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La spia di Cechov
La spia di Cechov
La spia di Cechov
E-book283 pagine3 ore

La spia di Cechov

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Info su questo ebook

Genova, vigilia di Natale del 1985. Un anno strategico. A Fiumicino l’attacco terroristico di Abu Nidal scuote il governo Craxi. Il Pci guidato dal ligure Natta, in seguito all’improvvisa morte di Enrico Berlinguer, perde dopo dieci anni la guida di Genova. La sinistra esce sconfitta anche dal referendum sulla scala mobile. Reagan lancia lo scudo spaziale, poi incontra a Ginevra il leader dell’Urss: il nuovo segretario generale del Pcus è Gorbaciov che con la perestrojka spinge per una distensione fra i due blocchi. In questo panorama in forte evoluzione arriva a Genova un brillante super-scienziato sovietico per partecipare a una conferenza sul futuro del nucleare con un collega statunitense. Sarà la prima occasione di prova di dialogo tra Usa e Urss? Potrebbe essere così, ma il fisico di Mosca scompare misteriosamente poche ore prima del congresso, proprio dalla sede della Federazione comunista cittadina. È il panico. Ed è a questo punto che entra in gioco l’antica sezione Pci Vapori, retta da un gruppetto di “nonni”, gli ultimi comunisti duri e puri, innamorati dell’Unione Sovietica e della Rivoluzione di Ottobre. I dirigenti locali del partito ne hanno deciso la chiusura, ufficialmente per mancanza di iscritti. Gli anziani compagni sono in ebollizione, svuotano con rabbia e rimpianti la loro “casa politica” a ridosso della darsena portuale, rileggendo le loro storie e riempiendo le casse di copie della “Pravda” e discorsi di Palmiro Togliatti. Ecco che alla porta della Vapori in piena notte bussa proprio il fisico sovietico in fuga perché troppo innamorato dell’Italia, dell’arte italiana e di un grande dipinto, in particolare: La battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci. Ma la fuga di Andrej Sergeevic Prozorov in realtà nasconde un pesante segreto privato… E i vecchi compagni, per riscatto, decidono di disobbedire e accompagnarlo in camper in questa incredibile “vacanza” italiana inseguiti da agenti segreti, spie e misteriosi dirigenti del partito sempre in incognito, mentre da Roma Craxi, Andreotti e Natta osservano preoccupati. Un feuilleton tinto giallo tra cronaca, storia, politica e arte.

Mario Paternostro, è nato a Genova nel 1947. Dopo la laurea in Giurisprudenza ha scelto il giornalismo. Prima a “Il Lavoro”, lo storico quotidiano socialista, poi al “Giornale Nuovo” di Indro Montanelli e, infine, a “Il Secolo XIX” dove è rimasto ventisei anni come capocronista, capo della Cultura, inviato di politica e vicedirettore. Dal Decimonono è passato alla tv privata Primocanale, di cui è stato direttore responsabile per undici anni, direttore editoriale e presidente. Ora collabora come autore e conduttore di Terza, trasmissione di cultura e società. Ha scritto Le buone società per Costa & Nolan, Genovesi, Lezioni di Piano e Viaggiatori mangianti per De Ferrari, passando poi ai romanzi noir con Troppe buone ragioni e Il sangue delle rondini per Il Melangolo e Le povere signore Gallardo e Bésame mucho con Mondadori. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Il Cardinale deve morire.
LinguaItaliano
Data di uscita26 ott 2020
ISBN9788869434846
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    Anteprima del libro

    La spia di Cechov - Mario Paternostro

    Capitolo I

    Genova, sabato 28 dicembre, Santi Innocenti Martiri, sezione Pci Vapori, Vecchia Darsena del porto

    La vedete? È l’ultima copia della Pravda, uscita pochi giorni fa. Come si fa a vivere senza la Pravda? La ve-ri-tà.

    Romildo Bettoschi, segretario della sezione e responsabile della commissione rapporti internazionali mostrò la prima pagina del quotidiano reggendola agli angoli, stretti tra pollice e indice. Sembrava volesse stendere nell’aria il giornale del Pcus. I compagni che stavano giocando a biliardino ebbero un momento di commozione e fermarono le boccette, rivolgendo gli sguardi al grigio foglio stampato.

    Millenovecentottantacinque. Che anno è stato compagni… Addio al bravo compagno Konstantin Ustinovic Cernenko e salute al compagno Michail Sergeevic Gorbacëv, che tutti quelli che non conoscono bene il russo come me chiamano Gorbaciov e quegli ignoranti giornalisti occidentali riducono a Gorby. Gorby come uno sgorbio che fa paura a Reagan e ai suoi cowboy. Il signor Reagan vuole le guerre stellari, ma l’Unione Sovietica sarà sempre pronta a resistere. E la Pravda è lì, ferma come un pilastro di cemento armato e sicura, nera di piombo che si sbava sulle mani. Al centro c’è lo stemma del Pcus, il partito comunista dell’Unione Sovietica.

    Romildo Bettoschi, a volte, non riusciva a liberarsi dalla retorica che gli aveva insegnato la scuola del partito, quando era stato quasi un anno ospite prima a Mosca e poi a Berlino est. Anche se qualche sforzo linguistico lo aveva fatto. Per adeguarsi ai tempi, che, malgrado tutto, non accettava.

    Mi dicono: ma tu non l’hai mai letta?.

    Appunto. Non l’hai mai letta? gli chiese Antioco Poggio, tassista, prima di lanciare la sua sfera verso l’angolo del biliardo. Ci racconti di conoscere il russo e parli pronunciando parole strane, ma ora ti mettono alla prova e vedremo davvero se lo conosci o se ci conti delle musse! Il compagno segretario ti ha fatto un bello scherzo caro Romildo Romildovic!.

    Gli altri risero, ma a Romildo Bettoschi non mosse un pelo di barba.

    Lascialo perdere Ildo. È un rompiballe, è sempre stato un rompiballe. Risponde su tutto, chiosa su ogni frase, anche la più stupida e inutile. Amos Picasso, operaio specializzato dell’Italsider di Cornigliano provò a difendere il responsabile dei rapporti internazionali della sezione Vapori. Gloriosa sezione, magari un po’ intransigente anche se non c’erano più né Secchia, né il Migliore. Anche se il continuismo stava perdendo colpi, Carandini chiedeva al Pci di cambiare nome e a Mosca, la spinta propulsiva della rivoluzione di Ottobre era andata a farsi fottere e non ha resistito nemmeno il compagno Jurij Vladimirovic Andropov che era uno temprato a ogni battaglia.

    "Lo so lo so il russo, altroché. Ma purtroppo con voi filo-occidentali lo si parla poco. Nemmeno alla festa nazionale dell’Unità. Non invitano più le delegazioni dei paesi fratelli. Quelli della Dedeerre, i bulgari, i cecoslovacchi, i vietnamiti del Nord. Cerco di allenarmi: tovarisc. Tovarisc tovarisc tovarisc! Ci sono stato due volte. Nel 1979 con il compagno Leonid Illic e nel 19 e rotti… con il compagno Cernenko, il bravo compagno Cernenko".

    E a noi besughi ci racconti che hai imparato il russo. Antioco Poggio, non mollò la presa.

    Fa quel sorrisino da bestia che mi ha sempre fatto incazzare. Non l’ho imparato b-e-n-e, ma l’ho studiato all’Associazione Italia-Urss. Lui non si è mai iscritto a Italia-Urss. Noi del porto c’eravamo dentro tutti. La sera alle 6.00 tutti a Italia-Urss a imparare il russo. E poi l’ho perfezionato a Mosca, perdio se l’ho parlo correntemente….

    Ma non lo sai bene. Lo hai studiato, ma non lo hai imparato. Il russo, dico. Saprai il genovese, anche bene lo saprai, ma il russo no.

    Mi applico sempre, di sera con le musicassette, ma anche il russo oggi è cambiato. È cambiato tutto: il mondo, l’Urss, la ‘Pravda’. Tutto. Poi aprì una grande scatola nera piena di altre copie della Pravda e de l’Unità. Una montagna di l’Unità polverose.

    Sparirà anche la ‘Pravda’, come è sparito il compagno Cernenko. Sono rimasti solo il Kremlino e il caviale, compagno Picasso. Il Kremlino resiste, ma ha nuovi inquilini. Largo ai cinquantenni come qui in sezione. Il caviale è incorruttibile: resiste a qualunque intemperia. Bocche e stomaci proletari o rivoluzionari, bocche imperiali di zar e zarine, bocche di magnati del gas. Bocche come culi che ingurgitano tutto, indifferentemente perché non riconoscono più i sapori e la bontà delle idee.

    Il Poggio era un catastrofista, ma in Urss non c’era mai stato e questo era un vantaggio importante per Bettoschi che poteva marcare sempre una sicura distanza con i compagni della sezione.

    Anche l’‘Izvestija’ non è più quella. Però non ne abbiamo nemmeno una copia qui in sezione.

    Picasso allargò la discussione.

    Non si acquista mai l’‘Izvestija’, ne arriva una copia all’edicola di piazza De Ferrari. Ma i dirigenti non la comprano. La ‘Pravda’ sì, ogni tanto si compra nelle occasioni importanti. L’anniversario della Rivoluzione d’ottobre, il congresso del Partito comunista sovietico, i voli spaziali, gli esperimenti atomici.

    Ora con questo compagno Gorbaciov ci sono anche i capitalisti avete letto? Saranno statali, ma secondo me non sono comunisti. Sono capitalisti come gli americani e gli inglesi. Uguali, caro te, perché tutti i capitalisti sono uguali, quelli americani e quelli di Mosca. Pfui!.

    La discussione si era accesa fuori misura, mentre Romildo Bettoschi attendeva che venisse l’ora di raggiungere la Federazione e qui con un’auto messa a disposizione dal partito, arrivare a Sanremo per portare a Genova il compagno Andrej Sergeevic Prozorov, grande fisico nucleare vanto dell’Urss. Lui, il piccolo archivista in pensione della biblioteca universitaria di Genova, lui il miglior organizzatore delle ultime dieci feste dell’ Unità alla Foce, lui il re delle focaccette, lo stand davanti al quale si formavano gli ingorghi dei golosi anche senza tessera. Altro che quello del Salame di Sant’Olcese o del Re dello scoglio. Le focaccette che lui governava come fossero una autonoma repubblica popolare erano il segno trionfale delle feste dell’ Unità che Romildo Bettoschi, sessantacinquenne archivista universitario in pensione, comunista da sempre, resistente ai cambiamenti di clima e di politica, cossuttiano, preparava nei trecentosessantacinque giorni di un anno, ferie a Cesenatico comprese. E Romildo Bettoschi a Mosca c’era stato a scuola di partito. La esclusiva Scuola superiore di partito del Comitato centrale dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. Il russo, anche se lo aveva imparato ai corsi dell’associazione Italia-Urss, di sera ascoltando sul registratore Geloso le cassette del metodo Linguaphone, lo sapeva e anche piuttosto bene. Tanto che il segretario generale del partito, Alessandro Natta, quando gli era stata richiesta la disponibilità di qualcuno molto affidabile che accompagnasse Prozorov a Genova e lo seguisse con riservatezza, ma senza perderlo di vista (questo era l’ordine da Roma) non aveva avuto dubbi: Bettoschi. E i compagni della segreteria di Genova avevano confermato all’unanimità la scelta fatta dal loro segretario generale. Ben felici perché in quei giorni tutti avevano altri pensieri per la testa ed erano pronte le valigie per andare in vacanza. Fuorché Bettoschi Romildo per gli amici Malenkov, segretario uscente della gloriosa sezione Vapori del Pci. Uscente, perché la sezione stava chiudendo i battenti per i pochi iscritti, dopo il calo alle elezioni comunali, la fine delle giunte di sinistra a vantaggio dei socialisti di Craxi, la disfatta al referendum sulla scala mobile, l’avvento del pentapartito (Una sciagura! esclamava Bettoschi ai suoi). L’incarico prestigioso di fare da scorta al professor Prozorov e a altri illustri personaggi sovietici era un’utile consolazione. Così pensò il segretario generale quando rispose all’ambasciata. Vi diamo il compagno Romildo Bettoschi.

    Amos Picasso riaccese la polemica sui nuovi russi.

    "Dico che no, sono russi. Sono sempre sovietici nel profondo del cuore. Sovietici, hai capito? Quando si è nati sovietici, si resta sovietici a vita. Vai nelle campagne e i contadini sono sovietici e se ne stanno nei kolchoz a mangiare cavoli e patate".

    Ce l’ho a casa sulla credenza la foto della prima pagina dell’‘Izvestija’ del 14 aprile 1961, rispose Bettoschi che era rimasto ai discorsi sui giornali.

    E vicino c’hai quella della tua prima comunione…, sorrise Poggio.

    Nel 1961 sull’‘Izvestija’ c’era la grande foto a tutta pagina di Jurij Gagarin e la maestosa balconata del Kremlino con tutto il Soviet Supremo schierato. Impettiti, chiusi dentro grandi cappotti doppiopetto di tessuto pesante. Imbalsamati nelle divise da ufficiali dell’Armata Rossa. Con i petti coperti di medaglie.

    Entrò in sezione anche la Nilla Pedemonte e camminò in mezzo alle scatole di cartone che facevano uno strano effetto di precarietà sotto la luce giallina. Scatole e scatole. Soltanto scatoloni addossati alle pareti, uno sopra l’altro. I pochi, vecchi compagni, quelli che non giocavano a biliardo, aprivano e chiudevano le scatole. Guardavano dentro e sospiravano. C’era anche un bancone che fungeva da bar, con una macchina per il caffè dall’aspetto vecchiotto. E una cucina.

    Qui tutto è sempre stato vecchiotto, commentò Poggio.

    Ma questo Prozorov non è mai uscito dall’Urss prima?.

    Prima di cosa?.

    Prima e basta.

    Sul piano del bancone alcuni bicchieri vuoti, un portacenere, un calendario, e un’alzatina con dentro i resti di qualche brioche. Dietro la scaffalatura con le bottiglie. Bettoschi infilò una musicassetta nel mangianastri. "Ascoltate con me le note dell’Internazionale?" chiese ai compagni. E cantò con una voce grossa, la stessa che usava per incitare le compagne (come fossero mondine nelle risaie del vercellese) nella preparazione delle focaccette. A centinaia, tutti i giorni che Dio mandava alla festa dell’Unità di settembre.

    "Compagni, avanti! Il gran Partito noi siamo dei lavorator. Rosso un fiore in noi è fiorito e una fede ci è nata in cuor. Noi non siamo più nell’officina, entro terra, nei campi, al mar, la plebe sempre all’opra china senza ideale in cui sperar".

    Canta sempre bene, Ildo. Gran bella voce, baritonale, potente, sussurrò la Pedemonte che non aveva mai nascosto i suoi teneri sentimenti per Bettoschi.

    Sei sempre innamorata di lui, la stuzzicò Poggio.

    Idiota.

    Questo esimio compagno professore fisico dicono che sia uno dei cervelli che studia la risposta atomica da dare a quel pazzo di Reagan e alle sue guerre stellari.

    Beato te che lo conoscerai, sospirò la Pedemonte, mentre il petto di Bettoschi si gonfiava di orgoglio marxista.

    Bettoschi andò avanti nel canto patriottico.

    "Su lottiam! L’Ideale nostro alfine sarà, l’Internazionale, futura umanità!".

    Pensa che effetto gli fa ancora la ‘Pravda’. È bastata una sola copia, grigia di piombo sbavato sulle pagine e ha perso la ragione.

    Taci, per lui oggi è un brutto giorno. Perde la sua sezione dopo oltre vent’anni. Tu pensa a diffondere l’Unità domenica davanti alle chiese per far imbestialire i preti e i perbene che vanno a messa a Castelletto. Ma che non ti veda qualcuno dei dirigenti che sennò sono grane.

    Ora a messa ci andiamo anche noi per sentire i preti di sinistra, come quel don Gallo che sta qui dietro….

    "Che giustizia venga, noi vogliamo non più servi, non più signor! Fratelli tutti esser vogliamo nella famiglia del lavor".

    Guarda qua, eccola l’Unità degli anni Cinquanta. Fiera. Migliaia di copie vendute. Nilla Pedemonte con la vecchia copia de l’Unità fece lo stesso gesto enfatico che Bettoschi aveva fatto con la Pravda.

    Bettoschi a Mosca e tu Nilla nella Dede-er. Quando c’era Walter Ulbricht.

    Certo. Ci andai con due compagne del sindacato donne tessili della nostra sezione a fare un corso estivo.

    Compagni e compagne benvenuti nella Repubblica democratica di Germania dal segretario, il compagno Walter Ulbricht!

    Idiota. Facemmo un corso di sindacato, sui diritti dei lavoratori nelle fabbriche tessili.

    Le compagne maglieriste democratiche.

    Antioco stava esagerando. Ma assistere alla smobilitazione della Vapori per mancanza di soldi gli stringeva il cuore e lo spingeva a una sorta di disprezzo generale.

    Bettoschi cantava e ogni tanto guardava l’orologio pensando a come se la sarebbe cavata con il suo russo di fronte al linguaggio colto del professor Prozorov.

    "Lottiam, lottiam, la terra sia di tutti eguale proprietà, più nessuno nei campi dia l’opra ad altri che in ozio sta".

    Poi là si è innamorata di un operaio per un’estate. Fu raccontato. Amore proletario, fabbrica, scuola del partito, sindacato, lezioni. Ora nessuno lo ascoltava più.

    Trombate democratiche lungo le rive della Sprea che aveva appena attraversato la foresta dei cetrioli.

    "Ne raccogliemmo a quintali di cetrioli, i gurken! Alla fine dell’estate mi facevano venire il vomito". Nilla cominciava a commuoversi ricordando la gioventù e il partito di allora.

    Bettoschi, fra dieci minuti devi andare in Federazione! lo richiamò Picasso. Non fare innervosire il segretario generale. Che intanto qui ci stanno chiudendo la nostra vecchia sezione e magari anche noi chiuderanno, che siamo di quelli che a Mosca vogliono ancora bene. Il ritratto di Togliatti ce lo portiamo via?.

    Bettoschi ormai aveva assunto le sembianze di un membro del Coro dell’Armata Rossa che sfilava nella parata del 7 novembre per la rivoluzione di ottobre davanti alle cupole del Kremlino in un autunno gelido e innevato e con un vento siberiano che spazzava la piazza Rossa e l’enorme bandiera con la falce e il martello che sventolava lassù…

    Largo a noi, all’alta battaglia noi corriamo per l’Ideal: via, largo, noi siam la canaglia che lotta pel suo Germinal!.

    "Vedete questo lungo tavolo? E i due altri tavolini e qualche sedia? Su una parete è appesa una fotografia di Palmiro Togliatti. Era il nostro segretario generale quando abbiamo inaugurato la Vapori. Noi siamo anziani? E allora? Abbiamo tutti passato i sessanta…".

    Picasso accennò un incerto passo di valzer afferrando il corpo pesante della Pedemonte che tirò un gridolino di finta sorpresa.

    Qualcuno i settanta, precisò Poggio.

    Parla per te, ribatté la Pedemonte.

    Evviva noi sempre!, li salutò il compagno Bettoschi stringendo il pugno e afferrando con la mano libera una valigetta con dentro la Settimana enigmistica e un vocabolario Italiano-Russo.

    Alla compagnia si aggiunse il Violetera.

    Alle settembrate, canta, ricordò la Nilla.

    Quello che chiamavano Violetera, a comando, cantò.

    "La siepe di viole/è rifiorita chi mai da Carmencita/comprar le vuole? Ne ho colmi i cesti/venite, siate lesti/orsù signori/comprate i fiori.

    Oh señor y señorita/le violette mi comprate/che la man di Carmencita/ha raccolte ed intrecciate/per recarle alla città".

    Ora vedrete che la Nilla non resiste, disse Amos ai compagni del biliardino. Appena sente le note della Violetera e la sua voce, balla anche sotto questa luce giallognola, in mezzo agli scatoloni pronti per il trasloco.

    E fu così, la Nilla cantò.

    "E voi bel giovinotto/ben pettinato/perché così soletto? Guardate a lato./C’è una signora//Che vi sorride e implora/e chiede e vuole/delle viole".

    E il Violetera riprese a squarciagola.

    "Por senor y senorita//alla man di Carmencita/ora vola in tutta fretta/fin quest’ultima violetta/ben felice chi l’avrà".

    Mi dovete perdonare/non ho altro questa sera./Cosa mai vi potrei dare?/La più bella violetera/può dar solo quel che ha.

    Amos Picasso, l’anziano operaio che per andare in sezione indossava un doppiopetto grigio, osservava gli altri che spostavano scatoloni di cartone e li accumulavano. Stava appoggiato a una pila di questi. E sulla testa la fotografia del segretario generale del Pci che era stata sostituita da una fotografia molto ufficiale di Palmiro Togliatti. Bettoschi sistemò nell’asola del bavero della giacca di lana pesante lo stemmino con la falce e il martello, mentre Picasso si rivolse ai compagni, indicando con un dito l’immagine del Migliore.

    Più o meno sono le sette di sera. Entra in sezione. Entra qui, circondato da una decina di compagni, tutti i segretari, avanza piano, osservando con quegli occhi vigili, sai sotto le lenti, anziani, ma attenti. Poi si avvicina a me che sono lì (si sposta verso il tavolo), che sono qui, proprio così, vicino a questo tavolo e mi dà la mano. E aggiunge: Bella sezione, bravi! Bravi i compagni portuali. Che c’erano in tanti, mica tre gatti randagi come ora, così che strascinano i piedi sul pavimento come voi, a portare scatoloni….

    Bravo te che non fai niente e sproloqui del tuo passato. Dacci una mano invece di blaterare come una vecchietta lamentosa, lo rimproverò la Nilla.

    Amos Picasso proseguì.

    Lui si versa un bicchiere. Probabilmente del vino rosso.

    Ci stanno epurando, come si diceva ai tempi di Stalin. Epurazione! osservò Poggio ormai disperato per colpa del trasloco.

    Lo vedete voi. Io non aggiungo commenti.

    Fece ampi gesti con le mani per sottolineare l’ampiezza dell’iniziativa. Come un avvenimento epocale, una catastrofe.

    Via tutti! Via i vecchi, via quello che sa di vecchiume, rancido, puzza. Via! La sezione chiude le porte e bisogna anche fare presto….

    E voi non fate niente e io mi faccio un mazzo così. Il segretario ha detto di ripulire in due giorni che poi ci sono le vacanze…, puntualizzò Nilla sempre pragmatica.

    Amos non la smetteva di macerarsi.

    Ci hanno raccomandato di ripulire? Se la ripulisca lui se la vuole questa sezione. Se la ripulisca e se la prenda e la dia a chi vuole per far soldi….

    I soldi, magari! Non c’è una palanca che sia una! Hai pagato il riscaldamento al condominio? chiese rivolgendosi al compagno Violetera che teneva la cassa quando c’erano i soldi del tesseramento.

    E con che cosa paga? Venti iscritti, venti iscritti. Nemmeno sotto il fascismo c’erano solo venti iscritti. Dieci tessere nemmeno pagate. Che cosa paghi? Baratti? Come si faceva in tempo di guerra: tu mi dai mezza gallina e io ti do un sacco di castagne secche….

    Poi sfogliò un’altra copia de l’Unità e lesse a voce alta.

    Siamo pronti a discutere nuove forme di unità. Ecco il titolo di quel giorno. In un comizio davanti a una grande folla, il segretario del Pci afferma che nel Paese è maturata la coscienza della necessità di una profonda svolta democratica negli indirizzi di governo per avanzare verso il socialismo. Capito?.

    Le cartoline di Mosca dove le metto? Nella scatoletta con quelle cubane che ha mandato due estati fa Bacci? Violetera non voleva buttarle nella spazzatura.

    "Aveva detto proprio così: necessità di una profonda svolta. Poi era venuto in sezione, tra tutte proprio questa, la storica sezione Vapori, sui moli, tra i camalli. Mica dalle tute blu, i signorini dell’Italsider che stavano a lavorare al coperto e quando veniva giù non si bagnavano il cervello…"

    Quando c’era da vigilare ci chiamavano noi. Mica quelli di Cornigliano. Tutto partiva da qui. Moli, camalli, compagnia, magliette a righe blu, ganci e via. E i celerini se la davano e noi giù a inseguirli intorno alla fontana di De Ferrari. Violetera cominciò a esaltarsi.

    Bravo Violetera tu che c’eri…. Poggio sorrise beffardo.

    C’ero sì. Era… era….

    Pensa e non riesce a ricordare. Era il 1963. L’ultimo discorso del compagno segretario a Genova, dopo la celebrazione della Rivoluzione di Ottobre.

    La Rivoluzione di ottobre… Quelli sì che erano tempi. Come vorrei vedere nella Piazza Rossa la parata militare per l’anniversario della Rivoluzione, i petti coperti di medaglie… ma chi ce li ha i soldi per l’aereo con quello che prendiamo di pensione?.

    Le rivoluzioni erano sempre bei tempi. Le riforme fanno schifo, sono ro-bette da donna, mica sberle e calci nel culo ai fascisti. E ora beccati un sindaco repubblicano e noi fuori dopo dieci anni di straordinario lavoro democratico e internazionalista. Li hai letti i giornali? La parola d’ordine dei democristiani è: pentapartito. Lo ha dichiarato De Mita. Anche a costo di fare comunella con Bettino.

    Come se noi non avessimo fatto le rivoluzioni…!. Nilla insisteva nel ruolo delle donne. Adorava Nilde Iotti che ora era presidente della Camera dei deputati. Si sentiva come lei. Una grande donna comunista, ma moderna.

    "Voi siete da riforme come i signorini di oggi. Che si possono fare stando a casa, in cucina mentre si fa lo stufato con le cipolle o si guarda Pronto Raffaella su Raiuno".

    "Lo stufato te lo farà tua moglie perché non hai più i denti per mordere le bistecche. E poi io guardo solo Quelli della notte, la Carrà te la lascio". Picasso fu colpito dalla feroce battuta della Iotti casalinga, ma fece finta di niente.

    "Amos ridacchia e beve. Quando lo prendono per il culo, ridacchia, ma dentro si rode. Per esempio si rode di non avere più i suoi denti. Una bella dentiera che si è comperato in Jugoslavia. Lui non ne parla e fa come se ci fossero ancora dentro quella bocca tutti i suoi denti, canini, incisivi

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