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E-book652 pagine9 ore

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Info su questo ebook

Luca è un giovane e promettente studente italiano che decide, supportato dalla famiglia, di realizzare il suo grande sogno: studiare all’Università di Cambridge. L’impatto iniziale è come quello dei suoi sogni più belli e le amicizie che stringe fin da subito, assieme a un rapporto speciale con alcuni professori, sono linfa vitale per un animo fuori dal comune. Quello che scoprirà però in poco tempo lo metterà a dura prova e lo coinvolgerà in una sordida trama di violenza e morte tra Ordini antichi e creduti estinti, in una lotta senza tregua per la salvezza del mondo. Ogni sua certezza andrà in frantumi e dovrà fare i conti con la parte più oscura dell’animo umano ma anche, allo stesso tempo, con la più potente luce divina.

Salvatore Gioia nasce a Napoli nel 1985. Consegue il diploma di perito commerciale e programmatore e lavora attualmente come impiegato nel settore delle telecomunicazioni. La passione per la lettura e la poesia lo ha accompagnato sino all’età adulta. È particolarmente affascinato dal genere fantasy, ma non di meno apprezza i gialli e tutto ciò che riguarda il mistero. Tra le passioni che portano alla sua crescita personale c’è quella di studiare e conoscere da vicino le varie culture del mondo. Effettua diversi viaggi, tra i quali avranno di rilevante importanza quelli in Inghilterra, Scozia, Irlanda e Svezia; rimane folgorato dalla cultura celtica e norrena e decide di dedicarsi alla stesura del suo primo libro di genere fantasy moderno.
 
LinguaItaliano
Data di uscita18 ago 2022
ISBN9788830670761
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    Anteprima del libro

    Yggdrasill - Salvatore Gioia

    Prefazione

    di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: «Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere».

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi:

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi, ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei Santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i quattro volumi di Guerra e pace, e mi disse: «Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov».

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre, è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi, potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Capitolo 1

    Frammenti

    «Mamma ti prego... se continui a piangere così, mi rendi tutto più difficile» Luca strinse forte a sé Teresa, la quale provò a trattenere il singhiozzo mentre con il dorso delle mani cancellava le lacrime dal viso.

    «Non badare troppo a me. Vedi? Mi sta già passando! Tu piuttosto mi raccomando, chiamaci appena ti sistemi» poi si scostò e il signor Foschi appoggiò dolcemente la mano sulla folta e scura chioma di Luca: «Tu pensa solo a stare sereno! E fa come ha detto tua madre... non dimenticarti come al solito» il figlio annuì sorridendo.

    Luca infine rivolse le sue attenzioni a Sara, appoggiò il viso della sorella tra le sue mani e le sussurrò qualcosa che la fece sorridere nonostante l’amarezza, che traspariva dai suoi grandi occhi verdi ricolmi di lacrime.

    La ragazza aveva quattordici anni, Luca ne aveva solo sei quando sua madre pose tra le sue braccia la piccola sorellina «Ho paura di romperla» ripeteva sempre. Non aveva mai provato gelosia nei suoi confronti, anzi, più crescevano e più il loro rapporto si consolidava. Luca la portava spesso in giro con sé e la differenza di età non gli importava minimamente. Sara aveva il vizio di tenergli la mano quando passeggiavano per le strade di Napoli; gliela tenne stretta anche quel giorno in aeroporto, mentre con lo sguardo rivolto a terra annuiva a tutte le raccomandazioni del fratello.

    Il momento era giunto, il gate con volo diretto a Londra era stato appena annunciato e Luca dovette far scivolare via la sua mano. Infine prese la sua valigia e salì le scale mobili, Sara con un salto giunse sino al bordo di quelle stesse scale e gridò: «Non pensare di liberarti facilmente di me secchione! Verremo a trovarti presto!».

    «Ci conto peste!».

    I tre fissarono il punto più alto dell’elevatore e attesero fino a quando Luca non fu più visibile.

    Teresa osservava suo marito e le sue mani rigide e ben salde sullo sterzo dell’auto, notò il suo inusuale silenzio e scrutò a fondo in quei suoi occhi scuri le sue ansie e le sue preoccupazioni. Accarezzò la sua mano e per un attimo sobbalzò, poi le sorrise mostrando una calma apparente. Mente e cuore erano rivolti lì in cielo, immaginò l’Oceano Atlantico come un muro invalicabile, che impediva senza alcuna pietà di essere accanto al proprio figlio; poi dinanzi agli occhi prese vita l’immagine di Luca, quando un anno prima gli rivelava la sua intenzione di voler studiare all’Università di Cambridge. Sin da bambino era affascinato dalla storia, quella medievale in particolare; aveva sempre un quaderno con sé per segnare appunti, simboli storici ed esoterici, particolarità dei vari affreschi che poteva notare in palazzi e chiese antiche. Mauro ricordò di un fine settimana a Perugia, quando Luca aveva solo tredici anni, il ragazzino si era documentato su una chiesa sconsacrata che doveva essere nei paraggi, il complesso templare di San Bevignate.

    Entrando in quella chiesa, il ragazzo rimase senza fiato alla vista dell’arco trionfale, sgranò gli occhi vedendo quelle iconografie presenti sulle pareti che rappresentavano diverse epoche; s’incantò nell’osservare una battaglia fra templari e musulmani, passando poi per la cella absidale; infine disegnò sul suo quaderno diversi simboli legati all’ordine dei templari.

    Ritornati in città, la curiosità di Luca era traboccante e tempestò Mauro di domande, alle quali non seppe rispondere adeguatamente.

    «Cosa sono questi simboli che ho disegnato? Mi spieghi le motivazioni reali delle crociate? Chi erano veramente e cosa facevano questi misteriosi Templari?».

    «Sono sicuro che un giorno sarò io a porre queste domande a te!» e sorridendo aggiunse «Tu continua a studiare come stai facendo e non te ne pentirai».

    Gli occhi di Luca si accesero come due fiamme vive e continuavano a brillare fino a tarda notte e Teresa fu costretta a sgridarlo per costringerlo a dormire.

    «Mamma, papà, vorrei iscrivermi all’Università di Cambridge» aveva già compiuto diciotto anni ed era l’ultimo anno di liceo, il ragazzo espose la sua volontà fissando gli occhi di entrambi i genitori e cercando di carpirne i loro pensieri. Mauro e Teresa si fissarono per alcuni secondi. La madre posò lo sguardo sulle mani di Luca, che con la forchetta contava i pezzi di carne senza però mangiarne alcuno.

    «La decisione spetta a te Luca, certo non sarà facile entrarci, né rimanerci, dovrai costruire il tuo futuro in un posto totalmente diverso da dove sei cresciuto, ma la tua felicità viene prima di tutto e devi fare ciò che senti di dover fare»

    Mauro rimase in silenzio per qualche istante, si rivolse a suo figlio con uno sguardo serio «Hai studiato tanto e i tuoi voti eccezionali lo confermano; hai una padronanza della lingua inglese praticamente perfetta. Credo che le tue possibilità di essere ammesso siano altissime per non dire certe».

    «Lo sai che la storia è sempre stata la mia passione papà, voglio diventare ricercatore e magari professore».

    Entrambi i genitori si sentirono orgogliosi, Luca sapeva esattamente cosa voleva fare nella vita, davanti ai loro occhi ebbero l’immagine del figlio che passeggiava tra i cortili del Cambridge con qualche illustre professore di storia. Mauro descrisse per gioco come sarebbe stata la cerimonia di laurea di Luca, immaginando la loro partecipazione ricca d’orgoglio e commozione.

    Entrambi i genitori venivano da famiglie numerose e poco facoltose; dovettero abbandonare gli studi e rimboccarsi le maniche perché le bocche da sfamare in casa erano tante.

    Mauro, a soli quattordici anni, divenne apprendista in un laboratorio della famosa via di San Gregorio Armeno, un amico del padre gli insegnò tutto; l’arte presepiale, il lavoro con la terracotta per produrre pastori, santi e vasi. Gli insegnò addirittura a cucire stoffe di ogni misura per vestire quelle magnifiche opere d’arti che egli stesso realizzava. Mauro nel corso degli anni imparò anche le nozioni di base della lingua inglese, lo ritenne necessario per comunicare con i turisti in visita alla città.

    Sara, quando si recava in bottega, con un bagliore negli occhi, ripeteva sempre che suo padre aveva il potere di fermare il tempo.

    Teresa invece da ragazzina, per volere di suo padre Giovanni, lavorò in una fabbrica di camicie; quando poi fu in attesa di Luca decise di fermarsi, almeno fino a quando il bebè non avesse compiuto un paio d’anni. La produzione però nel tempo cominciò a scarseggiare, molte fabbriche chiusero, compresa quella in cui lavorava e, con un secondo figlio in arrivo, abbandonò definitivamente l’idea.

    «Cosa bisogna fare?» suo padre mise da parte le sue emozioni e appoggiò un foglio sul tavolo, stringendo una penna nella mano destra. Luca appoggiò il suo di foglio, mostrando tutto ciò che aveva già annotato. Il suo viso si distese e ovviamente non passò inosservato agli occhi attenti di sua madre, che con una risata liberatoria esclamò «Buon sangue non mente eh?».

    Mauro fece finta di niente e si accostò a Luca per leggere, mentre Teresa rimase in piedi di fianco ai due.

    «Papà questi sono i costi, diecimila euro annui, comprensivo di vitto e alloggio» Mauro annuiva continuando a leggere, Luca aggiunse «Quest’anno al liceo c’è un bando per una borsa di studio di millecinquecento euro e ci sarebbe la possibilità di ottenere un prestito tramite l’università».

    «A questo penseremo più in là, piuttosto dimmi – aggiunse Mauro aguzzando la vista come quando effettuava gli ultimi decori agli occhi dei pastori – Hai già un professore per questa... lettera di presentazione?».

    «Il professor Scotti in realtà me ne ha preparata già una» rispose soddisfatto.

    «Bene, bene» sospirò il padre «Entro ottobre presenterai la domanda e la lettera, i tuoi voti faranno il resto... poi, poi... IE...».

    «IELTS!» suggerì il ragazzo «Un test per certificare il livello d’inglese, ma non sarà un problema».

    Il padre chinò nuovamente la testa sugli appunti: «E infine dovrai affrontare l’esame di ammissione. Professor Foschi siamo quasi in ottobre! Cosa stiamo aspettando?».

    Solo Sara si estraniò dalla conversazione; lei già sapeva tutto, ma quell’idea stramba del fratello non l’aveva proprio mandata giù. Era già da qualche giorno che non gli rivolgeva più la parola e Luca aveva rispettato il suo silenzio, le serviva del tempo per digerire una simile decisione. Conosceva bene sua sorella, non gli avrebbe tenuto il broncio per molto; provò a cercarla con lo sguardo e infine cedette ad un sorriso.

    Capitolo 2

    Amicizia

    Luca occupò il suo posto vicino al finestrino, il suo viso contratto manifestava la sua vulnerabilità e il timore di fallire aveva fatto leva sulle sue emozioni; temeva infatti di non essere all’altezza della situazione, si insinuò nella sua mente un senso di inadeguatezza al solo pensiero di non riuscire a reggere il confronto con gli altri studenti di quella prestigiosa facoltà, la quale aveva assistito nel corso del tempo alla nascita di tanti illustri scienziati, scrittori e matematici che avevano contribuito a cambiare il volto dell’umanità.

    Provò a distendere i muscoli del viso ripetendosi più volte che la sua era solo paranoia. A settembre aveva ricevuto l’esito della domanda di ammissione alla facoltà dal rettore in persona, il quale, attraverso una lunga lettera di presentazione spedita al suo indirizzo di posta elettronica, lo lodava per il punteggio ottenuto agli esami, invitandolo pertanto a presentarsi alla Cambridge University con assegnazione al King’s college.

    I pensieri si affollarono nella sua mente mentre guardava il golfo di Napoli allontanarsi «Non sarà facile» ripeté più volte «Ma devo mettercela tutta!» fissò quell’oceano di nuvole, dopodiché, probabilmente a causa della tensione accumulata, cedette al sonno.

    Si svegliò durante la manovra di atterraggio, sbadigliò e stese le braccia verso l’alto, mentre il comandante annunciava con un tono di soddisfazione un anticipo di venti minuti.

    Luca attese il momento giusto per alzarsi dal suo posto, si mise in coda insieme agli altri passeggeri nel corridoio del Boeing. Scese finalmente le scale e appena toccò terra osservò il cielo per qualche istante, infine si incamminò sino a raggiungere l’ufficio aeroportuale per mostrare il proprio documento. Si sbrigò in poco tempo, prese il suo bagaglio dal nastro e salì sul treno che da Stansted lo avrebbe condotto a Cambridge.

    Attese dieci minuti, dopodiché il fischio assordante del capostazione diede inizio alla partenza «Ci siamo!» pensò di chiamare sua madre, aveva già inserito il numero in rubrica, ma un attimo dopo cambiò idea. Era talmente nervoso e teso che preferì evitare la conversazione con qualsiasi membro della famiglia; sicuramente avrebbero avvertito il suo senso di disagio.

    Provò a rilassarsi, si guardò intorno e notò la presenza di altri studenti, riuscì facilmente a fare distinzione tra chi come lui era nuovo in quell’ambiente e chi invece già frequentava l’Università.

    «Gli occhi non tradiscono mai!» ricordò ad alta voce le parole che spesso ripeteva sua madre.

    Luca era seduto comodamente sul lato sinistro del vagone, si mise a fissare quei paesaggi ondulati e verdi, le colline salivano e scendevano in armonia con il cielo, come se un direttore d’orchestra dettasse i tempi alla natura circostante. Mentre villette colorate facevano da cornice a quel quadro in movimento, non riuscì a fare a meno di guardare con estrema curiosità le auto che scorrazzavano dolcemente sulla corsia opposta al senso di marcia del suo paese.

    Era la prima volta che andava oltre i confini italiani, in realtà sarebbe stata la seconda, se solo non avesse avuto la febbre pochi giorni prima della partenza per il viaggio di fine liceo a Praga.

    «Professor Fleming buon giorno!».

    Luca si girò per scoprire il proprietario di quella voce, che fu talmente fragorosa da far voltare tutti i passeggeri dell’intero vagone. Vide un ragazzo molto alto e con una folta chioma bionda, con le braccia spalancate e un sorriso stampato sul volto. Fu evidente che la sua intenzione fosse proprio quella di richiamare l’attenzione di tutti e a suo parere ci riuscì brillantemente. Luca seguì la direzione delle braccia e dello sguardo così buffo, alzandosi dalla poltrona vide che erano puntate verso destra. Qualche posto più avanti al suo, notò un tipo sulla sessantina, magro come uno stecchino, calvo, con degli occhiali minuscoli appoggiati sul naso. Teneva stretto sulle gambe una valigetta di cuoio molto pregiato.

    Il professore, conoscendo già l’individuo, si irritò ma rimase calmo e freddo, si voltò e lo guardò con aria di rimprovero.

    «Buon giorno Mr. Wilson! Siamo al mercato per caso?».

    «Suvvia professore, non è contento di rivedermi? Passeremo un altro meraviglioso anno accademico insieme!» il giovane attese la reazione del Professor Eric Fleming.

    Il ventenne Roy Wilson era nato e cresciuto a Camden Town, un pittoresco quartiere di Londra molto famoso per i suoi mercati. Aveva perso il padre in un incidente automobilistico a soli quattro anni; sua madre e i suoi nonni avevano fatto molti sacrifici per farlo studiare in una delle migliori università inglesi. Nonostante un’infanzia per niente facile, era uno studente molto brillante, caparbio e con voti sempre eccellenti. Il problema era uno solo, quel suo carattere irriverente e provocatorio, vivace e sempre allegro che ad alcuni professori come Fleming non andava affatto giù, gli ripetevano sempre che non si addiceva assolutamente al rigore e al prestigio del glorioso King’s College.

    «Roy Wilson, pensi a non compromettere i suoi voti quest’anno! L’ultima sessione ha battuto un po’ la fiacca. Per non parlare poi della compagnia di nullafacenti di cui si è circondato! Cerchi almeno di sforzarsi a tenere un comportamento più decoroso!» rispose il professore, usando accuratamente le parole per richiamare il ragazzo a stare al suo posto.

    Fleming si riposizionò in maniera sempre composta, incollando in maniera perfetta la schiena alla poltrona, fu talmente preciso che la sua valigetta non si spostò nemmeno di un millimetro. Eseguendo questa serie di movimenti, borbottò «Che insolente! Contento di rivederla...».

    Luca aveva assistito a tutta la scena con perplessità e Roy lo aveva notato, si diresse verso di lui e sempre con un sorriso stampato sul volto esclamò «È libero questo posto?».

    «Certamente, accomodati» Luca spostò lo zaino che teneva appoggiato sulla poltrona.

    «Perfetto, ti ringrazio» Roy sistemò il suo zaino sotto al sedile e la valigetta a terra vicino alle sue gambe, spostò il ciuffo, che nei vari movimenti effettuati poco prima era caduto davanti agli occhi «Allora, tu sei nuovo da queste parti giusto?».

    «In tutti sensi direi» provò a sdrammatizzare per vincere l’imbarazzo. Roy colse al volo il tono sarcastico dello studente sghignazzando «Dunque, non sei di qui?».

    «Sono italiano, precisamente vengo da Napoli e...».

    «Ah Napoli... che città incantevole» gli occhi di Luca si illuminarono e provò un pizzico di orgoglio «Ci sei stato?».

    «No».

    «E allora come fai a dirlo se non ci sei mai stato?» rispose Luca, alzando un sopracciglio.

    «Amico, voglio essere il primo ad annunciarti una notizia sensazionale! Hanno inventato un canale tramite web, che può farti vedere tutto ciò che desideri... si chiama YouTube!».

    Roy lo prese in giro ma con uno sguardo molto serio stavolta, Luca stette al gioco.

    «Ah ah! Sei molto divertente, ma non è mica la stessa cosa sai?».

    «Se il tuo è un invito, sappi che lo accetto molto volentieri!».

    Luca lo osservò e sorrise, quel ragazzo era un fiume in piena, ma gli sembrò simpatico «Facciamo così, sarai ospite a casa mia per le vacanze di Natale, a patto, però, che tu mi aiuti con l’ambientamento».

    «Ma è una splendida idea! Affare fatto allora, ma come ti devo chiamare?».

    «Luca Foschi, tu invece sei Roy Wilson, ormai lo sanno tutti in questo vagone...» Roy rise a crepapelle, poi abbassò il tono della voce e spostò la testa all’esterno per vedere se il professore stesse guardando «Non preoccuparti del professor Fleming, è un burbero, ma in fondo ha un gran cuore».

    Luca sbirciò tra le due poltrone centrali alzandosi leggermente, tornandosi a sedere chiese «Roy quale college frequenti?».

    «Il King’s College».

    «Anche io sono stato assegnato lì» rispose Luca con eccitazione, Roy alzò di nuovo il tono della sua voce «Sentivo che c’era sintonia fra di noi, è meraviglioso! Così non solo ti faccio da guida, ma ci aiuteremo anche con gli studi».

    Luca si rilassò, aveva già fatto amicizia con uno studente, il quale non perse tempo a spiegargli attentamente alcuni dettagli che riguardavano la sua destinazione.

    Terminata quella piccola lezione, Roy fischiettò mettendosi le mani dietro la nuca, dopodiché stese le braccia e le gambe scivolando sulla poltrona stiracchiandosi «Ecco, ci siamo, quella è la stazione Luca».

    «E menomale!» una voce femminile giunse dalle loro spalle «Quel tuo vocione irritante mi ha totalmente deconcentrata, tentavo di leggere un libro, ma è praticamente impossibile con te nei paraggi» così dicendo si alzò tra le due poltrone e prese un ciuffo dorato tra le mani e glielo tirò. Roy non mostrò alcuna smorfia di dolore e con i capelli ancora stretti e tesi nella morsa della ragazza, disse «Shannon Murphy! Finalmente! Come stai?».

    Shannon mollò la presa, Roy si alzò e si voltò di scatto abbracciando la ragazza: «Grazie a te ora ho un bel mal di testa, ma per il resto tutto bene» sorrise e rimasero lì impalati a fissarsi, poi guardò il nuovo studente «E allora? Non mi presenti il tuo amico?».

    «Già che stupido, Shannon ti presento Luca, Luca... Shannon il folletto» bisbigliò avvicinandosi a Luca, ma facendo in modo che la ragazza sentisse «Irlandese... di Cork» si strinsero la mano e Shannon chiese al nuovo arrivato di fare attenzione a quella amicizia poco raccomandabile, la ragazza sorrise a quello scambio di sguardi, aveva davvero un bellissimo viso, i suoi capelli mossi e rossi le scendevano appena sulle spalle, i suoi occhi grandi e leggermente tirati erano verdi come il mare. Luca si rese conto di fissarla un po’ troppo e volse lo sguardo verso il finestrino, il treno cominciò a frenare e dall’altoparlante una voce femminile comunicò l’arrivo alla stazione di Cambridge.

    Si alzarono per prendere le valigie e gli zaini, diedero un’occhiata al professor Fleming che nel frattempo si era già alzato ed era ormai prossimo a scendere.

    La lunga fila di studenti e professori marciò sino a raggiungere il bus che li avrebbe condotti sino all’università. I ragazzi chiacchierarono per tutto il tempo, Luca si rasserenò del tutto e avvertì un certo feeling con i due nuovi compagni di studio. Il nuovo studente e Shannon presero a discutere un po’ della loro vita e delle loro rispettive famiglie. Dopo un po’, però, furono interrotti dalla goliardia di Roy che, per evitare argomenti che potessero in qualche modo riguardarlo, cominciò a prendersi gioco di alcuni professori, del loro Master e di chiunque altro gli venisse in mente.

    Capitolo 3

    Sapienza

    Luca si fermò all’ingresso dell’area universitaria, trattenne il respiro per qualche secondo e poi mosse lentamente i suoi passi affiancandosi ai due nuovi amici. Era disincantato, non poteva credere che stesse accadendo proprio a lui e per un attimo provò un senso di insicurezza e di timore, seguito poi da un insolito tremolio delle mani che fecero mollare il manico della valigia, che cadde inesorabilmente a terra come un albero abbattuto.

    Shannon la rimise in posizione verticale e sorrise al suo nuovo amico, comprendendo a pieno il suo stato d’animo.

    «Coraggio, andiamo».

    Luca fece un lungo respiro e ripresero a camminare velocemente insieme a Roy.

    Wilson e Shannon mostrarono al neo studente le meraviglie del Cambridge, i vari giardini colorati, le chiese situate nei differenti college e le strutture secolari.

    Durante il tragitto ricevette informazioni su come si sarebbe svolta la sua prima giornata, come erano strutturate le sessioni di studio e lo sport più praticato al King’s, cioè il canottaggio; Roy riuscì a strappargli la promessa di partecipare alla regata di novembre.

    Una volta giunti al college designato, i tre si diressero prima in segreteria, tutti gli studenti erano lì ad attendere pazientemente il loro turno per presentarsi davanti allo sportello, dove avrebbero ricevuto dei moduli da compilare per avere accesso ai vari pass, alla taglia per la divisa da indossare e per ricevere la chiave della stanza.

    Luca attese pazientemente il suo turno, dopodiché si avviarono agli alloggi; Shannon salutò i ragazzi per dirigersi con le altre compagne in quello femminile. Luca e Roy invece erano destinati a due piani differenti. Giunti al primo piano, Roy si voltò verso l’amico e formò un cerchio con la congiunzione delle due mani; le portò all’estremità della bocca e simulò la voce di un altoparlante: «Si chiede alla gentile clientela della compagnia Aiuta un italiano a sentirsi a casa di proseguire in quella direzione e salire al secondo piano. Il programma di oggi pomeriggio prevede la visita guidata al giardino dell’Eden e giro turistico al museo delle torture del rettore Taylor! Dlin Dlon!» alzò una mano, in attesa di ricevere un batti cinque di un divertito quanto imbarazzato Luca, il quale rispose con poca reattività sotto gli occhi attoniti e disgustati di altri studenti di passaggio, dopodiché si separarono.

    La tensione e l’ansia riapparvero nuovamente e più si avvicinava alla sua porta, che era l’ultima in fondo al corridoio, più sudava.

    «Ecco, deve essere questa» entrando, si mise ad esplorare la stanza. C’erano due lettini, il primo di fianco alla parete di destra e l’altro a quella di sinistra, in mezzo si era andato a formare un corridoio, dove c’erano due comodini sotto ad una grande finestra, da lì poteva ammirare la cappella del college, Roy e Shannon gli avevano accennato delle tre fasi di costruzioni che durarono circa 100 anni, la volta a ventaglio più grande al mondo e un bellissimo dipinto sulle vetrate che rappresentava l’adorazione dei Magi «Davvero uno spettacolo suggestivo» sussurrò lasciandosi cadere sul letto di destra e incollando gli occhi al soffitto. Alzando leggermente il capo, notò uno scrittoio molto vecchio alla sua destra e un armadio grande all’ingresso.

    Luca si rialzò e si dedicò al disfacimento dei bagagli; appena terminato, si spogliò ed entrò nella cabina doccia, rimanendo a fissare il vuoto per diverso tempo. L’acqua continuava a cadere senza un attimo di tregua su tutto il corpo, facendo regredire la tensione accumulata del giovane.

    Una volta rivestito si decise a chiamare i suoi, giusto il tempo di uno squillo e udì la voce ansiosa di sua sorella. Sara, con una leggera pressione, attivò il vivavoce del telefono, consentendo una facile conversazione fra loro. Discussero sulle impressioni che aveva avuto varcando l’entrata dell’università e, anche se al momento aveva visto ben poco, ne era rimasto comunque estasiato; infine accennò dei due ragazzi conosciuti in treno per la felicità di Mauro e Teresa, visto l’enorme carico di preoccupazioni che nei mesi precedenti avevano abilmente celato.

    Ci fu un attimo di silenzio da parte di Luca, non aveva ancora metabolizzato il trasferimento in un altro paese, se ne rese conto solo in quel momento di non essere più a casa. Le emozioni cominciarono a prendersi gioco di lui e allontanò il telefono per evitare che sentissero i sospiri che emetteva per non piangere, i genitori incoraggiarono il figlio a non mollare, che era il suo più grande sogno e lo stava realizzando.

    Sara preferì restare in silenzio per consentire ai genitori di tranquillizzarlo, avrebbero avuto altre occasioni per conversare.

    All’improvviso sentì girare una chiave all’interno della serratura «Ora vi devo lasciare, sta entrando il mio nuovo compagno di stanza, a presto, vi voglio bene!» la porta si aprì ed entrò un ragazzo riccioluto, con una barba corta.

    Luca si alzò dal lettino e corse a mantenere la porta aperta, permettendo al ragazzo di varcare la soglia con i suoi bagagli.

    «Ti ringrazio» la sua timida voce fece ben capire quanto fosse teso.

    «Figurati. Il mio nome è Luca».

    «Io mi chiamo Mario... Mario Redondo, molto piacere» i due si strinsero la mano e il nuovo arrivato cominciò a guardarsi intorno per familiarizzare con la camera, ripetendo gli stessi movimenti che aveva fatto il suo compagno di stanza poco prima.

    Luca, facendo riferimento ai loro nomi aggiunse ironicamente «A quanto pare, né tu né io siamo di queste parti diciamo».

    «Già» Mario accennò ad un sorriso forzato, non sembrò tanto a suo agio e all’inizio tentò di essere vago e poco interessato a quella conversazione, ma per non dispiacere al nuovo compagno aggiunse che era di Tarragona e, di conseguenza, Luca rivelò la sua città di provenienza.

    In quell’istante qualcuno bussò alla porta, Luca aprì e si trovò di fronte un uomo di mezz’età che li fissò per un secondo e fece le sue presentazioni: era il Master Anthony Brown, al quale piaceva presentarsi di persona ai nuovi studenti. Guardò l’orologio che aveva sul polso destro: «Ragazzi, ora sono le tre del pomeriggio. L’appuntamento è alle cinque per le presentazioni ufficiali con il Rettore, i professori e i vari membri dell’istituto nella sala mensa. Essendo molto grande, spesso viene utilizzata anche per progetti di socializzazione e feste di vario genere» i due studenti risposero all’unisono come due militari sugli attenti; sembravano due blocchi di ghiaccio pronti a sciogliersi al minimo contatto col sole «Bene, a dopo ragazzi!» e così dicendo, si congedò.

    Chiusa la porta, sospirarono simultaneamente; Mario si dedicò a disfare i bagagli, dopodiché non perse tempo a gettarsi sotto la doccia. Intanto Luca tornò alla finestra per ammirare nuovamente la cappella, notò un uomo in abito talare uscire frettolosamente dalla chiesa, un via vai continuo di professori e studenti; due professori, invece, discutevano fra di loro proprio sotto l’edificio degli alloggi. Guardò il cielo sereno «Davvero una bella giornata» pensò ad alta voce.

    «Luca, sai già dove si trova la sala delle conferenze?» Mario riportò in camera il compagno, il quale si voltò e cominciò a cercare in rubrica il numero di Roy.

    «No, però ho fatto amicizia con dei ragazzi che già frequentano il college, quindi ci aggregheremo a loro».

    «Bene, allora cosa facciamo? Aspettiamo qui?».

    «A dire il vero avevo intenzione di fare un giro nei dintorni, questo posto è proprio come lo immaginavo, davvero suggestivo non ho parole... sono curioso di visitare la cappella e la biblioteca».

    Mario appoggiò la fronte al vetro della finestra e per la prima volta la tensione sembrò attenuarsi, il suo corpo si rilassò e attese che Luca terminasse la telefonata con Roy, dopodiché uscirono dalla camera e si incontrarono giù al cortile. Shannon li raggiunse con le sue due compagne di stanza, Darby Foster e la nuova arrivata Grace Cline. Dopo le presentazioni, Roy prese il comando del gruppo con la sua immancabile ironia e fece da cicerone. Si improvvisò narratore di documentari, incaricando Shannon a fare da sottofondo musicale, la minacciò di svelare alcuni dei suoi segreti inconfessabili se non l’avesse assecondato.

    Visitarono alcuni giardini, mostrò loro l’interno della cappella con quelle vetrate colorate e quella volta meravigliosa, percorsero per un po’ il fiume Cam, che attraversava l’intera università e che faceva da sfondo al King’s; infine si recarono in biblioteca.

    Luca, Mario e Grace rimasero a bocca aperta nell’ammirare tutta quella ricchezza culturale, Shannon intanto spiegò loro che la biblioteca possedeva circa centotrentamila libri, alcuni disponibili per l’insegnamento e le consultazioni, altri libri rari e manoscritti a cui chiaramente solo ricercatori e professori avevano accesso.

    Prima di recarsi alla conferenza, Roy li guidò a modo suo tra le aule di studio, i ragazzi erano divertiti e interagirono con la voce narrante, al di fuori di Mario che era visibilmente infastidito da quel modo di fare così grottesco.

    Alle cinque in punto si riunirono tutti in sala, due conferenze erano già state eseguite la mattina in altri college e, raggruppando due sedi alla volta, ora toccava al King’s e al Clare.

    Gli studenti si sedettero tra le panche sistemate appositamente per l’occasione, tutte girate da un lato, verso il punto dove avrebbero fatto le presentazioni dello staff, salirono tutti sul palco e si schierarono formando una piccola barriera. Poi salì di corsa un uomo di bell’aspetto, che si posizionò davanti alla fila dei professori, il microfono in mano era già acceso, attese che i mormorii terminassero, fissò gli studenti uno alla volta, poi si voltò verso i professori, facendo segno con la mano di voler bere e gli fu subito portato un bicchiere d’acqua, una volta terminato si schiarì la voce ed esordì «Buon pomeriggio ragazzi» gli studenti risposero all’unisono biascicando. Il rettore fece un cenno con la mano per salutare qualche studente, dopodiché continuò «Cari studenti e studentesse, mi presento, sono il vostro rettore e il mio nome è Gregory Taylor. Benvenuti ai nuovi iscritti e bentornati a coloro che già fanno parte di questa meravigliosa famiglia! Sono orgoglioso di quanti ragazzi tentano ogni anno di farne parte e alcuni senza riuscirci. D’altronde, partendo proprio da questa sala dove ora siete seduti voi ragazzi, con i vostri sogni fra le mani, con le vostre illustre menti, proprio tra queste mura sono stati forgiati nel fuoco della sapienza grandi professori e ricercatori instancabili che hanno contribuito a svelare e migliorare la storia e la vita dell’umanità. Matematici, scienziati, grandi scrittori... erano ragazzi come voi che studiavano nei vari college dell’università di Cambridge, citandone alcuni come Alan Turing, che si formò proprio qui al King’s! Abbiamo avuto Isaac Newton, Charles Darwin, Ramanujan... ragazzi miei, l’elenco è talmente lungo che non basterebbe una giornata intera per citarli tutti. Perciò, esorto ognuno di voi a costruire la vostra storia, alzate gli occhi al cielo, ammiratene le meraviglie attraverso gli studi della scienza, della filosofia, della storia e sulla ricerca del perché siamo qui su questo piccolo pianeta in quest’angolo dell’universo! Da dove comincia la nostra vita? E quali sono le ragioni per cui esistiamo? Le nostre armi sono i libri e le nostre menti sono le braccia che le impugneranno! Rendeteci partecipi del vostro talento, abbiate fiducia in chi vi guiderà, ma avvaletevi sempre del beneficio del dubbio, esso è il vostro più grande alleato. Vi esorto dunque a dare il massimo e anche di più e che possiate svelare con il vostro intervento in questo secolo gli infiniti oceani di enigmi che sono ancora lì, in attesa di essere risolti. Per il glorioso futuro della Cambridge University e per il futuro dell’umanità. Chiudo con un’esortazione che ogni anno per tradizione rivolgo agli studenti, accendete una luce, dove il punto è più buio! Grazie a tutti».

    Al termine di quel discorso così intenso, tutti gli studenti si alzarono in piedi applaudendo fragorosamente per qualche minuto, Luca e Mario erano eccitati, il rettore li aveva caricati a mille, Roy nel frastuono generale rivolgendosi ai ragazzi gridò «Niente male il nostro Rettore eh?».

    Luca gridò più forte dell’amico «Deve essere una gran bella persona!» Poi gli applausi cessarono di colpo e il rettore Taylor aggiunse «Bene, ora presento la nostra squadra di calcio» risero tutti, persino il professor Fleming «Avete già avuto modo di conoscere il Master Anthony Brown, qui abbiamo il vostro tutor, Francis Thompson. Il professor Arthur Doherty, archeologia; il vostro professore di lingue, Hugh Werner, vi presento il professor Eric Fleming, filosofia. Ecco il professore di storia Bernard Moreau, la professoressa Katelyn Morgan, letteratura classica; il professor Thomas Keaton, filologia. Ecco la professoressa Nadia Tardini, storia dell’arte. E per ultimi ma non di certo ultimi, abbiamo la nostra ricercatrice di archeologia Alejandra Navarro e il nostro ricercatore di storia Alan Kelly!».

    Tutto il team, scese dal palco in fila indiana; sembrò quasi che quella scena l’avessero provata più volte. Si mescolarono tra gli studenti e alcuni fecero conoscenza con i nuovi iscritti, altri preferirono interloquire con i ragazzi che già conoscevano. Il rettore, invece, cercò di stringere più mani possibili; era dotato di un carisma straordinario degno di un vero leader. Non era solo il suo modo di parlare che affascinava, ma anche le sue movenze, la capacità di comunicare con il corpo e con gli sguardi. Era un rivoluzionario sotto il punto di vista didattico, ma allo stesso tempo apprezzava ed esigeva il rigore e le procedure disciplinari. Gregory Taylor era molto apprezzato sia dagli studenti che dagli insegnanti, proprio per questi aspetti così contrastanti su certi versi, ma che riusciva a tenere in equilibrio in maniera così naturale. Anche Luca e Mario ebbero il piacere di stringergli la mano, anche se solo per un attimo, dato che il rettore si mosse tra gli studenti, come se fosse trasportato dalle correnti di un fiume. I ragazzi si voltarono sentendosi chiamare, era Roy, che facendo cenno con una mano li invitò a venirgli incontro, mentre si dirigevano verso di lui, Luca intravide Shannon con Grace e Darby che dialogavano con la professoressa Tardini e il professor Fleming. Intanto raggiunsero Roy, che era in compagnia dei professori Keaton e Moreau.

    Il professor Keaton era di statura media, aveva un viso spigoloso, con dei baffi lunghi e curati, non aveva molti capelli, la fronte spaziosa e stempiata, i suoi occhi erano piccoli e scuri. Nonostante quel volto così cupo, il professore era sempre molto sorridente e loquace.

    Il professor Moreau era molto alto, corporatura possente, capelli e barba bianca come la neve, occhi azzurri e carnagione molto chiara. Osservava tutto ciò che si muoveva, fissò prima Mario, poi lo sguardo così serioso si posò su Luca, infine si presentò ai ragazzi con un tono pacato e uno spiccato accento francese. Ci fu un attimo di silenzio, poi prese la parola Keaton che fece diverse domande ai ragazzi: da quale paese provenivano, le scuole che avevano frequentato, le loro materie preferite e le impressioni che avevano del college.

    Quando il professor Keaton udì che Luca era appassionato di storia, si voltò verso Moreau e ironizzò «Il nostro professore è piuttosto bravo in storia» Bernard sorrise, ma rimase sulle sue. Anche Mario non parlò molto, Keaton comprese le difficoltà del ragazzo a socializzare, incrociò lo sguardo con Moreau, poi si rivolse agli studenti «Va bene ragazzi... Immagino che siate ancora un po’ spaesati, avremo modo di conoscerci meglio durante l’anno accademico» Thomas sorrise, sfilò dal taschino l’orologio, diede un’occhiata all’ora e incrociò nuovamente lo sguardo con Bernard «Che ne dici vecchio mio di una buona tazza di tè?».

    Bernard rispose «Con l’aggiunta di un po’ di latte, vero professore?» la barba si curvò, disegnando un sorriso che mostrò una persona completamente diversa rispetto alle prime impressioni e si rivolse ai ragazzi «Permettete giovani, è stato un vero piacere conoscervi».

    «Il piacere è tutto nostro professor Moreau!» rispose Luca, Mario si accodò «Piacere!».

    I due professori, si spostarono in un angolino dove veniva servito il tè. Quando finirono di bere, si recarono ai giardini davanti al fiume. Su una panchina, si rilassarono fumando le loro pipe e continuando la loro conversazione.

    Il professor Moreau sembrò comportarsi in maniera diversa in assenza dei ragazzi, Keaton lo conosceva bene, era il comportamento abituale che aveva con tutti gli studenti.

    I ragazzi discutevano tra di loro dei due professori, erano d’accordo sul fatto che il professor Keaton avesse una personalità decisa ma molto amichevole e meno convenzionale a dispetto delle apparenze. Sul professor Moreau erano piuttosto perplessi, evidentemente era un carattere più riservato e probabilmente, la differenza con la personalità più marcata del professore di filologia, esaltava di più questo suo lato caratteriale.

    Mentre ragionavano tra di loro, le ragazze li raggiunsero e decisero di abbandonare la sala per visitare la città.

    La nuova compagnia passeggiò tra le stradine colorate, attraversando il Magdalene bridge, proseguendo poi fino alla Round Church, una chiesa medievale del 1100. Quella cittadina della contea di Cambridgeshire racchiudeva in sé storia e tesori architettonici. Lo stile degli edifici aveva traccia delle diverse influenze storiche: città fondata dai Romani nel Primo Secolo dopo Cristo, conquistata poi dagli Angli, dai Norvegesi e dai Normanni. Grace spiegò che molti studenti e professori decidevano di trasferirsi lì, non solo per l’università, ma proprio perché la qualità della vita era ottima. Luca notò infatti, come la gente incrociava i loro sguardi sorridendo e accennando ad un saluto. Ragazzi e bambini con i loro genitori facevano tintinnare i campanelli delle loro biciclette mentre passeggiavano sulle rive del fiume, osservando persone di tutte le età che percorrevano con le barche, quella dolce strada d’acqua che accendeva la fantasia dei ragazzi.

    Mario seguiva silenziosamente i passi dei compagni, quella città lo colpì molto, osservò con attenzione quei negozietti che facevano da sfondo alle casette colorate. Per un attimo credette che quel paese fosse sospeso nel tempo; come se un incantesimo invisibile si propagasse tra le strade, nel fiume e nell’aria, sino a formare una bolla magica su di esso. Questo groviglio di pensieri lo angosciò profondamente e alzò lo sguardo al cielo pensando a sua madre, gli occhi gli si riempirono di lacrime.

    Roy, accortosi del momento di fragilità del compagno, tentando di sdrammatizzare, appoggiò una mano sulla sua spalla e provò a scherzare con lui. Mario non la prese affatto bene.

    «Levami quelle mani di dosso!» così dicendo, scostò la spalla con un movimento brusco e camminò in avanti per distanziarsi dagli altri.

    Roy provò a giustificarsi con i ragazzi.

    «Io cercavo solo di...».

    «Lo so, lo so» lo interruppe Shannon «Devi capire però che non siamo tutti uguali ed è alquanto evidente che Mario ha delle difficoltà a relazionarsi con gli altri. E inoltre potrebbe avere anche nostalgia di casa» dopo averlo rincuorato, raggiunse Mario e Luca.

    Darby e Grace provarono a tenere il passo di Roy, che inevitabilmente si sentì colpevole e cominciò ad accelerare e spostarsi in diverse direzioni, ma senza mai avere il coraggio di avvicinarsi.

    Darby riuscì a trattenerlo aggrappandosi al suo braccio «Rilassati, non era tua intenzione, vedrai che Shannon e Luca lo faranno ragionare» Grace, aggiunse con tono serafico «Se proprio non puoi farne a meno, mi sacrifico io! Ho un’ansia terribile... anche per me oggi è il primo giorno e ridere è l’unica cosa che mi aiuta!».

    Ci fu uno scambio di sorrisi e Roy si calmò, proprio nello stesso momento Mario, Luca e Shannon si fermarono per far sì che i ragazzi li raggiungessero.

    Percorsero un tratto in silenzio, Mario per la prima volta prese la parola chiedendo scusa a Roy, quest’ultimo ammise di essere poco riflessivo e anche un po’ imbecille, lo spagnolo sorrise, cosa mai accaduta fino a quel momento. La tensione si alleggerì drasticamente, scomparve poi del tutto quando entrarono in un pub molto frequentato da studenti e professori. Il sole ormai era calato del tutto e davanti ad una pinta rossa tipica di Cambridge, brindarono in onore della loro amicizia appena nata.

    Capitolo 4

    Il sigillo

    La prima settimana di Luca trascorse con fisiologiche difficoltà ambientali, ma che col passare dei giorni, grazie alle nuove amicizie, riuscì a superare. Conobbe il resto dei professori partecipando con estrema passione alle loro lezioni. I ragazzi frequentavano tutti i corsi insieme, seduti nella stessa fila uno accanto all’altro e un po’ isolati dal resto degli studenti. Alcuni di loro li osservavano con disprezzo senza un’apparente motivazione. Ebbero il sospetto che fosse proprio il legame con Roy Wilson e Darby Foster a generare tale disagio. Per quanto riguardava lo studente di Londra, c’era chi ne disprezzava il comportamento e il ceto sociale, mentre per la ragazza temettero che il motivo derivasse dal fatto che fosse scozzese. In realtà anche per Shannon non provavano particolare simpatia, la giovane irlandese se provocata rispondeva a tono causando le reazioni delle teste calde.

    Durante le lezioni si sentivano spesso osservati, Mario abbassava più volte il capo, alzando di rado gli occhi ogni volta che prestava ascolto ai bisbigli dell’aula. Alcuni di loro spesso sghignazzavano platealmente per attirare la loro attenzione e, puntualmente, Shannon tirava fuori il suo dito medio, generando le risate trattenute di Roy, mentre Darby tirava giù la mano dell’amica. Luca dopo qualche giorno si era ormai abituato a quell’atteggiamento ostile e di rado li notava, soprattutto quando c’era da studiare storia con il professor Moreau, così come Mario con il Professor Fleming in filosofia.

    Tra le azioni quotidiane, Luca faceva spesso compagnia al suo compagno di stanza in cappella, ammirandone le bellezze e attendendo pazientemente in silenzio l’amico inginocchiato in preghiera, così come la mamma gli aveva insegnato. Padre John Reed sorrideva alla vista di quel giovane così pieno di fede e di devozione. Era un uomo di settant’anni consumato dalla fatica e da una vita trascorsa assistendo gli ammalati dell’ospedale di Cambridge. Il resto del tempo lo passava in preghiera o in biblioteca assistendo il signor Kirby.

    Luca e Mario si affezionarono molto a quell’omino che tanto si prodigava per il prossimo; a guardarlo suscitava profonda tenerezza e la prima cosa che Luca fece fu presentarlo ai genitori quando a sua insaputa si presentarono al Cambridge.

    Il ragazzo li attese con ansia all’ingresso principale, Sara gli corse incontro e si strinse forte a lui.

    Mentre Luca spiegava ogni minimo particolare di quella prima settimana, mostrò loro le meraviglie dell’università, passeggiarono sulle rive del fiume, si meravigliarono vedendo la chiesa dove Luca orgogliosamente ripeteva di osservarla dalla finestra della sua camera. Presentò alla famiglia il gracile Don Reed, visitarono la biblioteca e conobbero di persona il rettore Taylor e il master Anthony Brown. Mostrò anche la stanza dove alloggiava e conobbero Mario e Roy. Sara arrossì quando quel biondino inglese si presentò con tutta la sua carica di simpatia.

    Luca fece da interprete tra la madre e gli amici, mentre il padre e Sara comprendevano abbastanza bene tutto quello che dicevano. Mario qualche parola di italiano la conosceva, Roy invece inventava palesemente ogni vocabolo; pure perché notò che Sara lo fissava continuamente e doveva dare, come di consueto, spettacolo di sé.

    Il padre, durante la visita alla città, si intrattenne più volte con Luca, discutendo dell’entusiasmo che aveva per quello che stava costruendo nella sua vita, delle persone positive e intellettualmente così audaci che erano entrate a far parte del suo percorso formativo e le amicizie con quei ragazzi così educati.

    Appoggiò una mano sulla spalla di suo figlio per infondergli fiducia: «Vedrai che il tuo nome sarà inciso su qualche parete di questa università un giorno! Ne sono fermamente convinto».

    Mauro, Teresa e Sara si trattennero due giorni in città, il tempo di visitarla, fare le ultime raccomandazioni al figlio e tornare a Napoli; Mauro aveva molto lavoro da fare, era il quindici di ottobre, si avvicinava il periodo più impegnativo per lui essendo in prossimità del Natale. Luca poi non doveva avere distrazioni e aveva bisogno di concentrarsi e impegnarsi al massimo per raggiungere gli obiettivi prefissati.

    Sara e Luca rimasero abbracciati a lungo, questa volta per la quattordicenne fu un po’ più dura; la mamma e il papà, invece, furono molto più sereni e contenti e quelle perplessità che li avevano accompagnati per un anno svanirono nel nulla. La mamma tenne stretta la mano di Sara, mentre saliti sul bus salutavano Luca che, tornando in camera, rimase particolarmente silenzioso. Mario respirò profondamente nel tentativo di rivolgergli qualche parola di conforto, ma la sua voce rimase intrappolata in gola emettendo un flebile sospiro di rassegnazione.

    Quando si decise a parlare, notò che Luca si era addormentato: «Scusa, amico mio» bisbigliò e rimase in piedi fino a notte fonda ad osservare il cielo.

    Alcuni giorni dopo la partenza dei genitori, Mr. Brown comunicò a Luca l’intenzione del rettore Taylor di interloquire con alcuni studenti, semplicemente a titolo cognitivo.

    Alle dodici in punto Luca si trovò davanti alla porta dell’ufficio del rettore, tirò un respiro profondo e bussò in maniera decisa, la voce squillante di Gregory lo invitò ad entrare.

    Il ragazzo, varcando la porta, rimase a bocca aperta, sembrava più un museo che un ufficio. Sulla scrivania erano in mostra diversi reperti precolombiani, sulla sinistra una bacheca con preziosissimi manufatti celtici, alle spalle del rettore vi era una piccola libreria contenenti svariati trattati filosofici, dalla Repubblica di Platone all’Etica Nicomachea di Aristotele, il Deumbris idearum di Giordano Bruno, il Kritik der reinen Vernuft di Kant e tanti altri ancora.

    Sulla destra la tenda era semichiusa, per consentire al rettore, seduto alla scrivania, di utilizzare un lumino con una lente su un manoscritto che stava studiando.

    Taylor levò lo sguardo dal manoscritto e accolse Luca con un sorriso «Prego Foschi, si accomodi».

    Luca si sedette, sfregandosi nervosamente i palmi delle mani e attese che il rettore prendesse la parola.

    «Si rilassi figliolo, non è sotto esame!» il giovane studente, simulò di sistemarsi più comodamente sulla sedia per tenere testa alla tensione «Mi scusi Mr. Taylor, è l’emozione, anche se avevo già avuto l’onore di fare la sua conoscenza e di averle presentato la mia famiglia, non riesco a nascondere il mio immenso piacere nel conferire con lei».

    Il rettore si alzò e si diresse verso la finestra, scostò la tenda per illuminare la stanza per quanto possibile, il cielo era coperto da grosse nuvole che minacciavano pioggia imminente.

    Ritornando verso la scrivania, si accorse del tentativo maldestro e furtivo di Luca di sbirciare sul manoscritto.

    «Prego Luca, dia pure un’occhiata» fece roteare la pila di fogli, in modo tale che il ragazzo potesse leggerli, in un primo momento voleva rifiutare l’invito fatto dal rettore per non sembrare inopportuno, ma la voglia di tenere fra le mani quei documenti così antichi e provare a leggerli, era più forte di lui «Posso davvero, signore?».

    Gregory accennò ad un sorriso a labbra socchiuse «Certo che sì figliolo, coraggio!».

    Luca si curvò sul manoscritto cercando di non toccarlo per paura di rovinarlo.

    Il rettore lo osservò attentamente e ruppe quell’attimo di silenzio «Sa di cosa si tratta?».

    Foschi balbettò per un momento e timidamente rispose «La Cronaca Anglosassone?».

    «La Cronaca Anglosassone! Esattamente! A quanto pare anche lei, come me è un appassionato di storia, sono molto colpito, davvero sorprendente!» Luca si morse il labbro inferiore per trattenere l’emozione, Taylor continuò «Una collezione di annali trascritta tra

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