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Ti aspetto da sempre
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E-book330 pagine4 ore

Ti aspetto da sempre

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Info su questo ebook

Dallas Walker è tormentato. Non dimenticherà mai gli orrori a cui ha assistito mentre lavorava sotto copertura per sgominare un traffico di esseri umani, ma ha un piano per iniziare una nuova vita. Tornare a casa dalla sua famiglia è il primo passo. Conoscere la sua seducente nuova vicina potrebbe essere il secondo. Se solo lei gli desse una possibilità…

Maggie Ellis vuole solo essere lasciata in pace. Preferirebbe passare le sue giornate a trasformare l’argilla in arte e non provare nulla, piuttosto che aprirsi a un’altra devastante perdita. Ma il suo nuovo sexy vicino di casa dallo sguardo triste non si arrende. E le fa mettere in discussione tutto…

Insieme, Dallas e Maggie potrebbero avere la possibilità di vivere per sempre felici e contenti. Ma solo se riusciranno a lasciar andare il passato e a tenersi stretti l’uno all’altra quando sarà più importante.
LinguaItaliano
Data di uscita12 dic 2023
ISBN9791220707510
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    Anteprima del libro

    Ti aspetto da sempre - Claudia Connor

    1

    Non voleva davvero che gli sparassero di nuovo. Mai più. Dallas Walker chiuse gli occhi e lasciò che l’acqua calda della doccia, in uno dei cottage di sua sorella, gli scivolasse addosso. Non era come le docce dei motel a ore. Non c’era odore di muffa, né un filo d’acqua tiepida proveniente da qualche tubo arrugginito. Nessun suono osceno, che avrebbe voluto dimenticare, proveniva da altre stanze.

    Nel primo mese in quel posto aveva cercato di adattarsi, di riconnettersi a sé stesso e di elaborare. Cercava di vivere il presente e di non preoccuparsi troppo del futuro, ma erano gli ultimi cinque anni in cui aveva vissuto come un’altra persona a dominare i suoi pensieri. Quello che aveva fatto. E quello che non aveva fatto.

    Si abbassò per raggiungere il rubinetto della doccia posizionato in basso per i bambini in sedia a rotelle. Aumentò il calore come se l’acqua bollente potesse lavare via la sporcizia del peccato di cui si era macchiato.

    Sapeva che non avrebbe potuto bruciare i ricordi, dimenticare le cose che aveva visto o gli occhi di coloro che aveva salvato, perché, anche in quel caso, mai prima che avessero già subito un trauma indicibile.

    Dallas si passò il sapone sulla spalla. Gli faceva ancora male il punto in cui il primo colpo di pistola lo aveva fatto indietreggiare. Poi c’era il secondo, un piccolo cerchio schiacciato quasi al centro del petto. Quello che, secondo i paramedici, lo aveva portato via da questo mondo per poco meno di un minuto.

    Non c’era dolore intenso, non più. E in realtà, nemmeno nel momento in cui era stato colpito. Solo un bruciore che si era diffuso come piccole dita nel petto e nella schiena. Quello e i grandi occhi marrone scuro del tiratore.

    Si sciacquò, pensando agli studenti del suo corso di Giustizia Criminale. Dopo poche settimane di lavoro poteva già prevedere chi sarebbe stato preparato per la verifica di quel giorno e chi no. Sorrise pensando alla manciata di studenti che avrebbero dichiarato di non essere pronti accampando scuse elaborate. Lui era stato quello preparato, mentre il suo gemello, Zach, eccelleva per le scuse e la sua capacità di affascinare gli insegnanti.

    Chiuse l’acqua, uscì per prendere un asciugamano e imprecò contro il portasciugamani vuoto. Aveva la cattiva abitudine di usare la maniglia della porta della camera da letto per far asciugare gli asciugamani. Gocciolando dalla testa ai piedi, uscì dal bagno e… «Dannazione!»

    Dallas si fermò di fronte alla fidanzata di suo fratello Luke.

    «Cosa?» Ava rimase immobile, con gli occhi spalancati, a tre metri da lui dall’altra parte della stanza. Le sue mani erano tese per difendersi da un ostacolo invisibile.

    Dallas si coprì in mezzo alle gambe. «Non si bussa?»

    «L’ho fatto. Questa volta ho fatto un salto dopo che sia Luke che Hannah hanno provato a mandarti un messaggio. Ma se non vuoi fare colazione…»

    «Mi dispiace. Mi dispiace. Io… ero sotto la doccia. Ho dimenticato l’asciugamano.»

    «Tu…»

    L’esile ragazza bionda dagli occhi azzurri fece scivolare lo sguardo su di lui e, dannazione, sapeva che lei non poteva vedere, ma si sentì comunque avvampare.

    «Mi stai dicendo che sei nudo?» Ava si morse il labbro per non ridere.

    «Non è divertente.» L’acqua gli stava scivolando lungo il corpo, formando una pozzanghera ai suoi piedi.

    «In un certo senso lo è. Stai arrossendo, vero?»

    «No. Quello che sto facendo è congelare.»

    «Hai freddo?» Ava piegò la testa di lato e fece un sorrisetto diabolico. «Non c’è bisogno di trovare scuse, non lo vedo.»

    «Non sto facendo… Io… Sai una cosa? Pensavo che tu fossi quella dolce, ma non lo sei. Sei cattiva.»

    A quel punto lei rise apertamente. «Aspetta che dica a Luke che ti ho trovato nudo.»

    «No, non farlo. Per l’amor di Dio.» Cieca o meno, nessun uomo voleva che sua moglie – o quella che presto lo sarebbe stata – si trovasse nella stessa stanza con un altro uomo nudo.

    «Accidenti.» Ava agitò la mano. «Rilassati. Sai, potevi non dirmelo. Non l’avrei saputo.»

    «Sì, ora me ne sto rendendo conto.»

    «Sei troppo onesto,» disse lei dolcemente con sorriso tenero e comprensivo.

    Lui scosse la testa, anche se lei non poteva vederlo. «No, non lo sono.» Aveva mentito così tanto nel corso degli anni che era difficile capire cosa fosse. Ma lei non sapeva dov’era stato e cosa avesse fatto. Nessuno di loro lo sapeva.

    «Ti abbraccerei se non fossi… sai.»

    Suo fratello era un fortunato figlio di puttana. «Grazie, ma no grazie. Non voglio litigare con Luke.»

    «Bene,» disse lei, voltandosi per andarsene. «La colazione è pronta. Hannah ha preparato cibo per un esercito, ma Zach e Luke sono già lì da trenta minuti; quindi, mi sbrigherei se fossi in te.»

    «Capito. Grazie.» La porta si chiuse alle sue spalle e lui si diresse verso la camera da letto e un asciugamano. Mormorò delle imprecazioni mentre strofinava l’asciugamano sulle gambe. «Devo trovare una casa.»

    Un lungo bip elettronico segnalò la fine della lezione e un gruppo di venticinque ragazzini tra i sedici e i diciassette anni si alzò di scatto dalle sedie. Non li biasimava. Per quanto la materia fosse avvincente, era l’ultima lezione prima della libertà del fine settimana.

    «Buon venerdì. Fate buone scelte,» disse Dallas, ricambiando i pugni dei ragazzi. «Non drogatevi e tutto il resto.»

    «Ci vediamo, signor Walker.»

    Signor Walker. Era così strano. Li guardò uscire, ricordando loro ancora una volta l’età legale per bere e la sicurezza. Si avviarono verso il corridoio a coppie o a gruppi e alcuni se ne andarono da soli, senza dire una parola a nessuno. Forse per scelta, forse no.

    I gruppi erano gli stessi di quando andava a scuola: gli atleti, i ragazzi della banda, il piccolo gruppo di ribelli vestiti completamente di nero. E i ragazzi che non rientravano in nessuna categoria.

    Pensò al ragazzo che era lui quando andava al liceo. Dio, sembrava fossero passate dieci vite. Il gemello silenzioso. Il gemello secchione. Una volta una ragazza lo aveva definito il fratello pensieroso con gli occhi tristi, ma lui non era triste, non prima della morte dei suoi genitori. Era stato felice di stare in disparte mentre Zach si faceva notare. Ma dopo? Sì, dopo c’erano state tristezza, confusione e rabbia.

    E preoccupazione. Per la tensione in casa tra Luke, più grande di lui di due anni, e Nick che ne aveva quattro in più. Di cosa sarebbe successo ad Hannah senza una madre. Cosa sarebbe successo a tutti loro. Ma la situazione si era risolta e lui aveva trovato il suo posto. Anche quei ragazzi lo avrebbero trovato, alcuni prima, altri dopo. E come lui, avrebbero potuto perdere quel posto e trovarne uno nuovo.

    Non si sapeva ancora se quel nuovo lavoro sarebbe rimasto o no. Ma per il momento l’insegnamento funzionava. Il liceo aveva bisogno di trovare alla svelta un professore per il resto dell’anno e lui, visto che era in pensione, aveva bisogno di passare il tempo.

    In pensione. Accidenti, suonava ancora più strano di signor Walker. Ma quella era la situazione in cui si trovava in quel momento della sua vita. Un poliziotto di quarant’anni in pensione, che insegnava educazione civica e giustizia penale alle scuole superiori.

    Raccolse il portatile e infilò le verifiche in stile saggio nella tasca laterale da leggere nel fine settimana. Stava facendo il giro, raccogliendo la spazzatura e controllando gli oggetti dimenticati, quando Hunter Whitten, l’insegnante di letteratura inglese, fece capolino dalla porta. Era giovane, sui venticinque anni, e indossava jeans attillati e scarpe da tennis bianche immacolate. Immaginava che agli occhi di Hunter lui ormai fosse sulla via della vecchiaia. Forse anche peggio.

    «Ehi, Walker.»

    «Ehi, amico. Come va?»

    «Va. I soliti tre ragazzi non hanno consegnato i compiti.»

    «Immagino che alcune persone debbano imparare a proprie spese.» Dallas lasciò cadere un foglio di quaderno appallottolato nel cestino di metallo accanto alla scrivania e prese la borsa del portatile. Spense la luce e chiuse la porta mentre usciva.

    «Sì.» Hunter scosse la testa. «Però non capisco. Era un compito facile, confrontare e contrapporre Macbeth e Lady Macbeth. Era anche divertente.»

    Dallas si mise a camminare accanto all’uomo. «Sembra interessante.»

    «Mmm.» Hunter sorseggiò la tazza di tè di cui raramente si privava.

    Essendo l’unico altro insegnante maschio in quell’ala della scuola, lui e Hunter avevano preso l’abitudine di pranzare insieme.

    Un’altra insegnante, Leena Cane, li incrociò nel corridoio, augurando loro un buon fine settimana. «Oh, Hunter,» disse, fermandosi e voltandosi indietro. «Usi ancora Matchmaker?»

    «Sì,» rispose Hunter. «Stai pensando di iscriverti?»

    Lei sorrise. «Forse. Se mi dimostri che funziona.»

    «Ti terrò informata,» disse Hunter facendole l’occhiolino.

    Lui e Hunter proseguirono, uscendo dalla porta laterale e attraversando il cortile fino al parcheggio della scuola. «Come va la ricerca della casa?» chiese Hunter.

    «Non ho ancora trovato niente che mi abbia colpito, oggi ne vedrò un’altra.»

    «Beh, ti auguro che la tua caccia sia più fortunata della mia.»

    «Oh… quindi ancora niente?» Non appena la domanda gli uscì di bocca, Dallas si pentì di aver dato a Hunter il via libera. L’altro era iscritto a un sito di incontri da quando Dallas lo conosceva e lo teneva al corrente di tutti i progressi, che lo chiedesse o meno.

    «Un sacco di fortuna,» disse Hunter. «Ma, cavolo, così tante scelte. C’è la hostess, la web designer, la terapista sessuale, che tra l’altro mi ha chiesto referenze sessuali.»

    «Non so che dire a questo punto.»

    «Lo so, vero? Una situazione intricata,» concluse Hunter scuotendo la testa.

    Si separarono per andare alle rispettive auto. Erano quasi le quattro, ma sembrava più tardi con le nuvole basse grige come l’acciaio. Voleva dare un’occhiata alla casa prima che facesse buio e ce l’avrebbe fatta per poco.

    Dopo l’imbarazzante incontro con Ava di quella mattina, aveva mandato un’e-mail alla sua agente immobiliare dicendole di ampliare la ricerca. Un po’ più di tempo per arrivare a scuola non avrebbe fatto molta differenza per lui, alla fine era solo tempo e quando finivano le lezioni ne aveva tanto, forse troppo.

    Si era aspettato di trovare il posto perfetto in poche settimane, ma non era successo. Era ancora deciso a volere una casa – aveva smesso di buttare soldi al vento pagando l’affitto – ma aveva abbandonato l’idea della perfezione. Amanda, la sua agente, gli aveva inviato un indirizzo via e-mail a inizio giornata e, stranamente, si trovava sul retro della proprietà della fattoria di sua sorella. Una vecchia strada di campagna ancora più remota di quella su cui sorgeva il centro di ippoterapia di sua sorella.

    Trenta minuti più tardi, Dallas era fermo allo stop dell’incrocio tra quattro strade rurali guardando il vento tagliare la pioggia sul cofano della sua Bronco nera. Aveva sconfitto il buio, ma non la pioggia. Guidò lentamente, strizzando gli occhi attraverso il parabrezza mentre superava lo stop, alla ricerca di cassette postali, numeri civici, un cartello vendesi. Qualsiasi cosa. Ma oltre alla pioggia battente e alla vegetazione su entrambi i lati della strada, non riuscì a vedere quello che stava cercando. Rallentò fino a muoversi appena.

    Poteva aver sbagliato una svolta, forse una strada sterrata vicino a quella principale. L’agente non gli aveva fornito alcun dettaglio. Ma dannazione, pioveva così forte che i tergicristalli non riuscivano a tenere il passo.

    Proseguì, passando davanti a un chiosco di verdure sulla sinistra. Nulla di più di un tavolo malandato, con un tetto di latta che si stupiva fosse ancora in piedi con quel vento. Accanto c’era un furgone rosso. «Nessuno dovrebbe essere così disperato per delle verdure,» mormorò tra sé e sé. Non poteva immaginare che facessero molti affari.

    Socchiuse gli occhi e attraverso il parabrezza scorse una persona che si muoveva velocemente intorno allo stand. Rallentò fino a fermarsi e osservò mentre si dirigeva verso il portellone posteriore aperto del furgone.

    Mentre la persona sollevava una scatola, facendola scivolare sotto la copertura del pianale, il cappuccio nero dell’impermeabile scivolò indietro, rivelando un ciuffo di capelli lunghi e scuri.

    Al poliziotto che era in lui non piaceva una donna sola su una strada definita rurale.

    Incuriosito, continuò a guardarla mentre tornava di corsa al chiosco, con la schiena piegata contro la tempesta. Quando tornò a prendere un’altra scatola, Dallas vide che ce n’erano molte altre, così accostò e parcheggiò sul marciapiede.

    Non poteva starsene seduto lì mentre qualcuno si affannava, soprattutto se era una donna sola su una strada quasi buia. Mise in folle e si preparò ad affrontare la doccia imminente.

    Chiuse la zip della giacca e prese il berretto dei Red Sox dal sedile del passeggero accanto a sé. Non era impermeabile, ma era meglio di niente.

    Una folata di vento tirò la portiera mentre l’apriva e la pioggia lo investì. Quando attraversò la strada, i suoi pantaloni cachi erano fradici e gli si appiccicavano alle gambe. La donna nel frattempo prese un’altra scatola da sotto il tavolo, si alzò e girandosi per poco non gli andò addosso.

    «Bella giornata,» disse lui, urlando sopra il rumore della pioggia battente.

    Era bagnata nonostante la giacca. Le sue gambe scomparivano nella parte superiore di alti stivali di gomma nera. Almeno quelli li aveva. Ciocche di capelli scuri erano appiccicate ai lati di un viso pallido con zigomi alti e grandi occhi scuri.

    Lui era più alto di lei di almeno trenta centimetri e probabilmente pesava anche una cinquantina di chili in più, ma negli occhi di lei non c’era della diffidenza mentre lo guardava. Al contrario, aveva un’aurea da non scherzare con me.

    «Cosa?»

    «Ho detto, bella giornata.»

    Lei si limitò a guardarlo. Bene, non c’era tempo per scherzare. Segnato. «Ti aiuto a caricare.»

    Prima che lei potesse rispondere, lui prese una piccola scatola di legno con diversi tipi di zucca. Quando lei si diresse verso il furgone, lui la seguì e fece scivolare la sua scatola dietro quella di lei. «Vuoi tornare a prenderne un po’ più tardi?»

    «Non posso. Ma ci penserò.»

    Quando lei si voltò per fare un altro viaggio, lui spinse tutto verso il fondo per fare più spazio e la raggiunse al tavolo. Altri due viaggi per entrambi e tutti i prodotti erano nel furgone.

    Lei chiuse il portellone posteriore e, dato che il tempo non era certo quello per stare fermi a chiacchierare, si affrettò a raggiungere il posto di guida e a salire.

    «Grazie,» disse mentre l’acqua piovana le scorreva sul viso e lei rabbrividiva. Era bagnata fino alle ossa e anche lui lo era.

    «Nessun problema.» Fece un passo indietro per consentirle di chiudere la portiera e poi si fermò prima di andare a ripararsi. Il tempo di vederla girare la chiave attraverso il vetro lavato dalla pioggia. Stava per andarsene quando si rese conto che non sentiva il rumore di nessun motore. La donna girò di nuovo la chiave e niente.

    Batté sul finestrino e attese che lei spalancasse la portiera. «Non parte?»

    «No.» La donna sbuffò. «Dannazione,» mormorò sottovoce.

    «Posso darti un passaggio se pensi di poter tornare a prendere il furgone domani. Oppure posso provare a farlo ripartire.» Sperò che lei scegliesse la prima opzione, mentre nel cielo lampeggiava un fulmine e rimbombava un tuono.

    Il dito indice sinistro della donna batteva velocemente sul volante mentre rifletteva. Non la biasimava. Era sola e lui era un estraneo.

    Sospirò di nuovo, poi sembrò rassegnata. «Va bene. Un passaggio sarebbe fantastico. Grazie.»

    Annuì. «Figurati. Vuoi aspettare qui? Posso fermarmi accanto a te.»

    «Sono già fradicia. Non posso bagnarmi di più.» Prese la chiave dall’accensione e una grande borsa di pelle dal sedile del passeggero.

    Lui la precedette di un secondo alla sua Bronco, dandogli il tempo di prendere la sua borsa di pelle dal sedile prima che lei vi si sedesse sopra.

    Un altro fulmine illuminò di nuovo il cielo, accompagnato dal boato di un tuono. «Sta venendo giù proprio bene.»

    «Sì. Grazie per il passaggio.»

    Quando lui non accese subito il motore, lei si schiarì la gola. «Devo tornare a casa. Al mio cane non piacciono i temporali.»

    «Certo.» Dallas avviò l’auto e si immise sulla strada.

    «È proprio qui in fondo a sinistra. Dopo il prossimo stop.»

    «Ok.» Alzò la temperatura.

    «Sto facendo cadere acqua dappertutto,» disse lei guardandosi i piedi.

    «Si asciugherà.» Lui le fece un piccolo sorriso che lei non ricambiò. «Allora, cos’era quello? Un mercato contadino?»

    «Sì, più o meno. Più una bancarella che un mercato. Appartiene a Hollis, il mio vicino. Lo allestisce qualche giorno alla settimana. Fagioli, patate, zucche. Io aggiungo roba quando ne ho e do una mano quando ne ha bisogno.»

    Quindi era la roba di qualcun altro che non voleva lasciare. «Fa molti affari?»

    «Un po’. Ultimamente non si è sentito molto bene, quindi…» Si pulì le mani bagnate sul tessuto inzuppato che le copriva le cosce. «Non mi aspettavo piovesse.»

    «Tempeste d’autunno,» disse lui, pensando che fosse carino che lei aiutasse qualcun altro.

    «Sì.»

    Si voltò a guardarla e intravide una singola goccia d’acqua che le scivolava lungo la mascella. I suoi capelli erano una massa scura, riccia e gocciolante. Riportò l’attenzione sulla strada. «Che tipo di roba?»

    «Mmm?»

    «Che tipo di cose aggiunge?»

    «Soprattutto uova. Qualche verdura quando ne ho troppa.»

    «Uova blu?»

    «Sì.» Lei gli lanciò un’occhiata curiosa. «E verdi. Marroni.»

    «Lei è la signora delle uova blu,» disse annuendo lentamente.

    «Mi scusi?»

    «Credo che mia sorella abbia preso da lei delle uova blu. Hannah Walker… Hannah McKinney. Mi sto ancora abituando al fatto che la mia sorellina si è sposata. Capelli lunghi e biondi, di solito raccolti in una treccia. Vive una strada più in là.» Sollevò un dito dal volante e indicò il finestrino sul suo lato. «A proposito, io sono Dallas.»

    «Sì, l’ho incontrata. Stiamo quasi arrivati, sulla sinistra.» Si chinò leggermente in avanti, scrutando fuori dal finestrino offuscato dall’acqua. «Qui. Questa.»

    Lui rallentò in corrispondenza di uno stretto viale di ghiaia. Era una strada dritta tra il piccolo edificio a un piano sulla destra e una muraglia verde sulla sinistra.

    «Può fermarsi qui,» disse quando lo sterrato si aprì su una parte asfaltata davanti a un’unica porta di garage chiusa.

    Si era a malapena fermato prima che lei afferrasse la maniglia della porta. «Grazie ancora.»

    «Non c’è di che.»

    Avrebbe potuto darle il suo numero, nel caso avesse avuto bisogno di aiuto per tornare al suo furgone, ma non ne ebbe l’occasione. Lei era già uscita e la portiera stava sbattendo, lasciandogli solo il rumore della pioggia.

    La guardò correre verso una porta laterale e sparire all’interno.

    «Bene.»

    Si chiese se provare a tornare indietro, ma alla fine mise la retromarcia, solo per rischiare di finire con le ruote posteriori in un canale di scolo. «Merda.»

    Si fermò bruscamente, sbandando un po’ sulla ghiaia. Raddrizzando il veicolo, procedette piano, osservando attentamente la leggera discesa che costeggiava la strada e la cassetta della posta della signora delle uova.

    Stava giusto rimettendo le quattro ruote sulla strada asfaltata quando lo vide attraverso la vegetazione del cortile accanto. Rosso e bianco, consumato e sporco e appeso un po’ di traverso, ma era quello. Un cartello con la scritta vendesi.

    2

    Il martedì successivo Dallas visitò la casa con la sua agente immobiliare, Amanda.

    «È stata costruita nel 1948, quindi è un po’ vecchiotta, ma funziona tutto,» spiegò Amanda, con voce poco ispirata e senza molte speranze di riuscire a vendere. Il suono dei suoi tacchi rimbombava sul pavimento di legno. «Cosa ne pensa dello stile casa di campagna? La cucina è stata rimodernata negli anni Ottanta.»

    «Mi piace,» disse Dallas.

    «Se cerca la privacy, con quella macchia di cespugli sul davanti la casa si vede a malapena dalla strada e ha molto spazio nel retro.»

    La casa era piuttosto vicina alla strada, più come ci si aspetterebbe in un quartiere di periferia che non in campagna, ma la donna aveva ragione sul fatto che restava nascosta.

    Dallas attraversò la stanza vuota fino alla finestra della cucina che dava sull’ampio cortile. Si trattava di un terreno di due acri, poco più largo della casa e che si estendeva per una cinquantina di metri in un rettangolo perfetto e stretto.

    Se i cespugli sul davanti potevano essere descritti come una macchia, quelli dietro erano una giungla. Confinava con la proprietà di sua sorella, proprio come quella della sua vicina. Quella di cui non era riuscito a sapere il nome. I cortili erano confinanti, divisi da una staccionata ricoperta da del verde aggrovigliato.

    «La prendo,» disse.

    «Davvero?»

    «Sì.» Dallas girò attorno piano in cucina. Sarebbe stato intelligente tornare a dare un’altra occhiata, magari da lì a qualche giorno, ma aveva già deciso. In quella casa c’era qualcosa che gli parlava.

    Ed era un ulteriore passo avanti rispetto a dove era stato. Era venuto in Virginia per vedere la sua famiglia, sapendo già che sarebbe rimasto, sapendo già che aveva bisogno di loro e non se ne vergognava minimamente. Con gli incubi che lo perseguitavano, stargli vicino lo teneva con i piedi per terra, lo faceva sentire legato a qualcosa. O almeno quello era ciò che sperava.

    C’erano molte finestre nel locale, anche se erano perlopiù coperte da cespugli troppo cresciuti. Quando li avrebbe tagliati, ci sarebbe stata molta luce.

    Una camera da letto al piano inferiore e due al piano superiore gli avrebbero permesso di avere un ufficio e forse una palestra; aveva una cucina e un bagno funzionanti, cos’altro gli serviva?

    «Quando posso trasferirmi?»

    «Quando può…» L’agente si voltò. «Beh, lei ha ottenuto la pre-approvazione ed è una vendita rapida, quindi dovremmo riuscire a chiudere entro…» Guardò il telefono e digitò qualcosa. «Che ne dice di giovedì. Alle dieci e mezza?»

    «Posso per le quattro.»

    «Per me va bene,» disse Amanda, evidentemente sorpresa di poter concludere quella vendita.

    Ebbe un flash di sé stesso in piedi, nudo, davanti alla cognata, con le mani che coprivano freneticamente il suo pacco. «Ma quando posso trasferirmi?»

    «Controllerò con la nipote, è lei a vendere. Visto che è a Seattle, dubito che le interessi se lei ne prende possesso. È rimasta vuota per molto tempo. Immagino vorrà fare ulteriori controlli, se vuole posso occuparmene io.» Scrisse una nota sul telefono e poi allungò la mano. «Congratulazioni.»

    Dallas stava camminando dal suo cottage fino al fienile, respirando il profumo mentre lo faceva. L’inizio dell’autunno era accompagnato da un vento impetuoso. Le foglie, che avevano appena iniziato a cadere, punteggiavano il terreno di giallo e rosso. L’aria era fresca e limpida. Un netto contrasto con l’alcol stantio e il piscio…

    Si fermò dove si trovava, fece un respiro profondo e chiuse gli occhi. Non era più là. Si strofinò il punto sul petto. Forse avrebbe dovuto approfittare dello strizzacervelli del dipartimento. Scosse la testa e riprese a camminare.

    Era bello stare all’aperto, guardare sua sorella che lavorava con i cavalli e i bambini. Pensando di rendersi utile, entrò dal retro e seguì il suono delle voci. La luce del sole filtrava attraverso le finestre delle stalle nell’ampio corridoio intermedio, mettendo in evidenza le particelle di fieno nell’aria.

    «Ehi, tu,» lo chiamò Hannah, sbirciando da un

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