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Vittime e carnefici
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E-book647 pagine7 ore

Vittime e carnefici

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Info su questo ebook

"Vittime e carnefici" tratteggia il racconto di due generazioni che hanno assistito al cambiamento inesorabile dell'Italia e del Mondo.
Partendo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dal movimento della Resistenza, la famiglia Borgonovo partecipa alla ricostruzione post-bellica, al boom economico, agli eventi turbolenti e meravigliosi degli anni Sessanta, fino alla loro conclusione nel decennio successivo, acuendo sempre di più lo scontro tra le diverse generazioni e le differenti parti sociali.
Un segreto indicibile segnerà lo sviluppo delle loro vicende, andando a modificare profondamente le loro esistenze.
Toccherà alla generazione successiva fare un bilancio provvisorio, dopo aver portato a galla una parte delle verità passate.

LinguaItaliano
Data di uscita3 dic 2022
ISBN9798215665381
Vittime e carnefici
Autore

Simone Malacrida

Simone Malacrida (1977) Ha lavorato nel settore della ricerca (ottica e nanotecnologie) e, in seguito, in quello industriale-impiantistico, in particolare nel Power, nell'Oil&Gas e nelle infrastrutture. E' interessato a problematiche finanziarie ed energetiche. Ha pubblicato un primo ciclo di 21 libri principali (10 divulgativi e didattici e 11 romanzi) + 91 manuali didattici derivati. Un secondo ciclo, sempre di 21 libri, è in corso di elaborazione e sviluppo.

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    Anteprima del libro

    Vittime e carnefici - Simone Malacrida

    SIMONE MALACRIDA

    Vittime e carnefici

    Simone Malacrida (1977)

    Ingegnere e scrittore, si è occupato di ricerca, finanza, politiche energetiche e impianti industriali.

    INDICE ANALITICO

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    XXI

    NOTA DELL’AUTORE:

    Nel libro sono presenti riferimenti storici ben precisi a fatti, avvenimenti e persone. Tali eventi e tali personaggi sono realmente accaduti ed esistiti.

    D’altra parte, i protagonisti principali sono frutto della pura fantasia dell’autore e non corrispondono a individui reali, così come le loro azioni non sono effettivamente successe. Va da sé che, per questi personaggi, ogni riferimento a persone o cose è puramente casuale.

    "Vittime e carnefici" tratteggia il racconto di due generazioni che hanno assistito al cambiamento inesorabile dell’Italia e del Mondo.

    Partendo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dal movimento della Resistenza, la famiglia Borgonovo partecipa alla ricostruzione post-bellica, al boom economico, agli eventi turbolenti e meravigliosi degli anni Sessanta, fino alla loro conclusione nel decennio successivo, acuendo sempre di più lo scontro tra le diverse generazioni e le differenti parti sociali.

    Un segreto indicibile segnerà lo sviluppo delle loro vicende, andando a modificare profondamente le loro esistenze.

    Toccherà alla generazione successiva fare un bilancio provvisorio, dopo aver portato a galla una parte delle verità passate.

    "Lo spreco della vita si trova nell’amore che non si è saputo dare,

    nel potere che non si è saputo utilizzare,

    nell’egoistica prudenza che ci ha impedito di rischiare

    e che, evitandoci un dispiacere, ci ha fatto mancare la felicità."

    ––––––––

    Oscar Wilde

    I

    Milano, luglio 1948

    L’aria aperta, così pesante e calda da dare l’impressione di incendiare i polmoni più della sigaretta che aveva appena acceso, non portò alcun beneficio a Giulio.

    Era appena uscito da una sezione milanese del Partito Comunista e si stava dirigendo a casa, un appartamento situato in Corso Buenos Aires, proprio sopra il negozio di proprietà della famiglia di sua moglie.

    Non si era mai abituato alla calura estiva di Milano.

    Fin da piccolo, era stato avvezzo a quella brezza che spira in modo costante sul Lario, il grande lago della sua infanzia.

    Incastonata tra la fine del braccio orientale di quel lago e le piccole asperità che costituiscono il confine tra Italia e Svizzera, Como, la sua città natale, era certamente più vivibile, non solo in estate e non solamente per il clima.

    Il lago garantiva una sorta di cuscinetto contro gli sbalzi stagionali.

    D’estate non faceva così caldo e d’inverno si potevano godere delle giornate con un certo tepore.

    Ricordava con nitidezza la sua adolescenza, trascorsa con gli amici a gironzolare in bicicletta, facendo spola tra i differenti lidi vicino a Como.

    In alcuni punti, ci si poteva immergere senza alcun problema, in altri si poteva pescare, in altri ancora si potevano eseguire dei tuffi acrobatici.

    Gli abitanti della zona, i laghée, avevano, più o meno, imparato a nuotare da autodidatti sfruttando quel bacino d’acqua.

    La famiglia Borgonovo risiedeva in una zona periferica di Como, quella destinata alle case degli operai.

    La madre di Giulio aveva lavorato per anni nell’industria tessile, molto fiorente nei dintorni della città.

    Ricamatrice e sarta, le sue doti erano riconosciute a livello locale e si era fatta una certa nomea.

    Il padre, operaio meccanico addetto alla bulloneria, era uno di quegli uomini di altri tempi, silenzioso e appartato come gli anziani che avevano visto l’Unità d’Italia e che, durante la Grande Guerra, sedevano ai bar o ai crocicchi delle strade ammirando il paesaggio e scrutando le persone.

    Quel mondo era completamente terminato nel momento in cui Giulio, operaio nella medesima azienda del padre, era stato trasferito a Milano per questioni di strategia aziendale.

    Erano passati ormai tredici anni da quando, nel 1935, si era inurbato a Gorla, una frazione molto periferica di Milano, in mezzo ai campi di grano e ai frutteti, stretta tra il distretto industriale di Sesto San Giovanni e la grande città.

    In meno di un anno, aveva conosciuto Maria Elena Piatti, la sua futura moglie.

    Solamente a Milano sarebbe potuta accadere una cosa del genere, vista la differenza enorme di classe sociale e di censo.

    Maria Elena faceva parte di quella schiera della media borghesia milanese, quella che aveva sempre visto di cattivo occhio sia i movimenti rivoluzionari sia le troppe novità provenienti dai paesi stranieri.

    Il padre di Maria Elena era un noto commerciante in tessuti e conosceva in modo quasi maniacale le proprietà di ognuno di essi.

    Nonostante il caldo, Giulio fece quella sgambata dalla sezione del Partito fino a casa.

    Era uno dei più assidui frequentatori della sezione, anche dopo la sconfitta del Fronte Popolare, durante la primavera del 1948.

    La campagna elettorale era stata veramente infuocata.

    Dopo la fine della guerra e la vittoria della Repubblica, era stato il turno dell’Assemblea Costituente, nella quale i comunisti avevano avuto un ruolo di primo piano.

    Il primo gennaio del 1948 era entrata in vigore la nuova Costituzione che aveva sancito definitivamente l’unità d’Italia, la Repubblica come forma di rappresentanza e la centralità del Parlamento, l’organo legislativo che il Fascismo si era così tanto prodigato a distruggere.

    Una copia della Costituzione era stata consegnata ad ogni compagno della sezione e Giulio l’aveva portata diligentemente a casa, leggendo una serie di articoli ogni giorno.

    Si era fatto l’idea di qualcosa di grandioso, un documento nel quale venivano sanciti i principi fondamentali della società nuova.

    Le elezioni di quella primavera avrebbero segnato la storia dell’Italia, nel bene o nel male.

    Le grandi forze di massa, quelle che più erano state capaci di attirare i voti delle classi sociali, erano sostanzialmente due.

    La Democrazia Cristiana guidata da Alcide De Gasperi e il Partito Comunista, sotto la direzione di Palmiro Togliatti.

    La mossa geniale di quest’ultimo fu l’alleanza con il Partito Socialista, superando l’atavica divisione, sorta nel 1921 con la scissione di Livorno e, molto prima, con l’interventismo nella Prima Guerra Mondiale.

    Non vi era mai stato così tanto fervore nelle varie sezioni del Partito.

    Comizi, manifesti, campagna elettorale martellante.

    Non vi era stata soluzione intentata.

    Ne andava del futuro del Paese.

    La delusione per la sconfitta fu enorme.

    Molti compagni non si rassegnarono all’esito delle urne:

    Non è possibile, la Democrazia Cristiana finirà per consegnarci nelle mani dell’America si diceva, spostando il concetto di avversario dal campo politico a quello sociale.

    Le formazioni partigiane, delle quali Giulio aveva fatto parte in modo attivo, avevano sempre voluto rivendicare la propria autonomia nella guerra di liberazione.

    Milano, Torino e Genova erano state prese dai partigiani prima dell’arrivo degli Alleati.

    Ma a Roma, Napoli e Firenze non è successo così. Non possiamo spaccare in due il paese... aveva sottolineato qualcun altro.

    Assorto in quelle considerazioni sul passato recente e su quello remoto, Giulio, totalmente madido di sudore, varcò la soglia del palazzo di Corso Buenos Aires.

    Al primo piano, vi era l’appartamento nel quale risiedeva con sua moglie e suo figlio Edoardo, di quattro anni.

    Fino a quel momento, il più grande rammarico nella vita di Giulio era stato quello di non aver potuto presenziare al parto della moglie.

    Durante l’agosto del 1944, quando Maria Elena aveva dato alla luce il piccolo nella casa dei suoceri a Como, Giulio si trovava prigioniero dei nazisti.

    Non fu presente, nemmeno durante il giorno del primo compleanno di Edoardo.

    Quella mancanza iniziale lo segnò molto profondamente.

    Come se dovesse farsi perdonare da qualche colpa, aveva deciso di trascorrere molto più tempo con suo figlio rispetto a quanto era uso nelle famiglie.

    Dalla fine della guerra, Giulio non aveva più ripreso il lavoro da operaio e si era impegnato a dare una mano nel negozio della moglie.

    Rimango sempre un proletario, un operaio e un compagno... aveva tenuto a precisare.

    Come è andata oggi?

    Maria Elena riconosceva a distanza il rumore cadenzato dei passi di Giulio mentre saliva le scale.

    L’uomo sbuffò non appena richiuse la porta di casa.

    "Come vuoi che sia andata? Il solito. La stampa è tutta schierata contro di noi e contro Togliatti.

    C’è in atto una campagna mirata. Tutta colpa di quelle maledette elezioni che abbiamo perso..."

    La moglie non faceva più caso ai risvolti politici delle vicende.

    Forza, vieni che c’è del riso freddo con qualche verdura...

    Il dopoguerra non era stato troppo benevolo in termini di prosperità.

    Si stava certamente meglio rispetto ai tempi del fascismo e della guerra, ma non vi era molta gente disposta a comprare tessuti, cosicché gli affari del negozio languivano.

    Edoardo, precipitandosi in cucina per l’ora di pranzo, accorse da Giulio.

    Papà papà, dove sei stato?

    Il piccolo denotava una forte curiosità per il mondo circostante.

    Era come se fosse propenso a vivere tra le persone e a visitare sempre nuovi spazi.

    Quando i suoi genitori lo portavano a passeggio per Milano, se Edoardo si accorgeva che quel posto era a lui già noto, era solito esprimere il proprio disappunto:

    Ci siamo già stati qui...

    Giulio prese in braccio il bambino e gli diede un pezzo di pane.

    Edoardo lo divorò voracemente e si mise a sedere al suo posto.

    L’uomo accompagnò il pranzo con un paio di bicchieri di vino bianco, appositamente tenuto al fresco nella cantina.

    Questo pomeriggio c’è da fare l’inventario... Maria Elena cercava sempre di coinvolgere il marito negli affari del negozio.

    La sua famiglia non era rimasta molto contenta di quel matrimonio.

    I suoi genitori, dall’alto del loro vivere benestante, avevano pensato a qualcosa di meglio per la loro unica figlia.

    Vi erano parecchi rampolli della borghesia milanese, ma Maria Elena li aveva scartati tutti.

    Fino ai diciannove anni, la ragazza era rimasta molto riservata, alternando gli studi classici alla presenza familiare.

    Non era attratta dai vari burocrati fascisti che frequentavano il negozio di suo padre e che, in modo piuttosto palese, le facevano la corte.

    Tanto meno considerava quei borghesi di alto profilo che si riempivano la bocca solamente di stupidità e baggianate.

    Qualche professore del Liceo l’aveva introdotta in ambienti intellettuali di letterati e artisti, ma anche quel mondo l’aveva lasciata del tutto indifferente.

    Insomma, figlia mia, non vorrai cercare l’amore? chiese sua madre indispettita.

    Era esattamente ciò che Maria Elena aveva in testa.

    A venti anni compiuti, durante un’uscita con le sue amiche, la maggioranza delle quali fidanzate e in procinto di sposarsi, notò un gruppo di giovani operai, probabilmente in città per una gita domenicale.

    Inorridite dai loro modi, le sue amiche fecero per cambiare strada.

    Questi bruti, magari qualcuno è pure rivoluzionario.

    Maria Elena non aveva mai dato peso ai modi affettati di una certa società.

    A suo avviso, dietro a quelle galanterie si nascondevano i peggiori animi e i più infimi istinti dell’umanità.

    Tra quel gruppo di operai, sicuramente milanesi o dei dintorni visto l’uso costante del dialetto, ne notò uno in particolare.

    La capigliatura folta ornava il capo del giovane che, con il bavero rialzato per coprirsi dal freddo, si stava accendendo una sigaretta.

    I suoi occhi erano talmente scuri da non riuscire a comprendere se fosse presente la pupilla.

    Aveva delle braccia possenti e un fisico slanciato.

    In quei pochi secondi nei quali lo fissò, Maria Elena si accorse che quel ragazzo aveva incrociato il suo sguardo e le aveva fatto un cenno, come a dire di essere stato colpito dalla sua presenza.

    Con una scusa qualunque, si staccò dal gruppo delle sue amiche.

    Aspettatemi un attimo, vado a vedere quel negozio.

    Attraversò la strada e si pose di fronte ad una vetrina di strumenti musicali.

    Sperava che quel giovane si facesse avanti, ma dovette aspettare più del previsto.

    Le interessa qualche strumento in particolare?

    No, stavo solo guardando.

    Da vicino, aveva potuto inquadrarlo meglio.

    Era proprio un bel ragazzo.

    Prima di ritornare dalle sue amiche, il giovane le chiese il nome e come avrebbe fatto a ritrovarla.

    Da quel momento iniziarono a vedersi sempre più frequentemente, fino a che, superate le remore iniziali, Maria Elena si decise a presentarlo in famiglia.

    La reazione dei suoi genitori fu di sgomento e seguirono mesi di burrasca.

    Pian piano, Maria Elena convinse sua madre della bontà della sua scelta.

    Tuo padre non acconsentirà mai alle nozze con quel...

    Proletario? Operaio? concluse la frase con la parola che la madre non era stata in grado di pronunciare.

    Fu un duro lavoro di logoramento, ma alla fine i genitori di Maria Elena cedettero alle convinzioni della figlia e Giulio poté fregiarsi del titolo di fidanzato.

    Si sarebbero sposati nel 1940, se non fosse stato per la guerra.

    Quell’evento indusse tutti ad aspettare tempi migliori.

    Va bene, Maria. Oggi pomeriggio guarderò le scartoffie con te. Andrò nel magazzino e prenderò tutto quanto presente, te lo porterò al bancone cosicché tu possa registrare ogni cosa.

    Il piccolo Edoardo, alzando la testa dal piatto, protestò:

    E io? Cosa faccio?

    La sua voglia di rendersi utile era costante.

    Tu Edo, darai una mano a papà in magazzino...

    Il bambino sorrise come se gli avessero donato il regalo più prezioso al mondo.

    Maria Elena aveva l’abitudine di tenere accesa la radio in negozio.

    Così poteva sentire il giornale-radio e ascoltare della musica per distrarre la mente.

    Chissà se oggi dicono di Bartali...

    Nella divisione, tutta italiana, tra gli assi del ciclismo Gino Bartali e Fausto Coppi, Maria Elena parteggiava per il primo, mentre Giulio per il secondo.

    Al marito non era piaciuta la presa di posizione di Gino Bartali per le elezioni del 1948.

    Fervente cattolico, si era schierato al fianco della Democrazia Cristiana.

    Per il medesimo motivo, Maria Elena vedeva in lui un grande campione.

    Come in molte famiglie del dopoguerra, la spaccatura tra centro e sinistra si poteva riflettere nelle diverse posizioni dei coniugi.

    La Democrazia Cristiana aveva conquistato tanti voti tra le donne.

    Sono più di Chiesa e ci sono poche operaie... così aveva chiosato Giulio nella sezione del Partito commentando l’esito negativo delle elezioni.

    Alzandosi da tavola, rimbrottò la moglie:

    Quello è vecchio ormai. Cosa vuoi che faccia? Bobet ha un vantaggio incolmabile...

    Subito dopo aggiunse:

    Domani è il 14 luglio, la festa nazionale francese. Figurati se quelli si fanno sfuggire un’occasione del genere.

    Il pomeriggio trascorse in modo tranquillo.

    Attorno a quel negozio, la famiglia Borgonovo cercava di ricostruire un’unità di intenti e un futuro di prosperità per Edoardo.

    Era il personale sogno di una seconda opportunità, di un rilancio dopo gli anni bui della dittatura e della guerra.

    I lavori di fatica erano riservati a Giulio, mentre i rapporti con la clientela a sua moglie.

    Quest’ultima aveva però compreso come servisse una svolta nella gestione del negozio.

    La vendita di stoffe non dava più tante certezze economiche.

    Perché non fai venire qui tua madre?

    Era una richiesta insolita per una nuora, ma Maria Elena era al corrente delle enormi doti della suocera.

    Aveva imparato a conoscere Anna Molteni durante il suo periodo di residenza a Como, dal 1943 fino alla fine della guerra.

    Ora che aveva smesso di lavorare nell’azienda tessile, avrebbe potuto insegnare a Maria Elena i segreti del cucito e della sartoria.

    La donna difatti aveva in mente di trasformare il negozio di famiglia, aprendolo ai lavori di ricamo e di rifinitura dei capi.

    Da questo punto di vista, la lungimiranza di Maria Elena era molto maggiore rispetto alla visione del marito.

    Sai come è mia madre. Non la stacchi dal lago per venire qui a respirare quest’aria pesante...

    In realtà, Anna rimaneva a Como principalmente per assistere il marito che non versava in buone condizioni di salute.

    Dopo la morte del figlio minore sul fronte russo, il padre di Giulio non aveva più avuto stimoli a vivere e si era letteralmente lasciato andare.

    Nemmeno la fine della guerra e l’avvento della Repubblica avevano potuto destare lo spirito di quell’anziano operaio.

    La guerra aveva lasciato dietro di sé una scia di morte continua e di dolore infinito.

    Tenendo quei pensieri per sé, Giulio si era convinto che, una volta morto il padre, sua madre si sarebbe trasferita a Milano senza problemi di sorta.

    I genitori di Maria Elena, invece, continuavano a vivere nel loro appartamento in Corso Venezia, in uno di quei palazzi signorili della Milano bene.

    Avevano mantenuto una certa regalità nei comportamenti e non si facevano troppo vedere dalla figlia, nonostante la nascita del loro unico nipote.

    I rapporti tra di loro e Giulio erano rimasti diffidenti e sanciti da un distacco formale e fisico.

    "Domattina ricordati di passare da Giovanni per ritirare gli ultimi cataloghi.

    Dobbiamo pensare già alla stagione autunnale e invernale..."

    Nei momenti di quiete familiare, entrambi i coniugi si prendevano cura del piccolo Edoardo.

    La madre era la principale custode della sua educazione.

    Era più acculturata del marito e, sicuramente, avrebbe svolto al meglio il ruolo di stimolare il bambino verso il sapere.

    Parlando con Giulio, aveva stabilito un percorso scolastico ben preciso.

    Edoardo avrebbe di certo dovuto conseguire il Diploma, meglio se in studi classici.

    Quanto poi all’istruzione universitaria, era tutto rimandato alle inclinazioni e alle volontà di quel piccolo, quando sarebbe cresciuto e avrebbe dimostrato le proprie attitudini.

    D’altra parte, Giulio si era riproposto di coinvolgere il figlio in tutte le attività manuali.

    Gli avrebbe insegnato a lavorare il legno e il ferro, ad aggiustare ogni tipologia di meccanismo e ad assistere al lavoro dei campi.

    Almeno una volta ogni due mesi, si recavano a Como utilizzando la corriera.

    La vista della campagna risvegliava in Edoardo la sua naturale giocosità.

    Con i nonni paterni aveva la possibilità di andare presso le cascine, poste subito fuori la città lariana, e avere contatti diretti con gli allevatori di bestiame.

    Mucche, galline, oche, maiali erano animali molto comuni e Edoardo rimaneva interi pomeriggi ad ammirarli.

    Inoltre, non mancavano le corse tra i campi di grano e la ricerca della frutta.

    Giulio si era prodigato per fargli assaporare le diverse fragranze della natura direttamente dagli alberi.

    Una gioia che i bambini di Milano difficilmente hanno... aveva sussurrato a sua moglie.

    Puntuale come solamente sanno essere gli operai abituati a timbrare il cartellino per il turno lavorativo, Giulio si presentò allo studio di Giovanni Beretta, il principale agente di commercio di Milano a livello di tessuti.

    Era lui che garantiva lo smercio ai singoli negozianti e le novità presenti sul mercato.

    Nonostante fosse mattina, il caldo era già opprimente.

    "Ue Giuanin, alura? Sa fem?"

    Andiamo a bere un grigioverde...

    Nessuno dei due disdegnava un bicchierino, di tanto in tanto.

    Parlarono degli affari in generale.

    Tua moglie ha una grande testa...dalle retta, gli suggerì Giovanni.

    Giulio prese i cataloghi e si recò presso la sezione del Partito.

    Era ormai un’abitudine per lui passare da quel luogo, subito dopo aver svolto le commissioni mattutine.

    La sezione era composta solamente da tre piccoli locali, situati al pianterreno di un immobile in Viale Monza, nei pressi di piazzale Loreto.

    Giulio si muoveva per Milano per lo più in bicicletta, salvo alcuni giorni nei quali si spostava a piedi.

    Molto più raramente utilizzava i mezzi pubblici, come il tram o la corriera.

    Di un’automobile privata non se ne parlava, i costi erano ancora troppo elevati per la sua famiglia.

    Tutt’al più avrebbe potuto acquistare una motocicletta di piccola cilindrata, un cinquanta ad esempio, ma non ne era molto convinto.

    Se mai avesse comprato qualcosa di motorizzato, sarebbe stata una Gilera.

    Quel marchio gli era sempre sembrato il migliore tra quelli italiani.

    Di solito, la sezione era presidiata da due, massimo tre persone, mentre quella mattina Giulio ne trovò una decina.

    Altri stanno arrivando... gli disse qualcuno.

    Cosa è successo? chiese Giulio attonito.

    Non lo sai?, e lo guardarono con aria stupita.

    Mezz’ora fa hanno sparato a Togliatti. La notizia si sta diffondendo a macchia d’olio. Qualcuno sta già annunciando la mobilitazione generale.

    Ogni persona che accorreva alla sezione portava alcune novità.

    I sindacati proclameranno uno sciopero generale, potete scommetterci.

    Non vi erano ulteriori notizie circa la salute del Segretario.

    Ma è morto? Chi gli ha sparato? Quanti erano? Dove lo hanno colpito?

    In pochi sapevano realmente qualcosa.

    Giulio prese la bicicletta e si fiondò, a tutta velocità, verso casa.

    Visto ciò che era successo, doveva avvertire sua moglie.

    Non vi erano più di due chilometri di distanza, ma la foga del momento, unita al gran caldo, fecero in modo che arrivasse a casa totalmente fradicio di sudore.

    Sapeva che la moglie aveva l’abitudine di tenere accesa la radio in negozio e pensava che fosse a conoscenza di ulteriori dettagli.

    Appena varcò la soglia di casa, Maria Elena accorse da lui:

    Hanno sparato...

    Giulio annuì:

    Lo so, per questo sono venuto qui di corsa. Mangio qualcosa al volo e poi ritorno in sezione. Non la passeranno liscia, questi fascisti.

    Maria Elena corse in cucina.

    Maledetti. La campagna di stampa ha avuto successo. Puntavano ad ucciderlo, ma non sanno la nostra potenza.

    Sua moglie temette il peggio.

    Era sempre stata conscia che a suo marito era mancata la gioia della Liberazione.

    L’essere stato arrestato dai nazisti, gli aveva impedito di partecipare alle ultime battute della lotta partigiana e all’immensa soddisfazione nel vedere Milano insorta e coperta di bandiere rosse.

    Aveva paura che, ora, Giulio volesse riprendersi una rivincita contro il corso degli eventi.

    Cosa farete?

    "Non lo so, ma non si aspetteranno che rimaniamo così senza reagire.

    Sai quanto abbiamo contestato la designazione di Scelba a Ministro dell’Interno. Per i suoi trascorsi, darà ordine alla Polizia di reprimere ogni possibile manifestazione."

    Salutò il piccolo Edoardo e, dopo aver trangugiato un panino al salame, una mela e una pera, ripartì alla volta della sezione.

    Erano passate solamente due ore e mezza dall’attentato, ma già il fermento era elevato.

    "I compagni di Genova sono in piazza. Stanno facendo altrettanto a Napoli, Livorno e Taranto.

    A Roma si stanno organizzando.

    Noi che facciamo?"

    Arrivavano di continuo nuovi dispacci.

    E’ stato un fascista! Due colpi, una alla nuca e uno alla schiena.

    Il Segretario non è morto, ma è ricoverato. Lo stanno operando.

    Benché fossero tutti comunisti, qualcuno pregò perché, lassù, qualcuno avesse un occhio di riguardo per Togliatti.

    I fascisti, di nuovo loro, ma stavolta il governo era in mano ai democristiani, non si sarebbe potuto assistere ad un altro delitto impunito come quello di Matteotti.

    I lavoratori sono dalla nostra parte. È stato proclamato lo sciopero generale.

    Qualcuno, proveniente dai quartieri periferici della Bicocca e della Ghisolfa, aggiunse:

    I treni sono già fermi. I telefoni pubblici sono fuori uso.

    Il capo sezione intravide qualcosa di poco chiaro.

    "Questa cosa mi puzza, vogliono isolarci. Scelba avrà dato ordine ai prefetti di reprimere ogni manifestazione.

    Dobbiamo scendere in piazza pacificamente. Al Duomo, con le bandiere rosse!"

    Altri compagni in bicicletta fecero la spola tra le differenti sezioni.

    Quasi tutte decisero di riunire un capannello di protesta in piazza Duomo.

    La polizia sarà schierata o la faranno schierare a breve.

    Ma non possono menare le persone inermi. Lavoratori e proletari... replicò qualcuno, ma altri non la pensavano in quel modo.

    Troppo vividi erano i ricordi del massacro di Portella della Ginestra.

    "Lì cosa ha fatto la Polizia e lo Stato? Ha difeso i lavoratori, i compagni comunisti o quel bandito, quel mafioso che risponde al nome di Salvatore Giuliano?

    Non riporre troppa fiducia nelle istituzioni", ricordò il capo sezione.

    La maggioranza di loro aveva militato nelle fila dei partigiani, qualcuno non aveva accettato l’esito delle elezioni della primavera, parlando apertamente di brogli.

    Se ci caricheranno e scapperà il morto, saremo pronti con le armi.

    Gli animi incandescenti avevano fatto riaffiorare qualcosa di mai sopito durante quei tre anni.

    La voglia di ricostruzione di una nuova Italia si era sempre scontrata con un’altra tendenza, quella a regolare i conti con il passato.

    Troppi erano stati i trasformisti, troppi quelli saliti sul carro del vincitore solo all’ultimo.

    Migliaia di piccoli funzionari che, dismessa la camicia nera e la foto del Duce, si erano riproposti il giorno seguente come campioni della democrazia e del parlamentarismo.

    Di fronte a quei beceri figuri, lo Stato postbellico non aveva indagato a fondo.

    Non vi erano stati dei processi diffusi, come era accaduto in Germania con i nazisti, contro i crimini dei fascisti e dei repubblichini.

    Eppure di stragi efferate ve ne erano state, ma quei delitti erano rimasti impuniti.

    I pochi colpevoli indagati erano stati condannati a pene ridicole, la maggioranza delle quali amnistiate.

    A chi aveva lottato per anni contro quel regime, a chi aveva perso i propri cari, tutto ciò non era mai parso né giusto né rispettoso.

    L’attentato a Togliatti sarebbe stato il motivo per regolare quei conti.

    Una sommossa generale di tutti i proletari italiani contro questo Stato fascista mascherato da democrazia. Contro l’occupazione degli americani e contro i soliti noti che si sono riciclati nelle fila della Democrazia Cristiana!

    In piazza Duomo vi erano più persone del previsto.

    I compagni operai della FIAT hanno posto sotto sequestro l’amministratore delegato Valletta.

    Era una battaglia a tutto campo.

    Si giocava una partita fondamentale e bisognava essere in prima fila.

    La polizia, in assetto antisommossa, caricò per prima, senza alcun tipo di provocazione.

    Hanno avuto l’ordine da Scelba. Disperdere la manifestazione.

    Giulio, assieme ad altri, oppose una fiera resistenza.

    Armati solo di poche pietre, iniziarono a scagliarle contro gli agenti.

    Un compagno, esattamente davanti a lui, cadde sotto i colpi di una manganellata e poco ci mancò che la successiva colpisse al volto lo stesso Giulio.

    Si allontanò in tutta fretta, andando a riprendere la bicicletta che aveva lasciato oltre la Galleria, verso via Manzoni.

    Le notizie che giunsero dalle altre città non furono confortanti.

    Quattordici morti e un numero non ben precisato di feriti e arrestati.

    Erano numeri da guerra civile.

    L’Italia si era infuocata durante quel giorno così torrido.

    Il 14 luglio non sarebbe più stata solamente la data simbolo della Rivoluzione francese, ma avrebbe ricordato a tutti il vile attentato di uno studente fascista, un esaltato che aveva fatto ripiombare il paese in uno scontro sociale di violenza inaudita.

    "Noi abbiamo i mitra, li abbiamo nascosti nelle campagne, dai compagni partigiani, in attesa di eventi come questo.

    Domani possiamo mettere Milano a ferro e fuoco e dare l’assalto generale alla Polizia."

    Qualcuno, in sezione, aveva ipotizzato tale strategia.

    Erano tutti certi che non si trattava di ipotesi campate per aria.

    Quelle armi esistevano realmente, tutti ne erano a conoscenza.

    Al tempo del disarmo delle brigate partigiane, pochi si erano fidati degli Alleati e del Re.

    La monarchia era stata diretta responsabile dell’avvento al potere del fascismo.

    Se nel 1924, il Re avesse dato i poteri militari al governo Facta, la marcia su Roma sarebbe stata repressa.

    Quel fantoccio, che si era fatto chiamare addirittura Imperatore, aveva appoggiato fino all’ultimo il Duce, approvando le leggi razziali e ogni altra vergogna che era ricaduta sul Paese.

    Era stato d’accordo con l’abolizione dei Partiti e dei Sindacati.

    Solo alla fine, con un voltafaccia totale, aveva scaricato il Duce ed era fuggito nelle braccia degli Alleati, lasciando il paese in preda alla guerra civile.

    Dopo i repubblichini, le responsabilità maggiori ricadevano sulla famiglia reale e fu per quel motivo che non tutte le armi furono restituite.

    Una prima sollevazione partigiana ci sarebbe stata se il referendum avesse sancito la vittoria della monarchia, ma per fortuna il buonsenso del Nord Italia aveva prevalso.

    Ma un attentato a Togliatti rappresentava un oltraggio a milioni di lavoratori e proletari.

    Giulio rientrò a casa solamente a tarda sera.

    "Mio Dio, ma dove sei stato? Ho sentito quelle notizie e ho avuto paura.

    Non ti metterai nei guai proprio ora?"

    Maria Elena, più apprensiva del solito, lo aveva letteralmente assalito di premure nel salone di casa.

    Fammi dare una sciacquata, c’è dell’acqua pulita?

    Sì, nella tinozza.

    Si accorse solamente in quel momento di avere fame.

    Nella concitazione della giornata, si era totalmente dimenticato di riempire lo stomaco.

    C’è ancora del pane con dei pomodori e un pezzo di formaggio.

    Sarebbe andato bene.

    Domani, non uscire di casa e non aprire il negozio. Tieni la serranda abbassata, furono le istruzioni di Giulio.

    Che succederà? Ci saranno ancora scontri?

    Il marito annuì e accennò alle armi.

    No, non potete. Dovete essere più forti.

    Maria Elena aveva riunito le mani in preghiera, ma suo marito ribatté immediatamente:

    Lo so che è una follia, ma hanno quasi ammazzato Togliatti.

    La moglie, stendendosi sul letto, lo pregò:

    Non è quello che vorrebbe il tuo Segretario. Devi convincere gli altri ad evitare ogni spargimento di sangue e inutili violenze.

    Giulio borbottò qualcosa senza fornire una risposta definitiva.

    La notte avrebbe portato consiglio, o almeno era ciò di cui era convinto.

    Erano passati i tempi nei quali i fascisti o i tedeschi irrompevano di soppiatto nelle abitazioni per trovare i partigiani ed arrestarli.

    Adesso, tutti potevano dormire tranquillamente in quanto la Liberazione e la Repubblica avevano riportato un minimo stato di diritto.

    Il giorno seguente fu realmente spettrale.

    Milano era pervasa da uno strano silenzio, irreale e sinistro.

    La nota operosità della città si era fermata e ciò non prometteva nulla di buono.

    Il caldo opprimente e quel vuoto preannunciavano tempeste sociali.

    In casa Borgonovo, non si sapeva molto circa le ultime novità su Togliatti.

    L’operazione era andata a buon fine?

    Come si era svolta la giornata precedente nelle altre città?

    Giulio uscì di buon’ora e andò all’edicola:

    L’Unità, chiese.

    Il giornale sarebbe stato esaurito nel giro di poco tempo.

    Prima di andare alla sezione, lesse i principali articoli.

    Non era molto istruito e la sua lettura era abbastanza difficoltosa, per di più non comprendeva molti termini tecnici.

    Maria Elena interveniva a spiegarglieli.

    Aveva sempre apprezzato questa dote di sua moglie che, dall’alto della sua cultura, non si era mai posta sopra un piedistallo.

    Era uno dei tratti che lo affascinava di più di quella donna.

    La mia maestrina, era solito appellarla quando erano fidanzati.

    Si fece un’idea di massima circa la situazione generale.

    Togliatti non era in pericolo di vita. Il terzo colpo, quello che sarebbe stato fatale, lo aveva solamente sfiorato.

    L’operazione era andata bene e le condizioni sarebbero migliorate.

    Non vi erano dubbi sulla matrice fascista dell’attentato e ciò era stata la molla che aveva scatenato la reazione del popolo.

    Cosa dirai in sezione? chiese la donna, mentre suo marito si stava preparando ad uscire.

    Dirò di stare calmi in attesa di direttive ufficiali del Partito. Siamo sempre in tempo a scatenare una guerra civile...

    Maria Elena sorrise forzatamente.

    Dopo il ritorno dalla prigionia, Giulio non era più stato lo stesso.

    Il tempo aveva sanato molte ferite e le attenzioni rivolte al piccolo Edoardo lo avevano aiutato in quel lento recupero della normalità, ma il carattere gioioso e speranzoso di Giulio era scomparso.

    Non era stata la guerra in Africa, non le disfatte dell’esercito fascista, non la perdita di molti amici, non l’arresto di molti partigiani, ma fu quella prigionia a cambiarlo definitivamente.

    Aveva cercato di comprendere la situazione del marito, ma Giulio aveva eretto un muro di fronte a quel passato.

    Facciamo come se non fossi mai partito, come se quel tempo lo avessi trascorso a Como con te e Edo, così aveva chiuso l’argomento in modo definitivo.

    Alla sezione del Partito, l’atmosfera era ancora più incandescente del giorno precedente.

    Molti si erano indaffarati per organizzare una vera e propria rivolta armata.

    "Altrove succederà lo stesso. Genova è l’epicentro della rivolta.

    Oggi gliela faremo pagare cara."

    Giulio non condivideva quella visione e cercò di esternare la sua posizione:

    "Compagni, molti di noi si conoscono dai tempi della Resistenza e della lotta partigiana.

    Imbracciammo le armi contro l’invasore nazista e il traditore fascista, per difendere le nostre case e le nostre famiglie e per dare un futuro ai nostri figli e al nostro popolo.

    Un futuro fatto di speranza.

    Abbiamo liberato l’Italia, portandola nei binari di una democrazia parlamentare.

    Il nostro Partito si è schierato in prima fila per la Repubblica e Repubblica è stata.

    Abbiamo mandato all’Assemblea Costituente molti rappresentanti che hanno messo nero su bianco le nostre battaglie e le nostre idee.

    Fuori i Savoia, mai più fascismo, il lavoro e i lavoratori al centro di tutto.

    Abbiamo perso le elezioni qualche mese fa, ma sono certo che ci rifaremo in futuro.

    Ma se ora prendiamo le armi, se ora assaltiamo coi mitra la Polizia, nessuno sa dove andremo a finire.

    La democrazia, lo sappiamo, è ancora fragile e le forze reazionarie si annidano ovunque.

    Non capite che non aspettano altro per metterci fuori legge e schiacciarci?

    Pensate che gli americani siano tranquilli nel vedere che il Partito Comunista Italiano è così forte percentualmente?

    Siamo il Partito Comunista più forte dell’Occidente."

    La maggioranza si complimentò per quel discorso, ma altri non erano d’accordo sui principi:

    "Parli bene Giulio, ma ora bisogna agire.

    Che succederà se ci mettono fuori legge come è accaduto in passato?"

    Giulio scosse la testa.

    Almeno aspettiamo delle direttive dal comitato centrale. Se il Partito dirà di sollevarci, lo faremo e io sarò in prima fila.

    Nonostante in altre città proseguissero le manifestazioni e gli scontri decisero di aspettare qualche novità in merito.

    Togliatti parlerà alla radio...

    Rimasero tutti con le orecchie tese.

    "Fermatevi, non fate pazzie."

    Il Segretario esortò alla calma e alla pacifica convivenza.

    Alla sezione tirarono un sospiro di sollievo, ma bastò poco per riaccendere gli animi.

    Le notizie provenienti dall’Italia furono di tutt’altro genere.

    Molte fabbriche erano state devastate e molte sedi della Democrazia Cristiana erano state attaccate.

    Per rappresaglia, alcuni militanti di destra avevano fatto altrettanto circa alcune sezioni del Partito Comunista.

    Dappertutto vi erano stati degli scontri cruenti, soprattutto a Genova e Napoli.

    Si parlava di altre decine di vittime.

    Chi fermerà questa ondata di violenza se nemmeno la voce stessa del Segretario è riuscita nell’intento?

    Era la domanda che Giulio si stava ponendo da ore.

    Togliatti era fuori pericolo e invitava alla calma, quindi non bisognava esporre il fianco alla Polizia.

    Scelba non sarebbe indietreggiato di fronte a nulla, arrivando magari ad ordinare lo stato di allerta generale.

    La sezione del Partito era un luogo più sicuro rispetto alle piazze e alle strade, ma la cosa migliore era restarsene a casa.

    Giulio pensò di prendere la bicicletta e di dirigersi da sua moglie e suo figlio, ma poi rifletté:

    Sto facendo tutto questo per il futuro di Edoardo. È mio dovere stare qui a lottare.

    Il figlio del Beppe, un capo partigiano di provata esperienza che aveva trascorso due inverni in Valsassina, arrivò in tutta fretta.

    La sua voce da quindicenne non si era ancora mutata in quella di un uomo adulto, denotando alcuni accenti tipici dell’essere fanciullo.

    "Sa ghe?" chiese il padre, come infastidito dall’improvvisata di quel ragazzino.

    Bartali! Ha staccato tutti sull’Izoard. Ha dato quasi venti minuti a Bobet, è vicino alla maglia gialla.

    Gli uomini presenti distolsero subito lo sguardo dai fogli e dai volantini che avevano di fronte per fiondarsi sul ragazzo.

    Sei sicuro?

    Sì sì, tutte le radio lo stanno annunciando. Grande miracolo del vecchio leone di Bartali.

    Alcuni lanciarono in aria il cappello in segno di festa, altri si abbracciarono.

    Giulio si pose di lato.

    Quel toscanaccio cattolico amico dei preti ha fatto un miracolo...

    Rincasò prima di cena.

    Maria Elena era meno in apprensione rispetto al giorno precedente.

    Aveva saputo che a Milano la situazione non era degenerata.

    Ci sono scontri dappertutto, come pensi ne usciremo?

    Era visibilmente preoccupata per quegli eventi.

    Intanto, tieni chiuso il negozio pure domani. Penso che le cose si sistemeranno, ma ci vorrà del tempo. Togliatti ha detto di stare calmi, ma dovranno arrivare nuovi ordini dal Partito, magari da Longo, e i sindacati dovranno raffreddare gli animi dei lavoratori.

    Abbracciò sua moglie.

    Si era innamorato di lei fin dalla prima volta nella quale l’aveva notata, in mezzo ad un gruppo di ragazze milanesi tipicamente borghesi e con un atteggiamento di manifesta arroganza.

    Maria Elena si era subito voluta distinguere dalle altre, superando la differenza sociale tra di loro.

    Da allora, il suo amore non aveva fatto che crescere sebbene la vita li avesse messi di fronte a delle prove di una certa sofferenza.

    La guerra e la lontananza, i bombardamenti e la lotta civile. Indi, nuovamente un altro periodo di lontananza a causa dell’arresto da parte dei tedeschi ed infine la consapevolezza di non poter avere altri figli.

    Maria Elena lo baciò.

    Se poi il tuo Bartali continua a vincere come oggi, nessuno avrà voglia di scatenare una guerra civile in un paese che riscoprirà l’orgoglio nazionale dopo anni di vessazioni!

    L’indomani la situazione si quietò ulteriormente e Bartali vinse di nuovo.

    La maglia gialla era sulle sue spalle e i morti si fermarono a quota trentadue.

    La Polizia non aveva però scemato la propria attenzione.

    Vedrai che ci colpiranno una volta che avremo smesso di protestare, affermò il capo sezione a Giulio.

    Quel presentimento lo indusse a proporre alla moglie di chiudere il negozio per tutto il mese di agosto.

    "Tanto non vendiamo molto in quel mese e potremo trascorrere del tempo a Como, con la mia famiglia. Staremo tranquilli e in un posto più calmo.

    Poi farà bene a Edoardo. Vedrà i nonni e potrà giocare nei prati e con gli animali."

    Era un modo di distrarsi da quegli eventi troppo vicini e pericolosi.

    Maria Elena, cresciuta in città, non disdegnò quella proposta, ma volle porre un paio di condizioni.

    Va bene, marito. Però non porterai Edoardo a fare il bagno nel lago. È ancora troppo piccolo.

    Giulio acconsentì.

    Avrebbe avuto tempo per insegnargli a nuotare.

    Sua moglie, non del tutto soddisfatta, tornò alla carica:

    "E mi aiuterai a convincere tua madre per farla trasferire a Milano.

    Ho bisogno del suo aiuto se voglio trasformare il negozio da una semplice rivendita di tessuti ad una sartoria."

    Come di consueto, Giulio dovette convenire con sua moglie, sebbene fosse conscio che sarebbe stato arduo portare a termine la missione.

    Difficilmente sua madre avrebbe lasciato solo il marito in quelle condizioni e un trasferimento dello stesso era da escludersi.

    Se vi era una cosa che il capo famiglia Borgonovo odiava maggiormente del fascismo era il caos di una città come Milano.

    Basta che andiamo temporaneamente via da qui, lasciandoci alle spalle questo mese di luglio furono le sue parole.

    Edoardo, incuriosito da quei discorsi, si rivolse al padre:

    Dove andiamo?

    Giulio lo prese in braccio:

    Dai nonni, a Como. Con gli animali e la campagna. Vedrai Edo, sarà una bella estate.

    Il bimbo sprizzò di gioia:

    Sì, una bella estate.

    II

    Milano - Como, giugno-ottobre 1943

    Per il fante Giulio Borgonovo, è disposta una speciale licenza dal 1 giugno 1943 al 31 agosto 1943 stante la notizia della caduta del fratello Emanuele sul fronte russo e le sue imminenti nozze.

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