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Il comandante della rocca
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E-book237 pagine3 ore

Il comandante della rocca

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Info su questo ebook

Il Geometra Lorenzo Lucchesi, appartenente ad una famiglia che da secoli lavora nell'edilizia, scopre negli archivi privati dei suoi avi alcuni indizi relativi ad un omicidio risalente all'anno 1665 ai danni di un suo antenato mastro costruttore, avvenuto al castello di Fosdinovo dei Malaspina sito all'epoca ai confini fra il Granducato di Toscana e il Ducato di Massa e Carrara. Convince, così, il suo vecchio amico, l'architetto Alessandro Giannotti, specializzato in architettura storica, ad intraprendere insieme a lui un lavoro di ristrutturazione presso il Castello dei Malaspina di Fosdinovo. In realtà il vero scopo dei due sarà scoprire il movente e l'esecutore dell'omicidio. Si tratta apparentemente di un'avventura alla ricerca di un antico mistero, ma in realtà la vera protagonista è la forza imponderabile di un amore che, sfidando i secoli, fra passato e presente, arriva fino ad oggi, guidando gli eventi in un mix di avventura, colpi di scena romanticismo e amicizia, condito con ironia e leggerezza, il tutto sullo sfondo di luoghi stupendi come il Castello Malaspina di Fosdinovo, la città d'arte di Lucca e la meravigliosa Certosa di Calci in provincia di Pisa.
LinguaItaliano
Data di uscita19 set 2016
ISBN9788892628045
Il comandante della rocca

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    Anteprima del libro

    Il comandante della rocca - Riccardo Gennai

    (Anonimo)

    Prologo

    Il foglio di carta sembrava essere accarezzato dai brevi tratti grigi della mina. La matita era guidata con magistrale delicatezza dalla mano di Alex che nel contempo divagava fra i suoi pensieri. Sapeva di non essere un tipo molto socievole, si relazionava poco con i ragazzi della scuola, li considerava degli individui monotoni e banali. Aveva suddiviso i coetanei in tre categorie.

    Gli arroganti, che corrispondevano, indipendentemente dall'aspetto fisico, ai ricchi, inebriati da quell'istinto di superiorità dato dalla consapevolezza di possedere più degli altri.

    Sempre nella stessa categoria aveva inserito i belli e i prestanti, dotati per natura di un'innata superiorità fisica sui propri simili.

    La seconda specie l'aveva denominata categoria degli inetti, composta, per ovvi motivi, dai più brutti oltre che dai secchioni. Quest'ultimi, più o meno carini, venivano scansati un po' da tutti come la peste, come se la secchionaggine fosse una malattia contagiosa.

    Per finire c'era la categoria dei comuni mortali, composta da chi non eccede in nessuna cosa.

    Lui non sentiva di appartenere a nessuna delle tre categorie, o forse un po' a tutte e tre. Era molto intelligente ed aveva ottimi risultati scolastici però non perdeva occasione per ostentare disinteresse ed insubordinazione verso i professori, collezionando molte sospensioni, che rischiavano di farlo bocciare. Non era ricco, ma sapeva di essere carino, per non dire bello, notava infatti uno spiccato interesse nei suoi confronti da parte delle coetanee, anche se non faceva niente per mettersi in mostra, in linea con il suo carattere introverso e solitario, che, assieme al fatto di essere moro con degli occhi blu cobalto, gli aveva fatto affibbiare il soprannome di Husky, come quella razza di cani lupi dagli occhi blu, famosa per essere bella ma schiva.

    Oltre a queste considerazioni, i suoi pensieri si spostavano sull'immagine di quella ragazzina che ogni giorno vedeva sull'autobus, non sapeva chi fosse e se ne badava bene da chiedere informazioni, i compagni avrebbero dedotto subito il debole che provava per lei e non era cosa da Husky provare simili sentimenti.

    Sapeva solo il suo nome, Lucrezia, l'aveva sentita chiamare da alcune amiche. Senza dubbi era la più carina della scuola e doveva essere anche benestante, vedendo il numero di vestiti firmati che cambiava ogni giorno. Chi aveva scelto il suo nome ci aveva azzeccato in pieno, infatti, sembrava solo interessata a socializzare con i più aristocratici e ricchi, avendo un'innata predisposizione per l'alta società.

    Scusa se interrompo la tua opera d'arte, ma questo è il quaderno di matematica e non un foglio da disegno!

    Alex si rinvenne di colpo dai suoi pensieri e trovò la prof in piedi davanti a lui che lo fissava.

    Per fortuna in quell'istante suonò la campanella e la cosa si concluse lì.

    A ricreazione era solito dileguarsi in cortile, sul retro della palestra, un posto tranquillo, lontano da occhi indiscreti. Si appoggiò alla rete metallica, dietro la siepe, ed iniziò a fumare una sigaretta in santa pace.

    Non avrebbe potuto immaginare che gli eventi che stavano per accadere di lì a poco, avrebbero segnato in modo indelebile il futuro della sua vita.

    Dopo pochi minuti infatti il suo relax fu interrotto dall'arrivo di un gruppetto di ragazzi, Alex da dietro la siepe riusciva ad intravedere chiaramente di chi si trattasse.

    Il gruppo era formato esclusivamente da ragazzi del suo anno ma appartenenti all'altra sezione.

    Tutti quanti facevano parte della prima categoria cioè gli arroganti e per la precisione si trattava di: Luca De Domenici, un tipo alto biondo slavato figlio di un mezzo nobile che si vantava sempre del suo sangue blu; Roberto Borghetti, più basso e tarchiato, figlio di un imprenditore sceso dal nord; Capuano Michele, fisico prestante, testa rasata tipo militare, che non era nè nobile nè ricco ma che era riuscito ad entrare nel gruppetto essendo figlio del maresciallo della città.

    Gli venne quasi un accidente quando vide arrivare la ragazzina dell'autobus.

    Ma cosa ci facevano lì? pensò Alex, rimanendo nascosto dietro la siepe per capire cosa stesse succedendo. La scena che gli si prospettò fu alquanto curiosa.

    La prima a parlare fu Lucrezia: Cosa mi volevate dire di così importante da farmi venire qua dietro?

    Il fatto è questo… noi pensiamo che tu non sia come le altre ragazzine, tu sei molto più avanti, come dire…molto più grande, …matura... iniziò Luca.

    Sì, anche molto più carina aggiunse Roberto avvicinandosi.

    E' arrivato il momento di ... disse Michele abbracciandola.

    Di cosa? proruppe lei, svincolandosi dalla presa.

    Non fare l'ingenua disse Luca.

    Non sono ingenua rispose lei ho capito benissimo, ma la risposta è no!

    Ok, allora chiama aiuto, così dovrai anche spiegare a tutti cosa ci facevi qua dietro sola soletta, con tre ragazzi, cosa penseranno di te? esclamò Luca.

    La scena continuò, i tre circondarono la ragazza e iniziarono ad avvicinarsi, Lucrezia non aveva più alternative e si preparò a gridare più forte che poteva, pensando che in qualche modo sarebbe riuscita a spiegare tutto.

    Proprio in quell'istante, qualcuno uscì da dietro una siepe, era Husky, aveva la sua solita espressione dura, lo sguardo penetrante, magro ma ben piazzato, camminata altera.

    Dopo un attimo di silenzio disse: Sto fumando ed odio essere disturbato.

    Vedi allora di andare a fumare da qualche altra parte, noi qui abbiamo da fare disse Luca.

    Sì, lo vedo, ma questa sprovveduta ragazzina non sembra condividere la vostra idea ... forse è meglio che facciate tutto fra voi, chissà, magari poi ci trovate anche gusto ....

    Ah, fai anche lo spiritoso? lo derise Luca e fece un cenno a Michele, il quale si scaraventò addosso ad Alex per colpirlo, ma lui, con agilità si scansò, lasciando andare un fendente che atterrò all'istante Michele e gli fece sanguinare il naso.

    Poi fu la volta di Roberto, il quale fu colpito allo stomaco ed iniziò a tossire come un matto. Luca fece per scappare ma Alex lo afferrò per un braccio, allora Luca provò a difendersi ma non ci riuscì e ricevette una ginocchiata all'inguine che lo piegò letteralmente in due.

    Così passerà un po' di tempo prima che tu possa riavvicinarti ad una ragazza esclamò Alex.

    Lucrezia pur essendo rimasta atterrita da quella scena così violenta non aveva perso la lucidità, pensò che quel baccano avrebbe attirato tutta la scuola e lei non avrebbe saputo come spiegare la sua presenza. Decise quindi di sgattaiolare via in tutta fretta, senza neanche proferire una parola di ringraziamento.

    Un attimo dopo arrivarono tutti i ragazzi e gran parte dei professori, infine con la giusta calma, arrivò anche il signor preside, un tipo altezzoso e pomposo, che aveva fatto carriera scolastica a forza di scodinzolare attorno al politico di turno ed ai benestanti della zona, di cui facevano parte anche i genitori dei tre ragazzi malmenati da Alex.

    All'arrivo del preside si sentì da prima un brusio, succeduto da un silenzio surreale, interrotto dalle parole perentorie dello stesso preside.

    Alessandro, ancora tu! proruppe il preside, facendo un sospiro un po' troppo accentuato per essere credibile. Nonostante l'evidenza, ti chiedo se c'è una spiegazione a tutto questo.

    Alex alzò lo sguardo verso Lucrezia che nel frattempo si era unita agli spettatori, la ragazza era una creatura così nobile e bella che avrebbe fatto invidia alla stessa Venere, ma altrettanto misera, da starsene lì in silenzio, lasciando che lui finisse nei guai, pur di non essere coinvolta in quella storia.

    Lei, contraccambiò l'occhiata del ragazzo il quale rimase come stordito e frastornato da quei due occhi che adornavano in modo sublime quel viso perfetto. Cercando di tornare in sè, lo sventurato pensò che, se avesse raccontato tutto, se la sarebbe cavata solo con un pomposo ammonimento. Elaborando queste riflessioni, rimase in silenzio ancora per qualche secondo.

    Infine alzò la testa fissando negli occhi il preside e con aria spavalda disse: Certo che c'è una spiegazione!

    A quelle parole Lucrezia trasalì: lo sguardo si fece cupo e gli occhi divennero lucidi.

    Questo è quello che succede a chi mi disturba mentre sto fumando continuò Alex.

    Il preside diventò paonazzo ed iniziò ad imprecare.

    Nessuno si può permettere di prendersi gioco di me. Considerati già sospeso. Fra un'ora ti voglio nel mio ufficio! e continuando con varie urla si allontanò.

    Alex con un sorriso amaro ma sereno di chi ormai non ha più niente da perdere, volse lo sguardo in cerca della ragazza, ma Lucrezia se ne era già andata.

    La delusione lo invase, si era appena giocato l'anno scolastico per una ragazzina che neanche si era degnata di ringraziarlo, si sentì stupido, mise una mano in tasca e tirò fuori la pagina strappata dal quaderno con il disegno che aveva fatto poco prima, diede un ultimo sguardo a quel ritratto e con rabbia accartocciò il foglio e lo gettò via.

    Non si accorse che qualcuno lo stava osservando.

    Un'ora dopo si trovava seduto davanti all'ufficio del preside, sua madre era già dentro, insieme ai genitori dei ragazzi vittime dell'aggressione. Alex si immaginava la scena: sua madre mortificata in un angolo ed il preside a fare una filippica per fare bella figura con gli altri tre.

    Ad un certo punto l'ascensore si aprì ed uscì un signore elegante dai capelli brizzolati e ben curati, dietro a lui, a testa bassa, c'era Lucrezia. I due entrarono nell'ufficio del preside e Alex fece solo in tempo a sentire che il signore si presentava come il padre di Lucrezia.

    Dopo un bel po' di tempo uscirono i genitori di Luca, Roberto e Michele con fare frettoloso e stizzito, passarono davanti ad Alex senza rivolgergli neanche uno sguardo e se ne andarono.

    Poco dopo uscì sua madre, con un'espressione sollevata, si avvicinò a lui con il suo solito fare premuroso.

    Questa volta ti è andata bene, grazie all'intervento di quella ragazzina e di suo padre, il preside ha ritirato la sospensione gli sussurrò vado a ringraziarli e poi ti aspetto giù in macchina.

    La madre si avvicinò prima a Lucrezia ringraziandola e poi si fermò a parlare con il padre.

    Lucrezia, stavolta a testa alta, si avvicinò ad Alex fissandolo negli occhi.

    Grazie esclamò con fare sprezzante, poi passò oltre dirigendosi verso l'ascensore, si fermò nuovamente e aggiunse a proposito, un'altra cosa: una sprovveduta ragazzina sarà tua sorella, se ce l'hai! sorrise e se ne andò.

    Alex si ricordò di averla definita in quel modo, nel momento dell'aggressione, ma non riusciva a credere che dopo tutto, la ragazza si permettesse anche di rimproverarlo. Si sentì, poi, mettere una mano sulla spalla, era il padre di Lucrezia. Complimenti, è la prima volta che mia figlia ringrazia qualcuno disse comunque non è cattiva come sembra, pensa che dal rimorso di aver taciuto la verità, non riusciva a smettere di piagnucolare. Adesso che ha chiarito tutto è tornata la mia Lucrezia di sempre.

    Poi fissandolo negli occhi concluse: Ragazzo, come diceva il grande Antonio De Curtis, in arte Totò, le persone si dividono in uomini e caporali, e stamattina tu hai dimostrato di essere un uomo. Qua la mano! e con fare solenne strinse la mano di Alex.

    Poi, sempre elegantemente, salutò e se ne andò.

    I

    L'architetto Alessandro, come ogni mattina si alzò di buon'ora, scese in cucina ed iniziò a prepararsi la colazione. Diversamente dai suoi colleghi architetti, disdegnava far colazione fuori casa, non per motivi economici ma perché l'ambiente del bar non gli andava proprio a genio, specialmente nelle ore mattutine, durante le quali la gente si ammassava in un metro quadro appoggiata a banconi, sgabelli, qualcuno addirittura seduto sui cestini dell'immondizia. Per non parlare degli odori: si passa da esalazioni di dopobarba di bassa qualità comprati sicuramente in qualche discount, a fragranze più raffinate di profumi da donna spruzzati in quantità eccessiva e per finire con l'odore del vino dell'ubriaco di turno che già di mattina si è fatto qualche bicchierino.

    Si rendeva conto che forse stereotipava un po' troppo quell'ambiente, ma che ci poteva fare? Quella era una sua caratteristica, fin dai tempi del liceo, infatti, aveva sempre suddiviso tutto in categorie, aveva avuto teorie e sentenze su ogni cosa.

    Un lato del carattere che invece era riuscito a modificare, era la capacità di socializzare: a scuola lo avevano soprannominato Husky, perché troppo solitario. Oggi era un tipo completamente diverso, un single brillante, con una buona professione, rispettato, sempre pronto alla battuta, elegante e di bell'aspetto, almeno così dicevano le varie ragazze che a turno frequentava.

    Dopo colazione, scese in garage, montò sulla sua amata auto sportiva nera, sempre perfettamente tirata a lucido e rombò verso il lavoro.

    Ad Alessandro piaceva la città di Milano, il suo ufficio si trovava proprio nel centro, poco distante da Piazza del Duomo.

    Il suo giro di affari verteva tutto su arredamenti di negozi, ristrutturazioni di palazzi storici, ville, chiese, restauri di dipinti, insomma tutti lavori di una certa qualità.

    Quella mattina, appena entrato, la segretaria si diresse verso di lui e dopo un rispettoso buongiorno, disse: Architetto, è arrivata questa lettera per lei, è una raccomandata dalla Toscana di un certo geometra Lucchesi.

    Lucchesi? Non ci credo disse sorridendo cosa vuole quella testa di legno da me dopo tutto questo tempo? Poi prese premurosamente la busta ed entrò nella sua stanza.

    Fissando la lettera che aveva fra le mani, si sedette davanti alla scrivania e senza neanche accorgersene, si ritrovò a navigare con la memoria. Sarà stato l'anno duemila o duemilauno, lui era un giovane studente e la madre, tramite l'amico di un amico, gli aveva trovato uno studio di geometri dove poter fare un po' di pratica, ed era lì che aveva conosciuto Lorenzo Lucchesi. Fra i due ci fu subito feeling, che si trasformò ben presto in una profonda amicizia.

    L'amico era un tipo buffo e spiritoso, dotato di quella goliardia spesso un po' volgare ma genuina, grande narratore di barzellette, insomma un tipo da cene, e quante ne avevano fatte di cene, tornando inesorabilmente a casa sempre un po' brilli ma felici, cantando a squarciagola e ridendo di niente.

    Successivamente, a causa del suo trasferimento a Milano, prima per la specializzazione e poi rimastovi definitivamente perchè ammaliato dalle mille opportunità che la città offriva, aveva finito per perdere i contatti con l'amico, ponendo fine a quel periodo magico e spensierato.

    Aprì la lettera ed iniziò a leggere:

    Caro architetto sciupafemmine,

    è già parecchio che non ti fai vedere giù in Toscana, ti sei dimenticato forse dei tuoi luoghi d'origine?

    Ti chiederai perché, nonostante tutti i nuovi mezzi di comunicazione, preferisco scriverti una raccomandata. Beh, per due motivi: primo perché odio il computer, nonostante sia costretto ad usarlo tutti i giorni per lavoro, secondo perché quando voglio scrivere ad un amico voglio farlo di mio pugno.

    Penso, poi, che una lettera, con i caratteri della mia calligrafia, dia un tono più caldo alle parole scritte, in modo che chi le legge abbia quasi la sensazione di sentire la mia voce. Ti chiederai anche perché non ti abbia telefonato, beh, perché, dopo anni che non ci sentiamo, mi sembrava sterile farti una monotona telefonata, e quindi nel mio stile, un po' retrò, ho preferito usare carta e penna.

    Salterò le inutili domande di convenienza, del tipo Come stai?, queste sono frasi fatte, superflue per due come noi, che possono non vedersi e non sentirsi per anni senza intaccare minimamente la loro amicizia, magari sembra un controsenso, ma so che tu sarai d'accordo con me.

    Il motivo della lettera è questo: come sai, la mia genia svolge la professione tecnica ormai da generazioni, e qualche mese fa, scartabellando nei vecchi archivi di famiglia, ho trovato alcune carte, accuratamente conservate all'interno di un portadocumenti con lo stemma del Ducato di Massa e Principato di Carrara. La cosa mi ha destato subito curiosità, e mi sono messo ad analizzare nel dettaglio i carteggi.

    Si tratta di un capitolato di lavori svolti da un mio antenato mastro costruttore dell'epoca. Fin qui, tolto l'interesse storico araldico, non ci sarebbe stato niente di interessante, fino a che non vengo colpito da una pagina completamente sottolineata, della quale ti riporto alcuni stralci della traduzione che ho fatto fare:

    "Per incarico del Duca, far pervenire al Castello dieci carri di pietra e di calce, da trasportare dopo il tramonto del sole, nascondendo il carico sotto presse di fieno.

    In prossimità del Castello, imbottire con panni di lana le zampe dei cavalli per attutire il rumore degli zoccoli. Per l'intera operazione la tempistica è limitata, non oltre dieci giornate."

    Ho fatto fare delle ricerche su chi fosse questo mastro costruttore e tramite il vecchio archivio Leopoldino e successivamente all'archivio storico dell'anagrafe, ho scoperto trattarsi di Duccio Lucchesi, gran mastro costruttore del Duca di Fosdinovo, deceduto non per cause naturali il 4 marzo 1665, dieci giorni esatti, dopo la data riportata nel manoscritto.

    Presumibile quindi che i due eventi siano collegati.

    Lo scritto continuava descrivendo l'ala del castello oggetto dei lavori, e da quanto

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