occasione dell’Oktoberfest. Una sera, dopo aver girovagato da un locale all’altro con lo stomaco pieno di birra, erano entrati in un ristorante per mangiare qualcosa. Fu lì che la vide per la prima volta. Era l’unica ragazza coi capelli scuri in mezzo a tante teste bionde. In principio fu solo questo che attirò la sua attenzione. Lui la vedeva di spalle e all’improvviso lo colse un irresistibile desiderio di guardarla in viso. Lei stava in piedi, davanti al bancone di zinco dove servivano birra alla spina. Lui si alzò e si avvicinò, quasi sfiorandola. Lei si voltò e lo fissò. Alcune ciocche di capelli scuri che le scendevano sulle guance accaldate, gli occhi chiari e grandi, vagamente tristi, il viso ovale e regolare, il naso dritto e fine, la bocca piccola e carnosa e la pelle bianca e liscia suscitarono in lui una grande tenerezza, e allo stesso tempo un prepotente desiderio di baciarla. Le sorrise senza parlare. Anche lei sorrise. Bruno non tornò più al tavolo dai suoi amici. Loro in principio risero, poi capirono e si dimenticarono di lui. Lei disse che si chiamava Tania, che era nata a Venezia da genitori russi e che aveva una gran nostalgia dell’Italia. 

    Più tardi uscirono dal locale. Pioveva. Lei si mise a correre sotto la pioggia e lui la seguì d’impulso. La raggiunse,

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