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Fiabe Gotiche
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E-book114 pagine1 ora

Fiabe Gotiche

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Info su questo ebook

Caro lettore,

io non ti conosco e lo stesso vale per te… ma dal momento in cui stringi fra le mani questo libro è come se ti corressi incontro e per un istante la tua diffidenza si tramuterà in stupore… conservalo, non perderlo… ascoltami.

Molti prima di me hanno scritto prefazioni a volumi divenuti poi classici o ritornati nel limbo dei dimenticati, quindi ci tengo a precisare che il mio è solo un soffio leggero, di chi ama qualcosa e l’accompagna nel mondo…

Da dove cominciare? Potrei parlarti dell’autore ma lui è nelle parole che leggerai, nel profumo della carta (aspetto noto ai lettori più bramosi), in ogni segno della punteggiatura, nel ritmo dei paragrafi.

Lui è questo libro, si concederà a te nei modi e nei tempi che tu stesso sceglierai, quindi… non servono spiegazioni!

Potrei parlarti della trama di ogni singola fiaba, ma mi limiterà a dirti (per non sciuparti la sorpresa) che ognuna di esse è nata per se stessa, come il travaglio di un seme sotterraneo che non ha alternative se non “bucare” la nuda terra e prender vita.

Ogni seme di questo libro “bucherà” anche te… è inevitabile… quindi…dovrò ripetermi, non servono spiegazioni!

A questo punto ti starai chiedendo a che cosa servono queste parole, vero? La risposta è molto semplice: non si può spiegare la bellezza, bisogna solo lasciarsi andare, viverla… così, caro lettore, prenditi il tuo tempo e mangia ogni singola parola, assaporala…

Ritornando a leggere questa lettera, alla fine del libro, capirai perché io ne sono pazzamente innamorata e senza spiegazioni avrai voglia

di fare ciò che ho fatto io, regalandolo alla persona più cara che hai. Avrai donato magia e nessun dono è più potente di questo!

Mettiti comodo, fai un lungo respiro… che l’avventura abbia inizio… devi solo voltare pagina…

Chiara
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2016
ISBN9788822860811
Fiabe Gotiche

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    Anteprima del libro

    Fiabe Gotiche - Mirko Ravaschino

    niente

    Libellula

    Lei cadeva. Come una bambola. La testa verso il basso. I capelli lunghi a coprirle i seni. La pelle chiara. Bianca. Un fantasma che moriva ad ogni respiro. Il suo corpo. Sfiatava. Ad ogni squarcio. Sulla pelle. Respirava.

    I suoi occhi.

    Ad occhi chiusi.

    Le gambe non la reggevano. Non toccava il suolo solo perché era legata. Le funi strette attorno ai polsi. Un fazzoletto attorno alla bocca. Non respirava più. Ma era viva.

    All'inizio quando lo vedeva arrivare, supplicava. Aveva imparato a riconoscere le sue intenzioni. Anche quando lui non parlava. Sapeva che non serviva a nulla pregarlo. Ora lo sapeva. Piagnucolava un po' mentre le tappava la bocca. Ma poi smetteva. Strilla mozzate in gola. Le sembrava di vomitare. Di sputare fuori tutta l'anima. E tutto il dolore. Non serviva a nulla. Lui si sfogava. Se lei fosse stata abbastanza brava da non far versi forse se la sarebbe cavata con poco. Se piangeva lui si eccitava.

    A volte sveniva.

    Dopo qualche frustata piccole chiazze di sangue sporcavano il pavimento. Altre finivano sulla vecchia carta da parati. Assieme alla muffa. Al sangue stantio. Quella era la sua stanza. Qui nessuno mai veniva. Solo lei. E il suo carceriere.

    Ora cadeva. Nel vuoto. E desiderava crollare. Al suolo. Ma quelle funi la tenevano legata. A quel dolore.

    Al presente. Alla vita.

    ***

    Doc aveva avuto un brutta giornata. Pessima davvero – pensò.

    Una di quelle che ti fanno chiedere se ne vale la pena continuare. Tutti quegli anni. Sudore, fatica. A che erano serviti? Anni di studi, privazioni. Bastavano una o due giornate così in un mese per fargli passare la voglia di esercitare. Si sentiva superfluo. Senza senso. Novità tecnologiche sulla scienza e sulla medicina, corsi di aggiornamento... a che pro? Oggi ogni cosa era nera. E si sentiva impotente. Verso la sofferenza delle persone. Non era riuscito neppure ad alleviare il dolore... aveva vinto la morte questa volta. Alla fine vince sempre si disse. La mattina aveva perso la giovane Ilaria. L'antibiotico non aveva sortito l’effetto sperato. E lui non era riuscito a far scendere la febbre. Un blocco respiratorio. Ed il pomeriggio se n'era andato anche Trevor. Da non crederci. Che cosa poteva farci? Non era onnipotente...il destino di tutti è quello di morire. Nonostante ciò si sentiva inutile. Era il miglior medico della regione. Forse dell'intera nazione. Lo sapeva bene. E lo sapevano bene i suoi colleghi. Le persone. Tutti lo sapevano. Lui per primo aveva sperimentato le cure più innovative. E non falliva mai una diagnosi. Gli bastava guardare un paziente per capire cosa avesse. Il suo intuito unito all’esperienza ed alle conoscenze acquisite lo rendevano il migliore. La morte... spesso si ritrovava a pensare a lei come ad un avversario in una partita a scacchi. Alla fine avrebbe vinto. Più di una volta però era riuscito a posticipare quel momento. Di qualche giorno...o mese...o addirittura anni. Non la temeva...aveva visto molte persone morire. Eppure non riusciva ad immaginare se stesso morto. Freddo. Senza più vita. Era troppo razionale e cinico per credere in qualcosa oltre... niente respiro, niente vita. E tutto finiva. Piuttosto semplice. No, nulla è semplice.

    La domenica leggeva le scritture in chiesa. Ci teneva ad avere un aspetto rispettabile. Irreprensibile. Così la sua memoria si sarebbe impressa nelle persone...ed in un certo modo sarebbe sopravvissuto alla morte. Voleva essere ricordato. Per ciò che aveva fatto... e per ciò che era. Già...ma in fondo io che cosa sono? si chiese. Scacciava sempre questi pensieri. Non voleva pensare. Non a questo. Non si può definire o giudicare un essere umano... come si potrebbe? Luci ed ombre.

    Doc non era vecchio. Era nel fiore degli anni. Ed era in ottima forma. Trevor aveva solo quattro anni più di lui...

    Trevor non valeva la metà di me... inoltre lui era debole.

    Per fortuna doc aveva le sue distrazioni. Le sue passioni...i suoi giochi. Così li chiamava. Passeggiava, perso in questi pensieri, per la via principale della città. La gente lo conosceva. Lo rispettava. Lo ammirava. Non solo perché era un medico brillante, ma anche per la sua integrità. Nonostante fosse vedovo da diversi anni e nonostante fosse giovane, portava ancora il lutto e non lo si era mai visto con un'altra donna. Era davvero una persona buona e magnanima. Ogni anno donava molti denari all'orfanotrofio. Tieni disse al mendicante all'incrocio. Gli fece cadere qualche rumorosa moneta d'argento. Cristo puzzi più di un morto! disse tra sé mentre quello lo ringraziava. Non li poteva sopportare. Esseri sciatti. Rifiuti della società. Falliti. Che sopravvivevano. Se solo avesse potuto averne un paio a portata di mano...ne avrebbe fatto qualche cosa di utile. Per la scienza. Loro non meritavano di vivere. Le persone salutavano e gli sorridevano. Lui era un esempio. Era il primo a correre in aiuto in caso di bisogno. Prima della morte della moglie aveva raccolto una povera orfanella; la ospitarono nella loro casa, trattandola come una figlia; poi lei fuggì...

    Doc e la moglie non ebbero mai figli.

    Voleva tornare a casa. Solo stare a casa. Tranquillo. Bere qualcosa. Cenare. E non pensare più. Sentiva le tempie pulsare mentre aumentava il passo... non vedeva l'ora...l'eccitazione in lui crebbe fino a fargli dilatare le pupille...

    I suoi giochi…

    Buonasera doc! Buonasera padre ...lui sarebbe stato il prossimo. Grasso laido prete. Non avrebbe vissuto molto... Ma il prete non lo sapeva. Occhi gialli...ed un fegato già messo male... pochi mesi. Non di più. Tornò con la mente alle sue fantasie; aumentò l'andatura ma un estraneo gli bloccò il passo. I due si guardarono. Fisso, negli occhi. Doc non parlò. Il giovane aveva un viso familiare...non ricordava però chi fosse. Cercò di superarlo. L'estraneo gli sbarrò nuovamente la strada. Sei tu il dottor Sullivan? La via era piena di gente. In molti avevano da poco terminato la giornata lavorativa. Doc sentiva lo sguardo dei suoi cittadini addosso. Certo che sono io...ma tu chi sei?

    Lo sconosciuto non rispose. Fece solo un gesto rapido e si avventò sul medico; erano tanto vicini da potersi sfiorare il naso.

    ***

    Non sentiva male... non più. Le sembrava di non sentire più nulla. Nulla. E poi ritornava. Solo qualcosa...come se avesse mille aghi infilati nella pelle...persino in testa, negli occhi...e tiravano, tiravano… ma non si rompeva. Non si squarciava mai.

    Un tonfo. Un rumore. Qualcosa di accecante. Forse era lui che tornava. Tornava sempre. E curava le ferite. Quelle che lui stesso le aveva inferto. Puliva il sangue dalla pelle. L'abbracciava. L'accarezzava e le raccontava della sua giornata. Le dava da mangiare e da bere e poi a volte la spazzolava. Lo faceva sempre.

    Non si era resa conto di esser tanto debole. Non riusciva a sentire la voce di chi parlava. Non ci riusciva. Braccia che la sorreggevano. Qualcosa la circondava. Sono io Jewel sentì da lontano è tutto finito...ti libero

    ***

    Un dolore lacerante. Non pensava potesse essere così. Non lo credeva possibile. Non poteva. Non aveva mai neppure immaginato qualcosa di così reale. Doc si sentiva stordito. Il giovane che lo aveva accoltellato continuava a fissarlo. Perché nessuno mi aiuta? pensò proprio mentre alcuni passanti si accorgevano del buffo e grottesco abbraccio. Un capannello di persone si formò attorno ai due. Qualcuno li stava separando. Lo sconosciuto era distante adesso. Lo tenevano. Una voce. Lontana. Dottor Sullivan come sta? Urla. Chiamate l'ambulanza! E' ferito! Doc guardò in basso. Il coltello col suo sangue per terra. Tra lerciume e sporcizia. Osservò la pancia. Non aveva realizzato bene. Cercò di mantenere la calma. Lui era il miglior medico della nazione. Forse del mondo. Si sarebbe salvato. Qualcosa veniva fuori dalla camicia. Avrebbe dovuto tamponare il sangue. Mise un dito. Il taglio era troppo abbondante. Troppo sangue. Troppa gente intorno. Troppo poco ossigeno. I suoi giochi. I suoi svaghi. Aveva bisogno di svaghi. Di capire. Lui non sarebbe morto. Non poteva morire. L'avrebbero trovata! Avrebbero trovato Jewel. Il suo gioco preferito. Era ancora legata al muro. Chi l'avrebbe trovata ? Chissà cosa avrebbe pensato…

    Il famoso medico. Un sadico torturatore. L'orfanella che tutti credevano scappata...in realtà non aveva mai lasciato quella casa. Ma loro non potevano capire.

    Chi sei? chiese al giovane raccogliendo tutte le forze. Sono il fratello di Jewel... lei ora è libera...già il suo fratellino...piccolo. Adesso era un

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